Diavolo di un Milan! – La sciamata davanti al monumento alpino. – L’importanza del numero 2 – La calla. – Bizze a bizzeffe. – El rije dl’sautissè .- L’ortensia blu!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Diavolo di un Milan! Vi siete mai chiesti perché il Milan ha nel suo stemma un diavolo

rosso? Innanzitutto va detto che lo stemma del Milan non è stato sempre quello che si trova oggigiorno sulle maglie del club rossonero. Anzi, in realtà durante l’ultracentenaria storia del club si sono susseguite tantissime rivisitazioni del simbolo. La prima versione era un diavolo rosso alla destra di una stella, che indicava i 10 scudetti vinti dal club rossonero. I milanisti di vecchia data ricorderanno anche un’altra versione che ha fatto da tramite a quella dei giorni nostri: quella della bandiera di Milano. Al momento, invece, il simbolo del club è un ovale che racchiude in un cerchio i colori della squadra e la bandiera del Comune di Milano, formata da una croce rossa su uno sfondo bianco, racchiusa in un ovale con scritto ACM, abbreviazione di Associazione Calcio Milan, il nuovo nome della società e, 1899, l’anno di fondazione della squadra da parte di soci investitori italiani e inglesi. Ma perché il diavolo  è il simbolo del Milan? Perché sin dal principio i fondatori hanno voluto che lo stemma rispecchiasse lo spirito della squadra, affidandosi ad un diavolo rosso fuoco, forte e che incute timore e paura negli avversari. Tantissime sono state le versioni del diavolo, dal diavolo con la divisa rossonera al diavolo con tanto di tridente, al diavolo “Panini” fino al diavolo alato e il diavolo nello stemma. Questo simbolo si deve alla mente di Herbert Kilpin, primo allenatore e cofondatore del Milan che nel lontano 1899  giocava  a Torino e precisamente nell’“Internazionale di Torino”, da cui sarebbe poi nato il Torino calcio.  Il 16 aprile 1899 perse una finale contro il Genoa, che diventò per la seconda volta campione d’italia. Kilpin sapeva che si sarebbe trasferito a Milano per lavoro e disse a Pasteur, capitano del Genoa: “Questa sarà l’ultima vittoria del Genoa, presto sarò a Milano e li formerò una squadra di veri “diavoli” che ti darà filo da torcere!“. Secondo Kipling il diavolo milanista sarebbe stato perfetto per rappresentare lo spirito agguerrito che era alla base dell’idea del club sin dalla sua fondazione. Nel corso della storia del logo del Milan, anche il diavolo è stato rappresentato in tanti modi diversi e con versioni sempre aggiornate: si va dal diavolo con la divisa rossonera, fino a quello alato e a quello col tridente. Spesso questa figura viene utilizzata, ancora oggi, nelle coreografie realizzate dai tifosi rossoneri allo stadio.  Da allora il diavolo milanista è una sorta di simbolo parallelo allo stemma del Milan che, come accaduto, ad esempio, allo stemma della Juve, si è evoluto nel tempo. La base del logo del Milan è composta da un ovale bianco con all’interno un cerchio a sua volta diviso a metà: sulla metà di sinistra si sonoi colori rossoneri,  mentre su quella di destra c’è uno scudo crociato che si  che si rifà alla Croce di San Giorgio, un elemento ripreso dallo stemma della città di Milano, simbolo di coraggio indomito. Accanto al logo, continua poi a coesistere la figura del diavolo milanista, che è ormai diventata una sorta di mascotte e spirito della squadra alla quale i tifosi sono molto affezionati, anche perché, come spiegato poco prima, rappresenta l’animo stesso che da sempre caratterizza questo club.Favria,  7.06.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non permettiamo alle nostre ferite di trasformarci in quello che non siamo. Felice martedì.

La sciamata davanti al monumento alpino.

