Donate Buon Sangue! – Cammeo – Canti alpini – Il Kingmaker. – Papacarea, faldistorio. – L’umile matita. – Da charrado a sciarada – Agoràcrito!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Donate Buon Sangue! Donare il sangue è importante anche e soprattutto in questo

momento.Il bisogno di sangue non si ferma mai: ogni giorno 1.800 persone necessitano di trasfusioni per poter sopravvivere. Nonostante il Coronavirus l’appello che faccio è chiaro: vieni a donare.
MERCOLEDI’ 12 GENNAIO A FAVRIA
cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20.
A gennaio fatti un regalo donando il rosso sangue, dona la vita. La richiesta di sangue non si ferma mai.
Vieni anche Tu nell’esercito solidale che ogni anno salva migliaia di vite.
La donazione è un gesto responsabile che può essere compiuto solo se in buona salute. Età18-60 anni, per candidarsi a diventare donatori.
È possibile continuare a donare fino al compimento del 65° anno d’età e fino al 70° anno previa valutazione del proprio stato di salute. Peso non inferiore ai 50 kg e con un  buon stile di vita, nessun comportamento a rischio che possa compromettere la nostra salute e/o quella di chi riceve il nostro sangue.
L’idoneità alla donazione del sangue viene stabilita da un medico mediante un colloquio, una valutazione clinica e una serie di esami di laboratorio previsti per garantire la sicurezza del donatore e del ricevente.
Il dono del sangue è un gesto che viene compiuto sempre in assoluta sicurezza.
Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino la trasmissione del coronavirus attraverso le trasfusioni di sangue ed emocomponenti. Programmando le donazioni, inoltre, si evitano assembramenti e il contatto con altre persone è molto limitato. Ai donatori di sangue non viene richiesto il green pass.
Dal 15 ottobre 2021 la certificazione verde è diventata requisito fondamentale per l’ingresso nei posti di lavoro, ma non per venire a donare il sangue.
Per i donatori che accedono viene misurata la temperatura e il rispetto del distanziamento sociale.
Il donatore che dovesse manifestare sintomi influenzali o da Covid-19 nei 14 giorni che seguono la donazione è invitato a darne comunicazione immediata al Presidente del Gruppo di Favria  o all’unità di raccolta.Per info e prenotazioni   cell 3331714827
Favria, 11.01.2022 Giorgio Cortese
Buona giornata. Nella vita quotidiana in ogni nostra azione, oltre a ciò che si fa, conta l’intenzione del perché la si fa! Felice martedì

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 12 GENNAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Cammeo
il cammeo o cameo  significava una volta un gioiello inciso, minuto e prezioso ed oggi una brevissima apparizione cinematografica o teatrale di un personaggio celebre. La parola giunge in italiano attraverso il lemma dell’antico francese: camaheus. La sua derivazione è incerta: potrebbe arrivare dallo slavo kamenj pietra, dal greco kamein lavorare faticosamente, oppure, sempre dal greco komma incisione. Qualcuno vuole che abbia una radice in comune con gemma o che giunga dall’arabo gamà il bocciolo di fiore. Il cammeo o cameo, vi dirò dopo la trasformazione di questa parola che ha perso una consonante, consisteva in una figura incisa su una pietra con la peculiarità di essere stratificata con sfumature diverse. Il cammeo, in origine utilizzava un’idea meravigliosa dell’anonimo ma geniale artigiano che l’aveva concepita per colorare diversamente i piani e le figure più o meno sporgenti. In seguito il cammeo divenne una riproduzione ridotta e di grande valore. La parola cammeo diviene  nel linguaggio dello spettacolo inglesizzato in cameo appunto. In origine, negli anni venti del Novecento, il ruolo cameo, indicava la piccola parte di un personaggio che si distingue dalle altre parti minori. In seguito “cameo” è venuto a riferirsi a qualsiasi breve apparizione, come personaggio, in un’opera teatrale o cinematografica, una comparsata. Artisti famosi come il regista Hitchcock. I camei si trovano anche nei romanzi e in altre opere letterarie e di solito coinvolgono un personaggio presente in un’altra opera che fa una breve apparizione per definire un’ambientazione dell’universo condiviso. Balzac impiegò talvolta questa pratica, come nella sua monumentale opera la “Commedia umana” dove i personaggi si incrociano e si salutano prendendo strade diverse che Balzac ha tracciato nella sua foresta d’uomini.

