Favria, il Bene Comune messo in pratica – Tarabàcol, tarabara. – Marzo 1821 – Il lotto – Il passo dell’oca. – L’esercito Sassanide! – Il numero Uno! …LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Favria, il Bene Comune messo in pratica
Sono tempi difficili, lo sappiamo, i soldi   sono sempre meno, eppure la

Parrocchia di Favria nella figura del Parroco Pro Tempore Sabia don Gianni è costretto ad affrontare una notevole spesa per i lavori di manutenzione straordinaria e restauro conservativo della ex chiesa della Confraternita di Santa Croce, nella persona del parroco pro tempore Sabia don Gianni, antica parrocchiale di San Michele in Castro in Favria (To) in pieno centro vicino al Castello. Nei primi giorni di marzo c.a. viene dato inizio ai lavori di recupero strutturale dell’ex-chiesa di San Michele in Favria. L’edificio che ospita la sede della Confraternita di Santa Croce, già dei Disciplinanti, o Battuti, risale nella sua originaria conformazione ai secoli XII / XIII. A quei tempi era un piccolo fabbricato interno al ricetto favriese la cui facciata volgeva ad ovest, esattamente all’opposto dell’attuale. Nel corso dei secoli successivi sono state operate svariati ampliamenti e trasformazioni, delle quali la maggiore risalente ai primi del 1700 ci consegnò infine la facciata verso la piazza Martiri della Libertà. Nel corso degli anni ’60 del secolo scorso a seguito di lavori di costruzione della copertura assume invece l’attuale conformazione lo spazio interno. Dopo alcuni anni di abbandono e degrado la gestione del fabbricato è stata affidata alla Pro Loco che la ha curata fino a poco tempo fa. Oggi il fabbricato è tornato nella disponibilità della Confraternita che ha deciso di intervenire con l’intento di salvaguardare e riqualificare il patrimonio che l’immobile rappresenta per la Comunità Favriese, restituendolo all’uso condiviso. Il lavoro procederà da subito con la bonifica della copertura in fibrocemento e la sistemazione dei cornicioni e della muratura perimetrale dell’edificio. Questa prima opera è possibile grazie ad un generoso finanziamento ottenuto dalla Curia Torinese con fondi 8 x 1000 della Chiesa Cattolica. Si quella firma che molti di noi appongono sulla denuncia dei redditi torna in Favria per contribuire parzialmente ai lavori. L’operazione costerà circa €uro 140.000,00, ma come si sa quando si opera su edifici storici il costo lieviterà molto di più. Il progetto è ambizioso Bene Comune all’opera e non solo a parole e fanno sapere dal Comitato che segue i lavori di riuscire a portarlo a compimento entro 2-3 anni. Entro la fine del 2021 intendono anche iniziare la bonifica della copertura in fibrocemento dell’edifico in origine teatro San Carlo, vicino alla Chiesa Parrocchiale, e poi cinema parrocchiale, chiuso da tantissimi anni. Il fabbricato attuale lascerà il posto ad un edificio di minori dimensioni, destinato ad attività pastorali. Parte dello spazio residuo verrà ad aggiungersi all’attuale cortile dell’oratorio con il proposito di ristrutturare il tutto e ricavarne più adeguate aree all’aperto per l’Oratorio, in particolare dotate di un campo da calcetto in sintetico. Il secondo e terzo lotto di lavori sono al momento finanziati per circa il 50% grazie a fondi offerti da benefattori e dalla cittadinanza favriese alla propria Parrocchia in questi ultimi anni. Come si vede nonostante l’8 per mille e fondi accumulati con il sostegno di benefattori Favriesi è enorme è di sicuro impatto architettonico e di salute pubblica per la Comunità di Favria. Il recupero di due importanti edifici, consentirà nel periodo estivo, vista l’assenza di riscaldamento nella sede della Confraternita di restituirlo all’uso Comunitario, per poterne usufruire per iniziative a carattere sociale, culturale, ricreativo in accordio con la parrocchia. Il secondo edificio verrà, come già detto, per l’utilizzo di attività parrocchiali e ricreative per l’oratorio. Certo ci vorranno quindi ancora tempi lunghi per il terminare del restauro che dipendono in gran parte dal reperimento dei fondi necessari, e qui ogni cittadino che ama la Comunità di Favria dovrà fare la sua parte, oltre che dall’esecuzione dei lavori perché come detto la cifra detta all’inizio per il recupero di entrambi i fabbricati ma che alla fine cambieranno in meglio anche esteticamente il volto di Favria arricchendola di spazi adesso non utilizzati. Come tutte le trasformazioni anche questi lavori potrebbero procurare disagi ai residenti nella zona ed in generale ai Cittadini che abitualmente transitano sulle vie e sulla piazza e di questo la Parrocchia ed il Comitato si scusano e poi per migliorare bisogna mettere in conto dei momentanei disagi che a fine lavori ripagheranno tutte le temporanea difficoltà.
Favria,  16.03.2021 Giorgio Cortese

Confraternita di Santa Croce presso PARROCCHIA SS. MICHELE, PIETRO E PAOLO, c.so Matteotti 7,Favria (To) LAVORI DI MANUTENZIONE STRAORDINARIA E RESTAURO CONSERVATIVO EDIFICIO ANTICA CHIESA PARROCCHIALE DI SAN MICHELE IN PIAZZA MARTIRI DELLA LIBERTA’ E VIA DEL PORTONE C.I.L.A. Comune di Favria n. 985 Nulla osta Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Torino n. 10.438 del 22 giugno 2018 INIZIO LAVORI ULTIMAZIONE LAVORI COMMITTENTE PROGETTISTA DIRETTORE DEI LAVORI 01 marzo 2021 entro 03 febbraio 2024 CONFRATERNITA DI SANTA CROCE presso Parrocchia, c.so Matteotti 7, Favria (To) arch. Adriano MARTINETTO corso Giacomo Matteotti n.5, 10083 Favria (To) tel.0124/34586 mail: info@studio-architettura.net arch. Adriano MARTINETTO corso Giacomo Matteotti n.5, 10083 Favria (To) tel.0124/34586 mail: info@studio-architettura.net del 4 febbraio 2021 COORDINATORE PER LA SICUREZZA NELLE FASI DI PROGETTAZIONE E DI ESECUZIONE IMPRESA APPALTATRICE geom. Federico CIGLIANA via Trieste n.38, 10086 Rivarolo C.se (To) tel.333/71855171mail: federico.cigliana@yahoo.it Eseguita notifica preliminare ai sensi del D. Lgs. 81/2008 R & C di Rocchia C. & C. via Pianezza n.17, 10149 Torino, tel.011/18861322 Direttore Tecnico cantiere : arch. Alberto ROCCHIA Intervento edilizio realizzato con il contributo 8 x mille alla Chiesa Cattolica

Nella vita quotidiana nessuno può farci sentire inferiore senza il nostro consenso.

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno  di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro giovedì 18 marzo . Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Tarabàcol, tarabara.

In piemontese il tarabàcol o tarabàcola  indica un trabiccolo, un congegno mal connesso, meglio della inutile cianfrusaglia, ma indicava anche un letto smontabile. Si dice anche di una  persona, quando si vuole affermare la sua volubilità nel carattere, insomma un res nullus. Poi ci sono le tarabacole, i vecchi ed ingombranti mobili da non confondere con le tarabacolè, quando si dice di chi sale per per correre pericolosamente su di un trabicolo.  Queste parole derivano dal lemma piemontese taràcola, oggetto rotto o cianfrusaglia.  Questa voce è diffusa oltre che in Piemonte anche nel Pavese e nel Mantovano e nella zona di Sondrio. Molto probabilmente deriva dalla voce tardo latina trabiculum, travicello diminutivo di trabem, trave, che forse poi si è incrociato, suggestiva la supposizione, con la voce araba trabaqah, copertura, piccolo edificio palco. Potrebbe pure derivare da una voce di una piccola imbarcazione usata nell’Adriatico, anticamente per la pesca il trabacolum. Addirittura secondo alcuni deriva da una parola di origine tedesca, latinizzata, trabum, tenda. Certo che la radice araba tarh che indica cioè che è gettato perchè  difettoso sembrerebbe logica!  Vi chiedo scusa per il tarabadan, baccano, di parole se il mio parlare è degno di un tarabara, sciocco poetastro, sono solo un povero tapin, misero, che ha cercato di intrattenervi.

Favria, 17.03.2021   Giorgio Cortese

Le decisioni giuste vengono dall’esperienza, l’esperienza viene dalle decisioni sbagliate.

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno  di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro giovedì 18 marzo . Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Marzo 1821

Tra le rivoluzioni borghesi del secolo XIX che realizzarono, dal 1799 al 1860-61 passando per il Quarantotto, l’unità d’Italia, ce n’è una che sembra essere considerata un evento minore, sono i moti del 1820-21. Forse perché troppo vicina all’avventura napoleonica che mise a soqquadro l’Europa o forse perché quei rivolgimenti sono legati alle società segrete oppure perché i moti di liberazione presero spunto dalla Spagna in cui il sovrano, Ferdinando VII di Borbone, fu costretto nel 1820 a richiamare in vigore la Costituzione di Cadice del 1812, che poi avrebbe di nuovo revocato con il trionfo della reazione assolutista nel 1823. I moti del 1821 sono un poco trascurati, eppure dal luglio del 1820 al marzo del 1821, un’unica aspirazione costituzionale percorse tutta la penisola italiana, allora ancora solo una espressione geografica, obbligando le  monarchie, Borbone e Savoia a concedere la  Costituzione. Il filo conduttore dei moti è proprio il pensiero costituzionale legato al sentimento religioso cattolico. Grandi nomi sono legati a quegli eventi, da  Silvio Pellico, che fu rinchiuso nella fortezza dello Spielberg e scrisse “Le mie prigioni”, che furono un atto di accusa contro l’Austria, e Santorre di Santarosa, che spinse Carlo Alberto a concedere la Costituzione in Piemonte. Nel regno dei Borboni il generale Gabriele Pepe, fu il punto di riferimento dell’esercito da cui partì la rivoluzione, e Pietro Colletta, che ci ha lasciato la Storia del Reame di Napolicon la cronaca degli eventi rivoluzionari, e poi le figure di Giuseppe Poerio e Michele Carrascosa che, tra gli altri, furono esiliati. Così come era accaduto nel 1799, quando la Repubblica era stata travolta dalle forze sanfediste del cardinale Fabrizio Ruffo, gli esuli napoletani crearono una rete di relazioni, chiamata da Croce la “famiglia italiana”, che sarà fondamentale ai fini del processo di unificazione nazionale. Nel 1821 nel Patrio Stivale con quei moti matura la coscienza politica italiana che lotta per ottenere libertà costituzionali.  Il  2 luglio il tenente Michele Morelli e il sottotenente Giuseppe Silvati a Nola disertarono con 127 sottufficiali e soldati,  guidati dal prete carbonaro Luigi Minichini si diressero verso Avellino. Il vero capo del movimento rivoluzionario-costituzionale era il generale Pepe che, partito da Napoli, si ricongiunse ai suoi uomini controllando quell’esercito che garantiva sia la forza della rivoluzione sia la pace dell’ordine pubblico. Perché, va sottolineato, la rivoluzione del 1820-21 non comportò un grande spargimento di sangue. Il re Ferdinando I si ritirò lasciando al figlio Francesco il compito, in qualità di vicario, di reggere il governo. Da quel momento in poi ogni tappa fu bruciata: il 6 luglio fu concessa la Costituzione, sottoscritta da Ferdinando I. Il 9 luglio ci fu l’intesa tra Pepe e Francesco per una grande sfilata per le vie di Napoli e il generale ebbe il comando dell’esercito fino alla prima assemblea del Parlamento, la bandiera del Regno restò, ma vi fu aggiunto il tricolore come insegna della Carboneria. Nacque un nuovo governo composto da politici e intellettuali già fedeli al precedente re Gioacchino Murat che fu il primo a concepire un’Italia unita, composto da Francesco Ricciardi, Giuseppe Zurlo, Luigi Macedonio, Michele Carrascosa, tra gli altri. Il 13 luglio ci fu il giuramento e giurò solennemente anche re Ferdinando I. Il 22 luglio furono indette per il 20 e 27 agosto e per il 3 settembre le elezioni per il Parlamento. I problemi giungevano da Vienna, che già minacciava di marciare su Napoli, e dalla Sicilia che aveva una sua via indipendente alla rivoluzione e alla Costituzione. Tuttavia, in poco tempo un grande risultato era stato raggiunto e forse, troppo poco tempo.  Una  monarchia costituzionale non può reggersi se il sovrano rifiuta la Costituzione. Così Ferdinando I, dopo aver giurato sulla Costituzione, comunicò il 7 dicembre al Parlamento di essere stato convocato a Lubiana dai sovrani della Santa Alleanza e appena fuori dal porto dichiarò nullo tutto quanto avvenuto fino a quel momento. Il sovrano era legato con l’Austria da un patto segreto con cui si impegnava a difendere il regime assolutista e a respingere ogni ordine costituzionale e il  23 marzo le truppe austriache entravano a Napoli e la rivoluzione era tramontata. In Piemonte l’origine della rivolta era anche qui dell’esercito, quando il 10 marzo si sollevò la guarnigione di Alessandria e rapidamente la rivolta si estese a Vercelli e Torino. Anche qui vi fu un rapporto ambiguo con la monarchia che si materializzò nella figura di Carlo Alberto, il quale era erede presuntivo al trono per l’assenza di discendenti diretti di Vittorio Emanuele I e del fratello Carlo Felice. Del movimento costituzionale facevano parte giovani rappresentanti della nobiltà come Cesare Balbo e Giovanni Provana di Collegno, membri della società dei Federati ed esponenti del patriziato milanese. In gioco vi era l’ostilità verso l’Austria e la possibilità di conquiste territoriali. Così Carlo Alberto prima promise l’appoggio alla cospirazione e poi fece marcia indietro, ma  troppo tardi. La prima conseguenza della rivolta fu l’abdicazione di Vittorio Emanuele I in favore di Carlo Felice che, trovandosi a Modena, nominò Carlo Alberto reggente. Gli insorti chiesero la Costituzione e Carlo Alberto la concesse, fatta salva l’approvazione del re. Che, infatti, non ci fu: Carlo Felice sconfessò Carlo Alberto e gli intimò di ritirarsi a Novara. Ma ancora una volta il reggente si dimostrò ambiguo: prima si schierò con i rivoluzionari e nominò Santorre di Santarosa ministro della Guerra, e poi la notte del 21 marzo li abbandonò, ritirandosi nella fortezza di Novara. Di conseguenza, mentre gli austriaci entravano a Napoli, un altro corpo di spedizione asburgico venne inviato per dar manforte al maresciallo de La Tour in Piemonte. Le forze ribelli guidate da Santarosa nulla potettero. La rivoluzione era finita. Avanzava la reazione. Una dura reazione, quella che non c’era stata subito dopo il Congresso di Vienna. Carlo Felice epurò l’esercito, chiuse l’università, fece eseguire condanne a morte, a Modena furono giustiziati nove carbonari, tra i quali il prete Giuseppe Andreoli. Sì, perché la caratteristica dei moti del 1820-21 è il coinvolgimento del clero rivoluzionario, sacerdoti, soprattutto nelle province, aderirono alla Carboneria, nella quale videro il mezzo per il miglioramento della loro vita sociale e la conferma della fede cattolica riformata per via costituzionale. Non a caso tra i deputati del Parlamento del Regno delle Due Sicilie furono eletti nove sacerdoti, tra cui l’arcidiacono Giuseppe Desiderio, il prete Mariano Semmola e il cardinale Giuseppe Firrao.

Favria,  18.03.2021   Giorgio Cortese

Anche oggi se avrò aiutato una sola persona a sperare non avrò sprecato la giornata invano.

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno  di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro giovedì 18 marzo . Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Il lotto

La parola lòoto,” deriva dal visigotico  hlauts, sorte, porzione assegnata, passato poi nel  francese lot, vocabolo inteso come eredità nel XVI secolo, e che poi significherà, porzione, o anche sorte. Il lemma, giunto nella penisola iberica, è documentato come lote in spagnolo e loto in portoghese. Il verbo francese lotir, inoltre, significa, dividere la sorte o assegnare la sorte. Analogo lemma si ritrova nell’antico inglese hlot, cosa toccata in sorte, cui corrispondono nel tedesco moderno la parola los e lot in danese. Come si vede la  parola, che in francese significa anzitutto: parte che tocca a ciascuno in una divisione o in un sorteggio,  e ha inoltre i vari significati, pensate che compare in Italia a Firenze dove  anticamente era una imposta straordinaria, attuata, per mezzo di gioco forzato, pare per la prima volta a Firenze nel 1530. Infatti veniva assegnato ad ogni cittadino una certa quantità di polizze, numerate e di ugual prezzo, commisurata alla sua ricchezza, si procedeva all’estrazione tra le polizze stesse di alcuni premî in oggetti e anche in case e poderi per mettere in  circolazione beni confiscati  precedentemente per ragioni politiche. Il lotto come gioco nasce a Genova  e non Napoli come tutti erroneamente credono, e l’attuale formula del gioco sembra derivare da una pratica in uso già dall’inizio del XVI secolo, che consisteva nello scommettere sui candidati alle cariche pubbliche : si eleggevano 5 senatori fra 120 cittadini del Consiglio tramite l’estrazione a sorte di bussolotti, corrispondenti ciascuno a un senatore. Questo tipo di lotto, inventato dal genovese Benedetto Gentile, venne chiamato Gioco del Seminario. Ogni 6 mesi, 5 dei 120 membri dei “Serenissimi Collegi” venivano rinnovati mediante una specie di lotteria: i nomi dei candidati erano indicati su biglietti progressivamente numerati ed inseriti in un urna di sorteggio chiamata, appunto, “seminario”. Da qui l’idea di “azzardare” quali sarebbero stati i designati e quindi quali numeri sarebbero usciti. Dopo un primo tentativo di contrastare tale pratica, nel 1643, l’animo “mercantile” genovese prevalse e si pensò di trarne profitto demandandone la regolamentazione allo stato, naturalmente, con l’aggiunta di una tassa di accompagnamento. Il successo enorme di questa prassi, spinse le autorità, sempre a caccia di “palanche”, ad aumentare le estrazioni, staccandole dal rinnovo semestrale dei Collegi, ed ad estendere i numeri fino a 90, associando ad essi i nomi di fanciulle bisognose che, se vincitrici, ricevevano una cospicua somma da usare quale dote. Questa lotteria chiamata “Lotto della Zitella” si diffuse presto, con le stesse modalità, a Napoli mentre a Venezia, dove una parte dei proventi venivano usati per la pubblica illuminazione, verso la metà del ‘600, il Consiglio dei Pregadi istituì il “Lotto del Ponte di Rialto” che prevedeva, quale premio, l’’assegnazione di immobili di valore fino a centomila ducati. Nello Stato Pontificio il gioco, ovviamente, fu osteggiato a tal punto che il Papa Benedetto XIV, nel 1728, arrivò a minacciare la scomunica ma, solo 3 anni più tardi, con Clemente XII, tornò ad essere un sostegno insperato per umili donzelle, fino al 1785, anno in cui Pio VI destinò le vincite alle Opere Pie. Il 23 settembre 1863 la gestione del “Lotto Genovese” così era conosciuto, passò al giovane Regno d’Italia e diventò, da allora, una voce di bilancio consistente del bilancio.

Favria,  19.03.2021   Giorgio Cortese

Ogni giorno le  cose più preziose che possiedo non le stringo tra le mani, ma le porto dentro al cuore e sono i valori datemi dai miei genitori: il rispetto, l’amore, la dignità, l’educazione e la sincerità.

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno  di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro domenica 21 marzo. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Il passo dell’oca.

Il passo dell’oca è uno stile di marcia difficile che richiede molta pratica e il coordinamento. E ‘quindi riservato per le occasioni cerimoniali militari perché è difficile da mantenere per lunghi periodi di tempo, le truppe cominciano solo passo dell’oca quando si avvicinano alla tribuna e tornare a una fase di marcia normale una volta che hanno marciato passato. Grandi parate militari richiedono diversi giorni di pratica per garantire che le truppe in grado di eseguire il passo dell’oca senza ferire se stessi. Il “Stechschritt” ha origine nel 18 ° secolo,  come un metodo per tenere le truppe allineate correttamente mentre avanzavano verso le linee nemiche. E ‘stato introdotto in tradizione militare tedesco da Leopoldo I, principe di Anhalt Dessau ufficiale prussiano. Lo  zar Paolo I, 2896 – 1801 dell’impero russo ha adottato il passo dell’oca. Entro la metà del 19 ° secolo, la sostituzione dei moschetti con i fucili ha notevolmente aumentato la precisione del fuoco difensivo. Era troppo pericoloso per marciare in avanti nella battaglia in formazione precisa e la pratica di attaccare con il passo dell’oca diviene obsoleta, ma è stato mantenuto come emblema di disciplina ed efficienza. Il passo dell’oca si diffuse in eserciti di tutto il mondo nei secoli 19 e 20. modernizzazione militare e l’influenza politica effettuate la pratica di Asia, Africa e America Latina dalle sue origini in Prussia e Russia. La prima ondata di adozione ha avuto luogo nel tardo 19 ° secolo, come l’esercito prussiano è diventato molto ammirato per la sua vittoria decisiva nella guerra franco- prussiana.  Questo ha portato molti paesi a modernizzare le loro forze militari lungo il modello prussiano. L’esercito cileno è stato il primo paese non europeo ad adottare il passo dell’oca, importando molte tradizioni militari prussiane dopo la guerra del Pacifico, poi il passo dell’oca si  diffuse in tutta l’America Latina grazie all’influenza del Cile e Prussia. Nonostante la sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale, il passo dell’oca ha continuato a guadagnare terreno come modello tedesco simbolo di organizzazione e l’addestramento militare. In particolare, l’esercito della Cina nazionalista è stato addestrato da consiglieri tedeschi nel 1920, che rappresentano la più grande singola militari passo dell’oca oggi.  Durante la guerra fredda,  l’Unione Sovietica ha addestrato le forze militari di molti dei suoi stati clienti con modello militare sovietico e le pratiche cerimoniali. Ciò ha portato alla seconda grande ondata di adozione, come il passo dell’oca è stato introdotto in molti paesi del Terzo Mondo in Asia e in Africa. Una Germania divisa è stato anche diviso nel passo dell’oca. La Germania Est la Nationale Valkarmee ha  mantenuto il passo dell’oca, mentre l’Occidente tedesco  la Bundeswehr ha adottato una fase di marcia in stile occidentale, ma con le mani oscillante. La prassi tedesca secolare del passo dell’oca si è conclusa definitivamente nel 1990, quando l’esercito tedesco orientale anche concluso la pratica del tutto.

Favria,  20.03.2021   Giorgio Cortese

Se ogni giorno non provo ad arrampicarmi non posso cadere.  Ma vivere tutta la vita sul terreno non mi darà gioia.

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno  di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro domenica 21 marzo . Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

L’esercito Sassanide!

La  dinastia Sassanide, che fece rivivere le glorie degli antichi sovrani Achemenidi, segnò una nuova e splendida epoca nella storia della Persia. L’Iran originario recuperò con essa il suo orgoglio e la sua indipendenza, rivendicando contro Roma la sua eredità occidentale in Siria, Armenia, Caucaso e Palestina, e creando un impero che dal Caucaso e dalle rive del Golfo Persico arrivava in Oriente, fino ai territori del Celeste Impero dei Tang. Nei loro 400 anni di dominio i sovrani persiani, gli Šāhanšāh, Re dei re, discendenti di Sasan, dovettero confrontarsi primariamente con l’Impero romano, ma anche con altri innumerevoli avversari, tra cui Turchi, Unni, Armeni, e Arabi. Per questo la Persia creò una macchina militare, formata da una casta di guerrieri, Arteshtaran, che nulla aveva da invidiare a quella dei suoi rivali, Roma compresa. L’élite dell’esercito da loro chiamato Spah, era formata dalla sua cavalleria corazzata, i Savaran, unità dotata di efficaci protezioni dalla testa ai piedi (cavallo compreso), che andavano in battaglia sotto la loro bandiera, Drafsh. Facevano parte dei Savarani membri delle sette grandi famiglie che dominavano la Persia, prima fra tutte la casa di Sasan, gli Azadan, i membri della nobiltà di alto rango, che formavano il fulcro della cavalleria pesante, e i Dehkans, membri della nobiltà di basso rango. I più famosi fra i Savaran erano certamente gli Zhayedan, gli immortali, che come al tempo della Persia achemenide erano 10.000 e venivano immediatamente sostituiti se morivano in battaglia. Mentre l’élite delle élite era formata dalla guardia reale a cavallo di 1.000 uomini, i Pushtighban, stanziati nella capitale di Ctesifonte.. Tutte le altre unità dell’esercito formavano truppe ausiliarie e di supporto ai Savaran, ma questo non significa che non fossero efficienti. I Paighan, reclutati fra la popolazione, formavano la massa della fanteria, adibita a servire i Savaran, ad allestire gli accampamenti, alle operazioni di assedio. L’élite della fanteria pesante era composta dai Medi, che fornivano frombolieri (armati di fionde) e lanciatori di giavellotto di alta qualità, e normalmente ne costituivano il nucleo. Ma tra la fanteria eccellevano specialmente i Daylamiti, temuti dai Romani per la loro ferocia nel  combattimento corpo a corpo. A completare la macchina bellica dei Re dei re persiani c’erano infine unità di vario tipo: gli arcieri a piedi, Kamandaran, gli ausiliari Armeni, la cavalleria leggera formata non solo da Iraniani e Alani, ma anche da Unni Eftaliti, Turchi, Arabi Lakmidi, Kushan, le truppe cammellate e gli elefanti da guerra.

