La casa dell’invidia. – L’Unitre di Cuorgnè riparte con i corsi anno 2022 – 2023. – Larva convivialis. – Scomparso. – Ottobre – Sognando California. – Atlante… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

La casa dell’invidia Molto efficace la descrizione dell’Invidia nelle “Metamorfosi” di Ovidio, al

secondo libro. L’episodio è quello di Minerva che va da lei per darle un incarico : “Subito si reca alla casa dell’Invidia, squallida e gocciolante di nero marciume. E’ una casa nascosta in fondo a una valle, una casa senza mai sole, dove non arriva mai un soffio di vento, triste e zeppa di gelo e di torpore, dove il fuoco manca sempre, sempre abbonda la caligine. Come giunge, la temibile vergine guerriera si ferma davanti alla porta (non le è infatti permesso entrare in quella casa) e bussa con la punta della lancia. La porta, così scossa, si apre. E dentro vede l’Invidia che mangia carne di vipera, con la quale alimenta il proprio vizio, e a quella vista distoglie lo sguardo. Ma quella si alza pigramente da terra, lasciando i brandelli di serpenti semirosicati, e con passo fiacco viene avanti, e come vede la dea tutta bella e adorna di armi, manda un gemito e contrae la faccia per emettere un sospiro. Il pallore le sta steso sul volto, macilenta in tutto il corpo, mai uno sguardo diritto, ha i denti lividi e guasti, il petto verde di fiele, sulla lingua una patina di veleno. Mai un riso, se non suscitato dalla vista del dolore, e neppure conosce il beneficio del sonno, sempre agitata com’è da pensieri che la tengono desta; con dispiacere vede i successi della gente, e al vederli si strugge, e rode gli altri e insieme rode se stessa, e questo è il suo tormento. Pur provando ribrezzo, Minerva, la dea del Tritone, le rivolge queste brevi parole : “Infetta del tuo veleno una delle figlie di Cèrope. Bisogna così. Si tratta di Aglauro”. Non aggiunge altro, e dandosi una spinta con la lancia, si stacca da terra e vola via. Quella, vedendo, con uno sguardo di sbieco, fuggire la dea, borbotta qualcosa, addolorata perchè dovrà accontentarla. Poi prende il suo bastone, tutto fasciato di rami spinosi, e nascosta da una nuvola fosca ovunque passa calpesta i campi in fiore, brucia le erbe, strappa le cime delle piante, e col suo fiato appesta la gente, le case e le città, e alla fine giunge in vista della rocca di Atene”
In un breve giro di versi, Ovidio traccia un compendio esaustivo dell’invidia roma­na e un identikit preciso della fisionomia dell’invidio­so. Vale la pena dunque soffermarsi sulla descrizione della dimora e della dea che la abita, tanto dettagliata e raccapricciante al punto che anche la coraggiosa Minerva ne resta impressionata. Il primo dato che emerge è che la casa di Invidia è nascosta in fondo a una valle, proprio come nascosto è il sentimento invidioso. L’invidia è infatti un tabù, anche nell’antica Roma, attorno a essa l’ostracismo e la condanna sociale sono così unanimi, almeno a parole, da rendere necessario il suo occultamento. L’accusa di invidia va respinta anche di fronte all’evidenza e in ogni caso il vizio va nobilitato e adulterato sotto altre vesti, camuffandolo, ad esempio, da sdegno o indignazione verso i privilegi immeritati del prossimo. Del resto anche oggi resta più facile confessare ben altri vizi e difetti piuttosto che questo.

Favria,  27.01.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana i cattivi pensieri  sono come i pipistrelli fra gli altri uccelli: volano nel crepuscolo. Felice  martedì.

L’Unitre di Cuorgnè riparte con i corsi anno 2022 – 2023

L’Unitre Cuorgnè è una realtà socioculturale universitaria di volontariato costituente un centro di aggregazione e di formazione permanente per persone di tutte le età, senza distinzione di condizione sociale, di cultura, di nazionalità, di convinzioni politiche e religiose.
L’Unitre è l’università per tutte le età per un vero incontro generazionale,  sono infatti presenti insieme giovani e meno giovani per un incontro di scambio tra generazioni che favorisca la crescita di cultura e di spirito critico in tutte le età, secondo la proposta dei ricchi percorsi proposti per l’anno accademico 2022- 2023 con ben  32 corsi presso la ex Chiesa della Santissima Trinità, iscrizioni tutti i mercoledì delle conferenze ore 14,30/25,30, oltre a corsi di ginnastica, inglese, canto corale. Disegno supporto per uso Smartphone, amici della lettura e fotografare. Poi si terranno gite e passeggiate o nuove iniziative  che saranno comunicate durante le conferenze  del mercoledì e attraverso whatsapp.

Cosa aspettate da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere conosciuto e la strada che porta alla conoscenza è una strada che passa per dei buoni incontri con L’Unitre di Cuorgnè

Conferenza inaugurale mercoledì  12 ottobre ore15,30 ex Chiesa SS Trinità- via Milite Ignoto a Cuorgnè dal titolo “… Cerea  neh…”presenta Giorgio Cortese.

Per informazioni   contattare la Direttrice dei corsi  Maria Calvi di Coenzo tel 3473617703

Cuorgnè,   28.09.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. La cattiveria è degli sciocchi, persone meschine che non hanno capito che non vivranno in eterno. Felice mercoledì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  MERCOLEDI’ 12 OTTOBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Larva convivialis.

Durante i simposi degli  antichi romani diventò consuetudine mostrare un piccolo
scheletro. Era detto larva convivialis era un piccolo scheletro snodabile, in effetti, in latino, la parola larva alludeva a un fantasma, a una maschera terrificante oppure a uno scheletro. La larva partecipava in modo assai singolare ai sontuosi banchetti romani; realizzato in bronzo o, ancor più prezioso, in argento, aveva la funzione di “memento mori”, ricordati che devi morire, un classico monito epicureo, la filosofia epicurea nel I sec. d.C. andava molto di moda nelle classi alte della società romana, ed era condotto a tavola dalla servitù, dopo che i commensali si erano sollazzati con pietanze strepitose e si erano “rifatti gli occhi”, guardando il lussuoso arredamento della sala da pranzo. Un esempio illuminante di come la larva convivialis fosse introdotta a mensa si riscontra in un passo del “Satyricon” di Petronio, scrittore e politico romano del I secolo, quando l’autore racconta con toni vivaci una luculliana cena a casa del liberto (persona in precedenza schiavizzata che è stata liberata dalla condizione di schiavitù) Gaio Pompeo Trimalcione Mecenaziano, un personaggio inventato, una sorta di parvenu ante litteram, dalla vita avventurosa. Petronio nel Satyricon, descrivendo la cena di Trimalcione, ricorda l’usanza: “Mentre stavamo bevendo e ammirando con grandissima attenzione quel lusso, un servo portò uno scheletro d’argento costruito in modo che le articolazioni e le vertebre snodate si potessero piegare in ogni parte”. Lo gettò più d’una volta sulla tavola per ricordare quel che saremo, invitando ad approfittare dei  piaceri del momento.  Lo scheletro “conviviale” ha origini ellenistiche – un mosaico del III secolo a.C., che raffigura uno scheletro sdraiato che gusta pane e vino è stato scoperto ad Antiochia (Turchia meridionale) – ed è stato reinterpretato molte volte nel tempo: sotto forma di scultura, in diversi mosaici e persino in alcune coppe destinate ai banchetti. Pare che l’usanza era più antica e nacque nell’Egitto faraonico.  Erodoto nelle Storie testimonia che finito di mangiare, un uomo porta in giro una statua di legno in una bara, scolpita e dipinta in modo da imitare alla perfezione un cadavere, lunga uno o due cubiti; e mostrandola a ciascuno dei convitati. Lo schiavo diceva di guardarlo e bere e divertirsi perché da   morto sarai così. Non si deve dimenticare,  ricordando le nostre misure,  che un cubito reale egizio era una venti na di millimetri più del mezzo  metro; quello greco-egizio, invece, corrispondeva a quattro decimetri e mezzo abbondanti. Vale la pena riflettere su una scritta incisa in delle coppe di epoca ellenistica: “Godi finché vivi, poiché il domani è incerto. La vita è una commedia, il godimento è il bene supremo, la voluttà il tesoro più prezioso: sii lieto, finché sei in vita.” Questa citazione  richiama  alla memoria una celebre frase pronunciata secoli dopo da un illustre mecenate fiorentino.

Favria, 29.09.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno troviamo la speranza negli occhi dei miei simili. Felice  giovedì.

Scomparso.

Quel mattino a colazione, il “Conte” Mario Fantozzi. Si avete letto bene il ragionier Fantozzi, come il suo omonimo famoso personaggio di Paolo Selvaggio, si faceva chiamare “Conte”. Perché la sua famiglia nonostante l’Italia fosse repubblicana si professava monarchica e dava la colpa al referendum con i democristiani che si erano venduti ai socialisti.

Come dicevo quella mattina il ragionier Mario Fantozzi, e chissà quanto sarcasmo aveva dovuto subire sul lavoro, con un cognome e diploma che ricordava la famosa caricatura già accennata prima, esordì dicendo che era scomparso e deve saltare fuori? La moglie Lodovica e i figli Maria e Francesco rimasero allibiti a come aveva esordito il padre, ma era abituati alle sue sfuriate, adesso che era in pensione, a volte senza senso.

Fantozzi riprese la parola e disse: “Era del 1925, una grande perdita, a tre anni dal centenario”.

Poi dopo colazione Mario andò nell’orto vicino a casa, suo passatempo da pensionato a combattere la sua guerra contro le erbe infestanti la portulaca, e piantaggine.

Nel frattempo la moglie sull’uscio di casa parlava con la famiglia Luciano e Ornella Derossi che andavo al mercato che in quel ridente paese cadeva di martedì.

I due coniugi passavano davanti all’orto e chiesero a Mario come andava e lui di rimando preso sempre dai suoi pensieri “È scomparso, era del 1925!” e poi riprese a togliere erbe infestanti a testa bassa con il cappello di paglia in testa a larghi bordi.

Più avanti Ornella Derossi trovò la signora Luisa, alla quale comunicò la perdita da parte del rag. Mario Fantozzi di una cara persona del 1925.

Nel frattempo Mario faceva mente locale dove poteva averlo perso, o meglio chi poteva averlo trafugato, appurato che in casa entrano poche persone e che nei gialli il colpevole è sempre il maggiordomo, ma lui non aveva né maggiordomo e cameriera.

Gli unici estranei che frequentavano casa sua e avevano delle chiavi erano la coppia Duestelvo, che veniva saltuariamente ad aiutare sua moglie Ludovica e lui per certi lavori pesanti.

Erano gli unici che aveva una coppia di chiavi, ma la sua domanda rimbalzava nella sua mente: “Perché proprio quello del 1925?”

La notizia della perdita di una “persona” del 1925 arrivò alle orecchie del Sindaco, il paese era piccolo e la gente mormora. Il Sindaco Ognibene, arrivo di corsa, tutto trafelato come suo solito, e gli disse salutandolo, con voce grave “Caro Mario condoglianze, la morte di Tuo zio del 1925 è una grande perdita. Mi ricordo bene di Giorgio il fratello della Tua compianta mamma, lavorava con me giù in città, una grande brava persona”.

Mario rimase trafelato: “mio zio è morto? No! Com’è successo? Mi ha telefonato ieri sera e stava bene, doveva oggi venirmi a trovare…”  e poi si mise a piangere.

Chiamò di corsa la moglie che era in cucina; “Lodovica è morto zio Giorgio, è venuto il signor Sindaco a dirmelo!”

Nel frattempo sull’uscio di casa era arrivato l’anziano parroco in bicicletta don Nino per portare le condoglianze e conforto religioso alla famiglia.

Don Nino esordì: Caro Mario la perdita di una persona cara è nel disegno di Dio, su fatti coraggio!”

Dicono che il destino  è testardo e determinato. Ma d’altra parte il caso ha carattere e follia e talora vince. È anche vero, come si vedrà che a volte, o quasi sempre, la  realtà supera la fantasia perché il caso va oltre ogni immaginazione.

Davanti a casa Fantozzi in via Limoni, al numero civico 7, arrivò un’auto.

Dall’auto scese il cugino Domenico, figlio di Giorgio e vicino a lui Giorgio!

Ma come Giorgio non era morto!

Ludovica svenne dallo spavento, e venne sorretta dai figli anche loro con lo sguardo esterrefatto.

Mario ebbe anche lui un mancamento e venne chiamato l’ambulanza che arrivò celermente  dopo pochi minuti a sirene spiegate versa casa della famiglia Fantozzi.

Mario dopo poco si riprese e abbracciò lo zio, che non capiva ancora cosa era successo,  e piangendo disse: ”Mi avevano detto che eri morto. Meno male che si vivo e stai bene!”

Quel giorno in via dei Limoni al numero civico 7 ci fu un parapiglia con un via vai di amici e di molti curiosi. Del fatto ne parlava tutto il paese e molte persone ormai invadevano tutta la via di fronte alla casa, formando dei capannelli di persone che commentavano l’accaduto.

Più tardi  intervennero le  Forze dell’Ordine, chiamate dal Sindaco, per capire chi aveva divulgato una cosi tragica e falsa notizia, chi era l’ideatore di questo scherzo di cattivo gusto.

Interrogato dalle Forze dell’Ordine, in merito allo scomparso del 1925, Mario disse che era scomparso non una persona ma un libro, l’edizione del Libro Cuore edito da Treves nel 1925.

In questo modo venne chiarito l’equivoco.

Adesso tutti vi domandate del libro scomparso che fine aveva fatto, chi aveva rubato il libro, beh qui non ci sono colpevoli, il libro era stato messo in un altro punto della ricca biblioteca personale di Mario e non era mai uscito dalla stanza.

Favria, 30.09.2022Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita la compassione è la più importante legge dell’umanità. Felice  venerdì.

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 Ottobre

A ottobre il vino nelle doghe. Il tempo può essere ancora bello ma tengo pronto l’ombrello.  Mentre ancora freme nel mio animo quell’eccitazione vacanziera dell’estate con l’idea che il tempo duri senza fine, ecco affacciarsi dirompente l’autunno con le sue piogge malinconiche, con i suoi colori regali, le temperature altalenanti e, inevitabilmente, la ripresa di tutte le routine quotidiane. Il nome ottobre viene dal latino october, derivato di octo, otto. Nel calendario romano, che iniziava a marzo, non erano stati inseriti i mesi di gennaio e febbraio, introdotti in seguito da Numa Pompilio ecco che ottobre risultava essere l’ottavo mese. Il calendario che utilizziamo oggi, detto gregoriano in quanto introdotto da Papa Gregorio XIII, conta dodici mesi e ottobre è il decimo. Durante il regno dell’imperatore Commodo, il nome del mese venne sostituito con Invictus, invincibile, in suo onore. Dopo la sua morte riprese il nome originale. I 31 giorni di ottobre sono il cuore più mite dell’autunno, durante il quale gli alberi si accendono con i colori che vanno dal giallo al rosso, passando per l’arancione.   
Il proverbio “A San Simone, il 28 ottobre, il ventaglio si ripone; a Ognissanti, manicotto e guanti” indica le temperature in genere miti di ottobre, che precedono di poco l’arrivo di un clima più freddo.  Tra le locuzioni legate al sostantivo, si ricordano rimandare a ottobre, nel passato ordinamento scolastico, ‘far sostenere a uno studente esami di riparazione nella sessione cosiddetta autunnale. Poi la  rivoluzione d’ottobre che indica la “Fase della Rivoluzione russa che prende il nome dagli avvenimenti del 25-26 ottobre 1917, secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia, ossia il 7-8 novembre del calendario gregoriano. La Russia ha infatti adottato il calendario gregoriano soltanto nel 1918, subito dopo la vittoria della Rivoluzione bolscevica.

Favria, 1.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Poi l’estate svanisce e passa, e arriva ottobre. Si fiuta l’umidità, si sente una chiarezza insospettabile, un brivido nervoso, una veloce esaltazione, un senso di tristezza e di partenza. Felice sabato.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  MERCOLEDI’ 12 OTTOBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Sognando  California.

Vi ricordate la canzone del 1966 dei Dik Dik  del lontano  1966  quando  proposero un brano dal titolo Sognando California. Nulla di originale. Una sorta di cover, diremmo oggi, che riprendeva un mantra del tempo scritto a ridosso della guerra del Vietnam di cui i Mamas & The Papas, nome emblematico di per sé, ricalcavano la via di un sogno americano in California Dreamin’.

Ma da dove arriva il toponimo California,  così come la lingua radice del termine ci sono diverse versioni. La maggior parte degli  storici ritiene che il nome abbia probabilmente avuto origine da un romanzo del XVI secolo, Las Sergas de Esplandiàn. Questo era un romamzo popolare al tempo dell’esplorazione spagnola del Messico e della Penisola della Bassa California, descrive un’isola immaginaria denominata California, governato da Regilia Califia.

Califia è la  regina guerriera e pagana  immaginaria di questa isola di donne guerriere.  Calafia è convinta di radunare un esercito di donne guerriere e di salpare dalla California con un numeroso stormo di addestrati  grifoni in aiuto dei Mussulmani contro i Cristiani che difendono Costantinopoli. Califia viene sconfitta, fatta prigioniera,  si converte al cristianesimo. Sposa un cugino di Esplandián e torna con il suo esercito in California per ulteriori avventure.

Si pensa  che il termine Califa e poi California sia derivato dall’arabo Khalif e / o Khalifa, ma potrebbe anche essere stato influenzato dal termine “Califerne” nel poema epico francese dell’XI secolo  la Chanson di Roland.

Il libro è stato molto popolare per molti decenni, Hernan Cortès, il conquistatore del Messico, lo aveva sicuramente letto, come Miguel de Cervantes che lo indica come primo libro popolare e dannoso  che devono essere bruciati dai personaggi del suo famoso romanzo Don Chisciotte.

Influenzati da questo romanzo gli esplorati spagnoli per duecento anni credevano che la penisola della California fosse un’isola simile all’isola descritta nel romanzo di de Montalvo. A metter la parola fine a questa leggenda fu niente meno che il Re di Spagna Ferdinando VI: nel 1747 il sovrano spagnolo tramite comunicato reale dichiarò tout court “la California non è un’isola”. Un mito durato duecento anni stroncato da quello che oggi ai nostri occhi non è altro che un tweet. Secondo alcuni studiosi ritengono plausibile che Califerne sia una corruzione del persiano Kar-i-farn, sa un poema mitologico “montagna del paradiso”,  dovev vivevano i grifoni.  Diverse teorie alternative sono state proposte come possibili origini della parola California, ma sono stati tutti respinti, o almeno determinati dagli storici come meno avvincenti del romanzo, Las Sergas de Esplandián. Alcune delle teorie alternative più studiate dicono che California potrebbe derivare  dall’antico spagnolo Calit Fornay, un’alterazione del latino Calida Fornax, significato fornace calda. Questa teoria potrebbe spiegare perché la mappa del 1650 circa dell’Isola della California è scritta in due parole, “Cali Fornia”, per significare un  luogo caldo come una fornace da calce. Secondo altra versione, il toponimo  deriva da Kali forno, che per gli indigeni  significava alta montagna. Tornando alla canzone, ascoltata recentemente per radio  in auto  vi ricordate le parole: “Cielo grigio su cielo grigio su /  foglie gialle giù foglie gialle giù / cerco un po’ di blu cerco un po’ di blu / dove il blu non c’è dove il blu non c’è / Sento solo freddo tanto freddo sai / fuori e dentro me fuori e dentro me / ti sogno California sogno California / e un giorno io verrò…/”.

Il  protagonista sogna la California, metafora di una volontà di cambiare la vita, di fuggire da una solitudine umana e esistenziale, l’attuale malattia delle nostra società dove siamo sempre più connessi con i social ,a semprepiù solitari e non comunichiamo.

Favria, 2.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Se settembre è il mare, ottobre è un libro. Felice domenica.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  MERCOLEDI’ 12 OTTOBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Atlante.

Perché si chiama atlante il libro delle carte geografiche?

Atlante è un personaggio mitologico. Secondo il mito, il titanoe  Atlante,  figlio di Giapeto e della ninfa Climene, decise di sfidare Giove, mettendosi a capo dei titani, per farlo abdicare dal suo trono ma senza ottenere i risultati sperati. I ribelli  titani vennero puniti da  Giove, mentre Atlante il capo dei rivoltosi venne condannato a trasportare sulle spalle e per tutta l’eternità il globo terrestre. Per questa ragione, le prime raccolte a stampa di carte geografiche della fine del Cinquecento, mostravano sulla copertina l’illustrazione di Atlante che teneva sulle spalle il globo terrestre.

Da questo preciso momento, il nome venne associato ed usato come nome comune del libro contenente le cartine geografiche. Il primo atlante sistematico di geografia moderna risale ad Abraham Ortelius che nel lontano 1570, uscì con la pubblicazione “Theatrum orbis”; in seguito Gerado Mercatore pubblicò “Atlas sive cosmographicae mediationes de fabrica mundi“, facendo riferimento ad Atlante che portava il globo terrestre sulle spalle. Gerardo Mercatore riprese gli studi e gli scritti di Tolomeo e nel 1578 raccolse una serie di ventisette carte. Con il passare del tempo, negli anni vennero realizzate altre pubblicazioni. Tra quelle più note, annoveriamo le pubblicazioni di Adol Stieler risalenti al 1817. Oltre all’atlante creato da Adol Stieler dell’Istituto Perthes di Gotha, in seguito ne vennero pubblicati altri, tra cui quello di Andree nel 1881 e il Times Atlas of the world di Debes nel 1895 in lingua tedesca, l’Atlas Universel de Gèografie in francese, di Vivien de Saint-Martin e Schrader nel 1911, l’Oxford Atlas in lingua inglese, l’Atlas Mira in russo nel 1954 ed infine il Gran Atlas Aguilar in spagnolo nel 1969-1970. Nel XX secolo, nel nostro paese, i più noti atlanti furono: “L’Atlante Internazionale” del Touring Club Italiano ed “Il Grande Atlante” dell’Istituto Geografico De Agostini di Novara, di cui ne furono artefici il geografo e sismologo Mario Baratta, insieme al cartografo Luigi Visentin, direttore scientifico di De Agostini.

Favria, 3.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ottobre ha dato una festa dove le foglie sono venute a centinaia, foglie di ogni nome che si srotolano un tappeto, e ogni cosa è grande. Felice lunedì