Favria, 12.01.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ci sono due cose importanti nella vita: il motivo e il momento. Ci saranno magari tremila motivi ma non ritroveremo mai più lo stesso momento. Felice mercoledì

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a Favria MERCOLEDI’ 12 GENNAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Canti alpini

Il Corpo degli Alpini, appartenente all’Esercito Italiano, è nato a fine ottocento, più precisamente il 1872, e nel corso del tempo troviamo numerosi canti di guerra: molti parlano delle battaglie, altri sono un inno all’Italia o al valore alpino; molti, però sono veramente toccanti, mettendo in risalto gli aspetti più crudi della guerra: la morte del capitano, il dolore dei soldati, la crudeltà degli imperatori e quasi sempre la morte di tanti soldati  giovani sui vent’anni. Da sempre la musica con  motivi popolari ha accompagnarono la vita dei soldati, cantati in coro durante i bivacchi, le lunghe marce, come rimedio alla stanchezza e alla lontananza da casa, ma pure nell’infuriare della battaglia per trovare il coraggio e lo slancio. Già gli antichi guerrieri greci intonavano i peana, canti in onore di Apollo salvatore e risanatore, ed ebbero autori famosi come i poeti Pindaro, Simonide e Bacchilide. I legionari romani usavano canti di guerra e di trionfo nei quali celebravano i loro condottieri, ma altre volte li sfottevano. Giulio Cesare era soprannominato “zucca pelata”. Pensate che nell’alto Medioevo,  i  difensori delle città padane contro l’invasione dei barbari Ungari, inventano canti a botta e risposta. La prima frase viene pronunciata dal capo delle milizie, la seconda dal coro di tutti gli altri militi. Questa fu cantata sulle mura di Modena nell’anno 892: “Fortis iuventus   Virtus audax bellica/ Vestra per muros   Audiantur carmina/ Et sit in armis   Alterna vigilia/ Ne fraus hostilis   Haec invadat moenia/ Resultet echo   Comes eia vigila/ Per muros eia   Dicat echo vigila./  Forte gioventù   Audace per la virtù di guerra / Sulle vostre mura   Si sentano i nostri canti/ E stia in armi   Sempre la sentinella/ Perché la sorpresa del nemico /  Non sorprenda le mura/ Risponda l’eco   “Commilitone ehi vigila” Sui muri: “Ehi”   Risponda l’eco “Vigila”. Dalla fine del XV secolo e per tutto il ‘500 L’Italia è campo di battaglia per gli eserciti francesi, spagnoli e imperiali, i terribili lanzichenecchi. Gli italiani assoldati come mercenari dall’una o dall’altra parte hanno il loro simbolo nel grottesco Scaramella, nome fittizio perché nel nord Italia designa un uomo magro, deboluccio e morto di fame. Ecco la canzone ironica cantata allora: “Scaramella va alla guerra con la lancia e la rotella (scudo)/ La zombero boro borombetta, la boro borombo./  Scaramella fa la gala colla scarpa et la stivale/ La zombero boro borombo la zombero borombetta. In Piemonte il marchese di Saluzzo Michele Antonio regna dal 1504 al 1528,  valente guerriero, è capitano generale a capo dell’armata francese che tenta la conquista del regno di Napoli contro gli spagnoli. Viene però sconfitto ad Aversa, ferito e preso prigioniero. Benché trattato con riguardo e curato, Michele Antonio peggiora, e sentendo vicina la fine detta le sue ultime volontà chiede che  il suo corpo sia seppellito nella chiesa di Aracoeli in Roma, ma il cuore, imbalsamato, venga portato presso le tombe di suoi antenati nel duomo di Saluzzo. Il cuore era considerato la sede dell’anima. Questo fatto stuzzica la fantasia dei contemporanei e nasce la ballata del Testamento del capitano di Saluzzo, in dialetto piemontese. Quasi quattro secoli dopo gli alpini la tradurranno in italiano durante la grande guerra, facendola diventare il ben noto Testamento del capitano, nel quale il corpo del capitano stesso viene diviso in cinque parti da distribuire a chi ha più amato: la Patria, il battaglione, la madre, la fidanzata e le montagne. Sul tema ironico come Scaramella  è divertente La marcia del principe Tommaso durante la  la guerra dei Trentanni nel 1640,  in Piemonte guerra civile tra Madamisti e Principisti, dove il principe Tommaso di Savoia-Carignano dalla Lombardia entra in Piemonte alla testa di un esercito spagnolo. Bene accolto dalla popolazione occupa Torino senza colpo ferire e scaccia la cognata Maria Cristina, figlia del re di Francia e reggente del ducato di Savoia. Le sue mire infine falliscono, perché un esercito francese mandato dal cardinale Richelieu lo assedierà in Torino stessa, e l’ironia è d’obbligo: “Principe Tommaso vien da Milan/ Con la brigata degli scalzacan/Scalza di qua, scalza di là/ Viva i soldati del principe Tomà. Il duca John Churcill duca