Na fròla o un biscotin – Le quotidiane scelte – Erse e Aglauro. – La pigna. – Cicno. -Tirèmm innànz! …LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE.

Na fròla o un biscotin Na fròla o un biscotin an boca a n’aso, una fragola o un biscotto in bocca a

un asino è un modo di dire che può avere diversi significati. Il primo qualcosa di troppo sofisticato per essere apprezzato da un somaro, oppure  un compenso troppo piccolo in proporzione a quanto ricevuto, infine una razione di cibo assolutamente insufficiente per chi ha un appetito da carrettiere. Si dice anche “Na frola n’buca a nasu” e si traduce semplicemente in “una fragola in bocca ad un asino”. Questo proverbio è nato nel constatare che all’asino nella sua grande bocca quando  arriva una fragola, qualcosa cioè di piccolo, delicato e gustoso, l’animale non è assolutamente in grado di apprezzarlo. Con questo si vuole indicare  l’incapacità di una persona ad apprezzare qualcosa che merita di essere apprezzata. Ma può indicare anche lo sbaglio commesso offrendo qualcosa di particolarmente raffinato e di valore  ad una persona che non è in grado di apprezzarla. Questo modo di dire viene spesso usato in senso ironico e scherzoso soprattutto a tavola quando un commensale mostra di non gradire un portata delicata anche se non particolarmente abbondante.  In altre circostanze, meno piacevoli, il senso ironico è accompagnato da amarezza, tristezza e nostalgia. Ci sono tutte queste sfumature, in “Na fròla an boca a n’aso”. In Piemonte, non abbiamo gli elefanti chiamati in causa in certe culture per indicare una mancanza di delicatezza nel procedere o nel fare le cose, ma abbiamo gli asini, anche quelli a due gambe. Se diciamo: “A l’ha ’l deuit ch’a l’han j’aso a plé ij  bescheuit”, cioè ”ha il garbo che hanno gli asini a sbucciare le castagne biscotte, che sono i marroni cotti due volte, prima bolliti e poi nel forno. Queste persone  non hanno gesti delicati  e non vanno troppo per il sottile. Oppure per indicare un lavoro ad una persona non capace: “Fà nen fé gnun travaj a chiel-lì: a sarìa come buté n’aso a fé le sòche”,ovvero: non assegnare alcun lavoro a quello lì, perché sarebbe come mettere un asino a fare gli zoccoli. Beh il senso mi pare chiaro che ogni commento sarebbe superfluo. Permettetemi nel concludere  con  un altro colorito proverbio, che ancora una volta non rende merito a questo tanto simpatico quanto tartassato animale: Chi a lava la testa a l’aso, a perd ël temp e ’dcò ’l savon”. Qui il piemontese è comprensibilissimo e non mi sembra il caso di proporne la traduzione.
Favria, 11.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. La gentilezza è una forma di eleganza, la migliore che ci sia e purtroppo le persone la confondono ancora con la debolezza. Felice martedì.

Le quotidiane scelte

Ogni giorno compiano delle scelte. A volte ci troviamo di fronte a un bivio e dobbiamo prendere una decisione importante, altre volte invece si tratta di piccole scelte che non condizionano la nostra vita, ma solo la nostra giornata. Quello che è certo è che scegliere bene ci rende più felici!  La nostra scelta deriva dalle nostre preesistenti esperienze e conoscenze. Abbiamo nel nostro bagaglio quotidiano  dei bias  cognitivi che si fondano  al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie. Purtroppo utilizziamo i nostri bias molto spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica. Prima di andare avanti spiego cosa vuole dire bias, un lemma  inglese, che trae origine dal francese provenzale biasis, e significa obliquo, inclinato, passato poi al francese. Ma l’origine del lemma deriva dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Inizialmente, tale termine era usato nel gioco delle bocce, soprattutto per indicare i tiri storti, che portavano a conseguenze negative. Nella seconda metà del 1500, il termine bias, assume un significato più vasto, infatti sarà tradotto come inclinazione, predisposizione, pregiudizio. Infatti il lemma piemontese sbiess e trae la stessa origine del provenzale citato prima entrambi derivano dal  latino ex biaxum, che ha due assi oppure dal greco latinizzato  ex epikarisios, inclinato, sghembo, obliquo. Sarà un caso ma in provincia di Biella esiste una frazione di Graglia che ha il toponimo di Bias. Tornando al bias cognitivo un tipo di errore che facciamo tutti inconsciamente facciamo e che poi non impariamo dall’errore ma molte volte continuiamo a fare è quello negli affari pare che ci sia la tendenza nei manager a pagare in eccesso per una acquisizione, perché si sovrastima il valore delle sinergie che potrà creare. È sempre così. Sistematicamente. Eppure, questo errore si ripete sempre.  Oppure nel  prendere una decisione tendiamo a confrontare solo un insieme limitato di elementi: l’errore è quello di ancorarsi, cioè fissarsi su un valore che viene poi usato, arbitrariamente, in modo comparativo, cioè come termine di paragone per le valutazioni in atto, invece che basarsi sul valore assoluto. Poi esiste il bias di proiezione  per il quale pensiamo che la maggior parte delle persone la pensi come noi. Questo errore cognitivo si collega al bias del del falso consenso per il quale riteniamo che le persone non solo la pensino come noi, ma anche che siano d’accordo con noi! In sostanza sopravvalutiamo il pensiero delle persone che incontriamo. Bias c’è ne sono tantissimi dalla negatività dove ci concentriamo solo sugli elementi negativi e tendiamo a sottovalutare i successi, poi abbiamo il bias del status quo, quando il cambiamento ci spaventa ed abbiamo il pregiudizio su tutte le innovazioni. Abbiamo poi il bias dell’ottimismo, dove molte volte siamo tutti più ottimisti che realisti, questo nonostante ci piaccia pensare di essere creature razionali capaci di fare giuste previsioni sulla base di valutazioni obiettive. Nel bias di omissione si intende quella tendenza sistematica a preferire scelte che comportano l’omissione anziché l’azione, anche quando questo significa esporsi a rischi oggettivamente elevati, e di questo comportamento ne abbiamo visto di casi durante la pandemia tra i fautori del vaccino ai contrari.   L’opposto è il bias d’azione che ha degli esempi pratici nel calcio, specialmente  nei portieri di calcio durante i calci di rigore: pur sapendo che la strategia ideale per i portieri sarebbe rimanere al centro della porta, inazione, molto spesso ai rigori, il portiere si tuffa in una parte della porta. Poi abbiamo il bias detto Illusione della frequenza, quando il nostro cervello tende a selezionare informazioni che ci riguardano,  per esempio  auto rosse se abbiamo appena acquistato una macchina rossa, autoconvincendoci  che ci sia un reale incremento nella frequenza di  macchine rosse, cioè tendiamo a sovrastimare la frequenza di informazioni che ci riguardano. Molto attuale specialmente nell’alimentazione, durante la nostra vita, i nostri risparmi ed in politica è il bias del presente, prendere delle decisioni per ottenere una gratificazione immediata, ignorando le possibilità di guadagno differite nel tempo.   Per ultimo accenno sul bias del pavone, che prolifera sui social dove siamo indotti a condividere maggiormente i nostri successi, rispetto ai nostri fallimenti. L’uso che la maggior parte delle persone fa dei social è una fotografia  dove tendono a mostrare per lo più un’immagine positiva di sé, tanto da far sembrare la vita di tutti ideale. Individualmente non riusciamo salvarci dai bias perché  faremmo come il Barone di Münchhausen, quando cerca di salvarsi tirandosi per i capelli. Nel libro  di Oliver Sibony “Stai per commetere un terribile errore” la ricetta per superarli è di farlo collettivamente, come gruppi, squadre, organizzazioni. Però servono dei leader capaci di riconoscere il valore del lavoro di gruppo e del processo che ne nasce, che non pensino che il loro giudizio sia il migliore, e che siano consapevoli dei limiti e dei pregiudizi che ci condizionano. Ma forse in questo periodo storico stiamo chiedendo molto, o no!

Favria, 12.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Se le cose siano così, non vuole dire che debbano andare così. Felice mercoledì.

Favria, 13.10.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Dalla crisi non si esce con l’odio, la rabbia, queste sono solo le conseguenze. La soluzione, invece è l’amore. Felice giovedì.

Erse  e Aglauro.

Nelle Metamorfosi  si narra di Erse che era la minore e la più bella delle figlie di Cecrope, mito re di Atene. Questa fanciulla di ritorno da una processione panatenaica, venne adocchiata da Ermes che se ne innamorò perdutamente. La processione panatenaica era la più importante festa religiosa e civile dell’antica  Atene, istituita secondo la tradizione da Teseo e celebrata in onore di Atena Poliade nel mese di Ecatombeone, all’incirca luglio, era  il nome del primo mese del calendario attico e del calendario ionico.  Poliade, significa protettrice della città, ed era un  epiteto della dea Atena. Si distinguevano le piccole Poliadi, annuali, e le grandi  Poliadi,  quadriennali. Culminavano entrambe il 28° giorno del mese, considerato natalizio di Atena, con una processione che recava alla dea, sull’Acropoli, il prezioso peplo tessuto dalle donne ateniesi. Nel corso delle Poliadi, si svolgevano agoni ginnici e ippici, gare poetiche e musicali, e la sera del 27 una festa notturna, con  la lampadedromia, antica gara con  corsa a squadre con fiaccole. Ermes, Mercurio, il dio di Cillene, antico nome del più alto monte dell’Arcadia, oggi chiamato Ziria, al confine nord-orientale della regione; noto soprattutto per il mito di Ermete, venerato con l’epiteto di Cillenio, e cui era reso culto anche sotto il simbolo del fallo, infatti si credeva che   il dio sarebbe nato in una grotta del monte si era innamorato di Erse. Ermes cercò di persuadere promettendo dell’oro ad una delle sorelle, Aglauro, per lasciarlo entrare nella stanza di Erse. Aglauro accettò l’oro ma, colta dall’invidia nei confronti della bella sorella non rispettò il patto. Il dio s’infuriò, entrò in casa e punì la donna mutandola in una statua di pietra.  In un’altra storia, incuriosite dal contenuto di un cesto affidato loro da  Atena, Erse, Aglauro e la terza sorella Pandroso ne alzarono il coperchio vedendo Erittonio, un bambino con la coda di serpente al posto della gambe, impazzendo di paura e finendo giù dall’Acropoli oppure, secondo Igino si gettarono in mare.  Nelle Metamorfosi di Ovidio si narra che Atena irata con la sorella Aglauro per aver contravvenuto al divieto di non sbirciare il contenuto del cesto affidatole, la punì inviandole la dea dell’Invidia, affinché instillasse in lei un’insana gelosia per la storia d’amore tra Ermes e sua sorella Erse. Sempre secondo Ovidio, la stessa Aglauro si mise tra i due sbarrando l’entrata di Ermes nella casa e rifiutando di spostarsi. Ermes si arrabbiò per la sua presunzione e la trasformò in una pietra.

Favria, 14.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Solo perché un problema non è stato risolto, non è detto che sia impossibile da risolvere. Felice venerdì.

La pigna

Il nome scientifico della pigna è strobilo, volgarmente detto cono. La pigna è il ”frutto” del pino, albero sempreverde, incarna dunque la forza vitale, l’eternità, la rigenerazione continua e viene associata anche all’idea del divino e dell’immortalità. I semi simboleggiano la forza generatrice e la fecondità. In quanto frutto di un albero sempreverde, che resiste anche ai climi più rigidi senza perdere gli aghi, la pigna è infatti stata immediatamente riconosciuta dall’uomo come simbolo di vita e di forza che supera anche le più terribili avversità.La sua forma e la presenza di numerosi semi (i pinoli), oltretutto, ha fatto sì che questo frutto venisse immediatamente preso anche come simbolo della fertilità. La Pigna  è stata usata sino dall’antichità in diverse culture, oggi vengono regalate sia per il loro simbolismo profondo sia per abbellire semplicemente le case o gli esterni. Le pigne sono dei semplici frutti di molti varietà di alberi sempreverdi come il pino e l’abete. Ma nonostante il loro aspetto umile hanno un significato molto profondo. Troviamo tracce delle pigne nell’arte di quasi tutte le culture antiche. Si possono trovare pigne in reperti babilonesi, egiziani, greci, romane e cristiani. Ma anche le popolazioni del nord Europa e i popoli precolombiani usavano la pigna su edifici, nell’arte e nella loro religione. In Messico sono stati trovati reperti della divinità “Chicomecoatl” rappresentata con delle pigne in una mano e un albero sempreverde, simile a un abete, nell’altra. È famosa la Staffa di Osiride (divinità egizia) che è raffigurata con alla sua estremità una pigna. In un antico palazzo assiro vi troviamo delle divinità alate che tengono in mano una pigna. Nella pittura classica si raffigurava Dioniso con una pigna sul suo tirso, un bastone. Il largo uso della pigna nel corso della storia è dovuto al fatto che molti l’hanno legata a un significato spirituale. Sorprendentemente, la Pigna ha un significato simile in molte culture antiche, anche se a volte con diverse sfumature. La pigna è stata collegata ai concetti di nascita e creazione. Per via della somiglianza all’uovo che lo associa allo “0”, quindi all’uovo cosmico, alla nascita, al principio; vedasi ovviamente il simbolismo riferito ad Eostre, al coniglio e alla tradizione greco-romana di regalare uova colorate. Nella Nella cultura siciliana, la pigna rappresenta buon auspicio, salute e prosperità, prosperità, infatti viene spesso regalata in occasione di un matrimonio, mi raccomando una pigna delle ceramiche di Caltarigirone famose in tutto il mondo.

Favria, 15.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro. Felice  sabato.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  VENERDI’ 4 NOVEMBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Cicno.

Nella mitologia greca esistono diversi personaggi con il nome Cicno, il primo è  un semidio figlio di Ares, Marte,  che sulla strada da Tempe alle Termopili, assale e uccide i viandanti per costruire con i loro cranî un tempio al padre suo. Questo gigante  figlio di Ares e di Pirene, morto attorno al 600 a.C. usava derubare i pellegrini che si incamminavano per strada fino a Delfi, nascondendosi nella foresta della Tessaglia, che era sacra al Dio Apollo. In questo modo saltava fuori dalle fronde e quindi derubava i malcapitati. La sua storia è raccontata in diverse fonti, soprattuto nelle opere di Esiodo. Si narra che Eracle, il figlio di Alcmena e di Zeus, si stava riposando mentre pascolava i buoi, quando ne fu derubato proprio da Cicno. Cicno nascose gli animali di Eracle in una caverna, ma l’eroe li trovò facilmente: così prese il gigante e Cicno finì per essere stritolato. Secondo gli storici, lo scontro fra il gigante e l’eroe sarebbe da collocarsi a Pegase, città della Tessaglia. Ercole ferisce Ares e  uccide Cicno, Ares salito all’Olimpo, spoglia delle armi il caduto. Ceice, suocero di Cicno, e re di Trachis, lo seppellisce onorevolmente, ma la tomba è trascinata via dal fiume Anauro per volere di Apollo. Secondo altro mito, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi surante la di Troia, Cicno, figlio di Poseidone, Nettuno e di Arpalea, secondo altri di Calice. Era re di Colone, una città della  Troade. Questa mitica figura greca potrebbe derivare dal sovrano ittita Kukunni di Wuilusa, Troia. Cicno  alleato dei troiani, fu il primo a gettarsi contro i Greci appena sbarcati riuscendo a uccidere in tutto più di mille soldati achei; dopodiché, alla vista di quell’immenso strazio, l’eroe greco Achille decise di affrontarlo e lo colpì con il pomello della spada della sua spada al volto, senza produrre alcun graffio, poiché Cicno era invulnerabile, e riuscì finalmente a ricacciarlo indietro a colpi di scudo fino a quando Cicno non inciampò all’indietro e cadde a terra. Cicno, era ritenuto invulnerabile al ferro e al fuoco, e avrebbe facilmente sterminato da solo l’intero esercito acheo se non fosse stato strangolato con i lacci del suo stesso elmo dal Pelìde ed ucciso. Così Achille poté mettere in fuga da solo le intere schiere troiane. Dopo averlo ucciso, Achille gli tagliò la testa e la appese in cima a Vecchio Pelio, piantando la picca a terra a terra come segno di vittoria iniziale contro l’esercito dei guerrieri avversari. Infine tentò di spogliare Cicno delle armi ma grande fu il suo stupore quando lo vide svanire nel nulla perché Poseidone, per lo strazio ed il dolore di uno dei tanti suoi valorosissimi figli uccisi, l’aveva fatto reincarnare in un cigno. Secondo un’altra versione Achille uccise Cicno tirandogli una pietra in faccia. Anche qui comunque l’atto finale è il prodigio operato da Poseidone. Cicno viene decantato anche da Virgilio nella sua Eneide, nel Canto VIII; dove racconta la storia di questo gigante, modificandone però il nome in Caco, sostenendo che sarebbe stato ucciso da Ercole dopo averlo derubato dei suoi buoi.  C’è anche un altro mito relativo ad un altro personaggio di nome Cicno, questa volta ambientato nella penisola italica. Cicno, re dei Liguri, era molto amico di Fetonte, figlio di Apollo. Dopo la morte di costui abbandonò il suo regno, vagando disperatamente sulle rive del Po, dove Fetonte era perito. Quando divenne vecchio, gli dèi, impietositi, trasformarono Cicno in un cigno bianco, animale acquatico che odia il fuoco, a causa della morte del giovane amico. Platone nel Fedone, parla dei cigni che quando si accorgono che stanno per morire, proprio allora cantano moltissimo e benissimo, essendo contenti perché stanno per andarsene presso il dio del quale sono ministri. Gli uomini invece a causa della propria paura della morte mentono sui cigni e dicono che essi, lamentando la morte, cantano per dolore, a tal proposito spiegava il filosofo Platone, che nessun animale canta quando ha paura o quando prova dolore perciò questo è impossibile. Secondo il mito, infatti, questo animale era sacro al dio Apollo e, dunque, capace di profezia. Infine la  costellazione del Cigno è una delle più imponenti fra le 48 descritte da Tolomeo. Alcune delle stelle che la compongono sono molti brillanti e visibili ad occhio nudo, soprattutto d’estate. La figura del cigno, che si può stilizzare anche con la forma di una croce, si dispone lungo la via Lattea ed è quindi ricca di elementi molto luminosi. I nomi delle stelle principali, come  Deneb e Albiero, sono di origine araba ed indicano le varie parti dell’uccello. Il primo, che indica la stella sulla coda del cigno, significa appunto “coda”, Sadr, invece, che costituisce la parte centrale della costellazione, significa “busto”. Le sue stelle più brillanti costituiscono anche l’asterismo noto come la “Croce del Nord”.

Favria, 16.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Certi giorni al mattino non vedo, ma sogno. Felice domenica.

Tirèmm innànz!

La frase milanese tiremm inànz milanese, tiriamo innanzi, andiamo avanti che, secondo la tradizione popolare, il patriota milanese Amatore, ma noto con il nome di Antonio Sciesa, nel 1851, avrebbe pronunciato mentre veniva condotto all’esecuzione, come risposta alle insistenze della polizia per indurlo a rivelazioni che avrebbero potuto salvarlo. La frase è spesso ripetuta in senso figurato e generico, come esortazione a proseguire tenacemente e senza indugio sulla via intrapresa, senza lasciarsi abbattere e frenare da difficoltà o da dubbî. Amatore o Antonio Sciesa, nella sentenza  venne erroneamente scritto Antonio e per questo motivo nacque l’equivoco legato al suo nome.  Di mestiere faceva il tappezziere ed era entrato in contatto con gruppi di rivoluzionari milanesi nel 1850, spinto dalla politica repressiva messa in atto in città da Radetzky. La sera del 30 luglio 1851 era stato arrestato in corso di Porta Ticinese perchè in possesso di manifesti rivoluzionari.
Per questo fu condannato a morte. Le parole Tirremm innànz , pare che il patriota le avrebbe pronunciate prima della sua condanna, sarebbero state la risposta negativa all’esortazione da parte delle autorità di fare i nomi dei suoi complici. Sulla vicenda vi sono almeno due correnti di pensiero che la tradizione popolare ha riportato ai giorni nostri. Durante il tragitto alcune fonti dicono che avrebbe pronunciato la famosa frase passando sotto le finestre di casa sua, mentre uno dei gendarmi lo esortava a fare i nomi degli altri partecipanti in cambio della sua libertà. Ad ogni modo, la frase tiremm innanz, resta qualcosa di importante e che racchiude in sé un esempio di lealtà alla propria ideologia e ai propri compagni. Per questo motivo è rimasto famoso nella storia, nonostante la sua opera massima nella vicenda sia stata quella di affiggere manifesti. Nonostante Sciesa fosse stato condannato alla forca fu poi fucilato, perché colui che avrebbe dovuto eseguire la condanna (il boia) era morto qualche giorno prima.

Favria,  17.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana solamente nella misura in cui doniamo realizziamo noi stessi. Felice lunedì.

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo oggi a FAVRIA  VENERDI’ 4 NOVEMBRE  2022, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio