I giorni della merla. – La scoperta del metano. – World Hijab Day – Ricordare il passato vivendo il presente. – Lo stipettaio, non è il capostipite stipato e costipato. – Facebook nasce 4 febbraio. – Il calmiere…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

I giorni della merla. Si dice che un tempo questo uccello fosse bianco. Un giorno, alla

fine di Gennaio, quando le giornate stavano diventando più lunghe e il sole iniziava timidamente a far sentire il suo tepore, la merla uscì dal nido con i suoi piccoli in cerca di cibo. Ma improvvisamente tornò il gelo e il gruppetto, preso alla sprovvista, si rifugiò all’interno di un comignolo in cerca di calore. Il freddo durò per tre lunghissimi giorni. Fortunatamente la merla e i piccoli ne uscirono indenni ma con le piume tinte di nero dalla fuliggine. Da quel giorno, tutti i merli nascono di colore scuro. Questa tradizione prende spunto da un particolare fenomeno naturale che avviene a cavallo degli ultimi giorni di Gennaio e l’inizio di Febbraio e che per la sua regolarità si è conquistato un posto di rilievo nella tradizione popolare. Ma se ci pensate bene, i giorni della merla hanno un corrispettivo nell’arco dell’anno dove però avviene un fenomeno opposto. Nella prima metà di Novembre, infatti, nel momento in cui le temperature stanno scendendo, nell’atmosfera si diffonde un magico tepore che viene chiamato in tutta Italia “Estate di S. Martino”. Se guardiamo attentamente il calendario proviamo a fare il semplice conteggio dei giorni che separano il giorno di San Martino, 11 Novembre e il 30 Gennaio. E al centro di questo arco di tempo troviamo il 21 Dicembre, il solstizio invernale. Tra i nomi dei santi festeggiati il 30 Gennaio, troviamo un’altra interessante coincidenza. In quella data viene celebrata Santa Martina, quasi una versione opposta e complementare di San Martino. Vi sembra casuale la scelta di dedicare a due personaggi quasi omonimi? Le due date cadono simmetricamente, come i due piatti di una bilancia, e diametralmente opposte rispetto al giorno del solstizio che fa da spartiacque tra l’oscurità e la luce. Pare che il Papa che decise di fissare la data del ricordo della martire del III sec. fu Papa Urbano VIII che aveva intorno artisti e intellettuali accomunati da una medesima passione per l’antica scienza delle proporzioni auree.
Favria, 30.01.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non devo mai imporre le mie idee ma offrirle con dolcezza e come espressione di rispetto. Felice lunedì.

La scoperta del metano.

Durante le vacanze sul Lago Maggiore, mentre in barca costeggiava i canneti presso Angera, frugando con un bastone il fondo melmoso dell’acqua, Volta vide salire a galla e poi svanire nell’aria bollicine gassose in gran copia. Raccolto tale gas, ne scoprì il carattere infiammabile. “Quest’aria arde assai lentamente con una bella vampa azzurrina”. Si trattava di un nuovo gas diverso dall’aria infiammabile metallica, idrogeno. A questa nuova aria Volta diede il nome di aria infiammabile nativa delle paludi. Si tratta di quello che oggi noi chiamiamo metano, la cui scoperta deve quindi essere attribuita al Volta. Avendo poi verificato la presenza di tale gas in tutte le paludi, ne attribuì l’origine a fenomeni di decomposizione. Volta pensò subito a un utilizzo pratico della sua aria infiammabile in considerazione del fatto che essa era presente in grande quantità in molti luoghi. La scoperta del metano avvenne, secondo quanto testimoniato dallo stesso fisico e dai ricercatori intorno alle rive dell’ Isolino Partegora che si trova proprio di fronte ad Angera.  Quuel luogo fu scenario di leggende e avvenimenti storici, come il maritirio di Sant’Arialdo, il diacono milanese che intorno alla metà dell’anno Mille fondò la “Pataria”, un movimento che si schierò contro la ricchezza e la corruzione morale all’interno della Chiesa. Una scelta che Arialdo pagò con la vita. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.  Tornando ad Alessandro Volta la data della scoperta  è data il 31 gennaio 1776.  Di seguito, nell’ambito degli studi sulle “arie infiammabili”, realizza la “pistola elettroflogopneumatica”, una lucerna ad aria infiammabile poi denominata “la lampada perpetua di Volta”

Favria, 31.01.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. I piccoli sogni diventano grandi quando si costruiscono insieme. Felice martedi.

La grammatica della trasfigurazione”. La bellezza di Dio nell’arte cristiana

Docente Don Alexandru Rachiteanu,

Mercoledì 1 FEBBRAIO 2023 ore 15,30 -17,00

Conferenze UNITRE’ di Cuorgnè presso ex chiesa della SS. Trinità –Via Milite Ignoto

S. Agostino scriveva che la bellezza dell’arte si offre alla vista come un bene che deriva dalla bellezza divina. L’arte è parola silenziosa ed eloquente per incontrare Dio. L’arte, infatti, è luogo teologico, espressione della fede attraverso le formule iconografiche. L’arte è la via del concreto che apre alla comprensione del trascendente.  L’arte cristiana non è arte per l’arte; essa ha un ben preciso scopo religioso: rendere visibile l’Invisibile. E su questa via si afferma con gradualità. L’arte, dunque, va intesa come espressione della trasmissione del Credo cristiano nella memoria dei secoli.

World Hijab Day

Oggi, primo febbraio, è la giornata mondiale del velo, anche detta World Hijab Day. Ad istituirla è stata la bangladese Nazma Khan nel 2013,  con lo scopo di sensibilizzare la questione del velo islamico, ed invitare tutte le donne ad indossarlo, contro la discriminazione, per un giorno intero. Ma dopo quanto accade in Iran e a Kabul che senso questo indumento? Oggi giorno, quando si parla di donne e Islam ci si domanda  perché queste lo portino, se per caso non si sentano discriminate rispetto agli uomini o violate nella loro libertà di espressione. Personalmente ritengo il World Hijab Day, la giornata mondiale del velo islamico, una delle manifestazioni più spudorate di manipolazione culturale. Nel gergo volgare: il classico rovesciamento della frittata. Dicono di rivendicare il diritto delle donne ad indossare il velo islamico senza persecuzioni e discriminazioni. Solo che nel mondo non ci sono casi di persecuzione di donne cui viene impedito di portare il velo, ma molti casi di donne che vengono percosse, anche a morte, perché non voglio indossare un simbolo di umiliazione, di subordinazione spietata ai voleri di maschi padroni, maneschi, la cui intolleranza viene giustificata da testi sacri branditi come alibi di un feroce dispotismo sessista. Se qualcuno impedisse con la forza di indossare il velo a donne che liberamente e consapevolmente vogliono farlo, la solidarietà alle donne che oggi manifestano dovrebbe essere incondizionata. Ma la solidarietà, sinora negata, vergognosamente negata sia dai maschi che dalle femmine, dovrebbe essere rivolta alle donne che per aver voluto vestirsi con abiti depravati e sconci, jeans e camicette, sono state oppresse, massacrate dal branco dei maschi di casa, con la complicità servile di altre donne, madri e sorelle, i nuovi kapò di questa triste storia. Dovunque è giunto il vento dell’oscurantismo integralista, le città che non conoscono distinzione tra legge dello Stato o dogmatismo religioso si sono riempite di donne coperte, così diverse dalle donne che negli anni Sessanta a Teheran e a Kabul si vestivano con libertà, gonne corte, costumi da bagno, cosmetici, come le loro sorelle di Roma e Parigi, Buenos Aires e Londra, Praga e Barcellona. Ci sono donne che hanno riscoperto il valore del velo? Lo indossino come credono. Ci sono donne che non vogliono entrare in un sudario e sono costrette a farlo? Dovremmo solidarizzare con loro, non diciamo scempiaggini sulla diversità multiculturale. Qualche volta, come nella Battaglia di Algeri, i veli delle donne sono state un simbolo di rivolta. Ma basta vedere un film bellissimo e straziante come Mustang per capire che inferno sia la vita quotidiana di cinque ragazze turche che sognano la libertà.  E poi quella di indossare un velo che copre parzialmente il volto è pratica attestata in Siriaparecchi secoli prima dell’ascesa dell’Islam. Esisteva a Palmira, prima che dei criminali, si fossero accaniti contro i resti del tempio di Bel, dove  hanno distrutto un gruppo scultoreo che raffigurava tre donne velate che risaliva al I secolo dopo Cristo. Nel corso del terzo secolo Tertulliano, Padre della Chiesa, esprime apprezzamento per il comportamento delle donne pagane d’Arabia, “che si coprono il volto per intero”, e invita le donne cristiane a fare altrettanto in ossequio alla volontà di San Paolo. L’apostolo dei Gentili sottolinea in effetti a più riprese la necessità che le donne cristiane portino il velo, come gesto simbolico atto a rimarcare l’inferiorità della donna in rapporto all’uomo, che a sua volta è inferiore a Cristo (Prima lettera ai Corinzi, 11, vv. 12-16). Basandosi su questa gerarchia voluta dal Creatore, Tertulliano prescrive una misura pratica: la donna deve coprirsi il capo perché “il velo è il suo giogo”. Si cercherebbe invano un simile investimento simbolico all’interno del libro sacro dei mussulmani, che menziona il velo soltanto una volta (Sura 33, versetto 59) e come semplice misura pratica: si raccomanda alle “donne dei fedeli” di indossare il velo in presenza di estranei, perché questo «è il modo migliore per farsi riconoscere ed evitare di subire offese». Si narra infatti che a Medina, di notte, le donne dei fedeli venissero molestate da brutti ceffi che poi, fattosi giorno, sostenevano di averle scambiate per delle schiave. Se quindi all’inizio, in contesto islamico, il velo non ha affatto la connotazione religiosa che possiede invece per il Cristianesimo, nelle civiltà musulmane del Mediterraneo diventa poi strumento pratico impiegato dalle donne per sottrarsi agli sguardi nelle occasioni in cui devono abbandonare la reclusione di casa per una qualunque necessità. Si tratta dunque di un mezzo di coercizione specificamente visuale. Pur non mostrando grande interesse per il velo, l’Islam promuove una cultura visuale opposta rispetto a quella dell’Occidente cristiano. Per quest’ultimo, la vista è il senso più nobile perché permette di accedere, essendo per sua natura immateriale, a superiori realtà invisibili: le idee per Platone, il mistero dell’Eucaristia per i cristiani. Per l’Islam, invece, la vista induce in tentazione ed è ancella della concupiscenza. Le civiltà islamiche sono tradizionalmente organizzate in modo da limitare e regolare la vista: patio, mashrabiya, discrezione e, soprattutto, interdizione delle immagini, che invece il Cristianesimo, in linea di massima, incentiva. Oggigiorno, però, questa cultura visuale islamica che sfruttava il velo per rendere invisibile chi lo indossava è praticamente scomparsa. Il velo è diventato un’immagine, inserito in una sorta di guerra di immagini e di guerra di immagine che l’Islam radicale conduce ormai contro il resto del mondo. Il paradosso è questo: le donne si mettono in mostra velate come le immagini dell’islam, religione senza immagini e che nascondeva le donne.