di Marlborough, 1650-1722,  condottiero delle truppe inglesi, alleato dei Piemontesi durante l’assedio di Torino, molte volte vittorioso in Belgio contro i francesi viene ricordato con questa canzoncina popolare dai francesi durante le guerre napoleoniche: “Marlbrough s’en va-t-en guerre,/ Mironton, mironton, mirontaine,/ Marlbrough s’en va-t-en guerre,/ Ne sait quand reviendra./  Il reviendra z’à Pâques,/ Mironton, mironton, mirontaine,/ Il reviendra z’à Pâques/ Ou à la Trinité./ In questa canzone la moglie di Marlbrough è invitata a indossare un abito nero, perché sta per diventare assai presto vedova… La melodia della canzone fu adottata in Gran Bretagna, dove la si canta con le parole “For he is a jolly good fellow… perché è un bravo ragazzo”.  Se il duca John Churcill duca di Marlborough è un personaggio storico, assolutamente immaginario è Yankee Doodle, parente stretto dei folli Gribouille francese e  del nostro piemontese Gribuja che sbarcati nel nuovo mondo  sono diventati  Yankee, cioè americano: “ Yankee Doodle keep it up/ Yankee Doodle dandy/ Mind the music and the step/ And with the girls be handy./  Scarabocchio Americano va forte/ Scarabocchio Americano il gran figo/ Sa la musica e la danza/ E piace alle ragazze. I ribelli americaniinquadrati nell’esercito regolare o  come volontari in azioni di guerriglia dal l 1776 al 1782 combattono sotto gli ordini di George Washington per l’indipendenza americana e, cantano le imprese di Yankee Doodle al suono dei pifferi e dei tamburi, per irridere le impeccabili giubbe rosse di re Giorgio III Inglese.  Subito dopo la rivoluzione americana scoppia quella francese e Rouget de Lisle scrive una coinvolgente canzone, il Canto dell’armata del Reno, che prenderà il nome di Marsigliese, successivamente l’inno della nazione francese. Allora cantare la  Marsigliese voleva  dire  di sposare idee repubblicane, ma la nuova libertà imposta con la forza non sempre è gradita ai popoli conquistati da Napoleone. Nel sud Italia si risponde  con la rivolta Sanfedista si canta  questo controcanto ai francesi con briganti come Michele Pezza detto Frà Diavolo che  capeggiano la rivolta, la repubblica Partenopea: “A lu suono e’la grancascia viva lu popolo bascio/ A lu suono e’tamburielle so’ rinate e’puverielle/ A lu suono e’la campana, viva viva li pupulana/ A lu suono e’ li viuline morte alli giacubbine./ Sona sona, sona carmagnola/ Sona a li cunsiglie viva o’re cu la famiglia./” Ed ecco  che arriviamo al  Risorgimento  dove persino Giuseppe Verdi  con Và pensiero assume significati indipendentisti. La canzone militare che otterrà maggior successo, sarà invece del tutto apolitica, infatti parla di una ragazza lungamente sognata dai soldati, la frizzante e pepata Bella Gigogin: “ Rataplan, non ho paura/ delle bombe e dei cannoni/ io vado alla ventura/  sarà poi quel che sarà!/ E la Bella Gigogin/ Trullallero trullallero/ La va a spass co l’so spusin/ Trullallero trullallà. Nello periodo negli Stati Uniti avveniva la guerra di secessione. I soldati nordisti marciano cantando There was an old soldier, When Johnny comes marching home, e la celebre: “  John Brown’s body lies a-mouldering in the grave/     His soul’s marching on!   Glory, glory, hallelujah! Glory, glory, hallelujah!/   Glory, glory, hallelujah! his soul’s marching on!/ Con la replica dei confederati, detti sudisti o ribelli con altri  famosi e orecchiabili motivi come Yellow rose of Texas e l’inno non ufficiale degli stati confederati: “Advance the flag of Dixie/ Hurrah, Hurrah,/ For Dixie’s land we take our stand/ And live or die for Dixie.” Arriviamo nel ventesimo secolo con ben due terribili guerre mondiali piene di musiche. All’entrata in guerra dell’Italia l’aria preferita è quella del soldato napoletano innamorato: “Oje vita, oje vita mia…/ Oje cor ‘e chistu core…/ Si stata ‘o primmo ammore…/ E ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!”. I valorosi alpini sono meno romantici, nei loro canti c’è il senso del sacrificio e della durezza della guerra: “Trenta giorni sull’Ortigara/ Senza il cambio per dismontà/ Ta pum, ta pum, ta pum.” Sul fronte francese a Verdun e sulla Somme gli inglesi cantano con nostalgia: “ Agosto1914:“It’s a long way to Tipperary,/     It’s a long way to go./    It’s a long way to Tipperary     To the sweetest girl I know!/   Goodbye Piccadilly,/   Farewell Leicester Square!     