Luglio, domenica pomeriggio. – Il profumo del legno. – Il paesaggio adattativo. – Con le petunie il balcone si colora di emozioni.. – Dal pòlemos alla werra. – Pensiero bustrofedico. – Bisogna saper perdere…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Luglio, domenica pomeriggio.

Alla domenica pomeriggio il sole è ancora più rovente e l’afa opprimente che


neanche le poche mosche si muovono. Le domeniche pomeriggio svuotano paesi e città, chi può va al mare, in montagna o come il sottoscritto a fare un giro per il verde Canavese. Nel ritorno passo da Rivarolo e per calmare l’arsura della gola e dato che sono un noto grupion, ghiottone in piemontese, ed una galuparìa, golosità, per il latte e gelato di Giovanni sono passato con mia moglie e comprare del gelato d’asporto, finendo la domenica pomeriggio con una passeggiata a Rivarolo. Ma non guardavo le vetrine ne i passanti, i miei sensi erano concentrati sul sublime gelato. Dubito che ci sia al mondo una sorpresa più sconvolgente come gustare questo gelato. Nel mangiare questo gelato le papille gustative vibravano e se avessero potuto avrebbero applaudito con giubilo, mentre l’estate mi scorre vicino. Ritengo la vita simile alla combinazione di gelato con frutti di bosco, fresco e vellutato, una delizia del palato. Amo il gelato che si scioglie fra i denti per la gioia di tutti noi grupion. Mentre assaporavo il gelato il mio animo era percorso da brividi intensi che scuotevano i miei sensi. Grazie Giovanni per il Tuo Latte a Gelato. Evviva! Favria, 19.07.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana il successo è la somma di piccoli sforzi, ripetuti giorno dopo giorno. Felice martedì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 5 AGOSTO  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Il profumo del legno.

Oggi sono entrato in una falegnameria e grazie alle mie narici si è aperto uno scrigno chiuso della mia memoria con profumi e odori che sono legati indissolubilmente ad avvenimenti di quando ero bambino. Così come la memoria episodica ci permette di archiviare in memoria un ricordo, così la memoria olfattiva ci consente di memorizzare un particolare odore o profumo, con tutte le caratteristiche fisiche ed emotive che porta con sé. Grazie alla nostra memoria olfattiva, possediamo una sorprendente capacità di rievocare con estrema nitidezza un’esperienza passata, anche profondamente sopita nella nostra mente, quando entriamo in contatto con un determinato odore. Sebbene l’olfatto sia forse il più enigmatico dei nostri sensi, esso è quello che incide maggiormente sul nostro inconscio. Ritengo che niente è più memorabile di un odore, capace di resistere all’usura del tempo come nessun’altra informazione sensoriale. Non dico che ho la sindrome di Proust, il celebre scrittore, autore de” Alla ricerca del tempo perduto”, dove il protagonista, ormai adulto, dopo aver odorato e assaporato un particolare tipo di biscotto detto Madeleine, sprofonda nel suo passato, riportando alla memoria eventi della sua infanzia ormai dimenticata. Questa memoria involontaria, questo viaggio a ritroso che esula dalla nostra consapevolezza, è il solo ed unico modo, secondo Proust, per riappropriarsi della vera essenza del proprio passato.

