Leggende della Val Soana
a cura di Riccarda Viglino
Uscendo si fermò sulla
soglia, chiusa la porta alle sue spalle, a guardare il rettangolo di cielo racchiuso tra i
tetti ed ecco che laria gli parve diversa, come se il giorno stesse improvvisamente
declinando.
Era salito di buonora per la mulattiera che dal piano si arrampicava tra i
boschi di frassini e castagni, fino alla sua valle stretta un po buia, solcata e
scavata dal torrente. Portava sulle spalle la fatica e la polvere di altre strade insieme
al sacco che conteneva le sue poche cose ; gli odori e gli umori di altra gente
incontrata, accompagnata per una parte di cammino, persa. Rumori e voci di cortili dove si
alzava, forte, il suo grido di lavoro, dove sostava per unora o un pomeriggio,
estraneo, solitario. Sentendo in ogni momento di non far parte di quel mondo dai grandi
spazi, dalla parlata larga che esplodeva la sera nei clamori delle osterie dove lui
consumava il suo pasto spiato ed osservato per i suoi grossi scarponi, le mani magre e
grandi di montanaro.
Quelle strade le percorreva senza emozioni, senza pensare, il pensiero uccide a
volte, e gli erano sconosciute parole come nostalgia e desiderio che ben avrebbero
definito lo strano miscuglio che gli chiudeva a volte in un groppo la gola. Soprattutto di
sera, quando seduto su un letto o su un giaciglio improvvisato, sfilava gli scarponi e
fumava assorto certe sigarette corte e forti che arrotolava egli stesso con gesto esperto
e sicuro, dosando il tabacco sapientemente e con parsimonia.
Si concedeva a volte, quando la pioggia inzuppava la sua vecchia giacca militare
entrandogli nelle ossa, di sentire per un attimo il profumo umido della stalla; a metà
tra il sogno e il desiderio, lo pervadeva il tepore buono delle bestie e sentiva nelle
orecchie un brusio di voci familiari. Poi ogni cosa riprendeva i contorni estranei di ogni
giorno, egli si riscuoteva e riprendeva il ritmo della sua vita randagia di emigrante.
Ora, in questinizio d estate , tornato a casa per qualche tempo finalmente,
subito era passato dal cavallante, luomo che assicurava i rifornimenti dal piano
alla piccola valle: farina, olio, granaglie. Ciascuno pagava come poteva con burro,
formaggio, più raramente in denaro, e i conti non tornavano quasi mai, sempre restava
qualcosa da segnare sul quaderno che egli traeva in fretta da uno stipo con un che di
sacrale per quella gente che non sapeva leggere né tantomeno scrivere.
Era entrato a testa alta, salutando già dalla soglia, ed aveva accettato il vino
che laltro gli offriva, risposto quasi con allegria alle domande e alle battute,
rinfrancato dal gruzzolo che portava con sé, tra la maglia e la pelle, e che piano gli
batteva sul petto ad ogni passo.
Poi quello aveva aperto il quaderno su un angolo del tavolo ingombro ed allora
cera stato nella cucina fumosa , un breve presagio mentre luomo sommava tra
loro quei segni neri contorti e ne traeva significati, suoni familiari a bassa voce.
Poi aveva spinto verso di lui la pagina aperta perché potesse vedere, controllare
, egli che non sapeva leggere, lesattezza della somma, la cifra pronunciata adesso
ad alta voce.
Non un muscolo si era mosso sul suo viso mentre serrava a pugno la mano abbandonata
fino ad allora sul ginocchio, ed aveva contato sul legno unto e rigato le monete, quasi
lintera somma accumulata in quei mesi lontano da casa. Finito con calma il suo vino,
salutando era uscito nel vicolo in ombra a passo saldo, il cappello ancora in mano.
Ora soltanto mezzora di strada lo separava da casa sua, dal campanile bianco
tra il verde dei larici del bosco, loro delle ginestre; poteva immaginare sua moglie
versare con un colpo preciso la polenta sul tagliere e il padre con il filo, dar forma
alle fette fragranti che i bambini avrebbero inzuppato nel latte. Forse lei ad un certo
punto , si sarebbe spinta sulla soglia o un po più avanti sul bordo del villaggio,
per spiare il suo possibile ritorno. Ed avrebbe nascosto lattesa, apparentemente
quieta.
Ma come far ritorno adesso con quel poco rimasto? E come soprattutto affrontare i
loro sguardi improvvisamente muti dopo gli abbracci e le risa? Meglio allora riprendere la
strada già fatta, tornare al più presto al suo lavoro. Si appoggia un momento alla
piccola cappella di pietra lungo la mulattiera, a cercare lombra, a sciogliere i
pensieri da quel groviglio che formano nella sua testa, senza conoscere le parole per dar
loro forma. Certo quelluomo non è onesto, tutti lo sanno, senza bisogno di
parlarne, senza dirlo nemmeno tra loro. E poi come controllare, come avere ragione di lui,
della sua scrittura! Certo non bastano le piccole pietre tonde levigate dal torrente che
sua madre allinea preziose una accanto allaltra sullasse sopra la finestra:
una per ogni misura di roba acquistata.
Ed ecco alluscita del paese un uomo che sale col suo mulo: lo conosce bene,
è del suo villaggio; passandogli vicino anchegli lo riconosce, lo saluta allegro.
Gli offre di fare la strada insieme, se sa adattare il suo passo a quello di un vecchio.
Ma egli rifiuta, deve tornare al piano, dice; porti lui i suoi saluti alla famiglia. E
poi, mentre il mulo già si avvia, con il viso appena voltato - e che se possibile
cerchino di fare economia....- mormora, subito pentendosene.
Dopo è di nuovo sole, e strada.