It’s a long long way to Tipperary,/  But my heart’s right there.”La canzone si riferisce all’Irlanda. Tipperary è un borgo nel sud dell’isola, l’emigrato irlandese a Londra lascia volentieri la metropoli per ritornare al paese dove la fidanzata Molly lo aspetta. I francesi cantano della della cantiniera Madelon, qui c’è la tradizione del periodo Napoleonico con le vivandiere, che seguirono l’armata francese in ogni parte d’Europa, e pagarono il loro tributo di sofferenza e di sangue, specie durante la campagna di Russia: “Quand Madelon vient nous servir à boire/ Sous la tonnelle frole son jupon/ Et chacun lui raconte une histoire/ Une histoire a sa façon.” I tedeschi dalle trincee avverse rispondono:  Die alten Kameraden sind Heute wieder stark,/ Die alten Kameraden sind wieder an der Macht,/ Wieder aus auf Kriege, auf Ehre und auf Ruhm,/ Die alten Kameraden träumen wieder vom deutschen Heldentum. Nulla si è reperito dalle armate Austroungariche ma,  molto più delle parole, e di qualsiasi descrizione vale il rumore ritmato delle fucilate. Fece furore nelle trincee italiane una canzone scritta nel 1909 da due studenti universitari torinesi, Nino Oxilia e Giuseppe Blanc, una una canzone goliardica per i laureandi di quell’anno, intitolata Il Commiato, ma diventati ufficiali durante la guerra, i due diffonderanno il loro motivetto, che verrà volentieri cantato al fronte, specie per l’allegro ritornello: “ Giovinezza, giovinezza/ Primavera di bellezza/ Della vita nell’ebbrezza/ Il tuo canto squilla e va.” Canzone  adottata dagli Arditi e dopo la guerra dagli squadristi di Mussolini, che si appropia della canzone trasformata nel testo per diventare inno politico ufficiale del fascismo. Verso la fine della guerra, il fallimento della battaglia di sfondamento sul Piave da parte degli austro-ungarici, fine giugno 1918) ispirò il maestro napoletano Giovanni Ermete Gaeta, in arte E.A.Mario, creò il più celebre motivo di tutta la prima guerra mondiale, la Leggenda del Piave, troppo ben conosciuta per essere trascritta, che ebbe un notevole impatto morale in tutta la nazione in armi e non, definito dal capo di stato maggiore, generale Armando Diaz  che era stato  un generale in più per tutto l’esercito. Durante il fascismo durante la guerra in Etiopia del 1935-36  la celebre Faccetta nera: “ Faccetta nera, bella abissina/ Aspetta e spera che già l’ora si avvicina…Durante la guerra civile spagnola i repubblicani cantano:  “El Ejército del Ebro,/ Rumba la rumba la rumba la./ Una noche el río pasó,/ ¡Ay Carmela! ¡Ay Carmela!,/ Y a las tropas invasoras,/ Rumba la rumba la rumba la./ Buena paliza les dio..”. Mentre i franchisti con sfrontata arroganza mettono il vestito della festa per andare in battaglia: “Cara al sol con la camisa nueva/ Que tú bordaste en rojo ayer,/ Me hallará la muerte si me lleva/ Y no te vuelvo a ver.”. Durante  la seconda guerra mondiale gli alpini relalisti sulla guerra e fuori dalla propaganda ufficiale cantano: “Sul ponte di Perati bandiera nera/ È il lutto degli alpini che fan la guera/ Quelli che son partiti non son tornati/ Sui monti della Grecia sono restati… “ Anchei tedeschi della  Wehrmacht, dopo l’iniziale euforia delle prime fulmineevittorie si rendono conto dell’orribile guerra e cantano una  canzone nostalgica che si diffonderà tra gli eserciti di quasi tutti i belligeranti: “Tutte le sere sotto quel fanal/ Presso la caserma ti stavo ad aspettar./ Anche stasera aspetterò,/ E tutto il mondo scorderò/ Con te Lili Marleen./”. Nel 1943 con il crollo del fascismo in Italia, I partigiani sanno che il loro sacrificio potrà in qualche modo riscattare l’Italia: “ O bella ciao, bella ciao/ È questo il fiore del partigiano morto per la libertà.”. Gli ultimi fascisti irridicibili della repubblica sociale italiana sono ormai certi della sconfitta, e non ne fanno mistero e cantano: “Le donne non ci vogliono più bene/ Perché portiamo la camicia nera/ Han detto che siamo da catene/ Hanno detto che siamo da galera.” E poi…gli  alleati vittoriosi  hanno portato lo swing e il boogie woogie ma non più canti. Poi altre lunghe guerre infesteranno il mondo ma non ci sono più canzoni che parlono della guerra, solo più la musica commerciale che ha invaso l’etere oppure il nuovo modo di pensare che bolla le canzoni dei soldati come non politicamente corretto e poi cantiamo tutti di meno e guardiamo o meglio, molti trovano troppa fatica far uscire la voce rispetto all’infilarsi nelle orecchie la cuffietta di un i-pod.  Viviamo in una società che ha perduto la voglia di socializzare, ed invece il coro è allegria anche per uno stonato come il sottoscritto. In conclusione mi chiedo se il vero movimento dell’armonia nel mondo non sia proprio il canto che ci fa riscoprire esseri umani. Perché cantare è un modo per ricordarsi di respirare e il  mito degli Alpini si concretizza dunque anche attraverso i suoi cori e canzoni come ottima vitamina per riannodare i rapporti umani.

Favria, 13.01.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. La cosa più costosa che possiamo fare è quella di non fare nulla. Questo bilancio fa dell’azione per il clima una priorità. Felice giovedì

Il Kingmaker.

Oggi si usa questo lemma anglofono Kingmaker per indicare nel linguaggio giornalistico, chi esercita grande influenza nell’assegnazione di alte cariche e incarichi.

Un personaggio politico che ha la possibilità di influenzare la scelta di un leader politico. Questo termine è sempre utilizzato in forma non ufficiale ed è spesso utilizzato con riferimento a contesti nei quali si sviluppano guerre di potere, come ad esempio la politica o in organizzazioni economiche.

Vengono indicati con questa espressione i soggetti che vogliono governare le decisioni di un’organizzazione senza essere esposti direttamente. Il termine è spesso usato anche in senso dispregiativo con riferimento a elezioni o votazioni parlamentari, per riferirsi ad un piccolo gruppo di eletti che  possiede un pacchetto di voti che può risultare decisivo ai fini di una certa decisione.  Il termine Kingmaker è stato coniato per Richard Neville XVI conte di Warwick detto appunto Warwick the Kingmaker, durante la guerra della due rose in Inghilterra.  Bisogna dire che la parola Kingmaker, è simile ad una anguilla, il cui senso vero sfugge, con il significato è andato a perdersi nei fondali più scuri della storia scivolando via  e oggi ne  rimane solo più un senso, quella  suggestione di un potere capace di nominare una volta un re e adesso chissa cosa altro, insomma un burattinaio che muove le figure politiche  come marionette: il più sfacciato, celebrato e invidiato tra i poteri dei retrobottega della politica, l’argomento con il quale suggerire dietrologie e scenari machiavellici.

