La verità. – La piemontese acqua di Cologna. – Forza e coraggio, il timo. – La quotidiana palingenesi. – Cenis, Ceneo. – Menabò. – Segnali di fumo…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

La verità impossibile portare la fiaccola della verità in mezzo alla folla senza bruciare qua e

là una barba o una parrucca. “Si dice che la verità trionfa sempre. Ma questa non è una verità”. Amara, ma “vera” questa nota dei Quaderni di Cechov. Eppure c’è sempre una speranza: la verità lascia una traccia ardente nel buio delle falsità. Il suo passaggio scotta qualche pelle anche coriacea, bruciacchia barbe solenni, lambisce capelli agghindati. È, questa, l’immagine che ha usato nel Settecento illuministico e ottimistico lo scienziato tedesco Georg Christoph Lichtenberg in uno dei suoi “calendari” di aforismi. Se nella vita non abbiamo mai avuto reazioni indignate o critiche pesanti, è segno che non abbiamo sempre detto la verità. La nuda veritas oraziana è offensiva. Ma ai nostri giorni si è talmente corazzati che spesso l’unica reazione è quella scettica dell’antico governatore romano di nome Pilato: Quid est veritas?

Favria, 4.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ottobre è un mese perfetto per fare progetti. Nell’aria c’è quella temperatura che matura ogni cosa: le vigne, i colori e i pensieri. Felice martedì.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  MERCOLEDI’ 12 OTTOBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

La piemontese acqua di Cologna.

Forse pochi sanno che l’acqua di Cologna, in francese ed inglese “eau de Cologne”in spagnolo”, agua de Colonia ed in tedesco “Kolnisches Wasser”, noto profumo, consistente in una soluzione alcoolica di olî essenziali: di bergamotto, di lavanda, di garofani, di rosmarino, di origano, di fiori d’arancio, di limone è di origine piemontese, meglio di Domodossola. L’origine dell’acqua di Colonia è legata al nome di Giovanni Maria Farina, nato a Santa Maria Maggiore nel 1685, il quale, stabilitosi a Colonia, vi fondò col cognato un negozio di merci varie, fra cui prese un posto notevole e poi esclusivo l’aqua admirabilis.  L’acqua di Colonia, adoperata allora soprattutto come medicinale, si divulgò rapidamente. Risale al 1742 il nome francese di eau de Cologne, da cui il russo odekolonj. Se il Farina stesso abbia inventato la ricetta o se l’abbia ricevuta da altri, non è ben certo. Secondo una leggenda, gliel’avrebbe data un ufficiale inglese reduce dalle Indie. Ma documenti antichi conservati a S. Maria Maggiore (Domodossola) additano come probabile inventore di essa Gian Paolo Feminis, del fu Gian Antonio, nato a Crana verso il 1670, merciaio ambulante. Ai lauti guadagni della sua invenzione il Feminis fece partecipare il paese nativo; morendo, egli avrebbe lasciato la ricetta a un Giovanni Antonio Farina, di cui nulla si sa, e da quest’ultimo essa sarebbe passata a Giovanni Maria Farina. Morendo celibe nel 1766, Giovanni Maria Farina lasciò erede l’omonimo nipote e figlioccio, da cui discendono i Farina gegenüber dem JülichsPlatz, che hanno ereditato il segreto di fabbricazione e difendono accanitamente il loro diritto contro gl’innumerevoli contraffattori. (Nel 1794 v’erano a Colonia 15 ditte che fabbricavano acqua di Colonia, di cui 4 col nome di Farina; nel 1865 le ditte Farina erano ben 39!).

Favria, 5.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Sono così felice di vivere in mondo dove ci sono i mesi di ottobre. Sarebbe terribile se passassimo direttamente da settembre a novembre. Felice mercoledì.

Forza e coraggio, il timo.

Vi ricordate “Scarborough Fair” cantata da Simon e Garfunkel i quali adattarono il testo ad una tematica pacifista.

Stai andando alla Fiera di Scarborough?

prezzemolo, salvia, rosmarino e timo

ricordarmi alle persone che vivono là

lei un tempo era un vero amore per me.”

Questa è una ballata molto antica pare già nel 1670 e  nel tempo,si è perso il legame tra Scarborough Fair e la festa di San Giovanni nel testo della ballata, né nella fiera della città di Scarborough, una delle più importanti dell’Inghilterra medievale, tanto che richiamava mercanti dalla scandinavia e dal Baltico,  ma si svolgeva dal 15 agosto alla fine di settembre. Il ritornello della ballata elenca quattro piante: prezzemolo, salvia, rosmarino, timo (in originale, parsley, sage, rosemary, thyme). Sono state fatte molte congetture al riguardo: dal significato medicamentoso (erano considerate disinfettanti e rinfrescanti durante la grande peste del 1665) al più probabile significato simbolico nel linguaggio amoroso, ad esempio il timo con un’ape posata era una figura ricorrente nel Medioevo.

Carissimi, oggi parliamo del timo, in latino thymus deriva dal greco antico thymon,  il cui significato equivale a forza, coraggio, qualità che qualità che risveglierebbe in coloro che ne odorano il profumo balsamico, Linneo, padre della moderna classifixazione scientifica gli ha attribuito questo nome. Il timo è una pianta tipica dell’area mediterranea e del Caucaso, si trova in tutta Europa, Transcaucasia, Antaloia, Asia e Africa settentrionale. In Italia cresce dal mare alla regione montana, da 0 m – 2000 m. s.l.m  circa, ma  ma preferisce le zone marine. Si trova nei luoghi aridi e soleggiati, fra le rocce e le ghiaie. Esistono diverse varietà di timo, la più comune e diffusa è il Thymus vulgaris, dotato di un profumo intenso e caratteristico.

Il primo a citare questa erba aromatica  è stato Teofrasto (371 a.C.- Atene, 287 a.C.) un filosofo e botanico greco antico, discepolo di Aristotele, autore di due ampi trattati botanici, che lo descrive come una pianta profumata da utilizzare come incenso nei sacrifici.

Altre etimologie fanno derivare il nome del genere da una parola greca che sta per “profumo”.

Gli Egizi lo utilizzavano non solo da bruciare in casa o per la conservazione del cibo ma anche per l’imbalsamazione dei defunti, per loro era un’erba purificatrice usata nei templi, gli egizi ne preparavano unguenti per l’imbalsamazione e pensavano che l’anima dei defunti potesse risiedere nei suoi fiori, la scienza non aveva ancora dimostrato che i suoi oli impediscono la putrefazione e la prolificazione batterica.

Come già accennato il nome thimos significa anima, respiro vitale, il cuore che per gli antichi greci era sede dell’ira, del coraggio e dell’ardore e, loro ritenevano che il suo aroma conferisse virtù eroiche. I greci lo usavano sotto forma di olio per fare dei massaggi che infondessero l’ardore nel combattere.

Gli antichi Ateniesi apprezzavano moltissimo un miele ricavato da una specie di timo molto frequente nell’Attica, riconoscendogli virtù straordinarie nelle malattie del petto, e che lo offrissero da bere ai propri invitati, durante i banchetti, del vino aromatizzato proprio con il miele di timo.

Galeno, medico e filosofo greco, lo suggeriva in polvere a chi soffriva di dolori articolari, e lo considerava il più potente antisettico conosciuto.

I Romani ne ricavavano un vino medicinale e pare che i soldati prima delle battaglie si immergessero nell’acqua di Timo che infondeva coraggio e vigore prima della battaglia.

Gli Etruschi e i Romani, cominciarono ad introdurre il timo in cucina ed a profumare con esso vini e formaggi.

Inoltre un’antica credenza riteneva che bruciare le foglie del timo fosse un pratico rimedio per tenere lontano gli scorpioni. Lo stesso Plinio scriveva: “un decotto preparato con dell’aceto per combattere il mal di testa e le morsicature”.

I medici arabi,  Avicenna e Averroé lo raccomandavano come droga antiveleno o e per curare la tosse e reumatismi.

Nel  Medioevo figurava tra le cinque piante sacre tanto che Carlo Magno utilizzava ed apprezzava il timo. In un suo editto addirittura ne ordinava la coltivazione nei giardini di piante officinali del suo impero in tutti i giardini erboristici e negli orti dei monasteri, era considerato dai naturalisti “erba di molto buon odore e di grande dolcezza”.

Nel Medioevo le dame regalavano mazzetti di timo o ricamavano spighe di timo su scialli od insegne come simbolo portafortuna donandolo al cavaliere del cuore perché fosse da esso protetto in battaglia. Le fanciulle nelle prime settimane dell’anno, ne ponevano sotto il cuscino alcuni rametti come buon auspicio di un probabile matrimonio.

Mazzetti di timo venivano utilizzati da pastori, viandanti e pellegrini un tempo costretti all’addiaccio erano soliti consumarlo per preservarsi dalle malattie e dagli insetti velenosi.

Santa Ildegarda, una celebre erborista, utilizzava il timo come rimedio naturale contro i pidocchi e contro la lebbra, mentre qualche tempo dopo il botanico Mattioli affermò che questa pianta era un ottimo rimedio contro l’asma, i reumatismi, le infezioni della vescica e i batteri dell’intestino.

Durante il Rinascimento si afferma l’usanza del timo cotto, utilizzato come medicina per le persone asmatiche e per tutti quelli che venivano avvelenati. Del resto il timo, insieme al rosmarino e alla lavanda, era utilizzato per la preparazione dell’aceto dei quattro ladroni, un rimedio antico considerato un vero e proprio toccasana per tutti i mali, peste compresa.

Una leggenda molto antica narra che durante la pestilenza che colpì la città di Tolosa nel lontano 1630, quattro ladri si aggiravano per le case degli appestati facendo razzia di oggetti preziosi, non curanti del pericolo del contagio. Una volta catturati, i quattro ladri vennero condannati all’impiccagione, ma prima di essere giustiziati rivelarono il segreto che li avrebbe tenuti lontani dalla peste: un intruglio di erbe aromatiche, tra cui spiccava proprio il timo.

Verso la metà dell’Ottocento il chimico francese Lallemand riuscì ad estrarre dal timo l’olio essenziale che chiamò “timolo” principale agente delle proprietà officinali della pianta.

Da allora in poi il timolo divenne ricercatissimo e impiegato fondamentalmente come antibiotico.

A questa erbetta anche la medicina ha riconosciuto proprietà antisettiche, tanto da essere definito da alcuni “l’antibiotico dei poveri”. Per uso esterno deterge e disinfetta la cute, sotto forma di sciacqui è benefico contro le malattie delle vie respiratorie.

Quando non esistevano i frigoriferi, il timo era impiegato per la conservazione degli alimenti, vista la notevole presenza di olio essenziale ad azione antiputrida.

Ancora durante la Prima guerra Mondiale esso era molto richiesto, e fu solo con la scoperta di antibiotici più potenti che la sua fama iniziò ad appannarsi.

Oggi questa erba rende gradevoli molte preparazioni. Le sue foglioline entrano nella miscela provenzale di erbe, o in quella egiziana di spezie. Nell’Europa centrale zuppe, marinate, carne, pesce e uova hanno il privilegio di essere accompagnate dal timo.

Usato fresco ha un aroma meno intenso, perciò e preferibile essiccarlo all’ombra, in un luogo aerato, disponendo i rametti sopra un foglio di carta. Si conserva in recipienti di vetro o porcellana.

Oltre ai fantastici abbinamenti e utilizzi in cucina, il timo ha diverse proprietà: antibatteriche e antisettiche, espettoranti, digestive, purificanti, antiossidanti, deodoranti. Il timo è anche un buon rimedio naturale contro il mal di gola e la tosse.

Parlando del timo non possiamo non citare William Shakespeare nel “Sogno di una notte di mezza estate”: “Conosco una valle in cui fiorisce il timo selvatico, dove crescono le primule e le timide viole, coperte da un baldacchino di rigoglioso agrifoglio, dolci rose muschiate e caprifogli.

Il profumo del Timo portato dal vento ricorre nella cantautrice britannica PJ Harvey nel 1969: “Il profumo di timo portato dal vento | e ti sbatte in faccia e ti costringe a ricordare | che la natura crudele ha vinto di nuovo. | Sulla collina di Battleship costellata di trincee | rimane appeso come un odore questo odio, | ancora oggi, ottant’anni dopo. | La natura crudele…“

Come si vede una pianta celebrata da poeti e da filosofi sino dall’antichità, come scriveva Aristotele nel suo libro “Storia degli animali”: “Una pianta dove trovare cibo, per le api, è il timo. Quello bianco è migliore di quello rosso.”

Favria,  6.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Solamente nella misura in cui ci doniamo, realizziamo noi stessi. Felice giovedì.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  MERCOLEDI’ 12 OTTOBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

La quotidiana palingenesi

In questi caldi giorni di agosto, nel meriggio si offusca lo sguardo, ed aspetto l’aria della sera per un respiro di brezza che non viene. Avvolte dal pieno sole d’agosto, le strade hanno l’asfalto bollente. E si questa Estate verrà ricordata per la sua alta temperatura. Verso sera esco sul balcone, e non vedo che la notte, simile come le altre notti, con le stelle che mi paiono più pallide a differenza delle gelidi notti invernali, brillanti nella buia notte. Caldo agosto rendi le stelle pallide del loro chiarore  ed io nella brezza che finalmente si è alzata  nell’aria, e ascolto il brusio di altri miei simili che usciti di casa cercano un poco di sollievo in questa notte  resasi più umana dal refolo di vento fresco. Poi al mattino penso che per  vivere, non basta respirare e non basta neppure svegliarsi ogni mattina, per ripetere i medesimi gesti, le medesime azioni di ogni giorno. Per vivere pienamente e profondamente, occorre qualcosa in più. Questa è una sfida che ognuno di noi si trova ad affrontare quotidianamente: quel qualcosa in più non è definibile. Nessuno ci potrà mai insegnare a vivere, nessuno potrà salvarci dalla nostra fragilità o dal vuoto che portiamo dentro. Sta a noi, unicamente a noi, trovare quel qualcosa che ogni giorno ci permette di rinascere. A partire da un gesto, da una parola detta diversamente, dal coraggio di cambiare anche una piccolissima cosa che non ci sta bene. Il cambiamento, la rinascita, la quotidiana palingenesi iniziano proprio lì, dove meno ce ne accorgiamo.  Ogni giorno viviamo la nostra personale e intima rinascita.

Favria, 7.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno mi sforzo nel mio piccolo di diventare il cambiamento che voglio vedere intorno a me. Felice venerdì.

Cenis, Ceneo.

Tra i tanti miti me ne viene in mente uno che, sebbene sconosciuto ai più, mi ha attratto per la forza delle immagini. C’era una volta Cenis, una delle donne più belle di tutta la Tessaglia; nonostante decine e decine fossero i suoi pretendenti, lei non voleva concedersi e preferiva godere spensierata della sua fanciullezza. Ma un giorno, mentre passeggiava sulle rive del mare, il dio Poseidone, desiderandola, le usò violenza.

Dopo aver goduto di lei, così narra il poeta latino Ovidio nelle sue “Metamorfosi”, le disse che avrebbe realizzato per Cenis ogni suo desiderio. Così ella rispose: “L’ingiuria che ho patito provoca in me un desiderio grande: quello di non dover subire mai più alcunché di simile. Se farai in modo che io non sia più donna, mi avrai completamente accontentato”. Fu così che il dio del mare trasformò Cenis in Ceneo.

Il mito non è una semplice metamorfosi come le altre: innanzitutto è la prima volta nella letteratura mondiale che leggiamo di una donna che diventa uomo, ma soprattutto è il rinnegamento della propria sessualità in virtù di una violenza subita.

Cenis mutò il nome in Ceneo (greco Καινεύς Kaineús, latino Caenus), divenendo un fortissimo guerriero e guidando con successo gli eserciti lapiti in battaglia. Ceneo generò anche un figlio, chiamato anche lui Corono, che fu ucciso molti anni dopo da Eracle durante uno scontro. Ceneo si fece presto prendere la mano, e pieno di orgoglio per il suo successo arrivò a piantare una lancia nel mezzo della piazza del mercato della città in cui risiedeva, e costrinse tutti a venerarlo come se fosse una divinità. Zeus si indispettì per questo comportamento e decise di punirlo. Quando Ceneo partecipò al matrimonio di Piritoo e Ippodamia, durante il quale si scatenò la celebre lotta tra Lapiti e Centauri (vedi: Storia di Teseo e Piritoo), Zeus indusse i Centauri ad accanirsi contro di lui e ucciderlo. Ceneo ebbe la meglio su molti di loro, perché grazie alla sua invulnerabilità gli attacchi dei Centauri andavano a vuoto; alla fine però venne sotterrato a colpi di tronchi d’albero e finito con terra e pietre, morendo soffocato. Secondo quanto racconta Ovidio (libro XII delle Metamorfosi), Mopso scorse la sua anima volare via da sotto la catasta d’alberi in forma d’uccello dalle ali fulve, visto solo in quell’occasione: ma una volta giunta nell’Ade, essa riprese forme umane e femminili (Virgilio, Eneide, VI); del resto al momento del funerale ci si accorse che anche il corpo di Ceneo era nuovamente quello di una donna.

Ovidio con questa storia spiega come lo stupro ferisca non solo fisicamente ma anche mentalmente, al punto che la ragazza sente il bisogno di cancellare per sempre quella femminilità oltraggiata; nulla potrà mai essere come prima. Scioccamente, il dio crede di rimediare offrendo un dono, ma nulla può cancellare ciò che è stato. Lo sa bene Cenis, che pertanto, per cancellare quel dolore, ha bisogno di cancellare e ripudiare se stessa, divenendo altro.

Favria,  8.10.2022 Giorgio Cortese

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Buona giornata. Ogni giorno chi sa vedere le cose belle è perché ha la bellezza dentro di sé. Felice. Felice sabato.

Menabò.

In tipografia per menabò si intende un modello utilizzato per l’impaginazione di  stampati di diverse pagine, libri, giornali e riviste, che possono contenere testo, illustrazioni e/o fotografie in una precisa disposizione. La compilazione del menabò è il procedimento che precede l’impostazione tipografica. Il cuorioso di questa parola è la sua origine, deriva dal dialetto milanese, menabò, guida i buoi.  Il menabò è in  sostanza della stesura ultima della sequenza delle pagine che compongono una pubblicazione, che si ottiene raccogliendo e ordinando le bozze di stampa, il cui testo sarà impaginato all’interno di una gabbia determinata in fase di composizione, secondo le dimensioni della pagina che si vuole ottenere e stabilendo la numerazione definitiva, in modo tale da rispettare il numero di sedicesimi, o di ottavi, quartini, a  seconda del tipo di stampato che si era previsto.  La copertina di una  pubblicazione viene considerata una cosa a parte, pertanto è sempre esclusa dal menabò, che inizia dalla prima pagina effettiva. Vengono invece conteggiate le pagine bianche che, anche se non stampate, rientrano nella numerazione dei sedicesimi.  Il menabò è il modello allestito in redazione incollando su fogli di carta le bozze di testo combinate con le illustrazioni, per verificare la “resa”, ovvero l’impatto della pagina sul lettore. È ancor più soggetto a correzioni e modifiche prima della consegna in tipografia.

Favria, 9.10.2022  Giorgio Cortese

 Buona giornata. Nella vita i legami più forti non sono fatti di corse ne di nosi, eppure nessuno li scioglie. Buona domenica

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Segnali di fumo.

Oggigiorno siamo internet dipendenti e se non funziona diventa un dramma nel comunicare mail di lavoro o anche lettere amene come questa. Questo mi porta a riflettere sull’importanza della comunicazione tra noi esseri umani. Se anticamente, parlo di 100.000 anni fa, dicono gli esperti, gli esseri umani che popolavano il nostro pianeta comunicavano attraverso gesti che poi, gradualmente hanno ceduto il posto alla lingua parlata. Man mano che la società diventava più complessa, la memoria collettiva del gruppo non bastava più per tramandare oralmente tutte le cose importanti. Era necessario avere una memoria al di fuori dell’oralità.  Ecco che allora iniziarono ad annotare quanto dicevano, dai dipinti rupestri, alle incisioni su ossa di animali, su delle pietre levigate e su tavolette di argilla. Inizialmente con dei simboli simili a quanto volevano comunicare e poi sempre più stilizzati, ecco era nata la prima scrittura, in questo modo la crescita della comunicazione portò alle comunicazioni, allo sviluppo dei media per conservare e riutilizzare il crescente volume di informazioni. Con la scrittura nacquero le prime civiltà sulla Terra. Con l’avvento dei primi sistemi di scrittura avvenne una grande rivoluzione nella comunicazione. I primi scritti, usati solo a scopo economico o politico, permisero la registrazione e conservazione di vaste quantità di informazioni. I segni impiegati rappresentavano idee, oggetti, azioni, non suoni. Soltanto più tardi, in luoghi come l’antico Egitto e Babilonia, la scrittura sviluppò una dimensione acustica, ed il geroglifico o il carattere cuneiforme presero allora a indicare non tanto l’oggetto rappresentato, quanto il suono emesso nel pronunciare il nome dell’oggetto. Poi arrivò l’alfabeto fenicio composto da 22 caratteri, ciascuno dei quali rappresentava una consonante legata a diverse sillabe possibili. La giusta sillaba doveva essere dedotta dal contesto delle lettere adiacenti e il processo di lettura era di conseguenza lento. Era però un alfabeto piuttosto economico che si avvicinava molto alla lingua parlata. Quando i Fenici, popolo di marinai, entrarono in contatto con i Greci dell’Asia Minore, furono aggiunte all’alfabeto le vocali. Questo nuovo modo di scrittura e di lettura, che costituiva una buona approssimazione della lingua parlata, divenne presto l’antenato di tutti i successivi sistemi di scrittura dell’Occidente e pietra miliare della nostra civiltà occidentale. Su di esso si è fondata, infatti, buona parte del pensiero e della cultura occidentali.  Poi con l’invenzione della carta e il suo arrivo in Europa, venne resa la stampa meno costosa e poi con Gutenberg, la stampa di libri divenne agibile alla portata di molte più persone. La  riproduzione dei testi scritti si sposta così dallo scrittoio dell’amanuense all’officina dello stampatore. Tuttavia, la rivoluzione della stampa non si verificò nell’arco di una generazione. Ci vollero 200 anni perché i cambiamenti introdotti dalla stampa nella società e nel campo della conoscenza venissero definitivamente acquisiti. Con la prima ondata di testi stampati, gli incunabula, furono riprodotti il più fedelmente possibile i manoscritti già esistenti.  La stampa completò il passaggio dalla cultura dell’orecchio a quella dell’occhio già cominciato con la scrittura. La lettura silenziosa rara nel Medioevo, si diffuse rapidamente modificando anche l’organizzazione interna del libro. Con l’uso degli “indici”, per esempio, non era più necessario ricorrere alla memoria per ricordarsi il contenuto di un testo. Questo contribuì anche alla creazione dei primi dizionari, delle enciclopedie e dei testi grammaticali e quindi alla standardizzazione della lingua. La stampa e la Riforma protestante furono strettamente connesse. Anche se non si può arrivare a dire che la stampa fu la causa della Riforma, tuttavia bisogna ammettere che essa permise la rapida disseminazione delle idee di Martin Lutero in lingua volgare e questo sicuramente facilitò il processo riformatore. I libri, una volta stampati, passavano agevolmente di mano in mano e così pure le informazioni che essi contenevano, ma con l’arrivo del telegrafo i messaggi potevano viaggiare anche più velocemente del messaggero. La comunicazione a distanza non dipendeva più dal mezzo di trasporto utilizzato. Poi con il telefono le persone da grandi distanze si avvicinarono, fu una rivoluzione, allora, epocale nel sistema delle comunicazioni tra esseri umani. Il salto da un modello di trasporto della comunicazione a un modello di trasmissione che apparteneva ai segnali di fumo, dei tamburi battenti  e dell’uso di metalli levigati per direzionare i raggi del sole, il telegrafo ottico. Tutta questa rivoluzione avvenne grazie all’elettricità che poi ha permesso internet e le odierne mail. Oggi il computer esalta ulteriormente questo cambiamento, dotato com’è di una vasta capacità di gestione dei dati. Proprio perché elabora in forma digitale il linguaggio di tutti gli altri media, il computer è diventato il mezzo di comunicazione per eccellenza del XXI secolo. In particolare è uno strumento di scrittura per tutti dagli  scrittori,  giornalisti a questa ciofeca che ti scrive adesso. Purtroppo oggi, la comunicazione elettronica, da una parte, contribuisce a limitare l’istituzione-libro come fonte e strumento di informazione e di cultura, ma forse con nuovi modi ne continua ed espande il servizio. Ad un caro amico a cui non funzionavano in questi giorni il computer e la mail, ho richiesto tramite il telefono fisso sul indirizzo esatto per ritornare a scrivere al vecchia  e cara lettera, perché per i segnali di fumo e per  tamburi siamo un pochino distanti e rischieremmo di subire una denuncia per procurato incendio, per i segnali di fumo e rumori molesti per il tamburo, poi io non conosco il codice Morse, ma qui è un’altra storia.

Favria, 10.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana l’esempio corregge meglio del rimprovero.  Felice lunedì.