Favria, 1.02.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. L’amore alla vita genera amore alla vita. Felice martedì

Cerchiamo Persone che Amano la propria Vita pensando spesso a quella degli Altri. Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo  a FAVRIA  VENERDI’ 3 FEBBRAIO  2023, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Ricordare il passato vivendo il presente.

Il gruppo Alpini domenica 22 gennaio era presente con un pullman per partecipare alla commemorazione della battaglia  Nowo Postojalowka. Ricordando un avvenimento così importante della nostra storia che permette di riflettere e ripensare al sacrificio, al dolore, alla malinconia, alle paure ed alle speranze che hanno accompagnato i nostri padri 80 anni fa e per non dimenticare le glorie, i valori ed i sentimenti degli Alpini che hanno vissuto quella tragica ritirata. Per anni si è parlato e scritto soltanto della battaglia di Nikolajewka, dove i reparti della Tridentina, seppur stremati da dieci giorni di marcia e logorati da molti combattimenti, riuscirono ad aprire la strada alle truppe in ritirata per uscire dall’accerchiamento russo, mentre è stata del tutto ignorata, anche nei documenti ufficiali, quella di Nowo Postojalowka, ben più rilevante per le forze militari in campo e per il numero di caduti, dove i Battaglioni della Cuneense furono distrutti nello scontro con le truppe corazzate russe. Nel drammatico combattimento del 20 gennaio 1943 a Nowo Postojalowka,  si manifestò la situazione di totale inadeguatezza del nostro esercito per quella guerra e dove persero la vita migliaia di alpini arruolati nella Cuneense. Con la sua partecipazione il Gruppo Alpini di Favria vuole manifestare concretamente la volontà di conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’Armata Alpino nella tragica battaglia di Nowo Postojalowka durante la seconda guerra mondiale, nonché di promuovere i valori Alpini, la  partecipazione civile, la solidarietà e il volontariato, che gli alpini incarnano. La forza degli Alpini sta proprio nel ricordare il passato vivendo il presente, ma con un occhio attento al futuro. Un’Associazione che per cento anni riscuote tanto credito e rispetto significa che è al passo con i tempi ed ha ancora un grande futuro, ma soprattutto significa che mantiene intatto lo spirito che ci hanno tramandato i nostri Padri, che il tempo non ha cancellato nulla. Anche a Mondovì gli Alpini hanno sentito che il consenso attorno  è sempre in crescita sentendo palpabile durante la manifestazione e l’affetto della gente che si avvicina alla nostra realtà fatta di gesti e sentimenti concreti. Permettetemi una citazione  di un grande Alpino don Carlo Gnocchi: “Per fare bella l’Italia ci vuole il coraggio degli Alpini, ci vuole l’amore per la terra degli Alpini, ci vuole la sobrietà degli Alpini e la religiosità degli Alpini.”

Favria, 2.02.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno le scelte che facciamo dimostrano quel che siamo veramente molto più delle nostre capacità. Felice giovedì

Lo stipettaio, non è il capostipite  stipato e costipato.

Lo stipettaio deriva da stipetto, diminutivo di stipo, ebanista, mastro artigiano specializzato nella fabbricazione o riparazione di manufatti in legno con intarsi, bassorilievi e combinazioni scultoree, con eventualmente altre lavorazioni artistico-artigianali. Alcuni lavori possono essere sportelli, cassettoni, nicchie, scatole, arredamenti edili, nautici e aeronautici.  Lo stipettaio svolge un lavoro di falegname, con caratteristiche di carpentiere-ebanista e scultore-verniciatore.  Nicolò Tommaseo lo campara con legnaiuolo e nota che lo stipettaio “fa stipi, forzieri e altri mobili di più costo“, nonché “mense impiallacciate ed intarsiate“; tuttavia l’autore esprime aperta preferenza per il “rozzo legnajolo” e sulla differenza di effetti dei rispettivi prodotti osserva: “ivi mondezza senza ricercature; qui modi stomachevoli, sino al vaso per isciacquarsi la bocca, come tanti porci al trogolo, In presenza di tutti“. Lo Janni attribuisce allo stipettaio una sorta di specializzazione nella giunzione a mortasa e tenone delle tavole del fasciame delle imbarcazioni dell’età antica. Mortasa e tenone sono un tipo di giunzione a incastro composta da un elemento maschio detto “tenone” e dall’alloggio femmina corrispondente detto “mortasa”. Il metodo è stato utilizzato per migliaia di anni dai falegnami di tutto il mondo per unire pezzi di legno, soprattutto quando questi formano un angolo di 90 gradi. Permettetemi una divagazione etimologica, entrambe le parole derivano dal francese, mortasa, dal francese antico mortaise del XIII secolo, proviene dall’arabo murtazz, allaciato. tenone deriva anche essa dal francese antico tenon, deriva da tenir, tenere. Detto questo la parola stipettaio sembra simile stipite ma l’origine di questa ultima parola è diversa. Stipite significa fusto; piedritto che delimita verticalmente l’apertura di una porta o di una finestra; o anche una persona da cui discende una famiglia o un suo ramo. La parola stipite deriva dal latino, stipes, fusto, paolo. Si taglia il fusto dritto per farne un palo; si pianta nuovamente quel palo in terra come fosse un fusto vivo. Da questa continuità scaturiscono i significati ancora attuali di stipite. Senza dubbio il significato con cui è più usata questa parola è quello di piedritto che limita verticalmente l’apertura di una porta o finestra, sopportando il peso sovrastante dell’architrave. È un elemento architettonico vecchio come l’architettura stessa, all’inizio poco più di un tronco, che come gli altri elementi che disegnano il contorno della porta,  la soglia sotto e sopra l’architrave,  ha una carica simbolica molto forte , lo stipite segna, lo stipite sostiene. Diversa origine la parola stipare, che significa ammassare, pigiare in uno spazio ridotto, il lemma deriva dal latino stivare, col medesimo significato. Il bello della lingua che si trasforma continuamente, e proprio il bello, perché cercando di capire una parola, tornare indietro nel tempo e rendersi conto che di generazione in generazione, di secolo in secolo, questa parola è cambiata per nulla, e se  ci potessimo confrontare con un antico romano, infatti, converremmo che stipare significa: ammassare, riempire, sia cose che persone. Una parola che è stata usata da tante generazioni i nostri avi dicevano  di stipare le stoviglie nella credenza o i libri nella biblioteca. Il derivato stipa indica una catasta di ramoscelli per accendere il fuoco e mucchio in genere. Dante lo collegava anche a un attorniare e a uno scortare, mentre noi non leggiamo ciò che è stipato come un accompagnamento, un contorno; inoltre, lo collegavano a un addensare: “…ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa”XXXI Inferno. Concludo con costipare che deriva dal latino  constipare, composto di con– e stipare, serrare, stivare. Significa raccogliere insieme, restringere, ammassare. In agricoltura per rendere il terreno compatto da li la parola costipatore, rullo compressore, a superficie liscia, usato nei lavori agricoli per spianare il terreno, specialmente dopo l’erpicatura, costipare le terre sciolte, colmare cavità residue di lavorazioni precedenti. Il costipatore è il nome di macchina usata nelle costruzioni stradali per il costipamento delle terre di cui è costituita la piattaforma stradale. Infine il costipare è collegato a occlusionbi intestinali e famigliarmente prendersi un raffreddore.

Favria, 3.02.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata, non è mai troppo tardi per un nuovo inizio. Felice  venerdì.

Facebook nasce 4 febbraio

Quando il 4 febbraio 2004 fece il suo esordio in rete all’indirizzo thefacebook.com, difficilmente si immaginava che potesse avere un successo così eclatante. Eppure il sito, destinato poco dopo ad acquisire il nome definitivo di Facebook, si è imposto nel giro di pochi anni come il primo e più diffuso socialnetwork della storia: nell’ottobre 2020 ha raggiunto 2,7 miliardi di utenti attivi mensilmente, sbaragliando avversari come Instagram, Twitter, Tik Tok e altri agguerriti concorrenti. Niente male per un servizio nato da un’intuizione di Mark Zuckerberg, all’epoca diciannovenne studente dell’Università di Harvard, come strumento interno all’ateneo, allo scopo di mettere in contatto amici e colleghi. Il primo progetto, Facemash, fu posto in internet da Zuckerberg il 28 ottobre 2003, registrando oltre 450 visitatori e 22.000 foto visualizzate durante le prime quattro ore di visibilità, ma venne chiuso pochi giorni dopo dai responsabili dell’ateneo che accusarono il giovane di aver violato la sicurezza, i copyright e la privacy individuale. Seguì Facebook, il cui nome prende spunto dall’elenco, contenente nome e fotografia degli studenti, che alcune università statunitensi distribuiscono all’inizio dell’anno accademico per aiutare gli iscritti a socializzare tra loro. Oggi la piattaforma, sviluppata da Meta, è disponibile in oltre 100 lingue (in italiano dal 14 maggio 2008) e si è imposta come un fenomeno collettivo senza precedenti, in grado di influire non solo sulla comunicazione interpersonale ma anche sui rapporti sociali, con enormi ricadute sul costume, sull’economia, sull’informazione e persino sulla politica nazionale e internazionale

Favria. 4.02.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorro mi rendo pericoloso quanto fosse stare fermo. Felice sabato.

Il calmiere

la parola calmiere deriva dal greco bizantino kalamétrion, proprio della misura di una canna, poi semplificato nel latino medievale nel secolo XIII d.C., in callamerium. Nell’Antica Roma conla lex frumentaria di Gaio Gracco, si impose un prezzo calmierato al grano per proteggere i plebei dalle fluttuazioni di prezzo di quel prodotto.  L’imperatore Diocleziano provò nel 301 d.C., con l’Editto sui prezzi massimi, ad imporre un tetto massimo per tutti i beni, nel tentativo di contrastare l’inflazione causata dalla crisi del III secolo, ma ottenne scarso successo.  Esempio storico particolarmente noto è quello contenuto nel romanzo: I promessi Sposi, nel corso della vicenda il protagonista Renzo Tramaglino si trova coinvolto in un assalto al forno delle grucce, che venne causato proprio dalla carenza di pane in seguito al calmiere imposto al prezzo della farina.  Il calmiere è stato usato anche in tempi più recenti: in particolare venne applicato durante le due guerre mondiali dall’amministrazione Usa e anche laGermania nazista impose il controllo dei prezzi durante la seconda guerra mondiale. In Italia esisteva il C.I.P. Comitato Interministeriale dei Prezzi, soppresso nel 1993 e confluito nel CIPE, ed era coadiuvato dai relativi Comitati Provinciali. Durante la  pandemia del  coronavirus cinese del 2019-2021 diversi stati hanno imposto un calmiere sul prezzo di vendita di mascherine e di gel e prodotti disinfettanti, per evitare l’eccessivo aumento dei prezzi a seguito del forte aumento della domanda di tali articoli. Il calmiere è il prezzo massimo di vendita, anticamente detto meta, fissato in via amministrativa, in genere per beni di largo consumo particolarmente rilevanti dal punto di vista sociale. L’esperienza storica e la teoria economica hanno tuttavia dimostrato che questo tipo di controllo dei prezzi ha come conseguenza la nascita del mercato nero, vale a dire di un mercato non ufficiale dove i beni calmierati sono venduti, nelle quantità domandate, a prezzi più elevati.

Favria,  5.02.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Se oggi posso alleviare un dolore, consolare una persona, aiutare un passero caduto a rientrare nel nido, non avrò vissuto invano. Felice domenica