Oggi entrando nella falegnameria, il profumo del legno mi ha fatto rivivere l’età della mia primissima giovinezza. Il legno è un materiale vivo, forte, dolce, profumato, appassionante, vigoroso. Sono cresciuto con vicino una piccola falegnameria che avevo proprio al fondo del cortile di casa. La polvere del legno scorre nel mio sangue e il suo odore è spiccatamente percepito dal mio senso olfattivo. Il legno scricchiola, modifica la sua forma, ma soprattutto emana aromi e viene usato  per aromatizzare vini e profumi. Le sensazioni che ne derivano non ci lasciano indifferenti. Si riflettono nel nostro benessere e fungono da “macchina del tempo”. Penso all’odore del legno appena tagliato, mi rievoca l’autunno, il freddo del bosco a vedere tagliare il legno e poi il camino acceso, e stimola suggestioni, Sembra una banalità, ma purtroppo ce ne accorgiamo molto poco spesso: la nostra vita dipende totalmente dal legno. Più in particolare la nostra vita dipende dalle piante che ci danno ossigeno,come cosa principale, cibo, vedi frutta, verdura, semi, cereali e materiale da costruzione. A pensarci bene qual è stato il primo elemento naturale a conferire agli esseri umani la loro superiorità su tutti gli esseri viventi? Senza dubbio il fuoco. E non ci sarebbe stato fuoco senza il legno! Grazie ad esso gli uomini primitivi riuscivano a scaldarsi, cuocere il pane, la carne ed altri cibi per renderli più saporiti e digeribili, tenere lontano le bestie feroci ed altre cose che prima non sarebbero mai riusciti ad ottenere. Per non parlare dei vantaggi sociali che ha portato nel riunire i gruppi intorno ad esso. Con l’utilizzo del legno è avvenuta una vera e propria rivoluzione con la realizzazione di armi per la caccia e la pesca. È vero, le prime rudimentali armierano delle pietre ben levigate ed affilate, ma è solo grazie al legno che l’uomo ha potuto creare lance, asce, canne da pesca, archi e frecce. Quando poi l’essere umano, diventato stanziale, si è dedicato all’agricoltura, altri utensili come aratri, falci, pale e zappe erano sempre realizzati con questo materiale estremamente lavorabile e facile da reperire. La stanzialità però ha portato un altro bisogno: l’abitazione.  Le prime palafitte e tutte le altre tipologie di case dalle capanne alle baite erano realizzate interamente, o esclusivamente nella struttura, con pali in legno. Il bisogno di spostarsi sull’acqua e la storia delle imbarcazioni è strettamente legata al legno, materiale galleggiante per antonomasia. Pensiamo poi ai carri che servivano a trasportare le merci prima e le persone poi. Mail legno non ha avuto solo ed esclusivamente una funzione di soddisfazione dei bisogni primari e basilari per noi esseri umani. Ma il segno è usato nell’arte, pensate solo al semplice manico del pennello è in legno, poi adesso purtroppo soppiantato da molti altri materiali artificiali. E la stessa tela del quadro poggia su un cavalletto di legno, per poi non parlare della tavolozza del pittore che inizialmente era esclusivamente in legno, oggi ne esistono anche in vetro ed in plastica. Per un lungo periodo si è dipinto su tavole di legno e molte sculture sono state realizzate scolpendo le essenze più belle dando vita a veri e propri capolavori. Non saremmo deliziati dalle dolci note di una chitarra, di un violino o di tantissimi altri strumenti musicali se non esistesse il legno. Inoltre il primo pennino per incidere i caratteri cuneiformi della prima scrittura conosciuta era in legno dalla quale deriva la stessa carta che usiamo quotidianamente per scrivere, imballare e pulire. Questo semplice ingresso nella falegnameria mi ha permesso di pensare a questo e risvegliare nella memoria con il suo il suo profumo quanto ho esposto.

Favria, 20.07.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno cerco di fare le cose che penso di non poter fare. Felice mercoledì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 5 AGOSTO  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Il paesaggio adattativo

Nel Trecento il mondo venne devastato da inondazioni, pestilenze, carestie. Ma le tre grandi civiltà del tempo costruirono dei “paesaggi adattativi” per sopravvivere e progettare l‘avvenire. Colloquio con lo storico Amedeo Feniello, autore del libro “Demoni, venti e draghi”. Per quanto terribile, la pandemia di Covid-19 è solo una delle crisi che ha conosciuto l’umanità nel corso dei secoli. Nel 1300, ad esempio, sul finire del nostro Medioevo, il mondo viene attraversato da una serie di eventi naturali drammatici e devastanti: pestilenze, inondazioni, carestie. Da un capo all’altro dell’Eurasia si avvertono le conseguenze di un improvviso mutamento delle temperature e l’inizio di quella che viene chiamata “piccola glaciazione”. Eppure le tre grandi civiltà del tempo, quella europea, quella islamica e quella cinese, seppero costruire veri e propri “paesaggi adattativi” per affrontare le sfide e gettare le basi per il futuro.  L’idea dei paesaggi adattativi  nasce negli anni Trenta del secolo scorso. Il primo ad usarla è stato il genetista Sewall Wright, seguito da molti altri che l’hanno trasformata in una metafora globale dell’evoluzione, con l’idea dell’esistenza, in natura, di infiniti paesaggi ecologici, differenti ma interrelati tra loro, ognuno con le proprie asperità e i propri picchi, che tuttavia si adeguano e rispondono in modo sempre diverso all’ambiente circostante. Tante nicchie, come tante sono le nicchie sociali umane che, come vediamo oggi, seguono percorsi autonomi per rispondere alla pandemia. La differenza tra il Treecento ed oggi è che il mondo era molto più allargato di quanto lo sia oggi. Le distanze erano pressoché incolmabili per i mezzi dell’epoca. Ad esempio, in Cina prevalse prima un sistema assistenziale di massa che, sotto la dinastia mongola degli Yuan, fu, a causa del continuo esborso di carta moneta per garantire soccorso, una delle molle che fece completamente saltare il banco, innescando una spirale inflattiva cui non si riuscì a porre rimedio. Politica su cui prevalse, dopo la dura e terribile fase di instaurazione del nuovo governo Ming alla metà del Trecento, una sorta di new deal, con la realizzazione di enormi opere pubbliche, come il Gran Canale o la Grande Muraglia. Diversa fu invece la situazione europea, dove i grandi shock ambientali ed epidemici accelerarono molti dei processi in corso, trasformando l’Occidente cristiano in un grande laboratorio di innovazione politica, finanziaria, sociale. Frutto di quell’epoca sono l’invenzione della holding e la nuova impalcatura degli Stati nazionali. Allora la  più straordinaria rivoluzione riguardò l’attuale Indonesia, che nel giro di un secolo si trasformò in un universo islamico. Un’ondata di conversioni non dovuta all’esercizio della violenza, ma pacifica, importata da frotte di mercanti che attraversavano l’ampio spazio tra Oceano Indiano e mar della Cina. Una trasformazione religiosa figlia dei tempi, forse perché la spinta messianica insita nell’Islamismo ben si addiceva a un’epoca turbolenta e difficile come quella del Trecento. Ma, senza dubbio, una trasformazione trasportata dai monsoni, i venti dell’espansione commerciale dei mercanti islamici

Allora come oggi all’inizio del secolo, il solo modo di essere ottimisti era quello di credere che nel futuro le cose sarebbero  ad andare come in passato, ma purtroppo nella storia umana non è mai vero. Dovremmo pensare al famoso  proverbio siciliano: “ calati junco chi passa la china”, ricco  di significato  ed è ancora più importante  nel momento storico che stiamo vivendo,  un invito alla pazienza e alla forza, in attesa di tempi migliori.

Un sistema-giunco riesce a piegarsi, a trovare gli anticorpi giusti e a scavallare quel margine del caos che è il momento culminante di una crisi. Certo, gli interventi talvolta vengono pianificati, e una società come quella cinese ebbe più attitudini a farlo, grazie ad un sistema che tradizionalmente prediligeva e predilige l’organizzazione e la coerenza del sistema sociale. Altrove i paesaggi adattativi, per rimanere nella metafora, escogitarono correttivi che talvolta furono vincenti e altre no, con una sequenza di tentativi che ebbero una miriade di protagonisti, il più delle volte inconsapevoli. Un sergente inglese che combatte ad Azincourt adoperando in maniera strategica e consapevole l’arco lungo, abbattendo il fior fiore della cavalleria francese, lui non sa di essere l’estrema rotellina di una rivoluzione militare in atto. Un netizen cinese, oggi, non sa che sta trasformando il mondo ma intanto inventa una app che riesce davvero a modificarlo».

In quel tempo fece la sua comparsa la peste nera fu uno shock epidemico di una natura non comparabile con quanto stiamo vivendo oggi. Le proporzioni furono terribili, con un tributo di vite umane pari a un terzo dell’intera popolazione euroasiatica. Inoltre, la peste nera non fu che l’inizio e tornò in forme altrettanto virulente nei secoli a venire: basti pensare alla peste del Seicento raccontata nei “Promessi sposi”. Il mondo non poteva essere più quello di prima e uscì dall’epidemia boccheggiante. Tuttavia, il nuovo avanzò. L’Europa, ad esempio, cominciò a liberarsi di alcuni fardelli culturali, si riscoprì il latino classico, la filologia la fece da padrona. Soprattutto si avvertì il fastidio verso l’epoca passata che esprimeva valori in cui il mondo dopo la peste non si riconosceva più e nacque un’idea nuova di Medioevo: una lunga stagione compressa tra due splendori, quello dell’epoca classica greco-romana e quella rinnovata degli umanisti tre-quattrocenteschi. Risposte e accelerazioni che furono anche figlie della crisi ambientale e  pandemica.

Allora in Cina avvenne con una violenta e profonda rivoluzione, anche se quello di “rivoluzione” per i cinesi è un termine improprio: essi preferiscono quello di “geming” che non significa rivolta ma “revocare il mandato”, ossia sostituire una dinastia immeritevole del mandato del Cielo con una migliore. Ciò non toglie che, nel corso del Trecento, ciò avvenisse con una serie turbinosa di guerre dove diversi signori della guerra e il movimento dei cosiddetti Turbanti rossi e il potere Yuan si contendessero il potere e provocassero morte e distruzione. Quando vince e si consolida, la nuova dinastia Ming riesce a ristabilire l’ordine dal caos, con una serie di opere che intervengono dal basso, a partire dai villaggi rurali: un modello che non lasciò indifferente anche Mao Zedong.

In Egitto invece, non si riorganizzò ed entrò in una crisi irreversibile dopo essere stato per secoli uno dei bacini industriali e produttivi del Mediterraneo e del mondo islamico. Si interruppe il sistema di gestione delle piene del Nilo, indispensabili per la produzione agricola e per la distribuzione delle risorse nelle varie parti del Paese. Quando la peste nera fece irruzione nel paesaggio egiziano e trascinò con sé centinaia di migliaia di persone, venne a mancare la massa di manovra che doveva sovrintendere alle strutture del Nilo. Ebbero luogo impaludamenti, ingolfamenti, innalzamenti e abbassamenti inaspettati. Un disastro. Tutto questo lo leggete nel linro di Amedeo Feniello, docente di Storia medievale presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, ricostruisce il secolo della dinastia Ming e della peste nera nel suo libro “Demoni, venti e draghi” (Editori Laterza).

Favria, 21.07.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana la pazienza, la persistenza e il sudore costituiscono una combinazione imbattibile per il successo. Felice giovedì

Con le petunie il balcone si colora di emozioni.

Che belle le petunie che hanno la caratteristica di colorare in modo allegro e estremamente vivace i nostri balconi. Questi bellissimi fiori che chiamiamo petunie  appartengono alla famiglia delle solanacee,  come le patate, la loro origine le fa arrivare in Europa direttamente dal Sud America, Brasile. Ne esistono ben 40 specie diverse, tra le più conosciute e ricorrenti commercialmente: la petunia axillaris e la petunia violacea da queste si sono originate diverse petunie anche del tipo nano. Il nome petunia deriva dal portoghese “petun” che significa tabacco, per la somiglianza tra queste due piante, appartenenti alla stessa famiglia. Nell’America del sud, dove cresce spontaneamente. E’ arrivata in Europa portata dai botanici che esploravano le foreste alla ricerca di specie sconosciute. In Italia è molto diffusa ed è una delle piante più scelte per abbellire balconi, giardini, appartamenti, grazie alla sua abbondante fioritura. Sono piante poco resistenti al freddo possono essere sia perenni che annuali. In passato però, nell’Inghilterra vittoriana, i colori accesi dei fiori della petunia e la sua fioritura erano idealmente legate a uno scoppio di collera. La sua lunga fioritura è stata in passato anche associata al rancore serbato da chi dona la pianta nei confronti di chi la riceve. Questi significati negativi sono stati tuttavia scalzati dal più positivo di tutti ed ora la petunia viene proprio associata all’amore. Proprio alla sua imponente fioritura si fa in genere risalire il significato di questa pianta: la petunia è infatti il simbolo dell’amore che non può essere nascosto! Petunia è il tuo nome, fiore di grazia e di bellezza, le tue tinte son quelle dell’estate, il blu, il rosso, il giallo ed il magènta. Fiorisci ed illumini l’estate, e rallegri la calura con i tuoi colori e in un  solo attimo  tutto si colora di emozioni.

Favria,  22.07.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non devo mai rimandare il bene che posso fare oggi, perché forse domani non ne avrò il tempo. Felice venerdì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 5 AGOSTO  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Dal pòlemos alla werra.

Oggigiorno siamo immersi in dibattiti sui media sulla guerra  tra Russia e Ucraina. Un commentatore televisivo si è recentemente autodefinito un “guerriero”. Tutto ciò dipende dal significato della parola guerra, una parola che non deriva dal latino ma che è arrivato tramite i longobardi dall’antico tedesco. Nell’antico greco la parola guerra si dice pòlemos. Secondo il filosofo Eraclito, si proprio lui famoso per il concetto di “Panta rei”, che significa tutto scorre, perché per lui l’Universo è un continuo alternarsi di opposti come il giorno e la notte, il caldo e il freddo. Tutto cambia costantemente, aveva sviluppato il pensiero di un altro filosofo, Anassimandro, per cui la vita era lotta e alternanza tra i contrari, e per questo il pòlemos è lo stesso principio dell’esistenza di ogni cosa. Eraclito intendeva dire che ogni cosa è quello che è perché non è il suo contrario, più avanti Spinoza affermava che “Ogni determinazione è negazione “. Ma questo reciproco negarsi e combattersi dei contrari è solo il lato superficiale del pòlemos. A ben vedere, infatti, i contrari che lottano e si contrappongono sono identici in quel loro combattere. Nel si
gnificato profondo del pòlemos ogni contrario è identico all’altro. Il pòlemos unisce nell’atto in cui divide ed è perciò invisibile armonia. Con gli antichi Romani, il senso greco del pòlemos quale unità dei contrari si indebolisce fino a perdersi completamente con passaggi graduali. La guerra è chiamata bellum, termine legato a Bellona, dea della nascita, della vita e della morte. In questa unità di nascita e morte si potrebbe vedere un tiepido permanere dell’antica unità degli opposti del pòlemos. Ma il vero senso del bellum e di Bellona sta nell’antico etimo Duellona e duellum,  la consonante d viene sostituita da b, che deriva dall’indoeuropeo dew, bruciare e distruggere, da cui il greco daio, bruciare, e due, dolore. Inizialmente Bellona è una divinità giusta, che supporta i combattenti nelle fasi più concitate della guerra dando coraggio, ordine e razionalità per vincere. Il principio ispiratore del bellum, in questa fase, è l’organizzazione razionale in vista di un fine costruttivo. La distruzione è un mezzo inevitabile, mai un fine. Poi i romani nella loro espansione vengono in contatto con i bellicosi  popoli germanici e Bellona si fa distruttiva e selvaggia e il bellum diventa uno scontro senza freni. Il processo linguistico e culturale culmina nella completa sostituzione della parola bellum con il termine germanico werra, che significa mischia disordinata e sanguinaria. Dalla parola werra discende la nostra guerra e l’inglese war. Come si vede passiamo dal pòlemos al bellum, dal bellum alla werra. Dietro questa evoluzione linguistica e nel termine werra è scomparso l’ordine razionale del bellum latino e ancor più l’unità degli opposti del pòlemos. La lingua italiana conserva il termine pòlemos solo in alcune espressioni, come polemica. E lì, infatti, l’opporsi non ha come fine la soppressione dell’altro, ma il suo riconoscimento. Oggi per fermare il demone della guerra dobbiamo pensare al pensiero di Eraclito dove il  pòlemos è invisibile armonia  per riconoscere gli altri altri come nostri simili per uscire dal circolo vizioso del senso crudele e distruttivo della guerra, prima con il pensiero e poi fermare fisicamente l’insensatezza della guerra tra esseri umani.

Favria, 23.07.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno dobbiamo ricordarci che non c’è speranza senza paura e, paura senza speranza. Felice sabato.

Pensiero  bustrofedico.

Una domenica pomeriggio  sono stato al cimitero del mio paese natale.  Mi sono avviato a piedi verso il cimitero, percorrendo le strade che facevo da bambino accompagnato per mano dalla nonna o dalla mamma.

Percorso che ho fatto negli ultimi anni con mio papà, quando entrambi la domenica mattina facevo questo percorso per salutare tutti i nostri cari.

Cammino e, ricordo nel frattempo sprazzi di pensieri passati, un bellissimo esercizio di memoria, che mi permetto di chiamare bustrofedica, lemma composto dalle parole greche  bous, bue, e strephein, volgere.

Simile all’antica scrittura degli Achei, il lineare B,  un pensiero simile a quello scrivere sinuoso, che avevo letto in un libro, insomma una riflessione che va avanti ed indietro in un campo come il procedere del bue  in un campo quando ara la terra, che finendo un solco, si volge e ne comincia quello accanto.

Entro nel cimitero, semideserto di visitatori in quanto giorno festivo.

Oggi il cimitero è nella nostra attuale società un luogo deterritorializzato, marginale nel pensiero comune, ma se riflettiamo bene, la parola cimitero in greco significa

dormitorio, mettere a giacere.

Entrando passo tra le lapidi, leggo di nomi di antiche famiglie del luogo, già citatemi da mia nonna quando ero bambino, scorgo visi conosciuti e di stranieri, tutti con la loro storia.

Leggo le lapidi, e rifletto che la morte su questa terra  invece di dividere, unisce, al di là di qualsiasi religione o credo politico.

Oggi, non voglio parlare dell’attualità, ne parlano già  troppi e tutti, oggi rifletto sui vinti, su perdenti che la vita a piegato.

Mi viene da pensare ai grandi perdenti della storia che mi hanno sempre affascinato: da Ettore perdente su Achille, ma che rimane immortale lui nel ricordo.

Ettore nell’Iliade non combatte per la gloria personale, oggi penso che tutti lo ricordano non solo  come un valoroso guerriero di Troia, ma perché combatte  per difendere la sua gente dall’assedio, è un eroe che vive costantemente in relazione agli altri, agli affetti. 

Quando esco dal cimitero e mi avvio a piedi all’auto parcheggiata in centro del paese, rifletto su Annibale,  un genio militare cartaginese,  poi Spartaco il capo della rivolta degli schiavi contro Roma, ed infine a Robert Lee, generale confederato,  simbolo del perfetto gentiluomo, un  soldato che si distinse nell’onore, nella vittoria, nella sconfitta e nella vita privata, anche se adesso una presunta damnatio memoriae lo vorrebbe cancellare dalla storia.

Nei avrei molti altri da citare ma poi rischio di dilungarmi e di perdermi in questo mio pensiero  bustrofedico e concludo con una frase di Simon Bolivar letta in un libro: “L’arte di vincere la si impara nella sconfitta”,  ed io mi permetto di aggiungere che ogni giorno posso accettare umanamente la sconfitta, ma non posso accettare di rinunciare, ripartire e riprovarci sempre.

Favria, 24.07.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Molte volte ci sforziamo di cercare la felicità e, non sappiamo che la possiamo trovare solo nel nostro cuore. Felice  domenica

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a FAVRIA VENERDI’ 5 AGOSTO  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Bisogna saper perdere.

 “Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere…”, cantava nel 1967 un giovane Shel Shapiro, leader dei Rockes, icona della musica pop di quegli anni e una delle firme più autorevoli del panorama musicale italiano. Il testo era un invito ad accettare l’ineluttabile destino e a non cambiare la propria vita dopo una sconfitta, in questo caso in amore. La storia, l’arte, la musica, la scienza, lo sport, la letteratura, lo spettacolo sono costellati da memorabili sconfitte dalle quali sono nati altrettanti trionfi, grandi capolavori e straordinarie scoperte che hanno contribuito al progresso e alla crescita culturale dell’umanità. Difficile trovare qualcuno che, almeno una volta nella vita, non abbia dovuto mordere la polvere, gettare la spugna, forse arrendersi, azzerarsi e ricominciare. Perdere deriva dall’omonimo verbo latino perdere, che tra i vari significati ha anche quello di mandare in rovina. Perdere può voler dire subire una sconfitta, fallire, mancare un’occasione, ma anche smarrire qualcosa, subire la perdita di una persona cara. In qualunque modo lo si guardi perdere non può avere che un significato negativo. A meno che non si sappia perdere, quindi reagire alla sconfitta e al fallimento trasformandoli nello stimolo alla rinascita e all’affermazione. La sconfitta non è una vergogna. “Se io non avessi mai fallito, non avrai ottenuto i risultati di cui sono stati capace”. Lo ha detto Steve Jobs, non proprio uno qualunque ma uno dei più grandi geni visionari e creativi di questo e dello scorso secolo. Genio e talento non sono sempre sinonimi di precocità. A volte si manifestano tardi nella vita e solo dopo tante sconfitte. Fallire e superare il fallimento è l’unica vera strada verso il successo. In ogni campo della vita.  È qui che si vede la differenza tra il vero perdente e il vero vincente,  tra avere o non avere la consapevolezza che si può anche perdere e si può anche vincere. La sconfitta è un’opportunità e un mezzo per crescere, a patto che non ci si pianga addosso. Se leggiamo le biografie dei grandi del passato da George Washington,  Garibaldi, Winston Churchill,  De Gaulle, Mao, Fidel Castro o le storie  di grandi campioni dello sport, da Jury Chechi a Maradona, da Agassi a Pelé. Tutti loro hanno vinto perché hanno saputo trarre forza dalle tante sconfitte che hanno subito e affrontato. Noi vediamo solo il momento della medaglia d’oro, lo smash della vittoria, la goleada della vita, ma non quanta polvere, quante lacrime e fatica per quel risultato. Non siamo consapevoli di tutte le sconfitte che hanno portato a quella vittoria e ci identifichiamo solo con il momento del “podio”, senza considerare e nemmeno immaginare come sia stato raggiunto quello stesso podio. La nostra è una società per vincenti. L’immagine che ci viene propinata in ogni momento è quella del forte, il primo, il più bravo. Il perdente è out. Il vero perdente è quello che vuole vincere per forza e che non accetta di perdere. Chi non accetta la sconfitta non accetta la natura delle cose. Di conseguenza il vero vincente è colui che sa perdere, che ha la capacità di rialzarsi. La sconfitta è la cosa più naturale, mentre la vittoria è l’eccezione. Se il bambino non cade non impara a camminare. Purtroppo se la sconfitta viene vissuta come una vergogna, una macchia indelebile, un fallimento totale non c’è ricetta per superarla. Pensate a quegli abbietti di uomini che picchiano e uccidono delle donne  perché non accettano il rifiuto e, quindi, quella che lui ritiene essere una sconfitta. Sono casi estremi, ma denotato la forza dirompente che il fallimento può avere su un animo non pronto, non educato ad accettare o semplicemente non in grado di farlo. Personalmente nella mia vita ho avuto delle sconfitte cocenti, ma  proprio quelle sconfitte mi hanno rafforzato, mi hanno reso migliore, mi hanno aiutato a capire e a trovare la strada. La sconfitta diventa utile solo se la si sa accettare, la si vive come un limite da superare. In caso contrario è una via crucis, un confronto impietoso con se stessi da cui si esce sempre perdenti. Ricordatevi che l’evoluzione umana è fatta da chi ha perso. Da quelli che tentavano e non ci sono riusciti. Le più grandi scoperte spesso sono nate da clamorosi errori e sconfitte, che tuttavia contenevano un’intuizione giusta. Siamo esseri umani, non siamo robot: si sbaglia, si impara, ci si rialza. L’importante è non smettere mai di  provarci ogni giorno  ed imparare dalle sconfitte la lezione impartita. Perché solo chi non si si arrende, non perde mai.

Favria, 25.07.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. La felicità è la sola cosa che si raddoppia quando la si condivide. Felice lunedì.