I tigrotti! – Melagro e il lavoro di squadra! – Patata, potato, batata. – La cernita – Versare lacrime di coccodrillo- Gògo! – Malati di erostratismo…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

I tigrotti!
Oggi Vi voglio parlare di una gloriosa società, i tigrotti della Pro

Patria di Busto Arsizio. Prima di iniziare è curioso il toponimo doppio di questa città. Per quanto riguarda Busto, si ipotizza che il nome sia di origine latina e significhi bruciato, da ambustum, passando attraverso una divisione popolare delle sillabe in ‘am-bustum’ invece di quella corretta amb-ustum, con riferimento ad un terreno piuttosto secco o ad un incendio che avrebbe colpito anticamente l’abitato. Arsizio, toponimo che viene aggiunto solo verso il XIII secolo, potrebbe essere una duplicazione del precedente, richiama infatti l’aggettivo arso, dando quindi il significato di città bruciata due volte o simili; oppure potrebbe derivare dal latino ars, alludendo all’operosità degli abitanti. Altra ipotesi è che derivi da arsi, in greco sollevare. Curiosamente, questa parte del nome è presente anche all’interno del nome di un comune ticinese, Brusino Arsizio. Anticamente, accanto a Busto Arsizio, era comune l’indicazione della città come Busto Grande, rimasta nel dialetto: il nome dialettale della città è infatti Büsti Gràndi, al fine di distinguerla dalla più piccola Busto Garolfo nonché da Buscate, anticamente Busto Cava. La Pro Patria di Busto Arsizio nasce solo nel 1919, gli albori del calcio bustocco risalgono al lontano 1881, data della fondazione della “Ginnastica Pro Patria et Libertate”, una delle più anziane e gloriose società sportive italiane, dalla quale la Pro eredita la celebre casacca biancoblù. Ma il primo club calcistico locale affonda le radici nei primi anni del Novecento, con l’Aurora che nella stagione 1906-’07 disputa le prime partite ufficiali. Nei dieci anni e più che la separarono dalla nascita della Pro Patria, videro la luce altre squadre locali, che però ebbero un’esistenza piuttosto breve. Come detto nel 1919 le realtà cittadine si fondono dando vita alla Pro Patria che solo otto anni più tardi, per la precisione il 23 settembre 1927, esordì nella massima serie. E a quella stagione si fa risalire il nomignolo che da allora ha caratterizzato e sostanzia il simbolo assurto da squadra e tifoseria: il giornalista della Gazzetta dello Sport Bruno Roghi in effetti coniò ai giocatori della Pro Patria l’appellativo di ‘tigrotti, in virtù dello spirito, del carattere e della voglia di combattere degli stessi, e la vita è piena di sfide da affrontare. Trovare il coraggio per farlo è la cosa che fa la differenza.
Favria, 19.10.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana non c’è speranza senza paura né paura senza speranza. Felice martedì.

Melagro e il lavoro di squadra!

In questo periodo il problema dei cinghiali è divenuto di attualità per i danni che producono nelle colture agricole visto che sono divenuti molto numerosi in questi ultimi anni. Ecco che la  caccia al cinghiale mi porta a riflettere su Melagro, eroe della mitologia greca figlio di Oineo re di Calidone e di Altea, Melagro è protagonista di un mito che si riferisce ad una famosa impresa collettiva, la caccia al cinghiale calidonio. Il mito narra che il cinghiale Calidonio, fu mandato sulla terra dal geloso Ares, Marte, per gli antichi Romani,  per uccidere Adone, in quanto  Afrodite era innamorata di quest’ultimo. Secondo questo mito, il cinghiale venne inviato da Artemide per distruggere i campi di Calidone, in quanto il re, pur avendo avuto un raccolto molto ricco quell’anno, non fece le offerte votive alla dea Artemide, la quale si infuriò. Oineo quindi decise di organizzare una grande caccia, la quale divenne famosa in quanto vi parteciparono tantissimi eroi della mitologia greca: la grandissima cacciatrice Atalanta, Castore e Polluce, Ida, Linceo, ed i Cureti. Secondo Bacchilide, alla caccia parteciparono i migliori di tutti i greci. Molti dei protagonisti della caccia finirono per essere uccisi dal cinghiale ed infine la bestia venne ammazzata da Meleagro.  Come si vede già nell’antichità i cacciatori avevano rispetto per il cinghiale, in quanto una bestia temibile ed estremamente pericolosa di cui ammiravano la forza, nonché il coraggio di battersi fino all’ultimo sangue, morendo senza fuggire né rinunciare alla lotta. Mi viene in mente, pensando ai Celti,  il loro mito ripreso da Battiato: “Spero che ritorni presto l’era del Cinghiale Bianco”. Se per i greci il cinghiale nero era simbolo di morte e tenebre interiori, per i celti il cinghiale bianco era considerato magico ed era il simbolo di un’era di prosperità e benessere, una sorta di età dell’oro perduta e comune a quasi tutte le culture. Per Battiato il Cinghiale Bianco è un simbolo che rimanda al sapere spirituale, metafora per spiegare il proprio rifiuto alle contraddizioni di un mondo moderno che sembra aver perso ogni punto di riferimento, in particolare i propri riferimenti spirituali. Pensate che tra i Germani l’affrontare da soli un cinghiale, o un orso, era un rituale obbligatorio per divenire un guerriero adulto. L’esaltazione della caccia al cinghiale perdura per tutto l’Alto Medioevo, già si attenua in età feudale: principi e signori amano cacciare il cinghiale, ma si tratta di una caccia come già detto assai pericolosa, violenta, selvaggia e che si conclude con un corpo a corpo tra il cacciatore e la bestia. Sono molti i cani che rimangono uccisi nelle battute di caccia, e anche qualche cacciatore; persino diversi re sono morti in seguito alle ferite riportate cacciando il cinghiale. Proprio per questo, la Chiesa ha fatto il possibile per imporre il cervo, animale ben più innocuo, come selvaggina nobile. Come si vede per cacciare il temibile cinghiale gli uomini dovevano fare squadra, e  questo ci insegna  che quando i componenti di una squadra sono uniti ottengono grandi risultati, e nella vita quotidiana ricordiamoci sempre che come esseri umani non siamo delle isole completi a noi stessi, ma siamo una parte della società che ci circonda. Oggi solo se uniti possiamo vincere la crisi e superare le avversità, ed allora dobbiamo ritrovare  la capacità di lavorare insieme per una visione comune per ottenere tutti insieme risultati non comuni.

Favria, 20.10.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana il successo non è la chiave della felicità. La felicità è la chiave del successo, se amiamo ciò che stiamo facendo, avremo successo. Felice mercoledì.

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 5 NOVEMBRE   2021, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Patata, potato, batata.

Oggi mangiamo nelle nostre tavole il tubero cotto della patata  a polpa bianca o gialla, pianta erbacea della famiglia delle Solanaceae. La parola patata deriva direttamente dallo spagnolo ed è l’incrocio linguistico del quechua. Perù, papa e dell’haitiano batata, che indicava la patata dolce. La patata insieme al mais, sono forse l’alimento americano che più ampia diffusione ha avuto nel mondo. In italiano, così come in altre lingue europee, con il termine patata ci riferiamo a una categoria generale di tuberi di origine americana tra i quali spicca il più comune in Europa.  Viene chiamato potato in inglese, potatis in svedese, kartoffel in tedesco e pomme de terre in Francese, questi ultimi come loro abitudine si vogliono sempre differenziare per vezzo. La parola batata, lemma con il quale i Taino, popolo estinto delle Antille, denominava proprio la patata dolce. Il termine entrò presto nello spagnolo delle colonie per riferirsi a tuberi diversi, come testimonia un brano della cosiddetta prima lettera di Hernán Cortés, scritta nel 1519 dal Messico da poco scoperto. Successivamente gli Spagnoli con Francisco Pizzaro conquistano l’impero Inca nell’odierno Perù negli anni ’30 del Cinquecento lo usarono per denominare la patata vera e propria li coltivata. Dall’America meridionale la patata arriva in Europa, inizialmente in Spagna, precisamente a Siviglia, tra il 156064, per poi passare nel Portogallo e quindi a Madrid alla fine del secolo. In Italia, importata dagli spagnoli, la patata arriva nel 1564-65 ed è presente negli orti botanici di Padova e Verona. A Roma la patata fu introdotta dai Carmelitani Scalzi, che dalla Spagna ne portarono un bel po’ in dono a papa Pio V, 1566-1572 il quale, grande appassionato di botanica, ne riempì i giardini vaticani, guardandosi bene però dal mangiarla. Nel Seicento le patate sono ancora una curiosità botanica e il granduca Ferdinando II de Medici, li fa piantare a Firenze. Sempre nel Seicento la patata è presente a Bologna, nei campi dell’università, dove viene coltivata grazie alle condizioni climatiche favorevoli. A fine settecento tutte le accademie agrarie del Veneto ne raccomandano la coltivazione, che avviene soltanto in via sperimentale. Più in generale, in Italia la coltivazione della patata in misura significativa iniziò a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, utilizzata per prevenire le carestie e pur essendo introdotta nel vitto delle guarnigioni austriache, la patata fino al 1830-40 è usata prevalentemente come alimento per gli animali nonostante gli sforzi degli studiosi, tra i quali sembra ci fu anche Alessandro Volta. Ancora a metà ‘800 questo tubero trovava una forte resistenza come testimonierebbe la sua marginale presenza nei ricettari dell’epoca. In Francia nel 1771 l’accademia di Besancon aveva posto un concorso dal titolo: “Quali sono i vegetali che possono essere sostitutivi in caso di carestia rispetto a quelli di impiego comune e la loro preparazione”. Antonie Augustine Parmentier, agronomo, un personaggio che oggi sui social chiameremmo influencers. Egli curò la redazione di una memoria rimasta celebre sulla base dell’uso fatto mentre era farmacista al seguito delle truppe in tempo di guerra. La memoria fu premiata nonostante una legge del parlamento del 1748, che accusava il tubero di trasmettere infezioni. Parmentier convinse il sovrano a coltivare la patata in un terreno a Campo di Marte e per destare l’interesse delle persone lo fece sorvegliare da guardie e diffuse la voce che la coltivazione di tale prelibatezza era destinata esclusivamente al Re. In poco tempo, curiosi, golosi e perditempo volevano mangiare la patata considerata un vero e proprio status symbol, da questo agronomo nasce il piatto zuppa Parmentier, una vellutata a base di patate porri e panna, che è buonissima, perfetta per le fredde sere invernali e grazie alle innumerevoli varianti può andare incontro a tutti i gusti e adattarsi a diversi menù. L’effetto dell’introduzione della patata nella dieta degli europei fu enorme. Pensate chela popolazione della sola Irlanda passò da 500 mila persone nel 1660 a oltre 9 milioni nel 1840! Quasi tutte le colture furono sostituite da piantagioni di patate, ma nel 1845 prima e nel 1846 poi ci furono due anni consecutivi di totale fallimento del raccolto di patate, fece la sua comparsa la peronospera, un fungo della patata. Quasi ogni campo era coltivato a patate, e il risultato dei due anni di grande declino produttivo fu disastroso con oltre 1 milione di irlandesi morirono di fame, oltre 1 milione furono costretti ad emigrare. Questa terribile carestia sarebbe stata poi ricordata col nome potato famine, carestia delle patate. È curioso notare che gli europei non appresero mai a conservare le patate, con catastrofiche conseguenze quando i raccolti andavano perduti, come accadde in Irlanda nel 1845-46 quando un fungo della patata causò milioni di morti. Gli andini a cui le patate erano state in origine “sottratte” ne sarebbero rimasti sorpresi: loro avevano infatti sviluppato dei sistemi di disidratazione delle patate che ne permettevano la conservazione anche per diversi decenni! Gli Incas scopritori del tubero, ritenevano la patata talmente importante, che le tributavano riti religiosi e su di esse si basavano per calcolare il tempo, unità di misura per calcolare quanto ci vuole per cuocerle, e le superfici agrarie, ancor oggi l’unità di misura fondiaria utilizzata in Perù è il topo, pari al terreno necessario a coprire il fabbisogno di patate per una famiglia. Oggi, grazie alla sua versatilità, la patata è il prodotto vegetale al quale sono dedicate più forme di preparazione e con la sua storia ci può insegnare molto su come può essere introdotto un nuovo alimento nella dieta delle persone.  Concludo con un curiosità,  Matt Damon, protagonista del film “The Martian” del 2015,  aveva visto giusto piantando patate nel suolo marziano per sopravvivere sul Pianeta Rosso, oggi una serie di test ha confermato che questi tuberi potranno un giorno crescere nelle condizioni atmosferiche marziane, e in definitiva per dimostrare che le patate possono crescere sul nostro pianeta anche in condizioni climatiche estreme, magari con loro verranno colonizzati in un lontano futuro pianeti abitabili da novelli mangiapatate!

Favria, 21.10.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana dobbiamo essere flessibili come il salice per superare le bufere della vita e il peso della neve felice giovedì.

La cernita

La parola cernita vuole dire scelta  compiuta in base a criteri determinati e deriva dalla voce latina cernere, distinguere, separare. Questo verbo mi ricorda quante volte nelle mia umane azioni quotidiane faccio un distinguo, una separazione per decidere quanto è veramente importante. Quando faccio una scelta poi sono certo delle mie azioni e cerco di certare, contendere o meglio concertare cosa fare rimanendo concentrato per giungere ad una concertazione ma mai per eseguire un concerto. Ho giocato con queste parole che hanno origine comune con cernita comparsa in italiano tardi, alcuni dicono nel Seicento, altri nel Settecento, ma pare che non si sia affermata seriamente fino all’Ottocento. Non a caso, forse, il significato precipuo con cui si diffonde ha un odore rivoluzione industriale. La cernita  è quell’operazione che si compie su materie prime o su scarti, scegliendo e separando da un coacervo di partenza o ripartenza ciò che può essere usato o riusato per il lavoro da fare, o comunque secondo le diverse destinazioni. Personalmente ogni tanto faccio una cernita per tenere la libreria sgombra da doppioni e di libri che sinceramente non ho idea di come ci siano finiti. La cernita non è una scelta qualsiasi: ha un’intenzione a monte, la cernita, e dei criteri che, ancorché non sempre esplicitati, guidano in maniera netta e non volubile la selezione. Insomma, ha un carattere operativo molto marcato, e come ogni selezione richiede di avere in mente un risultato, requisito in cui non tutte le decisioni sono strette. Ripensando alla cernita dei libri o quella degli scarti di lavorazione riutilizzabili e no, è un carattere evidente. Che peraltro ha come obiettivo quello di poter ripartire da un punto come la libreria ordinata, fino alla nuova fase della lavorazione; ma anche quando faccio una cernita delle priorità, fotografo sempre quel momento di selezione ordinatrice che riprende le fila di una situazione aprendone di nuove.

Favria, 22.10.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni mattina prendo in mano la mia vita e con i colori dell’arcobaleno cercando di farne un piccolo capolavoro. Felice venerdì

Versare lacrime di coccodrillo

Quando una persona piange per una cosa di cui, sappiamo, non essere dispiaciuta per niente, si dice che sta versando lacrime di coccodrillo. L’espressione deriva da una caratteristica fisiologica che i coccodrilli hanno veramente: dopo aver ingerito una preda, iniziano a piangere. Queste lacrime non sono ovviamente derivate dal dispiacere per la povera vita appena distrutta, ma dal fatto che il coccodrillo non suda, a differenza nostra, e non avrebbe modo di espellere il sale contenuto nel corpo della preda in altro modo: il sale in eccesso nel sangue viene così espulso tramite un’abbondante lacrimazione.

Favria,  23.10.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Alla sera arrivare all’alba non c’è altra via che attraversare la notte. Felice sabato

Viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 5 NOVEMBRE   2021, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Gògo!

Gogo era una voce diffusa in Alto Canavese, in Valperga ed altre contrade, per indicare una persona sciocca, un babbeo. La parola viene presa in prestito dal lemma francese gògo, personaggio credulone presente nel romanzo Robert Macaire, un personaggio immaginario legato al romanticismo francese, che rappresenta il bandito, l’uomo d’affari senza scrupoli. Inventato intorno al 1823 da Antier Lemaitre nel 1834, è ricorrente in alcune opere teatrali, romantiche. Cosi viene descritto nelle commedie del tempo. La popolarità di questo dramma tragico-burlesco è stata tale da ispirare Frédérick Lemaître a sviluppare i due tipi di banditi di Bertrand e Robert Macaire, ea dare loro una vera commedia dei costumi come ambientazione. Si mise al lavoro e scrisse con Benjamin Antier e Saint-Amand, i suoi due naturali collaboratori, l’opera di Robert Macaire, un’opera in quattro atti e sei tableaux che, dopo alcuni colpi di scena, fu rappresentata alle Folies-Dramatiques il 14 giugno 1834. Il successo fu colossale e fece la fortuna del regista Mourier. Il protagonista così viene descritto: “Macaire stava fissando sfacciatamente Bertrand con il suo cappotto grigio, con tasche sproporzionatamente lunghe, entrambe le mani incrociate sulla manica dell’ombrello. Macaire in piedi immobile, il suo cappello senza fondo di lato, il suo cappotto verde buttato indietro, i suoi pantaloni rossi tutti rattoppati, la sua benda nera sugli occhi, il suo frustino di pizzo e le sue scarpe da ballo.”  La parola gòg deriva  dal lemma gober con il raddoppiamento della sillaba iniziale, pare che gober derivi dalla parola gògo per dare l’epiteto offensivo di cattivo mulo mulo, in Liguria in alcuni paesi compare la parola gògo dal simile significato. Tornando al personaggio di questa commedia, il pubblico francese del tempo provava il malsano gusto di deride tutto e tutti, di non credere nella virtù, di ridere del vizio e di vedere nient’altro che uno “scherzo”. sentimenti generosi, acclamando questo questo sfacciato e vizioso beffardo protagonista con la sua spalla L’Auberge des Adrets diventa una sorta di cornice elastica, uno scenario compiaciuto in cui si rinnovano ogni giorno le improvvisazioni più mozzafiato in base ai fatti di cronaca. I due mascalzoni vivevano dei successi attingendo dall’attualità. Alla domanda sulla loro professione, ad esempio, la loro scelta è dipesa dall’evento di ieri. Robert Macaire divenne aeronauta e maestro nell’arte di “rimuovere” palloncini o, il giorno dopo un furto dalla collezione numismatica della Biblioteca Reale, “curatore di medaglie”. Ogni teatro voleva avere il suo Robert Macaire: uno dava La Fille di Robert Macaire, un altro Le Fils di Robert Macaire, un terzo Le Cousin di Robert Macaire. Il governo finì per vietare questi spettacoli in cui il pubblico, soprattutto quello popolari, provava un piacere eccessivo che lo preoccupava. Una sera in cui Frédérick Lemaître aveva interpretato il ruolo di Re Luigi Filippo per interpretare il personaggio di Robert Macaire, la polizia intervenne nel fermare le rappresentazioni. Ma il personaggio era talmente popolare che fu ripreso alcuni anni dopo da Philipon, che ispirò alla matita di Daumier una serie di litografie che rappresentavano Robert Macaire in tutti i tipi di situazioni sociali. Robert Macaire e Bertrand sono costumi che compaiono tra i personaggi tipici del Carnevale di Parigi del 1830. Il Robert-Macaire era il nome dato in passato a una danza audace, una varietà di cancan. Troviamo Robert Macaire nel 1945 in Les Enfants du paradis, il film di Marcel Carné in cui Frédérick Lemaître, interpretato da Pierre Brasseur, recita la commedia L’Auberge des Adrets. Questo personaggio ha  ispirato l’autore di fumetti fiammingo Willy Vandersteen per la serie Robert e Bertrand, pubblicata dal 1972 al 1992 e numerosi film.

Favria, 24.10.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Non è mai troppo tardi per essere ciò che avremmo voluto essere. Felice  domenica.

Malati di erostratismo.

Noto come con l’avvento di internet ed il dilagare dei sociale sempre più persone sono malate di questa patologia detta erostratìsmo, l’ansia di sopravvivere nella memoria dei posteri, vomitando  fango sui loro simili. La sindrome deriva da un certo Erostrato, pastore che diede alle fiamme il Tempio di Artemide ad Efeso al fine di passare, in qualche modo, alla storia. Correva l’anno 356 a.C ed Erostrato un pastore di Efeso già avanti  con gli anni, che aveva una smodata ansia di farsi ricordare eternamente; quindi si decise a compiere l’insano gesto di incendiare quel meraviglioso tempio, una delle sette meraviglie dell’antichità, pensando così di essere ricordato da tutti, nel male, ma per sempre. E nonostante tutti gli editti volti a censurarne il nome, così è stato. Con erostratismo si intende quindi un’ansia smaniosa di passare alla storia, anche scrivendo falsità  sull’onore delle persone che se non provate sono passibili di querela. Insomma con la libertà di scrivere di tutto e su tutto certe persone si sentono autorizzate a denigrare pubblicamente altre, solo per avere i 5 minuti di notorietà. Attenzione questo farlocco fu catturato, processato e condannato a morte e con vari editti si proibì di citare il suo nome per farlo cadere nell’oblio. Adesso chi è ammalato di erostratismo dopo l’effimera attenzione ricade nell’oblio da solo e non viene neanche messo a morte, è il tempo liquido dei social a cancellare le sue ambizioni di celebrità.

Favria, 25.10.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno, al mattino penso di avere due vite e, la seconda inizia quando mi accorgo alla sera di averne una sola. Felice lunedì.