Il sesto gusto, il sapore dell’acqua – Il pesco. – La panchina del parco. – Il desiderio. – Per gli Alpini nulla è impossibile! – Dal gonfalone genovese all’Union Jack. – Palvese e balestriere. – Donazioni sangue agosto in Canavese, Fidas Zona… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il sesto gusto, il sapore dell’acqua
L’acqua è un bene prezioso per tutte le persone, è parte della nostra

alimentazione quotidiana, fa bene alla salutein quanto è utile per il metabolismo e non contiene calorie, ed dicono che sia una buona abitudine di berne almeno 1,5-2 litri al giorno. In Italia siamo i più grandi consumatori di acqua minerale al mondo, circa 224 litri a testa all’anno. Se parliamo dell’aqua diciamo che è insapore, ma in realtà l’acqua è solo più tenue ed delicato rispetto alle altre bevande dolci come le bibite o i succhi di frutta. Fino dall’antichità i filosofi hanno affermato che l’acqua non ha sapore. Eppure insetti e anfibi hanno cellule nervose sensibili all’acqua e, ci sono prove che cellule simili siano presenti anche nei mammiferi. Inoltre, secondo recenti studi, scansioni del cervello umano suggeriscono che esista una zona della corteccia cerebrale che risponda specificatamente all’acqua. I critici, però, sostengono che il presunto gusto di questo liquido sia solo il risultato di quello che si mangia prima. Ad esempio l’acqua sembra più dolce dopo aver mangiato qualcosa di salato. Secondo esperimenti compiuti, l’acqua fa attivare in modo molto intenso gli stessi recettori del sapore aspro. Una possibile spiegazione potrebbe essere che l’acqua lavando via la saliva, modifica il livello di acidità PH delle cellule e le fa attivare più facilmente. Possiamo dire allora che l’acqua ha un sapore unico che si differenzia dal dolce, salato, amaro e aspro, il sesto gusto! Anche se incolore, limpida e inodore sono note di pregio dell’acqua, il gusto varia in base ai minerali presenti, e al tipo di bollicina, non solo per la sensazione tattile sulla lingua, e la consistenza in bocca, ma anche perché l’anidride carbonica ha un rimando acidulo. Le acque minerali, invece, possono avere più o meno gusto, in base alla concentrazione dei Sali minerali contenuti. Quindi, partendo dal presupposto che l’acqua abbia un suo gusto particolare le cque molto ricche di Sali minerali sono molto saporite e secondo gli esperti si si sposano bene con piatti di pesce e frutti di mare, ma anche con formaggiimportanti o stagionati, come il grana, il pecorino sardo, il gorgonzola. Le oligominerali, che contengono pochi sali minerali, hanno invece un sapore più delicato, che si accompagna bene con vari tipi di pasta e con tutte le verdure. Infine, quelle povere di minerali, cioè molto leggere, solitamente provengono da sorgenti di alta montagna e vanno a nozze con tutti gli insaccati e con la maggior parte dei dolci. E si l’acqua è dappertutto, una patata è costituita da acqua all’80 per cento, una mucca al 74, un batterio al 15.2 Un pomodoro, con il suo 95 per cento, è poco più che acqua. Ogni essere umano è costituito per il 65 per cento da acqua, il che ci fa più liquidi che solidi, con un rapporto di quasi due a uno. L’acqua è in natura la cosa più bella, l’acqua limpida delle sorgenti, l’acqua trasparente dei ruscelli, l’acqua che colma l’anfora e trabocca, l’acqua che si raccoglie nel palmo della mano e si porta alle labbra per dissetarle quando il giorno finisce e purtroppo non apprezziamo il valore dell’acqua finché ne abbiamo in abbondanza.
Favria,  20.07.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. La felicità spesso si insinua attraverso una porta che non sapevo di aver lasciato aperta. Felice martedì.

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria, VENERDI’ 6 AGOSTO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portate sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Il pesco.

L’albero di pesco è originario della Cina, dove lo si può ritrovare ancora allo stato selvatico. Gli splendidi fiori che produce questo albero sono stati oggetto di poesie, canzoni e quadri celebri. Ma per molti secoli fu erroneamente ritenuto che provenisse dalla Persia dove, invece, giunse solo all’inizio del secondo secolo prima di Cristo, appena prima dell’avanzata dell’esercito romano in quello che rappresenta l’attuale Iran. Moltissime sono le leggende legate a questa pianta. Un’antica leggenda narra che il nome della pianta derivi da “pescare“, questo perché sembra che un pescatore, il quale dopo aver tirato a riva con fatica un grosso pesce, trovò nel suo ventre uno strano e grosso nocciolo, incuriosito decise di piantarlo dinanzi la sua capanna, dopo qualche mese nacque un alberello che nei mesi primaverili si vestì di graziosi fiori dalle sfumature rosee. Il primo frutto che ne derivò fu chiamato pesca, in omaggio della sua provenienza. La storia di questa pianta è molto antica, addirittura nell’antico Egitto era una pianta che produceva frutti sacri ad Aprpocrate il dio del silenzio e dei bambini, ma fu grazie ad Alessandro Magno che nel I secolo d.C. arrivò a Roma, l’imperatore se ne innamorò, per lo splendore dei colori dei suoi fiori e per la bontà dei suoi frutti, quando lo vide per la prima volta in Persia. Per la produzione, il primato va agli Stati Uniti, seguiti dall’Italia, Spagna, Grecia, Cina e Francia. In Italia i primi pescheti risalgono agli inizi dell’ottocento. Una curiosità nella mitologia cinese il pesco è il simbolo dell’immortalità, perché, in Cina, si crede che nutrendosi del frutto di questo albero, questo preservi il corpo dalla corruzione. Le credenze non tralasciano nemmeno il legno della pianta di pesco, questo, lavorato in forma di spada, è usato dai monaci per effettuare gli esorcismi e gli oggetti d’arredo scolpiti in legno di pesco, oltre alla funzione decorativa, assumono una funzione di protezione della famiglia, della casa, dai pericoli della vita e dai fantasmi.

Favria, 21.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. A volte la vita certi giorni mi impone di cercare arcobaleni dentro i temporali. Felice mercoledì.

La panchina del parco.

Nel parco vicino a casa c’è una panchina che è una panchina per tutte le stagioni della vita. Le panchine custodiscono migliaia di storie meravigliose, ricordi di mani che si cercano, promesse mai mantenute, baci improvvisi. Tutti ne abbiamo una sulla quale il cuore è ancora seduto. La  panchina usata dagli studenti prima di entrare a scuola. La panchina durante la giornata  viene usata per leggere libri e per sognare. Questa panchina in un giorno d’estate, domenica pomeriggio era occupata da un vecchio alpino, perché l’Estate si parla anche di vecchi e di panchine… non solo di vacanze e viaggi. Gli anziani  vivono con lentezza la vita e, se per i giovani la  lentezza è un momento di relax, un piccolo regalo, per un vecio a volte la lentezza è un handicap, una disabilità, un ingombro alla libertà che ne  limita i movimenti. Lo scorgo da lontano e penso a cosa potrebbe pensare, medita trovando il tempo di soffermarsi pensare o si  lascia vivere e prende le cose come vengono? O invece è solo arrabbiato con la vita? Mi avvicino e lo saluto e lui mi accoglie con un grande sorriso, quei sorrisi divenuti rarissimi con le mascherine, sorrisi dove traspare tutta la genuina umanità. Mi avvicino e mi fa segno di sedermi, ed inizia a parlare. Ecco che i sui pensieri escono dal suo animo attraverso le parole, piccole pillole di saggezza da  centellinare e assaporare. Nel suo discorrere mi parla della Seconda Guerra Mondiale, della naja  e della dolorosa esperienza del rientro a casa dopo l’otto sembre del 1943. La sua fuga in montagna, della paura e della fame patita. Mi racconta che i suoi figli sono al mare, e a lui  non interessano più le spiagge affollate o le faticose montagne, “stanno bene a casa loro”, non importa se sono senza condizionatore e se l’unico amico alla sera è una televisione accesa, ma il tempo fugge e poi ci dobbiamo accomiatare. Ma il tempo è tanto a volte, forse troppo per un vecchio e fa caldo. Nel salutarmi mi augura ogni bene e di lui  mi dice io la mia vita l’ho già vissuta ! questo incontro mi ha ricordato una frase si Seneca: “… i giorni del tempo passato accorreranno a noi tutti insieme quando li chiameremo e si lasceranno esaminare e trattenere a tuo arbitrio… È proprio di una mente sicura di sé e quieta l’andar di qua e di là per tutte le parti della sua vita, mentre gli animi delle persone indaffarate non possono né rivoltarsi né guardare indietro, quasi si trovassero sotto il giogo…”. Oggi su questa panchina si contempla dunque lo spettacolo del mondo, si guarda senza essere visti e ci si dà il tempo di perdere il tempo, come leggere un romanzo.

Grazie di avermi letto

Favria, 22.07.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Siamo noi a dipingere il quadro della nostra vita, scegliendo i colori delle nostre decisioni, giuste o sbagliate che siano. Felice giovedì.

Il desiderio.

Serata estiva, ed osservo le stelle nel silenzio della notte che non trovo, oscurate dalle nuvole. Questa è l’ora dove  i desideri della giornata escono dal profondo dell’animo per emergere nell’animo prima di sparire nei sogni notturni. Già i desideri, secondo la terminologia del vocabolario: “sentimento di ricerca appassionata o di attesa del possesso, del conseguimento o dell’attuazione di quanto è sentito confacente alle proprie esigenze o ai propri gusti”. Certo tutti  sappiamo che cos’è un desiderio, anche se definirlo con precisione non è impresa facile, per la varietà di sfumature che racchiude questa affascinante parola che deriva dal latino de-sidera, mancanza, de, di stelle, sidera, da sidus, sideris. Il desiderio è simile allora a questa notte estiva, con il cielo coperto, insomma la  mancanza delle stelle, cioè dei segni augurali. Il desiderio è allora lo struggimento  di quello che ci manca, per gli antichi non avere dei buoni presagi, le stelle. La cosa curiosa è che il verbo  desiderare ha un suo equivalente in considerare, che significa esaminare, guardare attentamente, tenere in conto, riflettere, reputare: la derivazione è molto simile, qui sidera è abbinato a cum, che porta il significato di osservare gli astri, al fine di trarre auspici insieme a loro e la corrispondenza si ferma qui. Il desiderio è un sentimento umano, intimo e personale. Siamo tutti abitati  dal desiderio, posseduti dal desiderio che ci domina, sta a noi non farci dominare dai nostri desideri. Certo il desiderio  è sentimento complesso a più suoni e livelli nel nostro animo. Possiamo desiderare cose buone ma anche cattive accecati dall’invidia. Bisogna stare attenti. Il desiderio è allora lo struggimento di quello che ci manca, per gli antichi non avere dei buoni presagi, le stelle.  Il  desiderio  è sentimento complesso a più suoni e livelli nel nostro animo. Possiamo desiderare cose buone ma anche cattive accecati dall’invidia. Bisogna stare attenti certi desideri se troppo nutriti dal nostro animo diventano dei voraci cormorani e ci rendono schiavi del desiderio. Ma allora per essere felici, il desiderio va coltivato o va annullato? In altri termini si desidera perché si è distaccati dalla vera sorgente del nostro essere, le stelle quale metafora di tutto. Se desiderare significa percepire la mancanza di stelle,  quindi, per estensione, il verbo desiderare ha assunto anche il significato oggi di ricerca appassionata. Ma se smetto di desiderare, cosa ne sarebbe di me? Se peregrinando tra pensieri e azioni, guardando la volta celeste, senza scorgere stelle, non mi sentissi pervaso da un senso di vuoto perché ciò di cui ho bisogno è comunque in me è già  contenuto, ne sarei felice? La risposta è no. Ritengo che se nella vita non ho desideri  di  allegria, amici, conoscenza, interessi, passioni mi sentirei con l’animo assiderato, lemma dal latino medievale assiderare,  dal latino sideratus, colpito dall’influsso maligno di un astro. I desideri se ben addomesticati, senza lasciarci governare da loro ci rendono più umani e scaldano l’animo. Senza desideri la vita sarebbe un disastro, lemma dal latino  astro, stella e dis peggiorativo. Buona serata e mi raccomando evitiamo desideri sconsiderati. Soltanto se come esseri umani sappiamo affrontare la lunga notte possiamo scoprire l’esistenza delle stelle. Le stelle sono le stesse di notte, ma non tutti sappiamo guardarle allo stesso modo. Mi commiato augurando la buona notte e ricordando che  per essere felici ci basta: un pugno di stelle, una manciata di sogni… e una magia in cui credere.

Favria, 23.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. I giorni migliori non sono quelli in cui va tutto bene, ma quelli che ti insegnano a vivere. Felice venerdì.

Per gli Alpini nulla è impossibile!

Mi sono trovato nelle mie escursioni estive davanti  un monumento degli alpini, posto nel santuario Belmonte faro di fede Mariana nel Canavese. Monumento che nella sua vetusta belligeranza dei due cannoni posizionati d’intorno mi porta a riflettere che sono oramai decenni che non esiste più l’esercito regolare e la leva militare: e sarebbe naturale attendersi un lento e inesorabile oblio di quanto ne può alimentare il ricordo, ivi comprese le mitiche penne nere. Ed invece parlando che le persone, avverto una piacevole sensazione, come nell’immaginario collettivo rimane sempre presente, nonostante l’incedere inarrestabile del tempo che cerca di erodere identità e radicamento a luoghi, a persone, una sincera ammirazione per gli Alpini, per il loro vissuto che si fa storia e per la loro presenza nel presente per costruire il futuro. Evviva gli alpini che con la loro capacità di essere corpo,  con il loro esempio, di tenere sempre verdi una memoria ed una tradizione. Gli Alpini rappresentano e rievocano il passato di molte nostre famiglie, ci ricordano i volti di padri, nonni che con la loro capace  e sincera caparbietà nella sofferenza per un futuro migliore hanno oggi generato questa cifra umana di unione, un tesoro per tutti noi nel quotidiano che genera la cifra di un’umana solidarietà. Insomma gli Alpini ci hanno trasmesso la convinzione che ogni giorno possiamo cadere ma se abbiamo fiducia in noi stessi possiamo farcela. Ecco oggi più che mai abbiamo bisogno della speranza e fiducia degli Alpini in noi tutti per potercela nonostante la pandemia. Gli alpini con i loro valori  ci ricordano che solo buttando il cuore oltre l’ostacolo siamo più forte di ogni avversità. Solo  se  ritroviamo il senso dell’appartenenza ad una unica Italia, con umiltà, altruismo  con il coraggio e abnegazione quotidiana nelle piccole cose di ogni giorno, i valori Alpini,  riusciremo a fare ripartire il BelPaese.

W gli Alpini con il loro valori, per loro nulla è impossibile !

Favria,  24.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Può sembrare triste, sbagliato, assurdo, ridicolo, folle, perfetto, meravigliosamente giusto, ma pochi attimi possono travolgere, stravolgere e ribaltare una vita intera. Felice sabato

Dal gonfalone genovese all’Union Jack.

San Giorgio non è il patrono di Genova, ma con la storia e i simboli della Superba è strettamente collegato, da questa città un gonfalone con il simbolo del Santo ha fatto il giro d’Europa, soprattutto nel medioevo.  Già nel 700 d. C. era presente in città una guarnigione di soldati bizantini che aveva il compito di mantenere le coste libere da scorrerie dei saraceni, così chiamati i pirati mussulmani del periodo. Questi soldati erano così ben integrati e accetti nel tessuto sociale cittadino che, quando portavano in processione lo stendardo di San Giorgio nell’omonima chiesa, a loro si univa spontaneamente la popolazione. Venerati quindi, da tempi remoti, S. Giorgio e la sua Croce, il cui utilizzo è già attestato dal 1096 divennero, dopo la prima crociata cui partecipò anche Genova divenne simbolo ufficiale della nascente  Repubblica. Nel  1190  1190 Riccardo Cuor di Leone, sovrano d’Inghilterra, chiese ai genovesi navi, marinai, ammiragli e scorte per trasportare il suo esercito a Gerusalemme e durante la traversata si accorse che i pirati se ne stavano ben alla larga. Incuriosito ne chiese il motivo all’Ammiraglio Lercari comandante della spedizione, il quale disse  indicando la Croce di San Giorgio che tutti sanno che chi osa attaccar battaglia contro un legno,  difeso da questa insegna, incorrerà in morte certa. Allora le galee genovesi erano difese dai rinomati Balestrieri, e per questo incutevano rispetto e terrore in tutti i mari. Il Re chiese che da allora  versando un tributo annuale anche le navi inglesi nel Mediterraneo e nel Mar Nero issare la croce di S. Giorgio, in modo che nessuno osasse attaccar briga. Successivamente gli inglesi estesero l’uso della bandiera nella marina militare. Ancora oggi l’Inghilterra, la città di Londra e la Royal Navy  issano tutt’oggi la bandiera di San Giorgio ed è la loro bandiera nazionale. La bandiera britannica, Union Jack o Union Flag, è invece la sovrapposizione della croce di San Giorgio con quelle scozzese di S. Andrea, croce bianca decussata, cioè a forma di “x” in campo blu e irlandese di San Patrizio, croce rossa decussata in campo bianco.  Il famoso arazzo di Bayeux 1070-1080 d.C. che rappresenta gli inglesi nella  battaglia di Hastings del 1066, rappresenta i normanni che usavano ben prima del 1090 la bandiera con croce rossa in campo bianco denominata a quel tempo di San Pietro e solo successivamente di San Giorgio. Infine anche sulla sterlina d’oro sul retro  l’artista italiano Benedetto Pistrucci incise l’immagine di S. Giorgio che uccide il drago, questa immagine infatti, è stata riprodotta per secoli fino ai giorni nostri, sebbene nel tempo abbia subito qualche piccola modifica stilistica.

Favria,  25.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. È di notte che è bello credere nella luce. Felice domenica.

Palvese e balestriere.

Il palvese era una specie di grande scudo in grado di poter coprire uno o anche due uomini dalla testa ai piedi. I pavesi erano fatti con intreccio di vimini coperti all’esterno di pelle, o composti di listerelle di legno, frequentemente coperti all’esterno di pelle, bordati di ferro nella parte superiore per resistere ai colpi di fendente, e in quella inferiore perché non si guastassero sul terreno; vi erano dipinti lo stemma del comune o del principe, figure emblematiche o santi protettori delle compagnie e simili. La loro forma solita era quadrilunga con angoli smussati; talvolta però la parte superiore era sagomata. Il nome pavese più esatto palvese detto in francese parvois, parvart e anche tailevas, spagnolo pavez, in tedesco setzchild e in inglese large-size shild, secondo alcuni il nome pavesederiverebbe da Pavia, dove sarebbe stato inventato, o piuttosto rimesso in uso e venne anche chiamato targone, tavola e tavolaccio.  Se lo scudo era piccolo, che copriva solo metà di una persona veniva detto targa.  I pavesi o palvesi si svilupparono in Toscana intorno agli anni del Duecento, poi dalla Toscana si diffusero prima nel Mezzogiorno d’Italia, ed in seguito, tramite Bologna, Genova, Venezia,  verso il 1330 il loro uso è documentato nel Nord Italia per poi affermarsi nel resto d’Europa. In origine i pavesi erano di legno, molto pesanti, con copertura esterna di tela, gesso, e anche in metallo mentre internamente erano foderati di pelle. Qualche volta avevano una feritoia, oppure erano accoppiati a cerniera.  I pavesi italiani erano sempre realizzati in legno ed erano ricoperti di cuoio, prodotti in diverse dimensioni, potevano essere alti anche 180 cm ed erano di forma rettangolare ed inarcata, utilizzati anche dalla fanteria pesante insieme alla lancia, ma, a partire dal secondo decennio del Quattrocento, conobbero una progressiva decadenza, tanto che, progressivamente, cessò la loro produzione. La tattica di coppia del tiratore e del difensore o portatore di pavese, detto appunto pavesaio, palvesaio, o palvesario, è frequente nel Medioevo e si trovano frequentissime menzioni dell’arma difensiva in sé e del modo d’impiegarla, tanto in battaglia quanto negli assedî e negli assalti delle brecce. I palvesariaccompagnavano i balestrieri ponendo i pavesi col lato inferiore a terra e dinnanzi a quelli, che in tal modo potevano tirare dal coperto. Questa forma di trinceramento mobile si diceva pavesata. Talvolta però i balestrieri e arcieri non avevano i palvesari in accompagnamento, ma si coprivano ugualmente col pavese che portavano appeso al dorso con una correggia detta guiggia. La parola guiggia deriva dal francese guige di origine franca, ed era una striscia di cuoio sia per allacciare i sandali e anche la  striscia di cuoio che serviva d’imbracciatura allo scudo. Gli armigeri giunti sul luogo della lotta lo fissavano a terra assicurandolo con la guiggia a un paletto che portavano con sé, o a una picca; e per favorire questa disposizione i pavesi avevano nel mezzo e lungo le generatrici verticali una profonda incavatura. In sostanza il pavese era un’arma difensiva per uomini a piedi. Per il fatto che esso aveva dimensioni notevoli e che si prestava a ricevere buone decorazioni, fu frequentemente dipinto con imprese di nobili o di comuni che avevano assoldato la milizia. Pare anche che pavesi speciali, opportunamente ornati, servissero come insegna o distintivo di gruppi di uomini o di squadre. Quando univano più pavesi si costituiva una specie di testuggine, come quella degli antichi legionari romani, per  difendersi dagli spalti della città assediata, questa disposizione era detta pavesata fu spesso usata anche sulle navi dove i parapetti di bordo potevano essere riparati dai pavesi per difendere le genti sul ponte dai proiettili nemici. E poiché, come si è detto, i pavesi erano in generale vivacemente dipinti con armi e imprese, esposizioni di questo genere furono fatte anche a scopo di ornamento e pavesatefurono dette, come anche oggi pavese o gran pavese, le gale di bandiere tese sull’attrezzatura della nave in occasione di cerimonie o riviste. Già allora come si vede anche nella guerra per vincere si lavorava in coppia, perché il lavoro di squadra divide i compiti e moltiplica il successo.

Favria, 26.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. L’arte della vita è quella di saper essere imperfetti, fragili e umili. C’è poco da fare, quella è un’arte innata. Diciamo la verità: è un capolavoro di pochi.

Felice lunedì.

Donazioni sangue agosto in  Canavese,  Fidas Zona  2.

Front, domenica 1

Montanaro, lunedì 2

Rivarolo, lunedì 2

Favria, venerdì 6

Ciriè, sabato 7

Montanaro sabato 7

Valperga, lunedì 9

Rivarolo, venerdì 20

Pont c.se, mercoledì 18 autoemoteca a Frassinetto

Ciriè, domenica 22

Favria, mercoledì 25

Rivara, mercoledì  25

Aglie’  331-3539783

Barbania / Front  347-9033496

Bosconero 011-9889011 e 338-7666088

Cirie’   340-7037457

Corio   348-7987945

Favria   333-1714827

Feletto  339-1417632

Forno Canavese _ 338-8946068

Levone  340-0675250

Locana  349-6623516

Lombardore / Rivarossa   333-3310893

Montanaro  377-7080944

Ozegna, 334.7717626 

Pont  333-8937412

Rivara  339-6339884

Rivarolo Canavese  348-9308675 e 347-4127317

San Giusto Canavese   377-1213021

Valperga / Salassa / Pertusio  347-5821598

Varisella / Vallo  333-9584743 

Favria,  27.07.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita non finisce oggi e nemmeno domani, la vita è ogni giorno, e bisogna preservarla e averne cura. Felice martedì.