70 volte grazie per la visione ampia della vita
Ho sempre pensato che l'atto volontario di stendere il braccio
per donare il proprio sangue debba essere considerato l'espressione di una visione ampia
della vita che privilegia la relazione e la condivisione tra persone. Alla base di questo
gesto non ci può essere soltanto un atto meccanico, che comunque è finalizzato ad
aiutare chi si trova in stato di bisogno, ma richiama uno stile di vita che dà
centralità al ben-essere proprio e dell'altro. Penso ancora che tali valori debbano
essere testimoniati con atti concreti, e questo il donatore di sangue lo sa fare bene. 67
volte grazie ai donatori che oggi hanno donato sangue intero a Favria nel Gruppo Comunale
L.Tarizzo- D. Chiarabaglia, ed un sentito ringraziamento ai tre donatori che oggi hanno
fatto gli esami, Voi tutti con il Vostro concreto esempio indicate alle nuove
generazioni la positività di questo stile di vita e promuovete nel quotidiano dei modelli
di comportamento pro sociale che sono il lievito della nostra società.
GRAZIE DI CUORE!!!!
Favria, 14.02.2014
Giorgio
Cortese
Res gestae favriesi, da glorioso a Rostagno
Il cognome Rostagno è tipico del Piemonte occidentale, del
torinese e cuneese, dovrebbe derivare dal nome medioevale Rostagnus. Ma diversi fonti
fanno risalire questo cognome ad una radice del nome germanico Hrodstain, da cui poi
derivano il francese Rostan, o Rostaing. Il nome germanico Hrodstain è composto dai
termini hrod, gloria, e da stain, pietra, con il significato di pietra della gloria.
Una curiosità, il cognome francese Rostand, era portato dall'autore del Cyrano de
Bergerac, Edmond Rostand, 1868 - 1918. Esiste anche il cognome Rostagni ma è molto
raro.
Favria, 16.2.2014 Giorgio Cortese
Ritengo che sono persone veramente pulite quelle che sono
attenti alle esigenze degli altri, senza sentirsi indispensabili
Erratum-corrige! Homo Homini Lupus
Errata.corrige. è una frase latina del linguaggio
bibliografico equivalente alla frase "errori da correggere" . Con questo
termine s'intitola l'elenco degli errori rimasti in un libro dopo la stampa, o delle
variazioni che un autore apporta al testo a stampa ultimata. Se l'errore da correggere è
unico si usa per titolo: erratum-corrige. Pensate, l'errata-corrige ebbe origine dopo
l'invenzione della stampa; un primo esempio si ha nelle Enarrationes Satyrarum Juvenalis per
Giorgio Merula, stampate a Venezia da Gabriele di Pietro nel 1478; si conoscono anche non
pochi incunaboli con errata-corrige manoscritti. Fra i più lunghi errata-corrige vanno
citati quello compilato da Francesco Garcia per la Summa di S. Tomaso d'Aquino, di
112 pagine, e l'altro compilato da S. Roberto Bellarmino, non soddisfatto delle
edizioni delle sue opere, di 88 pagine. L'errata-corrige si colloca ordinariamente
in fine dell'opera e reca l'indicazione della pagina e della riga dove si trova
l'errore, con a fianco la correzione; quasi sempre si usano caratteri differenti per
maggiore evidenza. E stata più volte discussa l'opportunità di collocare la "tavola
degli errori" in principio dell'opera, ma la proposta non fu mai attuata per la
riluttanza degli editori a porre molto in vista nei libri gli errata-corrige.
L'errata-corrige dei semplici errori tipografici è generalmente omesso. Personalmente
ritengo di fare questa doverosa precisazione su una mail precedente, infatti mipè
stato scritto. sul social forum, che lautore del proverbio non sarebbe Plauto e di
documentarmi meglio. Questo proverbio deriva dallAsinaria di Plauto, lupus
est homo homini, non homo, che vuole alludere allegoismo umano. Venne
successivamente assunto dal filosofo T. Hobbes, per designare lo stato di
natura in cui gli uomini, soggiogati dallegoismo, si combattono lun laltro
per sopravvivere.
Favria 17.2.2014 Giorgio Cortese
Senza una meta.
Tornavo a casa tardi dal lavoro, in auto, in una di queste
serate di pioggia di Febbraio, quando noto sotto la pioggia battente un
signore anziano, che non conosco, con l'ombrello che non copre nulla e i
vestiti bagnati. Il signore cammina cercando di scansare le auto, impassibili,
che passano veloci rovesciandogli addosso fango e acqua senza pietà e scommetto
che chi e chi guida sorride con il viso da rimbambito mentre parlotta al cellulare dei
fatti suoi. Abbasso il finestrino per chiedergli se vuole un passaggio ma lui niente,
prosegue imperterrito, quasi senza meta, poi si gira e con un sorriso ringrazia e dice che
è quasi arrivato. Proseguo verso casa, ripenso a quanta pioggia si sia preso quel povero
anziano, quando da dietro ad un angolo, da un cortile scuro come la pece, sbuca un cane
magro e tremante zuppo sino al midollo con il pelo quasi incollato alla pelle, cammina di
traverso con il muso a terra. Vorrei fermarmi ma gli imbecilli che sono sulle auto che mi
seguono sono così assorti nei loro cinguettare al cellulare che se mi fermo rischio che
mi tamponino e non so come fare per aiutarlo. Mi sento impotente con tutta la tecnologia
di cui sono dotato, posso navigare in internet ma non riesco a salvare un povero cane
spaurito. E la pioggia picchia sempre più forte mentre il cane si allontana sfiorando i
muri delle case e sparisce in una strada secondaria. In questi momenti mi domando ma
perché non funziona tutto come nei film? E non mi riferisco solo alla mia
impotenza di salvare quel povero cane o di aiutare quel mio simile anziano tutto
inzuppato. Ma perché la frase giusta o il pensiero utile arriva sempre durante i l
momento sbagliato? Sono personalmente convinto che se nella vita fossi più
coraggioso, più irrazionale, più combattivo, più estroso, più sicuro e se fossi meno
orgoglioso, meno vergognoso ,meno fragile nellanimo. Sono sicuro che non dovrei
pagare nessun biglietto del cinema per vedere persone che fanno e dicono ciò che
non ho il coraggio di esternare, per vedere persone che, fingendo, riescono ad
essere più sincere di me stesso, ma sono solo pensieri sotto la pioggia che continua a
cadere implacabilmente giù dal cielo. Ritengo che nella vita quotidiana,
quellinsieme di azioni ripetuto ogni giorno, ci sono persone che mi abbracciano
senza toccarmi e mi stringono anche quando sono lontane perché con il pensiero sono
vicine a me
Favria, 18.02.2014 Giorgio Cortese
Il carnevale è forse l'unico periodo dell'anno che permette a
certe persone di togliersi la maschera e osservali come sono realmente!
La tracotanza
La tracotanza è figlia della prepotenza si veste di arroganza,
che è una dote innata e naturale di quelle persone speciali che ogni verità
sono convinti di possedere e tutto presumono di sapere. Mi viene da pensare che se i
supponenti usassero la personale presunzione per illuminare il buio della propria
ignoranza, sarebbero sicuramente accecati. Quando chiacchiero con loro mi colpisce il
sorsetto beffardo, pensandosi onnipotenti e sicuro di leggermi nella mente. A anche
se ho ragione, è inutile continuare perché a loro parere sarà inutile argomentare nulla
più dovrò spiegare
Favria, 19.02.2014 Giorgio Cortese
Certe persone possono anche bagnare cento teste ma non ne lavano
nessuna!
Banda di Fratelli.
Per iniziare questa mia riflessione ho preso in prestito una
famosa frase dellattualissimo discorso, fatto pronunciare da William
Shakespeare ad "Enrico V" ai suoi uomini prima della storica
battaglia di Azincourt, 25 Ottobre 1415, nella quale circa settemila Inglesi,
seimila arcieri e mille fanti, sconfissero l'esercito francese di Carlo VI, formato
da circa 25 mila uomini, di cui mille a cavallo. La storia della battaglia è ancora oggi
un caso da manuale, studiato nelle più prestigiose scuole militari di tutto il mondo. La
battaglia delle arance, uno dei momenti qualificanti del carnevale di Ivrea, si svolge
notoriamente tra gruppi appiedati e guerrieri, ben protetti da pesanti corazze, situati su
carri trainati da cavalli, i carri da getto. I gruppi sui carri sono trainati da cavalli
in pariglie e quadriglie. Il lemma pariglia deriva dal francese pareille, che
discende a sua volta dal tardo latino paricula, che deriva dal latino classico par
ovvero pari, uguale. Come si è precedente detto i cavalli che tirano un carro
possono essere due, la pariglia sopra citata, oppure carri con tiro a quattro
cavalli, ed a Ivrea si usa il termine quadriglia, forse derivato dal termine
"quadriga", sinonimo di carro trainato da quattro cavalli o di un gruppo di
quattro cavalli, in riga, trainanti un cocchio. Ho conosciuto in questi giorni Roberto che
conduce lallegra brigata dei dieci aranceti sulla pariglia n 42 denominata Corpo
di Guardia del Borgo Vecchio. Ritengo che chi viene per la prima volta ad Ivrea è
rapito da questo spettacolo unico che stilla adrenalina pura nelle vene. Nei giorno del
Carnevale ad Ivrea, mito, storia e leggenda si uniscono creando uno spettacolo nello
spettacolo. Tralascio di spiegare i vari personali dalla vezzosa Mugnaia Violetta al
Generale Napoleonico un mix di Rivoluzione Francese innestato sui miti del
tuchinaggio. Ma sono proprio queste simbiosi storiche che generano gìà nel secolo
scorso la famosa battaglia delle arance tra gli arancieri a a appiedati, il popolo in
rivolta e gli arancieri sui carri, i masnada dei soldati del feudatario. e tutto intorno
che fa da cornice gli spettatori con il famoso berretto frigio. Il berretto, segno visivo
del carnevale, fu importato ad Ivrea dall'esercito francese in piena epoca
napoleonica. L'importanza del berretto frigio in Ivrea non è solo storico-folkloristica,
ma anche "strategica", chi ne è sprovvisto può essere fatto scherzoso
bersaglio degli Aranceri, i tiratori di arance; per cui vi è l'obbligo per tutti i
passanti di indossarlo. Ma la sua origine arriva da molto lontano, era un indumento
fondamentale nellantico impero persiano. Nellantica Roma divenne il
copricapo che veniva donato dal padrone agli schiavi liberati, i liberti. In questa epoca
il berretto frigio, chiamato pileus assunse il suo valore simbolico di libertà.
Nella Serenissima a Venezia i dogi Veneziani avevano un copricapo che si rifà al
berretto frigio, chiamato corno dogale. Durante la Rivoluzione Francese il
berretto frigio torno un auge perché era indossato dai galeotti di Marsiglia
liberati dai rivoluzionari nel 1792. Tornando al Carnevale, posso solo dire che i
temerari Corpo di Guardia del Borgo Vecchio, il carro 42, pochi, dieci
arancieri, contro molti, le numerose ed agguerrite squadre di arancieri a piedi assaporano
nellanimo la soddisfazione del guerriero, che incassa colpi e lotta ancora con
più forza. Sul carro sono un tuttuno, fra di loro si sente la sincera
vivacità della forza, la costanza della tenacia. Ritengo che durante la battaglia
vengono presi dal senso di una ebbrezza collettiva che li contagia facendogli
perdere il senso dellidentità personale per confluire in uno spirito di
squadra unico, un'unica turma di generosi arancieri che combattono a suon di arance senza
mollare mai. E poi, il carro non è soltanto tirare le arance è, appunto, vivere insieme
le emozioni della festa nei tre giorni e consolidare la fraterna amicizia durante tutto lanno.
Sarebbe bello che si riuscisse a portare nellanimo di ognuno di noi lo spirito di
squadra degli arancieri sia sui carri o a piedi, per utilizzarlo durante la nostra
quotidianità. Nella vita se non collaboriamo con i nostri simili, cercando di fare il
nostro quotidiano meglio non andiamo da nessuna parte, perché senza la squadra non
si fa nulla, e non solo nello sport. Dobbiamo essere come la pariglia 42 anche nella vita
quotidiana un gruppo di persone che condividendo un obiettivo comune può
raggiungere l'impossibile e sparigliare i risultati. E poi lo sparigliare molte volte è
una mossa originale, un'assalto ma soprattutto vincente, con cui si scompagina e si separa
riuscendo in risultati clamorosi. come una Banda di Fratelli.
Favria, 20.2.2014 Giorgio Cortese