Un potere che, oltretutto, viene esercitato invariabilmente rivendicandolo con compiacimento, a ulteriore dimostrazione di quanto disordine vi sia in giro.

Tornando alla persona a cui di deve questo termine, Richard Neville era nato il 22 novembre del 1428 da una famiglia di nobiltà relativamente recente, i cui avi, dopo aver guadagnato lustro nelle guerre contro gli scozzesi avevano ricevuto il titolo di conti di Westmorland.

Questo personaggio divenne  nel 1449 per un complesso intreccio di successioni il 14o conte di Warwick, concentrando nella sua persona una parte sostanziale delle eredità delle famiglie Neville, Montacute, Beauchamp e Despenser. Così al titolo di conte di Salisbury sostituì quello più prestigioso di conte di Warwick, e con questo è ricordato ancora oggi.

Warwick si trovò così non solo ad essere l’uomo più ricco d’Inghilterra dopo il re, ma anche uno dei più influenti, al centro tanto di un’estesa e solida rete di relazioni sociali e politiche interne, e con le nazioni del continente. Allora per gli alleati del conte, portare  l’insegna di Warwick, l’orso domato, era una bella assicurazione sulle proprie proprietà e sulla propria vita, almeno all’interno dei vasti confini dove egli esercitava il proprio potere.

Alla battaglia di St.Albans, il 22 maggio 1455, la prima delle guerre delle rose, Warwick non poteva mancare e qui si guadagnò una notevole fama militare, per altro non molto fondata, ma che lo proiettò in modo ancora più prepotentemente alla ribalta politica. Da allora la carriera politica di Warwick prese il volo fino a guadagnarsi, con le guerre e l’azione politica, il ruolo che gli valse l’appellativo col quale lo ricordiamo. Bisogna dire che la parola inglese venne coniata da Samuel Daniel nel 1609 sul lemma latino regum creator, creatore di re, e poi il termine attuale prese forma  con David Hume nel Settecento durante l’Illuminismo.

In realtà, questa parola è  un vero e proprio equivoco, perché Warwick non creò affatto dei re, ma semmai partecipò e contribuì soltanto alla loro deposizione, prima di Enrico VI e quindi di Edoardo IV. E anche nel breve periodo di sei mesi tra l’inverno del 1470 e la primavera del 1471, in cui Warwick effettivamente riportò Enrico VI al trono e ne sorresse la gracile mente, detenendo il potere di fatto, non si può sostenere in senso politico che egli creò un re durante la contesa dinastica delle guerre delle rose, la legittimità a governare se la disputeranno esclusivamente le due famiglie reali, e Warwick, anche se avesse voluto, poteva solo schierarsi per l’una o per l’altra.

Poi Warwick prese la decisione che ne decretò la fine riallacciando l’alleanza con la Francia e dichiarando addirittura guerra alla Borgogna, che si affrettò a sostenere Edoardo IV nel suo tentativo di riprendersi il trono.  Warwick morì a 42 anni, durante il suo ultimo tentativo di deporre un re, o meglio di deporre nuovamente Edoardo IV. Fu ucciso il 14 aprile 1471 nella battaglia di Barnet mentre tentava di fuggire.

La storia è maestra di vita e questa è la prima lezione per aspiranti Kingmaker, una volta scelto il partito, si può essere importanti e perfino decisivi, ma il re è sempre un’altra persona: lo stesso Edoardo IV si autoproclamò re, e non ebbe bisogno di chiedere il permesso a nessuno.

Bisogna dire che il lemma viene anche usato nella  teoria dei giochi, per la quale in un confronto plurimo il Kingmaker è colui che sacrifica se stesso e le proprie risorse per determinare il vincitore. Il  Kingmaker è il giocatore che, scegliendo tra due avversari quello contro il quale immolarsi, lo indebolisce, indebolendo se stesso a  tal punto da rendersi entrambi, inevitabilmente, facili vittime del terzo, ultimo e vincente sopravvissuto.

Come si vede ci sono delle sottigliezze nel ruolo e nel destino del Kingmaker, e siccome gli esseri umani non si muovono per logica ma molto spesso per avidità di poltrona l’unico vero Kingmaker è stato Richard Neville durante la guerra delle rose di cui egli fu, per quasi metà del loro corso, un protagonista assoluto.

Favria,  14.01.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana l’amicizia, quella vera, è una storia di fiducia, è questo è quello che differenzia i veri amici dagli altri. Felice venerdì

Papacarea, faldistorio.

La papacarea era un gioco di una volta, usato con l’espressione: “andé/porté a papacarea!” Era un gioco di gruppo, quando con un compagno di giochi si intrecciavano le mani per portarne un terzo, una forma scherzosa per indicare la sedia gestatoria del Pontefice, veniva anticamente usato per portare l’abbà della compagnia dei giovani il 1 di maggio per le vie della Comunità, per fare poi il Magio. Il faldistorio, come detto significa seggio liturgico, a forma di X, privo di spalliera fissa. Il lemma deriva dal latino medievale faldistorium, che è dal francone faldistôl, sedia pieghevole, confrontabile con i termini del tedesco moderno falten piegare e stuhl, sedia. La parola arriva dai Franchi che erano un popolo germanico, dapprima federati, cioè alleati dell’Impero Romano, e poi coi Carolingi ne raccolsero l’eredità in Occidente. Parlavano una lingua non troppo distante dal tedesco del ceppo germanico occidentale, e abbracciarono presto e convintamente il cristianesimo cattolico. Nel  Medioevo a partire dalla Francia  questa sedia ha avuto una diffusione notevole in mezza Europa, troviamo il suo omologo in spagnolo e in provenzale, oltre che in italiano.

Favria, 15.01.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata ogni giorno devo imparare  a  vivere come fa il mare,  ricevere, senza trattenere, accogliere tutto, senza rifiutare nulla.  Donarci agli altri senza pretendere. Felice sabato.

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 4 FEBBRAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

L’umile matita.

La matita costa pochissimo, leggera e sempre pronta all’uso, non macchia e la pongo comodamente nel taschino. Grande l’umile matita, non inquina e non ha bisogno di alimentazione elettrica, e basta una gomma per potere cancellare quanto ho scritto sul foglio bianco. Penso che tutti abbiamo iniziato a fare i primi scarabocchi e le prime lettere dell’alfabeto con la matita e oggi anche tanti artisti per creare capolavori, personalmente ne ho sempre una a portata di mano per prendere degli appunti per la spesa. Oggi è usata da tutti nel mondo ma la sua nascita è curiosa. Pensate che nel  XVI secolo in Inghilterra settentrionale in una valle, furono trovati dei blocchi di uno strano materiale nero. Sembrava carbone ma non bruciava; inoltre lasciava sulle superfici un segno nero lucido e facilmente cancellabile. Inizialmente fu chiamato piombo nero o piombaggine. Il minerale era untuoso e non so chi ha avuto la magnifica idea di mettere questo materiale in involucri di legno, ma già tra il 1560 e il 1570 circolavano nel continente europeo matite rudimentali. Questo minerale, detto allora piombo nero divenne molto appetibile anche a ladri e contrabbandieri, di conseguenza, nel 1752 il Parlamento britannico emanò una legge che ne puniva il furto con l’imprigionamento o l’esilio in una colonia penale. Poi nel 1779 il chimico svedese Karl W. Scheele fece la sorprendente scoperta che il piombo nero non era affatto piombo, ma una forma tenera di carbonio puro. Dieci anni dopo il geologo tedesco Abraham G. Werner le diede il nome di grafite, dal greco gràfo, scrivere. La gafite inglese per molti anni monopolizzò il mercato delle matite perché in Europa analoghi giacimenti erano di qualità inferiore. Ma la matita attuale nasce con l’invenzione del francese Nicolas-Jacques Conté che mescolò la polvere di grafite con l’argilla, ne fece dei bastoncini e li sottopose a cottura in forno, era nata la mina, il cilindro centrale di grafite, Conté brevettò la sua invenzione nel 1795. Grande umile matita, detta anche lapis, dal latino lapis haematites che significa, pietra di ematite. Infatti prima della scoperta della grafite venivano infatti utilizzati, con funzioni analoghe, bastoncini di carbone o di ematite, un ossido di ferro. Grande umile matita che mi insegna che è sempre la mia mano a guidarla, come la mano di Dio guida i miei passi e, quando non scrive più uso il temperino, come la matita soffre anche io devo affrontare le quotidiane preoccupazioni, che mi renderanno migliore e affilato come un lapis. Ma come nella matita non è il legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all’interno che scrive sul foglio bianco, anche per me è importante quello che provo dentro il mio animo. Se la matita mi permette sempre di usare una gomma per cancellare gli sbagli, ogni giorno se sbaglio mi devo correggere per rimanere tra le righe del foglio, perché ogni giorno scrivo la pagina del libro della vita e tutto quello che faccio, ogni azione, lascia sempre una traccia. Ecco dobbiamo ogni giorno sempre essere come la matita che con la sua versatilità, resistenza, semplicità ed efficienza, l’umile matita ha resistito alla prova del tempo. Perciò ancora per molti anni, sia a casa che al lavoro, potremmo sentirci dire: “Qualcuno ha una matita?”, magari chiedono di noi!

Favria, 16.01.2021Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita è sempre una quotidiana sfida, e ogni giorno dipende da noi   decidere  se accettare la sfida, oppure restare fermi per essere sepolti dalla polvere. Felice sabato.

Da charrado a sciarada

Oggigiorno la sciarada è un gioco enigmistico che consiste nell’indovinare una parola attraverso allusioni e la sua scomposizione in elementi semanticamente autonomi, insomma un  rompicapo. Il lemma deriva dal  francese charade, a sua volta dal provenzale charrado chiacchierata, affine all’italiano ciarlare, di origine onomatopeica. Insomma  la  sciarada è uno dei più celebri e piacevoli giochi enigmistici che riguardano le parole: spesso organizzata in versi,  in maniera che la rima torni d’aiuto, la sciarada consiste nel proporre di indovinare una parola, a cui discretamente e volentieri si allude nel titolo del singolo gioco, attraverso la combinazione di parole che la compongono. In un semplice esempio (ma non si creda che la sciarada sia un gioco semplice), baraonda può essere fatta indovinare facendo prima individuare le parole bara e onda. Si tratta di un gioco raffinato, che esiste in molti varianti e che ha un gergo tutto suo, ed è tale la stata la sua presa sull’immaginario collettivo da diventare il rompicapo per antonomasia: infatti, nell’uso figurato, la sciarada diventa il problema di difficile soluzione, la situazione di cui difficilmente si viene a capo. Può rivelarsi una sciarada la politica,  la macroeconomia e certe scelte che vengono fatte. Nello specifico la  sciarada è la composizione di due o più parole diverse che danno vita a un’altra parola e molto spesso il significato della parola che viene a formarsi non è attinente alle parole che la costituiscono. E poi  già la parola sciarada è una sciarada. Se dico che quella barca ha lasciato una SCIA in RADA ecco che ho formato una SCIARADA, e di seguito come: cere + ali, cereali. bar + colla + re,  barcollare. Concludo con questa curiosa: Dio c’è? sì = Diocesi. Ogni tanto tra le righe ne inserisco qualcuna, tanto per ciarlare. Buona lettura.

Favria, 17.01.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. È un vero peccato che impariamo le lezioni della vita solo quando non ci servono più. Felice lunedì

Agoràcrito!

Leggendo un libro, veniva citato Agoràcrito, e ho scoperto che era uno scultore di Paro, allievo prediletto di Fidia che, a detta di Plinio, gli permetteva di firmare le sue opere. Le fonti infatti attribuirono ora a lui ora a Fidia alcune statue, come quelle della Madre degli dèi in Atene e della Nemesi di Ramnunte. Quest’ultima, secondo Plinio, sarebbe stata trasformata da una primitiva scultura di Afrodite. Eseguì  inoltre statue di  Atena e  di  Zeus  per  il tempio di Atena Itonia a Coronea, ed è suo, probabilmente, il tipo dello Zeus di Dresda.

Favria, 18.01.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno faccio quello che posso  con quello che ho, nel posto in cui sono.  Felice martedì

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 4 FEBBRAIO 2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio