Il grande abete della Val Soana di Tiziano Fratus tratto da “la Repubblica”

Non avevo notizie di un grande abete in Val Soana, incuneata tra

la Valle Orco e la Valchiusella. Ma dopo vent’anni di esperienza vagando per il paesaggio sono sempre pronto ad accogliere visioni ed incontri inattesi. Così, mentre risalgo i mille tornanti che dall’afosa pianura torinese conducono alle porte del Parco Nazionale del Gran Paradiso, mi guardo intorno, senza particolari attese, più attento alle architetture civili e alle fughe prospettiche dei monti e dei costoni boschivi che non ai singoli alberi eventualmente monumentali. Si segue l’andamento della provinciale 47, supero gli abitati di Ronco Canavese, Valprato Soana e poche curve prima della comparsa di quel nugolo di edifici che compone Campiglia Soana, incontro due tronchi a “v” che risalgono ad un’altezza che potrebbe accarezzare i 40 metri. L’occhio però cade, alla base dove vedo i due corposi tronchi fondersi insieme.
A Campiglia transito accanto a quella baita extra large che è l’Hotel Gran Paradiso, chiuso da anni ma fondato nientemeno che dal proprietario del Moulin Rouge, sì sì, avete letto bene, proprio quel Moulin Rouge, quello del film, il locale notturno dove andare a gustarsi deliziosi spettacoli di can-can. Non il fondatore ovviamente, ma un proprietario di epoche più prossime alla nostra, monsieur Jacki Clérico (1929-2013), nato nella capitale francese ma figlio di un vetraio di Campiglia che era emigrato, come diversi altri suoi compaesani, in Francia per le ovvie necessità lavorative; il negozio di vetraio che la sua famiglia gestiva ebbe un momento di grande fortuna durante l’occupazione tedesca e negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, facendo letteralmente fortuna tanto da consentire a Joseph e Louis di acquistare nel 1946 il noto locale Le Lido, e nel 1956 il Moulin Rouge che, dal 1962, venne gestito dal figlio Jacki. I Clerico non si erano dimenticati del loro piccolo villaggio in Piemonte tanto fanno costruire, sul finire degli anni Sessanta, un grand hotel che però, dopo i primi anni di grande fervore di cui ancora echeggiano le stranezze e le succulenti curiosità, dovette ben presto scontrarsi col modesto turismo che frequentava queste montagne, non paragonabile a quello di altre più celebri località o della vicinissima Valle d’Aosta. Le montagne sono costellate di storie curiose.

La sera, di rientro dopo un incontro fra autori e col pubblico al centro visitatori I coltivi e l’uomo del PNGP, rivedo il doppio abete rosso e parcheggio un centinaio di metri più a valle, lungo la strada per Valprato. L’albero cresce a poche spanne dal muro che contingenta la strada, per raggiungerlo bisogna scendere nel boschetto che occupa una striscia di terra fra la strada ed il corso del torrente. In una curva troverete l’inizio involontario di un sentiero che cala in un prato, lo attraverserete e arriverete alla base della conifera, un vero sovrano resinoso dell’arco alpino. Oramai orfani dell’Avez del Prinzipe che troneggiava nelle malghe di Lavarone, in Trentino, da anni siamo in cerca dei degni sostituti. Se per quanto riguarda i larici e i pini cembri gli alberi monumentali sono ben noti, per quanto riguarda gli abeti siamo ancora incerti. E questo, a mia esperienza, a mio modesto modo di vedere, potrebbe diventare un albero da venire a visitare. Il Grande Abete della Val Soana? Il Re della Val Soana?

Anzitutto le misure: la base è muscolare, un tronco spesso, vasto, integro, poggiato su un sasso e cresciuto per almeno due metri dritto, la base è monumentale, senza dubbio. Data la sua posizione particolare misurarla non è facile, sarebbe meglio essere almeno in due e avere la livella metrica, ma sono qui, senza nulla, nelle tasche trovo una corda che avevo usato per altro e cerco di arrampicarmi sul tronco dalla parte che volge al muro della strada, e qui individuo il circa 130 cm da terra – l’altezza standard per misurare la circonferenza di un albero, lo abbiamo già detto tante altre volte – e giro intorno ottenendo tre misure di questa corda. Immagino sia lunga circa un metro e mezzo, il che vorrebbe dire almeno 450 cm. Con una spanna in più. A casa invece scopro che la corda misura 190 cm, quindi la circonferenza del tronco ben oltre i due metri di altezza, visto lo scalino che c’è fra la sua base dalla parte del ruscello e quella dalla parte opposta, raggiunge i 570 cm, dato che andrà verificato in maniera certamente più stabile e adeguata. A naso, a memoria, non ricordo abeti con circonferenze del tronco pari a queste, di certo non in Piemonte e nemmeno in Valle d’Aosta, l’Avez misurava 560 cm di circonferenza del tronco, per 54 metri di altezza e aveva un’età stimata in 250 anni. Tra gli altri abeti giganti che ho visitato in Italia ricordo il re dell’Abetone, 485 cm di tronco per 42 metri in altezza.

La base è muschiata, le ramificazioni fitte dalla parte del bosco, una doppia spina dorsale che cresce sfuggendo alla forza di gravità. Nell’elenco degli alberi monumentali della Regione Piemonte quanto del Ministero non ne trovo traccia, nel sito di Piemonte Outdoor c’è una scheda dedicata ad un altro bel peccio (Picea abies), radicato lungo un sentiero che da Valprato sale alla borgata Andorina, ma è un monocormico – un unico tronco – e la sua circonferenza è ben minore, sebbene di tutto rispetto, 335 cm.
E così, dopo un paio di mesi di tregua, il mio corpo è nuovamente attraversata da quel nugolo di fremiti che ho scherzosamente chiamato Delirium arboreum, dal lat. delirium, delirio, passione o desiderio ardente, e arbor, albero e arboreus, arboreo, relativo ad un albero, ovvero quel caleidoscopio di forti emozioni che si sprigionano incontrando un grande albero monumentale o perlustrando una foresta annosa. Amici cercatori di alberi, dendrosofi e arbonauti, in Val Soana c’è una delle vostre prossime mete.

(articolo pubblicato grazie alla segnalazione di Serge Maugino)
tratto “la Repubblica”

Tiziano Fratus vive in una casa davanti a un bosco. È autore di molti libri e medita.
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