In un caldo sabato pomeriggio di fine maggio, una sciamata di api si è appoggiata ad un paracarro posto vicino al monumento degli Alpini di Favria. In su un ramo del parco e poi sono volate sopra questo slanciato paracarro ai bordi della piazza della Repubblica. La sciamatura delle api è per gli apicoltori uno dei fenomeni più interessanti e curiosi che avvengono in apicoltura. Esso solitamente ha inizio con uno spettacolo veramente curioso: migliaia di api escono dalla porticina dell’alveare a macchia d’olio, ribaltandosi e cadendo a terra nella frenesia di uscire, come se una forza simile all’aria compressa le spingesse dall’interno verso l’esterno. La prosecuzione avviene poi con una nuvola roteante di api che lentamente si concentra su un ramo d’albero o su un’altra sporgenza solitamente ombreggiata, fino a raggiungere una calma che in realtà è solo apparente. Ebbene, questo fenomeno ha come fine quello della propagazione della specie. A volte le api proseguono il loro vagare fino a quando non trovano una posizione per loro confacente. Le api in questione si sono posate prima su di un ramo e poi sul paracarro davanti al monumento degli Alpini sulla piazza della Repubblica. Questo episodio mi ha suggerito la riflessione che la comunicazione, cooperazione e rispetto sono le tre parole chiave della società delle api che potremmo fare nostre per vivere meglio tutti insieme. Un motivo in più per contribuire alla salvaguardia di questo insetto così importante per l’ecosistema, scriveva al riguardo la poetessa americana Emily Dickinson: “Per fare un prato ci vuole del trifoglio e un’ape/del trifoglio e un’ape e i sogni a occhi aperti/ e se saranno poche le api basteranno i sogni”. Le api depositano il miele nella parte superiore e posteriore dei favi: Gli apicoltori attribuiscono questo atteggiamento istintivo alla preoccupazione della specie di tenere il miele e anche il polline, lontani dall’entrata e perciò più sicuri da eventuali tentativi delle saccheggiatrici. Le api del glomere si dispongono in modo che la grande massa è sistemata sulle celle vuote, spostata verso la parete anteriore, più calda, e solo una parte è a contatto del miele. Queste lo passano poi alle sorelle sottostanti, che a loro volta lo passano ad altre più lontane. La loro disposizione è simile a quella delle tegole di un tetto, di mutio aiuto. Nell’alveare il singolo insetto conta soltanto se unito al resto della famiglia delle api.  E si le api sono importanti per tutto l’ecosistema e anche per noi esseri umani, le api sono impollinatori, indispensabili alleati che non possiamo farne a meno, come per i valori alpini, senza questa ricchezza non c’è vero progresso.

Favria,  Giorgio Cortese 8.06.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Dicono che i cani ignorano la loro immagine riflessa negli specchi perché non possono annusarla. I cani, a differenza di noi umani, non vengono ingannati da quello che vedono. Felice mercoledì.

L’importanza del numero 2

Nella vita di ogni giorno possiamo scegliere se da soli o lavorare assieme, uniti. Ecco questo, mi porta a pensare al numero 2, nella cabala è identificato con la Chokmah o Saggezza Divina, un numero di riflessione. Non è un segreto che il numero 2 sia stato menzionato molte volte nella Bibbia come un simbolo di unione, che può essere visto in diversi esempi. Ad esempio, nell’unione tra la chiesa e Cristo, così come l’unione tra un uomo e una donna in un matrimonio. Il numero due è un numero che esprime unione ed armonia. Il numero due secondo Donald Knuth, noto informatico,  tutti i primi sono dispari tranne 2, che è il più strano di tutti, nel rugby è la maglia indossata dal tallonatore. Il tallonatore nella mischia è il giocatore che si posiziona fra i due piloni e tenta di catturare il pallone con i piedi “tallonandolo” all’interno del proprio pacchetto di mischia, ruolo importante. Tornando al numero due, da soli non si va da nessuna parte ma quando si è in due o più di due ecco che con la collaborazione e unione possiamo realizzare i nostri sogni, costruire cose straordinarie che da soli, uno, non faremo mai. Come si vede in due bisogna collaborare, con coraggio, la decisione di collaborare nel mettersi in discussione, di cambiare il proprio punto di vista danda ascolto agli altri, di dire quello che si pensa mettendo anche in conto di potere ricevere delle critiche, di perdere qualcosa, le certezze, abitudini, convinzioni, per conquistare qualcosa di nuovo. Nella vita collaborare bene implica accettare che ognuno è diverso dagli altrinei bisogni, nel modo di pensare, in quello che ritiene importante, in quello che sa fare e uno degli ingredienti essenziali per accettare queste diversità è anche il buonsenso, la pazienza, un sincero interesse a trovare il giusto compromesso che consente di rispettare le diversità senza che nessuno abbia il sopravvento sugli altri. Scriveva John Donne: “Nessun uomo è un’isola, intero per sè stesso; Ogni uomo è un pezzo del continente, parte della terra intera.” Non c’è un solo frammento isolato in tutta la natura, ogni frammento fa parte di un’unità armoniosa e completa. I momenti più belli della vita sono quelli che, uniti insieme, formano un percorso. Nella vita tutti per uno e uno per tutti, uniti noi resistiamo divisi noi cadiamo. Che bello il numero due, il primo numero pari dopo lo zero.

Favria, 9.06.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata, le emozioni annullano le distanza di spazio e di tempo. Felice giovedì.

La calla.

La calla appartiene alla famiglia delle araceae, è un fiore di origine Africana che cresce spontaneo in tutte le zone a clima mite quali l’Africa centro-orientale, le regioni comprese fra l’Equatore e Capo di Buona Speranza e nei pressi del fiume Vaal nella regione del Transvaal. Viene chiamato nel suoi territori di origine giglio del Nilo e fu introdotto in Europa nel 1731, assumendo il nome botanico di zantedeschia, in onore allo scienziato, medico, botanico italiano Francesco Zantedeschi. Tale nome però non fu e non è quasi mai utilizzato, il nome comune riconosciuto anche in diversi continenti è calla, termine che deriva dalla parola greca kalos che significa bello. L’origine della calla e del suo significato, affonda le radici nel mito e nelle storie delle divinità antiche. Secondo un’antica leggenda greca, dal seno di Era, la divinità del matrimonio, fuoriuscirono alcune gocce di latte, alcune caddero sulla terra e da esse nacque la prima calla, altre furono spruzzate verso l’alto, finirono in cielo, dove formarono la Via Lattea. Per la cultura greca, quindi, la calla era un indiscusso simbolo di femminilità e prosperità.  Al contrario, invece, la tradizione popolare romana le attribuiva un significato decisamente erotico e sensuale, a causa dell’esuberante spadice che si trova al centro del fiore. La calla, quindi, era considerata simbolo fallico, emblema di mascolinità e di virilità. Secondo un’antica leggenda, infatti, sarebbe stata Venere stessa a maledire il fiore, a causa della sua eccessiva bellezza. Come conseguenza di questa maledizione divina, si formò lo spadice centrale, così da renderla più brutta e sgraziata. Anche per la religione cristiana, la calla è simbolo di bellezza e perfezione, nonché di purezza. Molte sono le tradizioni popolari che riconducono il fiore alla figura della Vergine Maria, intesa come emblema di virtù.  Allo stesso modo, alcune leggende narrano di come siano state le lacrime di Eva, cacciata dal Paradiso Terrestre, a fare nascere il fiore. La tradizione cristiana, però, è la prima ad associare il fiore al mondo dei defunti e dell’oltretomba, facendo diventare la calla significato di vita eterna. Soprattutto nella sua variante viola. Scolpita sulle lapidi commemorative, affrescate sulle pareti di chiese ed edifici religiosi, la calla diventa il fiore di chi ha lasciato prematuramente la vita.

Favria, 10.06.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita non raccogliamo solo ciò che seminiamo ma anche quello che curiamo. Felice venerdì

Bizze a bizzeffe.

Bizza pare che derivi dall’antico tedesco  bizzan, che significava pungere, mordere, insomma la stizza momentanea che assale il cavallo punto dai tafani. La parola oggi significa capriccio stizzoso e di breve durata, senza serio motivo, tipico dei bambini ma anche di persone che hanno visto scorrere inutilmente parecchie stagioni perché sono rimaste bizzose e ne fanno ogni giorno in grande quantità, ovvero a bizzeffe. Questa parola deriva  dall’arabo, bi-zaf in abbondanza. Esiste su questa parola una simpatica storiella che narra l’origine etimologica pare derivasse dall’abbreviazione della firma del funzionario amministrativo facente funzioni, f.f., quindi bis-effe, ponendo il significato della parola, quindi, in relazione alla mole di scartoffie burocratiche che il facente funzioni, appunto, si ritrovava a dover firmare a bis-effe per risparmiar tempo.

Favria, 11.06.2022

Buona giornata. Nella vita quotidiana la felicità è alla portata di tutti, sta ad ognuno di noi trovarla tra le pieghe della vita. Felice sabato

El rije dl’sautissè …

Osservando l’attuale situazione politica, economica e sanitaria mi viene in mente un vecchio proverbio piemontese: “el rije dl’ sautisse cand che j’anciove a-j van a mal, letteralmente: il ridere del salumiere quando le acciughe gli si guastano”.

Questo modo di dire, la saggezza filosofica degli antichi proverbi, afferma  che nella vita occorre fare buon viso a cattivo gioco: simulare allegria in situazioni tragiche, come quella attuale.

Con lo stesso significato si utilizza l’espressione: “fare buon viso a cattiva sorte”.

Questa frase viene usata anche in altre lingue, in inglese, la frase si può rendere con espressioni quali: “make the best of a bad job, make the best of a bad situation, grin and bear it, keep a stiff upper lip.”

Già la sorte, il destino. Il verbo sortire deriva dal lemma latino sortire e sortiri, derivazione di sors ossia sorte poi giunto nella lingua italiana dal francese sortir, uscire in sorte, da questa deriva la parola sorteggiare, e le parole composte quali: sortilegio, consorte.

Ma il curioso che la parola italiana “forse” che usiamo per esprime un dubbio, esitazione, possibilità, dubbio, incertezza, deriva dal latino forsit, composto di fors, sorte, e sit, sia, dal significato: sia destino.

Forse è una parola elegante che aiuta il nostro modo di parlare che sottolinea l’attuale situazione d’incertezza che stiamo vivendo. Questa parola mi ricorda quanto scrisse Giacomo Leopardi nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”: “Forse s’avess’io l’ale/ da volar su le nubi / e noverar le stelle ad una ad una/ o come il tuono errar di giogo in giogo,/ più felice sarei, dolce mia greggia,/ più felice sarei, candida luna./ O forse erra dal vero,/ mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:/forse in qual forma, in quale/ stato che sia, dentro covile o cuna,/è funesto a chi nasce il dì natale.”

Volare è il sogno nascosto nell’animo di ogni essere umano, per salire nell’azzurro cielo, sopra la bruttura umana della guerra. Ma, purtroppo come ha scritto il celebre poeta l’amara realtà ci riporta con i piedi per terra, ma se volgiamo lo sguardo verso il cielo non possiamo non domandarci cosa ci facciamo su questo bel pianeta, dove potremmo essere veramente felici senza l’odio, il rancore e la guerra.

Oggi l’attuale situazione non è un gioco da ragazzi, ma è importante per tutti entrare in gioco impegnandoci per quello che possiamo, perché oggi siamo in gioco, corriamo dei rischi con questo gioco anche pesante, ben consapevoli  che le cose a venta pijeje comach’ a ven-o.

In conclusione, nessuno ama l’incertezza di per sé, ma anche l’incertezza da problema diventa opportunità, perché genera la bellezza della speranza nell’animo.

Favria, 12.06.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana  nulla si ottiene e senza sacrifico e senza coraggio. Felice domenica

L’ortensia blu!

Come sarebbe la vita dei nostri giardini senza l’ortensia? Più triste e monotona, sicuramente meno affascinante? Oggi pomeriggio nel giardino  ho abbracciato un’ortensia magnifica. Ci siamo fatti molte promesse e ci siamo dati appuntamento al primo chiaro di luna. Dell’ortensia  amo il turgido dei fusti, la vibrazione dei blu e dei rosa nei petali, la chioma esuberante che sembra custodire un grande silenzio. Ho sempre avuto un debole per le ortensie, quelle azzurre, sono uno dei pochi fiori scompigliati, ma con una resistenza ammirevole, che rimangono belli anche quando non sono più freschi.  Mi attira il suo blu, turchese intenso, quale è il segreto di tanto splendore? Come  mi ha insegnato mia nonna, in primavera sotterro accanto alle sue radici ferri vecchi e chiodi arrugginiti. Anche quando perdono un po’ di colore, restano intatti. Le ortensie come me amano i  cortili ombrosi. L’anima silenziosa dei muretti e i colori delle ortensie mi fanno sentire bene, ritemgo l’ortensia una grande commediante, quando ha sete, per esempio, non si limita a inchinarsi un pochino come fanno le altre piante per chiedere con cortesia dell’acqua. No, lei si butta a terra in modo plateale, simula uno svenimento da damigella, affloscia drammaticamente i rami erbacei come se stesse interpretando La morte del cigno davanti a centinaia di spettatori in lacrime. Poi, una volta dissetata, eccola che ostenta quelle sue sfere fiorite come fossero fuochi d’artificio, bum bum patatrac, e tende le grosse foglie carnose verso il cielo come a invocare un applauso divino.

Favria, 13.06.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana se voglio veramente amare devio sforzarmi sempre di imparare a perdonare. Felice lunedì