Nuove pagine di Giorgio Cortese (dal 4 Settembre)

Per il sito “VALLE SOANA UNA VALLE FANTASTICA”
Ciao Mario.
Ciao Mario la notizia della Tua morte mi ha gelato il sangue.
Ciao Mario, quello che provo non posso spiegarlo, lo so dietro  non si può tornare più. Caro Mario  dopo il primo momento di sconforto ho pensato che nessuno muore sulla terra finché  vive nel cuore di  noi che restiamo.
Ciao Mario, il tempo di questa vita breve e  passeggera vola via in fretta.
Ciao Mario, il mio non è un addio perché ci rivedremo a parlare e ridere  in altro luogo, nell’altra vita, la vita eterna.  E così potremo riprendere tutti i discorsi che  per la fretta di questa vita non ci siamo mai detti.
Grazie Mario per tutta l’umanità che mi hai donato.
Favria 4.09.2014          Giorgio Cortese

La musa di Davide
Tornando a casa nel breve percorso dalla rimessa dell’ato a casa mia,  in queste sere di inizio  settembre, un mese dolce, non ho potuto non ammirare una  maestosa  Musa sapientum, almeno credo oppure è una Musa paradisiaca. Lasciata perdere questa disgressione pseudo scientifica anche perché poi pare che questi vecchi nomi  non sono più in uso. Complimenti allora a Davide per la sua rigogliosa Musa, non avete capito di chi cosa parlo? Ma parlo di un bellissimo albero di banano, si proprio quello da cui poi vengono generati i suoi magnifici frutti, le banane. Questo mi fa pensare che abituati come siamo a comprarla al supermercato o dal nostro fruttivendolo, non ci siamo mai chiesti da dove viene la banana. Effettivamente non ci poniamo mai troppi interrogativi su ciò che mangiamo eppure conoscere la storia delle origini del frutto giallo più apprezzato al mondo è interessante. Nonostante le banane arrivino sui banchi dei mercati per lo più dal Centro America, la sua terra natia è localizzabile nel sud-est asiatico, nella penisola malese, per essere esatto. La sua diffusione ebbe inizio circa 2.500 anni fa quando iniziò a spostarsi verso l’India dove Alessandro Magno ne assaggiò una per la prima volta nel 327 a.C. Dalla penisola indiana la banana cominciò pian piano la “conquista” del resto del mondo, prima arrivò in Africa grazie agli arabi e, infine, nel Nuovo Mondo dove pare che fu portata intorno al 1516 da un frate spagnolo. Pensate che le prime banane importate in Europa nel 1601 venivano descritte come i frutti che profumano di rosa. Ma attualmente da dove viene la banana? Essendo coltivato in tutti gli ambienti tropicali, il nostro frutto preferito adesso proviene da paesi come l’India, l’Ecuador, Costa Rica, Messico, Colombia, Tailandia, Indonesia, Filippine, Cina e Brasile dove, grazie alle alte temperature, è disponibile tutto l’anno. Nella cultura popolare e nel commercio il lemma “banana” di solito si riferisce alle morbide e dolci banane utilizzate come frutta. Invece le cultivar di Musa con frutti più duri e ricchi d’amido vengono talvolta chiamate “platani”, un prestito dello spagnolo platano. Questa distinzione tuttavia è puramente arbitraria, le parole platano e banana sono spesso intercambiabili quando il tipo di frutto è desumibile dal contesto. Permettetemi una lieve disgressione dal banano e dal suo frutto banana, per spiegare il vocabolo “cultivar” scritto alcune righe sopra, che  deriva dalla contrazione della locuzione inglese ”cultivated variety” , “varietà coltivata” che deriva a sua volta dal latino “varietas culta”, ed è stato ufficialmente adottato dal XIII Congresso di Orticoltura tenutosi a Londra nel lontano 1952.  Tornando al lemma  banana, questo proviene invece  dall’arabo banan, che significa “dito”.  Come riflessione finale, questo rigoglioso banano mi ricorda che le piante sono i soli esseri viventi  in questo universo che non producono rumore né rifiuti.
Favria,   7.09.2014             Giorgio Cortese

Trovo che le  piante e i fiori sono molto simili a certi miei  progetti,  alcuni non si sviluppano, altri crescono quando meno me lo aspetto

Siamo brava gente ma….. ancora purtroppo italioti?
Nella vita quotidiana ci sono a volte degli episodi che fanno riflettere sul comportamento umano. Nel mese di luglio, mi ricordo che sono andato a mangiare con degli amici ad una di queste sagre che imperversano nel periodo estivo. L’aria era lievemente fresca e dava una tregua alla calura opprimente della giornata. Si discute e, fra argomenti frivoli e no, si finisce inevitabilmente a discorrere anche di debito pubblico e della crisi economica. Il tema è di forte attualità e finisce col richiamare l’attenzione del tavolo a fianco, praticamente attaccato, come avviene spesso nelle sagre, dove è seduta una coppia di mezza età, cortese e affabile. Ci guardano, finché lui, modi da distinto professionista, non si trattiene ed educatamente sbotta: “Scusate se mi intrometto”, attacca discorso con  garbo, “non è che origliassi, ma personalmente leggendo i giornali e  vedendo la tv , noto che si parla  tanto dei costi della politica, della casta, ma secondo me il vero nodo è quello degli appalti e della corruzione che vi gira intorno. E’ lì che si disperdono fiumi di denaro pubblico. E poi c’è questo cancro dell’evasione fiscale, in questo campo siamo il secondo Paese europeo, è impossibile andare avanti così”. Non c’è che dire, l’analisi è condivisibile. La cena prosegue, peccato però che abbiamo pagato tutti alla cassa prima di sederci ai tavoli, ottimi prezzi ma…senza IVA, dello scontrino fiscale neppure l’ombra e magari nelle vicinanze i bar, ristorranti e pizzerie fanno il loro dovere rilasciando la ricevuta fiscale Eppure li, nessuno dice nulla e tutti se ne vanno via soddisfatti  in apparenza. Personalmente mi rimane  un’amarezza di fondo. Perché mi scopro così a pensare, nel cuore di una calda notte, che pur non essendo certo che il mio episodio sia un campione statisticamente valido, questo Paese è un concentrato di radicate contraddizioni. Penso che viviamo come in un perenne spettacolo di parolai e di venditori di fumo, dove conosciamo tutti i mali che ci affliggono, sappiamo tutti fornire una ricetta economica e sociale anche brillante, ma alla fine ricadiamo tutti, e vorrei sottolineare tutti, noi inclusi, nei nostri italioti vizi. Questo è il nodo della nostra attuale società che dobbiamo superare, lo scollamento  fra la realtà dibattuta e la quotidianità vissuta, che imputiamo spesso alla nostra classe dirigente. A quella politica che per prima in Italia non ha fatto della trasparenza fiscale una regola aurea, come provano gli obblighi tributari e contabili minimi che hanno i partiti politici, così come le fondazioni politiche e culturali che li fiancheggiano. Mentre sempre nuove leggi si sovrappongono a precendenti provvedimenti, stratificandosi e sommergendoci di burocrazia che genere solo inutili costi per la società. I provvedimenti che prendono contro l’evasione fiscale non sono solo delle inutili grida di manzoniana memoria su chi non rilascia lo scontrino o la fattura? Mi viene da pensare al dentista che anni fa si era stupito quando gli avevo richiesto la fattura, esclamando ma c’è l’Iva? Sono episodi consumati alla luce del sole,  ma anche condivise,  più o meno inconsciamente ¬nel sentire comune di tanti. Questo è il devastante modello italiota del “tanto, si fa così…”. E se adesso ci ritroviamo come ci ritroviamo sull’orlo del baratro economico è per aver  coltivato questo modello ed è per questo che siamo derisi e considerati poco credibili  dagli ex signori del marco . Questa crisi vissuta in pieno agosto è anche un’occasione per fermarci a riflettere. E per esigere dalla politica che ci rappresenta un deciso cambio di marcia. A condoni e sanatorie abbiamo ampiamente fatto ricorso in passato e non è di questo che se ne avverte il bisogno. Nella lotta all’evasione, come in altri comportamenti, servono azioni nuove e, forse, nuovi uomini e donne che le portino avanti ad ogni livello politico azioni oneste, leali e sincere e noi non più italioti ma italiani veri
Favria, 8.09.2014     Giorgio Cortese
Se dovessi raffigurae la calma, mo viene in mente la figura del gatto della acascina seduto e pacifico sull’ingresso
Res gestae favriesi. Bando emanato il 9.9.l741
Il primo bando campestre che viene a noi noto della Comunità di Favria e interinato dal Senato di Piemonte, è un provvedimento del 1741 esattamente de 9 settembre, e che viene interinato un mese e mezzo dopo cioè il 21 ottobre. “Ad istanza pagina  della Cominità di Favria, si proibisce il pascolamento dè bestiami nei boschi sia cedui che d’alto fusto in quel territorio sotto le pene e per il tempo prescritti dalle Regie Costituzioni”.
Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori
Espone la Comunità di Favria tenere possedere nelle fini d’esto luogo vari, seminenti di Bosco, di cui avendone fatto seguire in parte il tagliamento, si fanno lecito gli uomini di Front di condurre loro bestiami al pascolo in detto tenimento, tutto che ancor non siano spirati gli anni cinque dopo detto tenimento, il che ridondano grave danno e pregiudizio della Comunità esponente massicchè non gli è riuscito di riconoscere li Padroni d’essi bestiami per quelli da far condannare al pagamento delle solite pene, gionto pure, che sendosi voluto far arrestare li Bestiami suddetti, vi sono osservati uomini armati in difesa e custodia de medesimi, se ne ricorre per tanto, per veitare ogni disordine che ne potesse, da V.V.E.E.
Supplicandole umilmente si degnino inibire ad ogni, e qualunque Particolare di Front, ed ogni altro che sia spediente, d’introdurre, ne far pascolare li loro Bestiami ne sovradetti Boschi stati tagliati, sotto le pene prescritte dalle Regie Costituzioni, e quelle maggiori pareà a  V.V.E.E. d’imporle anzi in capo di contravvenzioni, commettere, e mandare all’Ordinario di Favria di prenderne sommarie informazioni, e quelle trasmettere all’Officio del Signore Avvocato Fiscale Generale per le sue conclusioni, e successiva provvigione di V.V.E.E., con conferirne per tal effetto l’autorità necessaria, e  opportuna
Musso Procuratore
Sarà comunicata al Sig. Avvocato Generale
Torino li nove Settembre 1741
Firmato Cassotti di Casalgrasso De Morra
Visto il soprascritto ricorso
Per quanto riguarda il semplice pascolamento nei boschi dè quali nel 10 Lib, 6 Lit. 6 delle Regie Costituzioni altra provvidenza non occorre darsi, salvo che si osservi il prescritto dalle Regie Costituzioni, e se poi seguisse pascolamento con circostanza tali le quali importino quale qualità di delitto, allora deve  l’ordinario  procedere secondo il prescritto  dalle Regie Costituzioni. Si conclude accordarsi Lettere di proibizione a chicchessia di pascolare alcuna sorte di bestiame ne boschi cedui che d’alto fusto pendente il tempo prescritto delle Regie Costituzioni sotto pena ivi ordinata con mandare all’ordinario in capo di contravvenzione di procedere conforme di giustizia e secondo le circostanze de casi in conformità del prescritto dalle Regie Costituzioni e mandarsi pubblicarsi ed affiggersi all’albo Pretorio del luogo il soprascritto ricorso colle lettere Senatorie, che emanavamo, e registrarsi.
Torino li 7 ottobre 1741
Viale Sostituto Avvocato Generale
Il Senato di Torino rispondeva  con lettera di patenti nell’ottobre 1741, confermando il divieto in forma assoluta degli abitanti di Front di  pascolare nei boschi comuni favriesi.
Favria, 9.09.2014       Giorgio Cortese
La calma o l’agitazione del nel mio stato d’animo non dipende tanto dalle cose più importanti che mi accadono nella vita, ma dal riuscire a sistemare in maniera piacevole le piccole cose che mi capitano tutti i giorni
Mattina
È già mattina, sonno, voglia di sbadigliare, di non pensare, di scordare il mondo là fuori; di rannicchiarmi, e fuggire via,  in un altro sogno. Alla mattina mi guardo allo specchio mi vedo allo specchio del giorno che nasce, adulto, quasi cinquantenne con la barba e  capelli brizzolati, impiegato tutto sommato soddisfatto. E poi ogni mattina è l’inizio di un nuovo giorno di un nuovo quotidiano cammino, un inizio brioso, ecco ogni mattina, mi piacerebbe rivedere come l’alba così tutto il giorno l’affascinante spettacolo di una natura che non muore. Con la mattina la vedo che la notte se ne va, coraggio!
Favria, 10.09.2014

La frivola vanità
Scriveva William Shakespeare nel Riccardo III: “La frivola vanità, cormorano insaziabile, non esita a pascersi di se stessa”. La vanità se prende piede nell’animo rende grasso l’ego e rinsecchite le relazioni sociali. Il vanitoso diventa prigioniero di se stesso, avvolto da lusinghe di plastica, che lo soffocano con il rapporto dei suoi simili, viene fagocitato dal vuoto esistenziale che a dentro di lui. Vedendo come agiscono certe persone mi viene da pensare che la vanità è simile ad  prisma,  nel loro animo è come ci siano dei  cristalli serpeggianti  che scompongono  come delle luci le loro umane emozioni in bagliori impalpabili. Per queste persone c’è sempre il latente terrore di avere prima o poi nell’animo delle nere  nubi di riflessione che possono infrangere il suo smisurato ego. Per loro esistono solo tre priorità nelle vita: vanità, imbecillità e stupidità. Mi fanno pensa perché non sanno che la  serenità non è trastullo né vanità, ma il sapersi sempre mette in gioco, il pensare di non essere mai arrivati, una attenta vigilanza al margine di ogni profondità e precipizio che incontro nella vita quotidiana. Le persone vanitose ed arroganti pensano sempre di centrare il quotidiano bersaglio con i loro gesti, non riflettendo che ci sono sempre delle persone più forti e più preparate. Quello che conta nella vita è agire correttamente e onestamente. La correttezza del gesto è la consapevolezza della correttezza dell’ onestà dell’ intento dell’ agire umano, agire umano dove tutto si deve fare tranne che non pensare, informazione, questa, del tutto sconosciuta ai più. E’  forse per questo che gli eroi vanitosi non sono poi tanti.
Favria  11.09.2014

Pensando al passaggio delle stagioni, la loro bellezza consiste nella loro sfuggevole natura in cui ciascuna, trasformandosi lentamente in un’altra, possederà sempre un enigmatico volto, sfumato da un velo di armoniosa originalità.

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