L’Articolo 54 – Urinatores! – Scivolando sull’acqua. – Il bidone di otto secoli fa! – Da un copricapo la storia di un popolo – La rivendicazione del fascismo sul Risorgimento. – La gazza e Beccogiallo. – Buongiorno. – Balzana, balzano…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

L’Articolo 54
Se leggete l’articolo 54 della Costituzione della Repubblica Italiana invocata sempre da tutti ma da tanti poco letta, ecco le parole chiave che vale la pena ricordare: ” Disciplina e onore”, che non sono parole di vecchi retrogradi regimi dittatoriali o di guerrafondai, ma sono i due pilastri su cui si regge questo articolo che recita nel secondo comma cosi: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Penso che sia chiaro il concetto e allora mi viene da dire prendendo in prestito una frase di Shakespeare: “O Vergogna, dov”è il tuo rossore?”, frase che gridava Amleto e che dovremmo gridarlo anche adesso dove pare che si sia smarrito quel rimorso che, già nel suo significato di base, è suggestivo, mordere la coscienza perché sanguini e sia consapevole della colpa di caduta morale, riprendendo anche l’affermazione dello lo scrittore americano Mark Twain, “Noi esseri umani siamo gli unici animali che arrossiamo” svelando così una stretta influenza reciproca tra il nostro animo e la nostra espressione esteriore, con una manifestazione percepibile. Non voglio dare giudizi, chi sono io per giudicare ma l’articolo 54 andrebbe onorato per chi non ha bisogno di quei soldi per vivere e li toglie a chi ne ha bisogno ed è in difficoltà, e lo stesso principio vale per chi pur avendone i requisiti partecipa come scrutinatore alle elezioni, togliendo briciole a che non ne ha, ma come ho già detto chi sono io per giudicare? Il mio non è non è moralismo, ma solo buon senso di civica decenza, tutto il resto è sconveniente se non dannoso nella sua superficialità. Ribadisco il mio non è peloso moralismo, ne accuso nessuno, non c’è nessuna frode ma certe azioni sono moralmente sconvenienti, se non dannose. Ribadisco che non c’è stata alcuna frode, la norma non prevedeva limiti di tetto di reddito e ne hanno approfittato anche altre categorie che non ne avevano bisogno, magari delle persone con pingui conti bancari e se così fosse ribadisco il concetto di prima: “O Vergogna, dov”è il tuo rossore?”. Se la norma Costituzionale parla per i pubblici Amministratori, se anche i privati cittadini ne hanno usufruito è indecente e disonora tutti noi, senza aver fatto nulla di illecito. Come è sconveniente prendere spunto dalla miseria umana dei soliti furbetti per infangare tutti i cittadini eletti democraticamente dal popolo cavalcando un becero giustizialismo che non porta nulla di buono. Penso che poi ci sia una notevole differenza tra parlamentari, consiglieri regionali e consiglieri comunali dei piccoli comuni che prendono poco. Nel mondo da quanto esiste la civiltà umana non ci siamo mai resi conto che c’è quanto basta per le nostre necessità, ma non per le avidità, ed è appunto la brama di ricchezze è la radice di tutti i mali. Come sempre, insomma, servirebbe misura e buon senso e quello purtroppo scarseggia.
Favria, 19.08.2020 Giorgio Cortese

Ogni mattina non è importante alzarsi con il piede giusto, ma è importante alzarsi con il sorriso giusto. Ogni singolo giorno capita una volta sola nella vita

Urinatores!
State sereni, non voglio dire termini poco opportuni ma parlare degli antenati degli odierni palombari, che presso i romani si chiamavano urinatores. Gli urinatores romani non sono altro che l’ultima evoluzione dei palombari dell’antichità. Infatti già nel IX secolo a.C. si trovano testimonianze, per quanto riguarda gli Assiri, di sommozzatori che usavano otri pieni d’aria per respirare sott’acqua. Questa tecnica di immersione è raffigurata su un rilievo databile all’883 – 859 a.C., proveniente dal Palazzo di Assurnasirpal II di Nimrud, in Iraq, e conservata al British Museum, che rappresenta un’azione militare di risalita di un fiume per accedere ad una città assediata. Aristotele parla di tubi per respirare in acqua, precursori dei moderni boccagli usati per l’odierno “snorkeling”. Erodoto ricorda un tale Scillia di Sicione che percorse a nuoto 80 stadi, circa 16 km, durante le Guerre Persiane del V secolo a.C. per poi tagliare le funi di ormeggio delle navi nemiche e lasciarle in balia di una tempesta. Tucidide descrive invece la missione di alcuni subacquei che nel 426 a.C., durante la Guerra del Peloponneso, soccorsero gli Spartani portando degli otri sotto la superficie dell’acqua (). E ancora lo stesso storico ricorda il taglio di pali di legno a protezione del porto di Siracusa operato sott’acqua dai sommozzatori ateniesi durante la guerra tra Atene e la città siciliana nel 414 a.C. altri urinatores vengono menzionati da Livio, storico romano, in occasione della guerra tra Roma e Perseo di Macedonia nel 168 a.C., quando ripescarono dalle acque molti tesori gettati in mare frettolosamente dallo stesso Perseo per paura che cadessero in mano dei nemici. Crudele fu poi l’epilogo che tutti questi sommozzatori furono fatti uccidere perché non restasse in vita nessun testimone di quell’ordine frettoloso e scellerato. Infine l’uso regolare di un reparto di sommozzatori, o almeno l’esistenza di soldati specializzati in questa attività, sembra potersi desumere anche nell’esercito romano grazie ad un brano di Cassio Dione il quale, sullo sfondo della guerra civile tra Cesare e Pompeo, descrive lo sgombro di materiali che chiudevano il porto di Oricum, in Epiro, proprio da parte di sommozzatori di Pompeo. Plinio il Vecchio scriveva sugli urinatores che si immergevano con la bocca piena di olio che poi sputavano per migliorare la visibilità in immersione. Plinio racconta anche di piovre giganti che attaccavano i nuotatori, li strozzano e ne succhiano la linfa dai tentacoli. Curioso l’uso che ne faceva Marco Antonio in terra di Egitto, innamorato della sua Cleopatra, durante le romantiche crociere che la coppia reale si concedeva lungo le placide acque del Nilo, il condottiero romano si faceva bello agli occhi della regina d’Egitto esibendo le sue mascoline doti di pescatore con la cattura di enormi pesci, uno più grosso dell’altro. l fatto è che il bell’Antonio, con la lenza in mano, era una vera schiappa ma, in compenso, disponeva tra le file del suo esercito di abilissimi urinatores che, nascosti sotto la barca regale, gli infilavano sull’amo le ambite prede. Peccato che Cleopatra fosse tutto fuorché scema e che anche lei disponesse di bravi urinatores e dotati, per di più, dei sopracitati otri per respirare sott’acqua. Possiamo solo cercare di immaginare le risate della regina d’Egitto e la faccia che deve aver fatto il divo Antonio, quella volta che si trovò attaccato all’amo un grosso pesce secco! L’imperatore Claudio trasformò gli urinatores in un vero e proprio corpo militare e la presenza a bordo di un apneista professionista diventasse un obbligo per tutte le navi militari e, probabilmente, anche civili. I loro compiti erano quelli di disincagliare l’ancora, verificare lo stato della carena della nave, effettuare piccole manutenzioni dell’opera viva, e anche nuotare sino a riva per portare messaggi o chiedere assistenza. Rimane soltanto una curiosità da riportare, e cioè l’etimologia del loro nome latino: urinatores. Non erano persone che facevano tanta pipì, anche se l’etimologia del termine riconduce sempre alla parola liquidi”. Secondo Varrone, De Lingua latina, “urinari est mergi in aquam,” cioè chi si immerge nell’acqua o ha a che fare con l’acqua. Varrone spiega inoltre che anche il termine urnae con cui sono chiamate le brocche per l’acqua deriva proprio da urinari perché si riempiono immergendole nell’acqua, infatti nel linguaggio popolare degli antichi romani lo stesso significato di acqua era originariamente reso in latino con il termine urina. Gli urinatores erano i subacquei dell’antichità. Erano persone che sapevano nuotare e, soprattutto, che sapevano immergersi in apnea
Favria, 19.08.2020 Giorgio Cortese

Ogni mattina apro l’armadio delle emozioni e scelgo sempre lo stesso abito, la mia pelle mettendoci sempre la mia faccia

Scivolando sull’acqua.
Un cara persona mi ha raccontato la sua esperienza del 2019 dove nelle acque dell’oceano Atlantico ha provato a scivolare sull’acqua. Pensare che il surf arriva dalla lontane isole Hawaii ed il primo europeo che vide i nativi surfare fu nell’anno 1778 il capitano James Cook quando ancorò la sua nave di fronte alle Isole Sandwich, Hawaii, e vide che gli abitanti di quelle isole destreggiarsi in piedi sopra le onde utilizzando delle tavole di tavole di Koa lunghe cinque metri e mezzo e pesanti settanta chili. Non si hanno notizie storiche precise quando i Polinesiani iniziarono a praticare questo sport, ma alcuni canti Hawaiiani risalenti al quindicesimo secolo trattano di surf e dimostrano che già allora si tenevano perfino delle competizioni, durante le quali si sfidavano Re e capi di alto rango sociale. Le scommesse erano un forte incentivo per la pratica dello sport e quando le onde raggiungevano dimensioni impressionanti le scommesse riguardavano perfino proprietò personali e veniva messo in gioco orgoglio ed onore dei partecipanti. Allora il surf era una prerogativa degli Ali’i, i re hawaiiani, una sorta di privilegio nelle antiche Hawaii perchè riservato a loro. Le persone comuni che surfavano godevano di speciali privilegi nelle cerchie reali e guadagnavano lo status di capi in base alla loro abilità e resistenza fisica. Il surf serviva come addestramento agli Ali’i per mantenere la forma fisica richiesta per la loro posizione sociale. I Re avevano tavole e spiagge personali in cui surfavano soltanto con altri della stessa classe sociale e nessuno osava entrare in acqua con loro. La costruzione delle tavole veniva sempre accompagnata da una certa cerimonia che iniziava nella scelta l’albero giusto, e prima del taglio veniva offerto alla terra un pesce in segno di riconoscimento, quindi il tronco veniva accuratamente liberato dei rami e sagomato con il solo aiuto di strumenti naturali fatti di pietra e ossa. Il tronco veniva successivamente trasportato nel riparo dove venivano custodite le canoe, dove avveniva il vero e proprio lavoro di sagomatura e finitura della tavola. In questa fase venivano usati il corallo che si trovava sulle spiagge ed una pietra ruvida chiamata ‘oahi, grazie ai quali le superfici delle tavole venivano perfettamente levigate. La finitura avveniva spalmando la tavola con la stessa sostanza scura con cui venivano laccate le canoe, fatta con la cenere, il succo di una pianta grassa, il succo della parte interna di una radice. Uno strato di olio tratto dalle noci di kukui dava alla fine una perfetta impermeabilità alla tavola. Durante la colonizzazione europea lo spirito del surf andò in declino durante il diciannovesimo secolo, in parte perchè i missionari cristiani ne scoraggiarono la pratica ritenendolo una distrazione nociva, l’influenza della cultura europea, il sempre minor tempo libero dovuto ai nuovi sistemi lavorativi, ma soprattutto dall’arrivo, con i colonizzatori, di malattie prima sconosciute sulle isole ed alle quali gli indigeni non erano preparati, che decimarono la popolazione. Contribuì al decadimento quando nelle Hawaii nel 1819, contemporaneamente alla fine del sistema sociale Kapu, venne interrotto il Makahiki, una festa annuale della durata di 3 mesi, da metà ottobre a metà gennaio. In questo perido con l’arrivo delle grandi onde invernali gli hawaiiani fermavano ogni lavoro ed altra attività ed iniziavano a vivere un periodo di grande festa con musica, danze, canti e tornei di tutti gli sport hawaiani incluso il surf. Oggi questa festa viene ricordata con la celebrazione della settimana Aloha. Verso la fine del diciannovesimo secolo il surf ebbe una leggera e breve ripresa durante il regno del Re Kalakaua, 1874-1891, il quale si battè per recuperare tutto quanto caratterizzava l’antica cultura hawaiiana, incoraggiandone ogni forma d’espressione quali la danza hula, i canti e tutti gli sport. A questo periodo, precisamente al 1885, risale il “battesimo” del surf sulla costa americana, dove alcuni Hawaiiani che frequentavano una scuola militare a San Mateo, in California, si costruirono delle tavole di sequoia e surfarono le onde alla foce del fiume San Lorenzo davanti ad un pubblico meravigliato ed affascinato dalla loro abilità, che fece scoccare la passione per questo sport anche sul continente. Personaggi come Mark Twain o Jack London parlavano della loro ammirazione nei confronti di questi nativi surfisti, e cercarono di imitarli. All’ inizio del Ventesimo secolo le poche persone che ancora praticava il surf era la zona di Waikiki, sull’isola di Oahu, dove un gruppo di americani e hawhaiiani avevono fondato due club per gli appasionati. Dopo i grigi anni della Seconda Guerra Mondiale nasce l’età doro del surf, grazie al passaparola effettuato dai militari che in qualche modo erano passati alle Hawaii, i surfisti invasero onde e spiagge come mai prima e gli americani fecero entrare nella loro cultura il surf, basandosi sull’esperienza Hawaiana. Nei Giochi Olimpici di Melbourne, il surf fu considerato una sport da esibizione a tutti gli effetti. Da allora la maniera di costruire le tavole cambiò quando il surfista californiano Hobbie Alter costruì una tavola con la schiuma di poliuretano espanso ricoperta con fibra di vetro e poliestere. Da questo momento le tavole cominciarono ad evolversi di pari passo col loro mercato. Il surf è un’attività che ha generato una propria cultura. Surfare è viaggiare, e i surfisti sono nomadi che si muovono sempre in cerca di onde. Praticano un’attività nata secoli fa, e organizzano la loro vita per seguire il movimento ciclico del surf, facendone uno stile di vita. Oggi il surf è praticato in oltre 500 paesi del mondo e da persone di ogni età, da uomini e donne. Il surf è lo sport che ha sparso gente nei mari e negli oceani di tutto il mondo durante i secoli perchè nessuna sensazione può essere paragonata a quella che si prova scivolando sull’ acqua spinti solo dal movimento di una lunga parete liquida.
Favria, 20.08.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana una cosa fatta bene può essere fatta meglio.

Il bidone di otto secoli fa!
Poco tempo fa dei politici e opinioni opinionisti hanno dibattuto sulla proposta di emanare i cosiddetti mini botta, titoli di Stato di piccolo taglio che la miss azione pubblica potrebbe utilizzare per pagare i suoi fornitori. L’idea non è originale e gli è stata applicata otto secoli fa tra il 1238 e il 1139 per essere precisi del Comune di Milano che emette una grande quantità di titoli chiamate “carte di debito del Comune”. Con i quali l’amministrazione tacita momentaneamente i suoi creditori nel medio periodo, ma poi si rivela dannosa per l’economia urbana. Il contesto allora era drammatico per Milano impegnata in una dura guerra contro l’imperatore Federico II Di Svevia, che voleva abolire le autonomie comunali assoggettando Milano ed ai liberi comuni del Nord Italia. Nel novembre del 1237 l’esercito di Federico aveva inflitto alle forze milanesi una tremenda sconfitta nella località Cortenuova, Oggi provincia di Bergamo. La città di Milano fu salvata dall’arrivo precoce dell’inverno altrimenti sarebbe stata presa dei nemici, era dunque necessario trovare il denaro per costruire l’esercito e di equipaggiarlo. Le casse civiche, però non era in grado di sostenere lo sforzo ed allora il governo della Città decise di pagare i suoi fornitori non con una moneta coniata ma emanando una grande quantità di titoli, detti carte di debito comunali, che qualcuno ha scambiato per una forma precoce di carta monete ma in sostanza erano delle e cambiali, con il quale il Comune si dichiarava debitore di queste somme emesse verso privati cittadini. Non erano previsti delle scadenze ne interessi, ma potevano essere utilizzate per pagare le tasse. Il debito sarebbe stato dunque riassorbito nel tempo, mano a mano creditori versavano agli esattori delle imposte le carte debito al posto del contante. Al momento il sistema parve funzionare e permisero alle casse comunali di tamponare emergenza bellica. Nel 1239 l’esercito milanese il nuovo operativo e ben equipaggiato potè respingere con successo le truppe imperiali che si avvicinavano alla città. Ma poi sorse il problema economico perché il livello da tassazione diretta rimase piuttosto basso, e furono necessari decine di anni per riuscire a riassorbire la massa di questi titoli in circolazione. Addirittura in alcune testamenti alla fine del XIII secolo si fa menzione di questi titoli. I cittadini incominciarono a vendere questi titoli ad altri concittadini in cambio denaro contante ma deprezzando il loro valore. Gli acquirenti pagavano un prezzo inferiore al valore nominale , causando significative perdite ai detentori. Il Comune allora intervenne parificando per legge il suo valore ma la decisione fu male accolta dalla cittadinanza, peggiorando la situazione perché non davano più alcuna fiducia alle carte di debito che iniziarono a rifiutarle nelle transazioni commerciali , ed i titoli rimasero in circolazione fino al Trecento screditati dalla popolazione ed il loro impatto sull’economia della città fu negativo. L’esperimento non fu più ripetuto ed il Comune di ingegnò con altri mezzi per trovare i fondi per finanziare altre guerre in cui di volta in volta su trovava impegnato.
Favria, 21.08.2020 Giorgio Cortese

La vita quotidiana è una questione di equilibrio, devo essere gentile, ma senza lasciarmi sfruttare. Fidarmi dei miei simili ma cercando di non farmi ingannare. La parte più difficile è di accontentarmi ma senza mai smettere di migliorarmi.

Da un copricapo la storia di un popolo
Mi è stato recentemente donato un copricapo che si può confondere come originario dell’estremo Oriente ed invece è di origine africana. E’ il copricapo dei pastori Wodaabè di etnia Fulani denominati dagli altri popoli Peul e Borororo. La parola con cui si autodefiniscono Wodaabè, ovvero il popolo del tabù, perché nella loro cultura non hanno gerarchie padroni e schiavi. Questi fieri nomadi continuano da secoli un affascinante viaggio attraverso l’Africa subsahariana con le loro mandrie, cercando erba, acqua e libertà. I Peul, nome attribuito a loro dai colonizzatori francesi sono pastori di mucche e hanno da sempre la predilezione per bovini dalle grandi corna, selezionando nei secoli una razza bovina con corna così grosse e cave utili per guadare il Niger o nuotare nelle paludi del lago Ciad, utilizzando le grandi corna come un salvagente naturale. Come dicevo la loro origine è antichissima, nelle pitture rupestri del Sahara si vedono distintamente questi animali, accompagnati da pastori che paiono identici, nell’aspetto e nel costume, ai Peul di oggi. Per i Peul , la loro vita è una continua transumanza e da spiriti liberi, attaccati solo al loro bestiame, con cui si identificavano al punto da chiamare i figli con i nomi dei tori e delle mucche favorite, si sono convertiti in gran parte all’islam ed hanno poi abbandonato la vita nomade per diventare agricoltori e allevatori di mandrie accudite da pastori assoldati allo scopo. Una piccola parte, invece, ha mantenuto intatte le antiche tradizioni scegliendo la vita nomade ed ha conservato un grande attaccamento agli armenti, in particolare, per lo zebù, un bovino dal mantello color mogano con grandi, elegantissime corna bianche. Vengono anche chiamati Bororo, che vuol dire: quelli che vivono nella macchia, con il bestiame o dalla parola dispregiativa fulani mborooli che vuole dire zebù. In questo popolo il rapporto con i bovini è indissolubile e ogni bambino riceve in dote fin dalla tenera età, un vitellino. Essi vivono delle loro mandrie, che usate come moneta di scambio assicurano di che vivere, e solo in occasioni di festa sacrificano una bestia per mangiarla. Sono un popolo di persone alte che denota la loro origine dai popoli nilotici e ritengono che la divinità li abbia dotati di grande bellezza come premio. Nella loro cultura esiste parità tra i sessi, le donne hanno voce in capitolo anche nello scegliere il loro compagno in base alla bellezza, e ogni anno al termine della stagione delle piogge, i nomadi Wodaabe si riuniscono a centinaia per celebrare la festa del Geerewol durante la quale si ritrovano i vecchi amici e si intrecciano nuovi amori tra danze frenetiche e rituali antichissimi. All’inizio avviene il Rumme, danza di benvenuto e rappresenta una sorta di saluto rivolto ai gruppi che partecipano all’evento, dove questi pastori mulinano ritmicamente il bastone da mandriano e l’ascia e ondeggia ritmicamente il loro tipico capello da pastore. In gruppo battono le mani ed intonano il Rumme, il canto di benvenuto. I Peul Bororo sono ossessionati dalla bellezza che utilizzano come gerarchia di valori. Del resto i Wodaabe sono famosi proprio per la loro bellezza: il portamento elegante, i corpi alti e slanciati, i lineamenti quasi femminili accentuati dal trucco, il sottile naso aquilino sono alla base della loro convinzione di essere le creature più belle del pianeta. I Bororo si suddividono in uda’en, alti di pelle chiara, ossa sottili, mani lunghe, lineamenti fini, naso aquilino, yayaanko’en, gambe lunghe, facce strette con scarificazioni, colorito pallido, kawaje delle sponde del Niger, scheletro esile e pelle particolarmente chiara, e wodaabe, più numerosi di tutti e riconoscibili per il colore rossiccio della pelle. Al fondo della scala stanno i wojaabe, dalla pelle quasi nera, probabili figli di matrimoni misti. La vita di questi pastori è durissima e uno dei valori assoluti è la pulaaku, fondata sulla modestia, la riservatezza, l’equilibrio. Questi nomadi, la cui vita è totalmente imperniata sull’allevamento, tengono in grandissima considerazione la propria libertà, la la loro è una società di eguali non fondata sui beni materiali, dato che considerano indegno di un allevatore fabbricare oggetti e sono convinti che il lavoro, se non direttamente connesso con l’allevamento, comprometta la libertà, affidano persino la realizzazione dei loro gioielli ad artigiani tuareg. Disprezzano i loro vicini sedentari e hanno conservato tradizioni, costumi e valori tipici di una vita indipendente, resistendo a qualsiasi influenza esterna e alle lusinghe dei cambiamento. Hanno un poema epico Fantang dove si può leggere che nella mitologia preislamica, Dio creò prima la vacca, poi la donna e per ultimo l’uomo. Per questo l’uccisione di una vacca è un gesto sacrilego se non è dovuto ad un’occasione speciale. Concludo con un loro proverbio che è sempre attuale, la dignità è come l’olio, una volta che l’hai versato non lo puoi più recuperare. Per cui la loro ferrea condotta morale è il Pulaku, che si basa sulla vergogna, il ritegno e la dignità. Per allenarsi a questa virtù, il pastore bambino si vede affidare la custodia delle mandrie, e di notte nella savana deve vincere la paura e contrastare gli attacchi degli sciacalli e delle iene, pena la vergogna di essere additato come pauroso. Per loro il massimo della vita è poter camminare fieri davanti alle vacche, con il copricapo ed il bastone, dando così un senso alla loro vita.
Favria, 21.08.2020 Giorgio Cortese

Solo chi rischia nella vita quotidiana di andare troppo lontano avrà la possibilità di scoprire quanto lontano si può andare ogni giorno.

La rivendicazione del fascismo sul Risorgimento.
Il Risorgimento con buona pace di certi revisionisti della domenica non è stato soltanto la lotta per l’indipendenza allo straniero, del resto dominava una parte limitata del Patrio Stivale. Il Risorgimento è stato anche l’impegno per superare l’assolutismo per instaurare un sistema di rappresentanza parlamentare, per affermare le libertà individuali e collettive, ed emancipare le minoranze oppresse, a cominciare dagli ebrei. Certo il Risorgimento è stato un percorso accidentato e conflittuale perchè i patrioti, l’elite della borghesia era divisa tra moderati e democratici, tra chi voleva i Savoia e chi instaurare una repubblica e per questo non andavano d’accordo. Ma aveva tutti l’indirizzo di fondo enunciato prima rispetto al quale la dittatura fascista invertì la rotta. Di questa frattura sociale creata dal fascismo con il Risorgimento ne paghiamo ancora adesso le conseguenze e quando parli di Patria pensano che sei di destra ed invece il concetto di Patria non è nè di destra nè di sinistra perché lo Stato siamo noi.
Favria, 22.08.2020 Giorgio Cortese

Il concetto oggi non è più la presenza in rete, ma la nostra connessione, siamo presenti ma non connessi con un dialogo con i nostri simili e allora siamo soli nella rete.

La gazza e Beccogiallo.
Esistono, in natura, tanti tipi di uccelli, e già vi ho narrato parecchie storie su di essi. Ma non posso proprio dimenticare due uccelli particolari, che sono piuttosto frequenti anche dalle nostre parti: la gazza ed il merlo. Il merlo, nero e col suo divertente becco giallo, che si chiama appunto Beccogiallo e la gazza, madama Pica sempre in cerca di oggetti lucenti da afferrare e rubare. Un giorno madama Pica vide Beccogiallo intendo a cacciare dei piccoli vermi nel terreno del contadino Melampo, e si accostò tutta incuriosita. Madama Pica come tutte le gazze è infatti un uccello curioso e ciarliero, tanto è vero che una donna chiacchierona viene definita una gazza. Il merlo Beccogiallo, vide la gazza madama Pica accostarsi, e un pochino si allarmò. Se ne dicevano tante di quello strano uccello, sfacciato e pasticcione, con le sue penne grigie sfumate di verde o di violetto, e Beccogiallo si preoccupò e chiese alla gazza Madama Pica perché veniva li? Dicendo che in quel campo non c’era niente per lei. Ma quella sfacciata di madama Pica rispose: “Come no? Ho visto brillare qualcosa, qui vicino, riflessi d’oro o d’argento, o anche pietre brillanti: tutto m’interessa!” Beccogiallo con sagace ironia gli rispose: “Possiedi forse una gioielleria? Strano mestiere, per un uccello. Ma che brutto, procurarsi delle cose belle solo rubandole. Io comunque non ho proprio niente che possa attirare la tua attenzione!” madama Pica rispose: “Tu no, ma qui vicino sono entrato in una casa e ho trovato aperto il portagioielli della moglie di Melampo, e ho visto scintillare spille, anelli e collane e ho portato via qualcosa per ricordo” Beccogiallo prese coraggio e con un fischio adirato le disse: “ Ma allora è proprio vero che sei una ladra, madama Pica! Ma non ti vergogni a dare un cattivo esempio ai tuoi figli? Cresceranno ladri e disonesti peggio di te!” madama Pica allora gli rispose con voce offesa che anche lui rubava i semi del contadino Melampo! E poi aggiunse: “Sei solo uno sciocco e sai che tra gli uomini gli sciocchi vengono chiamati merli, e fanno le cose senza neanche rendersi conto di ciò che stanno facendo. E poi guarda che bel anello ho preso dalla casa di Melampo”. E nel dire questo madama Pica mostrò a Beccogiallo il suo trofeo. Allora il merlo Beccogiallo rise così forte, come solo i merli sanno fare. Madama Pica aveva rubato soltanto un anello di ottone da una tenda sfilacciata. E disse forte cosi che lo sentissero tutti gli uccelli del parco: “E poi dicono che il merlo sono io ridendo forte.” Madama Pica corse via scocciata, sicura di aver trovato un piccolo tesoro.
Favria, 23.08.2020 Giorgio Cortese

Donare il sangue significa pochi minuti per te, ma una vita per qualcun altro. Vieni a donare il sangue a Favria MERCOLEDI’ 2 SETTEMBRE cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Prelievo straordinario, abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Buongiorno…
Buongiorno, è tornata la mattina. La luce inonda la stanza, approda sul letto, che sfatto ancora racconta di quanti sogni si sono avvicendati in una sola notte. Dalla finestra aperta l’aria si affaccia, rinfrescandomi il viso. Dalla mano aperta scendono nel balcone alcune e briciole e il merlo ringrazia cantando. Poi facendo colazione la televisione trasmette suoni e voci, i rami degli alberi si muovono con le foglie sospinte dalla lieve brezza dell’aria fresca del mattino. Buongiorno è iniziato il quotidiano cammino, sorrido pensando a quante cose farò nella giornata ma consapevole che ogni problema sarà sempre una felice e fortuita occasione. W la vita!
Favria, 24.08.2020 Giorgio Cortese

Quando studiavo la matematica a scuola credevo che il tutto fosse uguale alla somma delle sue parti, finché non ho cominciato a lavorare e frequentare delle associazioni di volontariato dove ho capito che il tutto non è mai la somma delle sue parti, è maggiore o minore, a seconda di come riescono a collaborare i suoi membri. Se vuoi collaborare a salvare delle vite, vieni a donare il sangue a Favria MERCOLEDI’ 2 SETTEMBRE cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Prelievo straordinario, abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Balzana, balzano.
Oggi intendiamo con la parola balzano una persona stravagante, bizzarra e si dice specialmente dei cavalli, ma direi anche ultimamente di diversi bipedi che si credono evoluti che hanno le balzane nell’animo. La parola deriva dal lemma latino baltea, con il significato di cintura, recinzione dell’anfiteatro che ha assunto il significato di striscia di stoffa o con il significato di fascia. come balza si intende sia la parete di un monte che cade a perpendicolo sul fondovalle e come balzana, anticamente una striscia posta come guarnizione all’estremità delle vesti o il risvolto dei calzoni. Ma per balzana viene anche detta la striscia o una macchia bianca che i cavalli possono avere sopra lo zoccolo, ed i cavalli che hanno questa striscia sono chiamati, appunto, balzani. A questa caratteristica fisica, che può riguardare una o più zampe, balzana da uno, balzana da due, e via dicendo, è tradizionalmente associato anche un carattere psicologico dell’animale. Si crede infatti che il cavallo balzano sarebbe particolarmente lunatico, imprevedibile, incostante. Da questa forse incrociata con il colore variegato che la balzana dà al cavallo. Viene detta balzana anche le bardature medievali, protezione laterale in drappo e cuoio che, scendendo dalla groppa, spesso gira tutt’intorno ai quarti posteriori del cavallo. In araldica viene detta balzana uno scudo troncato di due smalti pieni, d’argento e di colore, come lo scudo del Monferrato, che porta la balzana d’argento al capo di rosso ed infine la balzana veniva chiamato il gonfalone dell’antica repubblica di Siena. Secondo altri la parola balzano potrebbe essere arrivata in italiano attraverso antico francese, baucent, attraverso il latino volgare volgare balteanum, dotato di cintura. Una curiosità il Beauceant, detto anche Baucéans, Bassant, Beauséant, Baussant era il vessillo dei cavalieri Templari, una bandiera o scudo detto anche gonfalone baussant. Da li al provenzale balzan per arrivare all’italiano. Per finire una curiosa affermazione popolare sul cavallo balzano. Balzano da uno, non lo vendo a nessuno o Balzano da uno, non lo vuole nessuno. Balzano da due, non cavallo ma bue o Balzano da due, più forte di un bue. Balzano da tre, cavallo da Re. Balzano da quattro, o lo vendo o lo baratto o Balzano da quattro, cavallo tutto matto. E scusate se con questa breve mail sono stato balzano. Ma scrivere sul significato di balzano trovo che sia stata un’idea balzana ma forse interessante.
Favria, 25.08.2020 Giorgio Cortese

Molte volte la felicità é fatta di niente o di piccoli gesti, che al momento in cui la vivi sembra tutto, come donando il sangue. Vieni a donare a donare il sangue a Favria MERCOLEDI’ 2 SETTEMBRE cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Prelievo straordinario, abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio
giorgio