All’epoca di Dante, nessuno sapeva quale direzione avrebbe preso la fiorentinità, oggi nessuno può sapere o conoscere dove ci porteranno le difficoltà del momento. Un dato tuttavia pare e serve da riflessione, come tanta saggezza servì a Firenze tra il XIII ed il XV secolo, tanta saggezza ed accurate riflessioni su quello che ognuno di noi è in questa nostra epoca di transizione servirebbe ancora oggi.

Mantenere gli impegni…

La base del bene comune,  mantenere la parola data. Mantenere la parola data è alla base del nostra società, senza questo cade la fiducia reciproca che ci accompagna  nella vita di ogni giorno.  Certo il quadro quotidiano che mi circonda, pur essendo di natura ottimista convalida delle negative previsioni. Ogni giorno vengono ingoiati miliardi di risparmi e le Borse non riescono a fermare questa paurosa caduta  quotidiana. Ho letto recentemente sul “Il Sole 24” di venerdì fine marzo che nella nostra Patria la pressione fiscale totale sulle aziende è pari al 68,3%, pari al 38,7% la disoccupazione giovanile,  il costo della burocrazia per cittadini e imprese è pari a 73 miliardi l’anno ed infine tra aprile del 2010  e settembre del 2012 la crisi ha eroso il valore della ricchezza degli italiani nella cifra di -715 miliardi, questi solo alcuni numeri impressionanti per descrivere la crisi del Paese. Non ho ricette da proporre ma solo delle domande a cui dare risposta. Ma i mercati finanziari Contano di più democrazia, diritti umani, stato di diritto? Quello che si sa è che c’è un debito pubblico che scende stentatamente nonostante i sacrifici sin qui fatti,  e mai come oggi non ci sentiamo più cittadini ma sudditi, vessati dal continuo aumento di tasse che non migliora i servizi, con gli stipendi  saccheggiati dalla crisi. Mi sembra che i governi ci stiano spennando per salvare chi ha acceso l’incendio della crisi. In questa maligna spirale alimentata dagli gnomi della finanza che con una loro pagella condannano la vita economica di un intero stato o continente ci sono dei politici e media nostrani malleabili che cercano di inculcarmi inevitabilità delle manovre e manovrine che vengono periodicamente fatte, intanto a fare i sacrifici ed a pagare siamo sempre gli stessi! Quello che manca oggi è il rispetto della parola data, dobbiamo ritornare alle nostre origini contadini, quelle dei nostri nonni e bisnonni, quando le transazioni si facevano sulla parola, con una stretta di mano. Era un principio che si imparava fin da bambini, gli impegni vanno mantenuti. Sono personalmente convinto che rispettare la parola data, un principio insegnato fin dall'infanzia e scolpito nel cuore, possiamo contribuire alla costruzione del bene comune. un buon politico dovrebbe avere a cuore prima di tutto il tenesse sociale e morale dei propri concittadini che lo hanno eletto democraticamente. Dobbiamo prendere coscienza che questa crisi nella nostra Patria non è solo una crisi economico e finanziaria, ma anche una crisi politica e democratica. La parte più importante della nostra società non sono mica i mercati finanziari. E' la democrazia, sono i diritti umani, lo Stato di diritto, non gli interessi delle società di rating! Abbiamo bisogno di politici nuovi a cui stai a cuore prima di tutto i suoi cittadini e li difenda da provvedimenti lacrime e sangue cari ai predatori della finanza, mettere in manette i manager delle aziende responsabili del disastro economico, anziché regalargli montagne di soldi pubblici per ricapitalizzarli altrove. Che consente  ai cittadini di esprimersi con strumenti democratici, magari chiede sacrifici ma se ne spiega il perché e si dimostra poi nei fatti quanto servano davvero al popolo e non ai parassiti. Insomma dei politici che dialoghino e ascoltino i problemi della gente comune, che provino a vivere con una pensione minima per alcuni mesi e si rendano conto delle difficoltà degli ultimi e dei vulnerabile che l’attuale crisi lascia sempre più indietro, questo vuole dire fare politica nel senso più nobile del termine mantenendo gli impegni presi con i propri elettori.

Favria,  8.04.2013

 

Dio e’ la speranza del forte, e non la scusa dell’infame.

 

9 aprile 1241 battaglia di Legnica.

La Battaglia di Legnica, in Polacco Bitwa pod Legnica, anche nota come la Battaglia di Liegnitz,  o Battaglia di Wahlstatt, fu uno scontro che vide opposte una coalizione di polacchi e tedeschi sotto il comando del duca di Slesia Enrico II il Pio, che agì con l’appoggio della nobiltà feudale insieme ad alcuni cavalieri degli ordini militari monastici inviati dal papa Gregorio IX. Lo scontro avvenne il 9 aprile 1241 e il suo obiettivo era quello di bloccare l’inesorabile avanzata invasiva dell’Orda Mongola Malgrado la vittoria dei tartari, fu una vittoria di Pirro, il   duca Enrico II sacrificò la propria vita affinché i mongoli non avanzassero più a ovest. Questo  fu il luogo più avanzato nel continente europeo che riuscirono mai a raggiungere, dopodiché, a causa della destabilizzazione politica insorta entro l’impero mongolo si assistette alla ritirata dell’orda. Si arrivò alla battaglia perché i mongoli consideravano i  Cumani, popolazione a loro assoggetata, ma quando queste popolazioni fuggirono  in Ungheria dove trovarono rifugio e protezione, almeno formale, da parte del sovrano Bela IV,  il quale ricevette ultimatum che richiedevano la “restituzione” dei Cumani. Allorché le richieste rimasero inascoltate, venne pianificata una invasione del regno d’Ungheria, prodromo per una invasione dell’Europa.   Batu Khan e  Subotai guidarono personalmente due armate nell'attacco portato all’Ungheria, mentre una terza armata guidata da Baidar, Khan dell’orda, e Kadan, attuò un diversivo in Polonia al fine di tenere impegnate le forze del nord, che altrimenti sarebbero accorse in soccorso del Regno d’Ungheria. Le forze dell’orda devastarono e depredarono la parte orientale della Polonia giungendo sino al confine con la Lituania, mentre Baidar e Kadan si occupavano della parte meridionale del paese. Quando giunse ai mongoli la notizia dell’arrivo di un'armata con cinquantamila unità che si trovava a due giorni da Breslavia, questi si mossero per intercettare il contingente in arrivo. Colsero le armate guidate da Enrico II nei pressi della città fortificata di Legnica, detta Liegnikie Pole, campo di Legnica, detto anche Wahlstatt, in tedesco, campo di battaglia. Enrico suddivise le forze in quattro divisioni: I Bavaresi guidati da Boleslav di Moravia;  I coscritti della Grande Polonia con i Cracoviani, al seguito di Sulislaw fratello dell’assassinato Palatino di Cracovia; La guarnigione di Opole, al seguito di Mieszko con alcuni cavalieri teutonici; Slesiani, Moldavi, Templari ed Ospitalieri sotto il diretto comando di Enrico II il Pio. Dalla descrizione della battaglia dataci da Chamers, la cavalleria slesiana fu la prima ad entrare in contatto con l’Orda mongola, quindi rimpiazzata dalla cavalleria della Grande Polonia, fu poi la cavalleria di Opole a compiere il successivo assalto. Ciò produsse un arretramento delle avanguardie mongole e causò la separazione della cavalleria dalle file della cavalleria polacca che “indifesa” subiva attacchi ai fianchi da parte dell’agile cavalleria mongola. Uno schermo di fumo venne usato per occultare il movimento dei mongoli, creando confusione fra gli europei. Frattanto i cavalleggeri mongoli portarono un attacco al fianco della cavalleria corazzata, mentre reparti di arcieri bersagliavano le forze polacche. Erik Hildinger ci segnala che furono i coscritti di Boleslav ad effettuare l’attacco al posto degli slesiani, mentre i fanti polacchi si impegnarono ad inseguire i mongoli che avevano intrapreso una ritirata strategica. Questa situazione di disgregamento indusse Mieszko a richiamare all’ordine il contingente di Opole, mentre Enrico II impegnava nello scontro anche le riserve per inseguire la ritirata dei mongoli. Ciò però conferì ai tartari un grande vantaggio, poiché la cavalleria europea si staccò dal corpo centrale delle truppe alleate impiegante nel frattempo a inseguire il ripiegamento nemico. Tale frammentazione permise ai mongoli di sconfiggere un reparto alla volta.L’armata di Enrico II fu quasi annientata, lo stesso Duca e Boleslav di Moravia vennero uccisi. I caduti stimati nelle file europee variano dai 2.000 ai 40.000.  Le perdite subite dai mongoli sono tutt’oggi sconosciute, e le descrizioni riportate dalle cronache di parte minimizzano, di molto, il numero dei caduti, ma comunque tale da dissuadere i comandanti da effettuare un attacco ai danni dell’esercito boemo. I mongoli tagliarono le orecchie a tutti i caduti nemici, raccogliendone almeno nove sacchi. Enrico II, catturato in ritirata venne trucidato con tre guardie del corpo, la sua testa fu affissa in cima ad un’asta come monito, innanzi alle mura di Legnica. Comunque l’operazione condotta da Baidar e Kadan fu un utile diversivo; infatti in seguito abbandonarono Boemia e Polonia dirigendosi a sud per ricongiungersi con le armate di Batu Khan e Subotai, uniti sconfissero gli ungheresi presso il fiume Sajó a  Mohi. Nel 1242, i mongoli appresero della morte del Gran Khan Ögedei, avvenuta per altro l’anno prima, poiché l’Orda aveva nelle sue fila di comando tre principi legati in linea diretta con la casa regnante, e perciò elettori e potenziali aspiranti al khanato, fecero ritorno ad est, presso la capitale nel Karakorum per il Kurulath da cui sarebbe sorto il nuovo dignitario supremo. La morale è quella di mai dividere le forze di non farsi ingannare.

Favria               Giorgio Cortese

 

La vita e' un attimo di luce, .come una candela che pian piano si affievolisce. Ma, purtroppo non tutti ne sono consapevoli e si comportano come se fossero invulnerabili, eterni e accecati dalla superbia e non apprezzano il valore della luce di una candela, anche solo un attimo.