Favria, 21.03.2020  Giorgio Cortese

Non conta nella vita fare grandi o piccole cose vistose o insignificanti, quello che conta veramente l’amore per cui si fanno

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno  di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro domenica 21 marzo . Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Il numero Uno!

Chi sono nella vita i numeri Uno?  Prima di parlare dei numeri Uno è un aggettivo numerale, cardinale e molto altro e deriva dal latino unus. Ma oggi l’aggettivo Uno è molto di più,  in filosofia, scusate la mia grande ignoranza, è un tema che è stato trattato in maniera esplicita da tanti pensatori come Parmeide, Platone, Plotino ed in fine Hegel. A grandi linee si può definire l’Uno come il principio indicante l’unità del Tutto.  Eraclito affermava che tutte le cose sono Uno e l’Uno tutte le cose…. Pitagora lo identifica con l’archè, il principio fondante e unificatore della realtà, ma gli attribuisce anche la comune origine di tutti gli altri numeri, e quindi della molteplicità. L’Uno, essendo dispari, è inoltre un numero che possiede la qualità del limite, equivalente della perfezione.  Il cristianesimo interpreta l’uno come monoteistico, in particolare Sant’Agostino che concepisce Dio come la meta naturale a cui la ragione aspira dove  il pensiero e l’essere, si riconcilia in unità. I teologi medievali  vedranno così nell’Uno la prima Persona della Trinità,  l’Essere ineffabile Dio Padre  che può rivelarsi solo tramite il proprio Figlio Unigenito per arrivare poi ad Hegel dove avviene un capovolgimento della concezione neoplatonica dell’Uno: questo viene concepito non come punto di origine, ma come un punto di arrivo. Oggi dopo il Novecento funestato dai totalitarismi nazifascisti e comunisti siamo divenuta alquanto allergici a questo concetto e ce ne teniamo distanti preferendo piuttosto definirci come pensiero debole. Nonostante la parabola in filosofia del numero Uno in matematica è l’elemento neutro nelle moltiplicazioni e divisioni, è un numero non palindromo, il numero atomico dell’idrogeno H, ; Uno è una cometa periodica del sistema solare quella di Halley detta 1P/Halley, Cosmos 1 è il di un satellite artificiale russo. Nella smorfia  il numero 1 è l’Italia e molte altre cose. Ma adesso chi è il numero Uno? Parrebbe che i numero Uno sono le persone di successo, ricche, famose, ammirate e magari pure piena di follower sempre pronti a farsi dei selfie per raccogliere migliaia di like. I numeri Uno li incontriamo ogni giorno nella nostra vita, sono persone che hanno sempre voglia di imparare, ascoltare e mettersi in gioco. Non nascono imparati ma sono consapevoli che ogni giorno la vita è un continuo percorso di crescita e cambiamento. Nel loro cammino hanno un obiettivo, non importa quanto grande, per loro conta essere sempre umani e portare rispetto per gli altri. Sono numeri Uno perché sanno rendere merito  a chi ha fatto la differenza per loro, consapevoli che se sono arrivati li è perché qualcuno ci ha messi al mondo, qualcuno li ha aiutati e in tanti gli hanno insegnato infinite cose.

Favria,  22.03.2021 Giorgio Cortese

La vita è un’enorme tela ed allora ogni giorno rovesciamo  su di essa tutti i colori che possiamo.

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio