Glauco dal mito al colore del mare. – Trimé – L’asino e la lince – Diana e Atteone – L’elefante legato alla corda – Caepa, caepae, la principessa cipolla! – Cumino. – Da scala a scalip!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Glauco dal mito al colore del mare.Da dove ha origine l’aggettivo, e di conseguenza il

nome  glauco? Questo termine indica un colore a metà tra il verde e l’azzurro, utilizzato per lo più per descrivere il colore del mare, tant’è che nella lingua latina glaucus indica sia un colore sia un particolare tipo di specie acquatica. Ma Glauco è utilizzato anche come nome proprio, anzi con il mito che vi racconto per i romani antichi non era l’aggettivo ad aver creato il nome ma il nome proprio ad aver dato origine all’aggettivo che ben conosciamo. Secondo la leggenda, Glauco nacque mortale e faceva il pescatore. Ebbene, il poeta latino Ovidio, nelle sue celebri “Metamorfosi” (libro XIII), racconta che un tempo viveva in Beozia, una regione delle Grecia, un giovinetto di nome Glauco, figlio niente poco di meno che di Poseidone, il dio del mare. Il ragazzo trascorreva le sue giornate dedicandosi all’arte della pesca e un giorno trovò una zolla di terra dove l’erba cresceva più verde e qui si mise a pescare, finché non accadde uno straordinario prodigio: i pesci, ormai morti, che poggiava sull’erba tornavano in vita e si rigettavano in acqua. Così decise di assaggiare quell’erba che donava la vita ma ecco che… il suo corpo cominciò a trasformarsi: al posto delle gambe vede comparire una coda di pesce, mentre le braccia, il corpo, i capelli diventano verde-azzurro. Così Glauco abbandona la terra e si getta in mare felice, dove può ora vivere in eterno come una divinità marina. Il mito, tuttavia, continua e ci narra che col tempo il nostro Glauco si spostò nelle acque dello stretto tra la penisola italica e la Sicilia; qui era solita farsi il bagno una bellissima ninfa, secondo altre fonti una fanciulla mortale, ossia Scilla. Come la vide, il dio marino se ne innamorò ma la ragazza lo rifiutò per il suo aspetto. Glauco decise allora di rivolgersi ad una esperta maga, anzi, la più esperta, la maga per antonomasia: Circe. A lei chiese, supplice, di far innamorare la fanciulla di lui, ma Circe pare che volesse per sé le attenzioni del dio, che invece le fece capire bene che per lui esisteva solo Scilla. Ora, se ricordate bene, Circe non aveva di certo un bel carattere e non era affatto una benefattrice, ed essendo stata scartata per un’altra, trovò il modo di vendicarsi. Preparò sì un filtro che gettò nelle acque dove era solita bagnarsi la ninfa, ma non era certo un filtro d’amore. Difatti, quando Scilla entrò in acqua, ecco che il suo bellissimo corpo cominciò a tramutarsi in quello di un mostro: le sue gambe divennero serpentine e presto il suo magnifico volto si tramutò in quello di un mostro con denti aguzzi, anzi le teste divennero sei! Per l’orrore Scilla si gettò in acqua e nei meandri marini si nascose in una grotta, dimenticando col tempo chi fu e divenendo sempre più, non solo nell’aspetto,  quel mostro pericoloso in cui Circe l’aveva trasformata: così la incontrarono Ulisse e i suoi compagni quando tentarono di oltrepassare lo stretto di Messina. Nella mitologia greca, Glauco era figlio di Poseidone, dio del mare, e di una ninfa delle Naiadi.  In altri racconti, Glauco era un cacciatore, figlio di Minosse di Creta; oppure figlio di Sisifo e padre di Bellerofonte. Inoltre, nel ciclo di leggende che faceva da substrato alla cultura greca, esistevano diversi Glauco: uno di Creta, uno di Corinto, uno di Antedone, un dramma satiresco di Eschilo è intitolato “Glauco di Potnie”, ma molto probabilmente tutte queste figure derivavano da un unico personaggio, a cui poi erano collegate diverse vicende. Troviamo Glauco citato  come già detto elle Metamorfosi di Ovidio, Igino, Ateneo, in Omero, e anche nei tragici, Eschilo, Sofocle ed Euripide. Secondo alcuni commentatori, Glauco oltre all’immortalità, dopo aver mangiato l’erba, ottenne anche il dono della profezia. Nelle raffigurazioni, Glauco è spesso raffigurato con le braccia azzurre, la coda di pesce ed una barba verde. È famosa, poi, anche la leggenda che vede Glauco collegato a Scilla, come ci racconta Ovidio nelle Metamorfosi. Dopo essere divenuto una divinità marina, per metà pesce e per metà umana, Scilla, spaventata da quell’aspetto ibrido, fuggì. Glauco, innamoratosi della ninfa di origini italiane, chiese alla maga Circe dell’isola di Eea di fabbricargli una pozione in grado di far innamorare Scilla. La maga, però, gelosa dell’amore di Glauco per Scilla, preparò una pozione diversa da quella richiesta, per vendicarsi. La gettò nelle acque in cui Scilla era solita fare il bagno e, quando la ninfa si immerse, nacquero dal suo corpo orribili mastini latranti dal muso di Cerbero. A questo vista, Glauco si disperò, e Scilla naturalmente iniziò a covare un profondo odio per Circe, che viene indirettamente descritto nell’Odissea.
Favria, 12.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. La maggior parte delle cose importanti nel mondo sono state compiute da persone che hanno continuato a provare quando sembrava che non ci fosse alcuna speranza. Felice lunedì

Trimé

Il lemma trimè in piemontese vuole dire scappare e deriva dal francese trimer che anticamente voleva dire: andare e venire, oggi nel francese attuale vuole dire camminare molto e con fatica. La parola deriva del lemma germanico trumel, gamba con il probabile significato di giocare di gambe

Favria,  13.07.2021  Giorgio Cortese

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria,  VENERDI’ 6 AGOSTO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione  per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Buona giornata. Certi giorni tutto sembra in bianco e nero, ma se giro le pagine della vita tutto tornerà a colorarsi. Felice martedì

L’asino e la lince

Una lince vide un asino che beveva vicino alla roggia in una calda giornata d’estate e gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto. Standosene là a monte della roggia, cominciò quindi ad accusarlo di sporcare l’acqua, così che egli non poteva bere. L’asino gli fece notare che, per bere, sfiorava appena l’acqua e che, d’altra parte, stando a valle non gli era possibile intorbidire la corrente a monte. Venutogli meno quel pretesto, la lince allora gli disse che era lui quello che la precedente primavera aveva insultato suo cugino ragliando forte dalla stalla. L’asino che non era un ciuccio capì che la lince cercava un pretesto per sbranarlo usando la forza ed inventando pretesti per dargli sempre la colpa. Preoccupato, si allontanò dalla roggia facendo finta di zoppicare nel campo. La lince incuriosita e sicura della sua forza, gli si avvicinò e gli chiese perché zoppicava. L’asino facendo finta di essere impaurito dalle false accuse rivoltegli alla lince, disse che quel mattino mentre saltava un fosso per andare a brucare l’erba in un campo aveva messo inavvertitamente una zampa su di una spina, che si era conficcata. Allora l’asino propose alla stolta lince di toglierli la spina così non avrebbe rischiato di ingoiarla quando lo avrebbe divorato. La lince pregustando il lauto banchetto si avvicino e chiese all’asino di sollevare la zampa per poter togliere la spina. Mentre era tutto occupato a cercarla, l’asino gli sferrò un fortissimo calcio che gli fece saltare i denti. Morale, chi cerca sempre di dare la colpa agli altri per un’impresa non idonea alle proprie attitudini, prima o poi finisce col trovarsi nei guai.

Favria,  14.07.2021    Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita errare è umano ma dare la colpa agli altri è sempre  un atto di grande malvagità! Felice giovedì.

Diana e Atteone

Oggi Vi racconto del mito di Diana e Atteone, narrata da Ovidio nelle Metamorfosi. Il  cacciatore Atteone vagando per i boschi si imbatte in un gruppo di Ninfe intente a bagnarsi con la loro Signora, la dea Diana. Essa sorpresa per essere stata colta in un momento di intimità con le sue caste ninfe, con un gesto di furia imbarazzata spruzza l’uomo con l’acqua, tramutandolo in un cervo. Egli fugge impaurito e incapace di rivelare la sua identità finisce sbranato dai cani della sua stessa muta. Di questo mito ne parlava Euripide, e molte volte in Grecia è stato raffigurato su vasi e murali un mito che ha  affascinato decine di pittori, da Cranach a Crivelli a Tiziano, e pensatori e poeti, come  Ovidio, Giordano Bruno e Jung. Tutti sembrano aver colto nella storia un profondo significato allegorico, un avvenimento della coscienza o della psiche individuale  in diverse culture. Atteone rappresenta l’intelletto a caccia della saggezza divina e proprio quando l’intelletto solleva il velo che lo divide dalla vera realtà, la saggezza- Sophia, scorgendone il mistero lunare, ecco che resta intrappolato dall’oggetto del suo desiderio, diventandone vittima. Le conseguenze per i mortali accidentalmente coinvolti negli affari degli dei e le immancabili tragedie che capitano loro, designano  le divinità greche come supremamente indifferenti al destino dell’uomo mortale . Non c’è perdono, rimpianti , riscatto o una seconda possibilità a disposizione di coloro che incontrano loro e la loro implacabile volontà. 

Favria, 15.07.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita di ogni giorno il bene diventa bene quando non è sprecato. Felice giovedì.

L’elefante legato alla corda

Un mio caro e saggio amico mi ha raccontato questa storia che merita di essere pubblicata. Un uomo stava camminando attraverso un accampamento dove venivano addestrati degli elefanti e notò che questi non erano tenuti in gabbia o legati con delle catene. Tutto quello che li tratteneva dallo scappare dall’accampamento era una piccola fune legata ad una delle loro gambe. Dando un’occhiata più attenta alla stazza dei pachidermi, l’uomo era profondamente confuso. Non riusciva a spiegarsi perché gli elefanti non usassero la loro forza per rompere la fune e scappare dall’accampamento. Lo avrebbero potuto fare con una facilità disarmante, eppure se ne stavano là tranquilli. Curioso di conoscere la risposta al suo quesito, chiese ad un addestratore nei paraggi perché gli elefanti stessero semplicemente là in piedi e non tentassero di scappare. L’addestratore gli rispose: “Quando sono molto giovani e molto più piccoli usiamo funi delle stesse dimensioni per legarli. A quell’età ciò è abbastanza per trattenerli. Mentre crescono, sono condizionati a pensare di non essere ancora in grado di rompere la fune, così non tentano mai di liberarsi.” La sola ragione per cui gli elefanti non tentavano di liberarsi e di scappare dall’accampamento era che con il tempo erano venuti a credere che semplicemente ciò non era possibile. La morale di questa storia è la seguente. Non importa quanto il mondo tenta di combatterti, continua sempre con il pensiero che quello che vuoi ottenere sia possibile. Credere di poter aver successo in qualcosa è in realtà il passo più importante per raggiungerla davvero.

Favria , 16.07.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Se ogni notte cadono le stelle, e ogni notte è un’occasione per esprimere un desiderio, ogni giorno è un’occasione per realizzarlo. Felice venerdì

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria, VENERDI’ 6 AGOSTO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione,  per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Caepa, caepae, la principessa cipolla!

Ci sono degli alimenti che sono speciali, quasi delle medicine naturali come affermava già Ippocrate il padre della medicina moderna già nel  400 a.C.: “Fa’ che il Cibo sia la tua prima Medicina“. Tra i cibi ricchi di nutrienti preziosi, ce n’è uno particolarmente bistrattato: la cipolla  relegato al ruolo di cenerentola. La cipolla, poco costosa, sottovalutata, dall’odore un po’ invadente e, a volte, pesante da digerire è una principessa per le sue qualità, il suo valore è grande: aiuta la regolazione di pressione e liquidi corporei,  è disinfettante, idratante, riequilibrante di stomaco e pancia. Pablo Neruda nella sua Ode alla cipolla: “Generosa/ sciogli/il tuo globo di freschezza/ nella consumazione…”. Ma anche il  Nobel del 1996, la polacca  Wislawa Szymbprska ha dedicato delle bellissime parole alla cipolla con la poesia “La cipolla è un’altra cosa.”: “Interiora non ne ha…fino al cuore, potrebbe guardarsi dentro senza provare timore… la cipolla ha una sua bella storia.  Probabilmente i bulbi della cipolla  furono usati come cibo fin dalla più remota antichità come testimoniato da alcuni semi ritrovati, insieme a quelli di fico e noccioli di dattero, in insediamenti dell’età del bronzo risalenti al V millennio a.C.. A quell’epoca però non sembra che fossero ancora coltivati. Le testimonianze archeologiche e letterarie suggeriscono invece che la coltivazione potrebbe aver avuto inizio circa duemila anni dopo, in Egitto, dove fu anche oggetto di culto per la sua forma sferica e i suoi anelli concentrici che richiamavano alla vita eterna. Resti di cipolle furono ritrovati all’interno della tomba del faraone Ramesse IV,  ventesima dinastia, II millennio a.C,  e addirittura all’interno delle sue orbite oculari, ma curiosamente la pianta non era consacrata a Iside, dea della maternità, della fertilità e della magia, perché secondo un mito, peraltro giudicato inattendibile da Plutarco, la dea l’avrebbe ripudiata dopo che il suo pupillo Dyktis morì affogato a causa di un cespo di cipolle che aveva imprudentemente tentato di raccogliere precipitando così nel fiume.  Nell’antica Grecia, invece, la cipolla era consacrata alla dea Latona, figlia dei Titani Febe e Ceo e madre di Apollo e di Artemide, perché quando era rimasta incinta solamente le cipolle riuscivano a stimolarle l’appetito.. Culti a parte, essa era anche la base della dieta degli operai che costruirono le piramidi. Anche in Grecia e a Roma i contadini, gli operai e di tutti quanti svolgessero lavori pesanti, compresi gli atleti, i soldati e i gladiatori , che se ne strofinavano il corpo anche per rassodare i muscoli,  mangiavano cipolle in grandi quantità, poiché si credeva che alleggerissero il sangue e aiutassero a vincere la fatica. Nelle commedie di Aristofane gli  Acarnesi, c’è più di un accenno alla cipolla come simbolo del rancio dei soldati, della durissima vita che conducevano e dell’esaltazione, nel contempo, delle semplici gioie che si possono godere in tempo di pace, quando si è finalmente liberi dall’elmo e dalla razione quotidiana di formaggio e cipolle. Pensate che i  Pitagorici del VI sec. a.C. le rifiutavano perché crescevano quando la luna era calante, simbologia infera,  e perché, secondo loro, eccitavano la sensualità. Questa credenza è satiricamente ricordata anche dal poeta Marziale del I sec. d.C. Nell’ Antica Grecia secondo le usanze matrimoniali dei Traci, un cesto di cipolle faceva parte dei doni più simbolici portati alla coppia. La cipolla come l’aglio era ritenuta efficace contro i malefici, , ma bisognava raccoglierla proprio in fase di luna calante, quando essa stessa era sottratta all’influenza malefica di Ecate, divinità  degli inferi con il suo corteo di demoni. La  semplicità di reperimento e di preparazione la rendono la cipolla un ottimo vegetale da portare regolarmente in tavola. Penso che sia difficile non amare la cipolla: a differenza dell’aglio, i detrattori si contano sulle dita di una mano ed è quasi impossibile eliminarla, colonna onnipresente di una marea di ricette, e dico meno male. Personalmente non conosco la ricetta della felicità ma secondo me c’è tanta cipolla dentro. La cipolla attraversa l’intera storia dell’uomo moderno, protagonista nelle credenze, senza limiti di classe sociale, cultura, geografia, se è vero che dalle dinastie cinesi agli antichi Egiziani e Greci  non esiste dinastia dove non abbia fatto la sua comparsa.

Favria,  17.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Credo che ogni essere umano abbia un numero finito di battiti cardiaci. Non ho intenzione di sprecarne nessuno dei miei. Felice sabato

Cumino.

La parola cumino deriva dall’arabo kamun.  La spezia è originaria della Siria, dove il cumino cresce in terreni caldi e aridi. I semi di cumino sono stati rinvenuti in alcuni antichi siti archeologici siriani. La conoscenza del cumino, probabilmente, attraversò Turchia e Grecia, ancora prima dell’avvento degli arabi nel bacino meditteraneo.  Come tante altre parole di derivazione araba, però, la parola “cumino” fu acquisita nell’Europa Occidentale attraverso la via spagnola, piuttosto che quella greca. Qualcuno suggerisce che la parola derivi dal latino cuminum, a sua volta dal greco che aveva mutuato la parola da antichi linguaggi semitici, dall’Accadico kamunu, anche se si pensa che la fonte inziale della parola sia il lemma sumerico gamun. Alcuni storico fanno derivare la parola cumino dalla città persiana di Kerman dove dove, secondo la leggenda, veniva prodotta la maggior parte del cumino nell’antica Persia. Per i persiani, l’espressione portare cumino a Kerman, ha lo stesso significato che per i Greci aveva di portare vasi a Samo, insomma fare una cosa inutile, visto che Samo era un importantissimo centro di produzione ceramica. Kerman, chiamata nel luogo anche Kermun, si sarebbe trasformata in Kumun e quindi Cumin nei linguaggi europei.  Il cumino per gli antchi greci simboleggiava la piccolezza. Si diceva infatti agli avari che avevano diviso un grano di cumino, al riguardo, Teocrito poeta greco nato a Siracusa, consigliava ad una persona molto avara consigliava di farsi cucinare delle lenticchie per non correre il rischio di tagliarsi dividendo un grano di cumino. Oltre a questo significato il cumino nell’antichità simboleggiava anche l’amicizia, come scrive Plutarco che lo affianca al sale che ha sempre avuto la funzione di accogliere gli ospiti e di trattenerli.  Durante il Medioevo, la superstizione voleva che il cumino frenasse i polli, e gli amanti, dallo scappar via. Si credeva anche che gli sposi che avessero portato dei semi di cumino con sé durante la cerimonia nuziale, avrebbero avuto una vita felice. Qui in Canavese, si dice che le nonne donassero alle proprie nipoti delle pagnotte cosparse di cumino, in modo tale che non fossero abbandonate dai rispettivi fidanzati che le mangiavano. Allo stesso modo quando un fidanzato doveva allontanarsi per causa maggiore, per esempio doveva fare il servizio militare, al fodanzato si dava del pane farcito di cumino e del vino sempre con del cumino. Secondo altra credenza il cumino è anche considerato d’aiuto nella cura del raffreddore, se aggiunto al latte caldo.  Nell’Asia del sud, il tè di cumino, semi essiccati e bolliti nell’acqua, è usato per distinguere il gonfiore di stomaco dovuto ai gas, da una vera gravidanza.  Nello Sri Lanka, tostare i semi e quindi bollirli nell’acqua produce un tè che è usato per calmare gravi problemi di stomaco. Il cumino ha un caratteristico sapore amaro e un odore forte e dolciastro grazie all’alto contenuto in oli. Si associa prevalentemente alla cucina indiana e può essere presente nel curry e con altre cucine esotiche, nordafricana, messicana, sebbene l’uso sia molto esteso in Spagna, specialmente nella cucina del sud-est della penisola iberica e nei territori germanofoni. Si può trovare il cumino in alcuni formaggi olandesi come il formaggio Leyden ed in alcuni nostrani, qui in Piemonte la pianta cresce spontanea, e in alcuni tipi di pane casereccio francese. Nei paesi di lingua tedesca il cumino si dice kummel, dando orige ad un distillato omonimo. Questo distillato avrebbe avuto origine nei Paesi Bassi, durante il tardo sedicesimo secolo, da Erven Lucas Bols. Da allora è stato ripreso in Germania e poi in Russia, il principale produttore e consumatore di kümmel. Il Gilka Kümmel o Kaiser-Kümmel, prodotto a Berlino, è ottenuto da un processo di distillazione più lungo ed ha un gusto più morbido rispetto ai kümmel russi.Originariamente, le parole kümmel, kummel e kimmel sono rispettivamente i termini in qualche modo generici nelle lingue tedesca, olandese e Yiddish, e indicano sia il cumino dei prati che il cumino. Per esempio, il cumino dei prati tedesco è denominato Echter Kummel mentre il cumino è denominato Kreuzkummel, ma il termine Kummel è usato anche per il distillato aromatizzato con queste spezie sopracitato.

Favria,  18.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. A volte capita che per cercare qualcosa di meglio si perdono le cose migliori. Felice domenica

Da scala  a scalip!

In piemontese la scala a chiocciola si dice anche scala gargota quando è a chiocciola o anche scala a lumassa, curiosa è la parola gargota, che vuole anche dire gorgogliare. Il lemma scaladè vuole dire scalare ma anche assaltare un muro  e deriva  dal provenzale escalada, assalto al muro, ma l’origine è sempre  dal tardo latino scalam. Se la scala è in cattivo stato si dice scalassa, se grossa scalun, ma la voce vale anche per la scala importante della casa. La parola scalin, qui non vuole dire un piccolo scalino come si potrebbe pernsare ma una persona scaltra ed ingannatrice. Questa parola è entrata nel piemontese dall’occitano  calin, che indicava  persona affettuosa e amante, in francese abbiamo la parola càlin, adulatore. Il lemma tra origine sempre dal latino volgare calinam da calere, essere ardente, essere caldo. Per finire arriviamo alla  parola scalip o scarip, scheggia di legno negli zoccoli una volta e, adesso la protuberanza nella scarpe nuove, davvero fastidiosa. La curiosità del lemma piemontese è che arriva dall’arabo qalib, che era il modello del calzolaio. Questo mi porta a riflettere che per r fare il primo passo nella vita non ho bisogno di vedere tutta la scala e ho sempre pensato che i libri sono i pioli della scala con la quale, piolo dopo piolo imparo piccole cose.

Favria, 19.07.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Le rughe degli anziani sono le autostrade della vita, percorse dalla saggezza. Felice lunedì.