Personaggi che hanno onorato le nostre valli : Carlo Bonatto Minella

Carlo Bonatto Minella nella realtà
Ma poi, una cosa che pare leggenda e che va ben oltre la sua vita, ha invece testimonianze che ne confermano la realtà: conviene trascrivere quanto un sacerdote e storico a cui già abbiamo accennato, don Giuseppe Cinotti, in Briciole di Storia Pontese, 1978, in una breve pagina dedicata al nostro pittore, dice: «Morì nel 1878 e fu sepolto nel cimitero del paese natio. Molti anni dopo la sua morte, venuto il turno di rinnovare le fosse, il suo corpo fu dissepolto e le sue ossa buttate nella fossa comune. Il padre, ancora vivente (sic), ne conservò il teschio, inchiodandolo alla croce di legno, col suo nome, che già stava sopra la fossa sua. E così lo vidi io verso il 1910, sotto la tettoia del Camposanto: ora è scomparso».Su questa testimonianza di don Cinotti è necessario fare un paio di rilievi. Il primo è che quella povera reliquia non è scomparsa, bensì è conservata in un'urna di pietra lavorata che è in un angolo della camera mortuaria del cimitero di Frassinetto, e chi scrive l'ha potuta vedere:poiché si sta progettando l'ampliamento e la sistemazione dell'area cimiteriale, il sindaco Gilberto Craveri ha intenzione di farvi costruire un piccolo monumento in cui accogliere degnamente quanto rimane delle spoglie mortali di questo illustre e sfortunato concittadino. Della conservazione ditale reliquia esiste una documentazione foto grafica, pur se piuttosto macabra: è del 1961 ed è conservata nella fami glia dei Truffa Fileri; vi è ritratto il nipote del pittore, Giovanni, che ha in mano il teschio dello zio. Giustamente è stato fatto osservare, nella commemorazione tenuta a Frassinetto nel 1978, in occasione del centenario della morte del pittore, che «se non fosse stato per suo padre, che pietosamente sottrasse il teschio alla comune sorte dei mortali, avremmo nemmeno un frammento del corpo del Minella». Ecco quindi un'azione che a prima vista ci appare perlomeno strana da parte di un genitore, e che viene ad assumere invece una importanza particolare, una forma di pietà e di tenerezza che conferma quella della sepoltura di cui si dirà dopo; un atto pietoso che si aggiunge a quello più corposo del grave declino economico della famiglia, declino le cui origini sono con molta probabilità da addebitare alle spese sostenute per gli studi del figlio e soprattutto per cercare di curarlo dalla tubercolosi che lo aveva colpito. Un padre quindi forse duro ma non crudo, non rozzo, che "capi va" il figlio, che andò oltre le sue possibilità per assecondarne le inclinazioni, per toglierlo da una vita di stenti per tutti, e in particolare per chi non aveva un fisico atto a sopportare le fatiche del montanaro; e infine, all'evidenziarsi della grave malattia, per le spese onerose di cure che tentavano di strapparlo al male che lo stava uccidendo.
E comunque, questo, un racconto che, anche per essere piuttosto macabro, pur con testimonianze inconfutabili, in qualche modo contribuisce a creare intorno all'artista un alone ancor più misterioso, leggendario.
Si racconta poi che il padre (la cui fede cristiana è indubbia, e che altrettanto indubbiamente la infiorava di un certo antico residuo paganeggiante, d'altra parte ancor vivo oggi ovunque, anche se difficilmente lo si vuole ammettere) nella bara in cui giaceva la salma del figlio pose
pennelli, tavolozza, pastelli; tutto quello che sappiamo e che è dimostrato anche da documenti notarili di cui si dirà, non lascia alcun dubbio sul significato da dare a questo atto: esso non esprime, come ha pensato un pessimista, una certa incomprensione per gli ideali del figlio, ma piuttosto una forma disperata di amore, perché con la salma del figlio il padre seppelliva anche i sogni e le speranze che in quel figlio, così diverso da lui, così minuto e timido, aveva riposto; ed è comunque un dolce, poetico atto di un padre amoroso, un augurio che il suo Carlo sia ora salito tra gli angeli, a dipingere serenamente, senza sofferenze, nell'immensità dei cieli.
Erroneamente nelle due pagine con cui la Colonna Canavesana di Torino ricordava il pittore di Frassinetto nel cinquantennio della sua morte (la manifestazione fu tenuta in data 15 agosto 1928) si diceva che fu sepolto in un angolo del piccolo sagrato presso la Chiesuola del paese.
Quell'antico cimitero (che è oggi un orto), fu in realtà chiuso definitivamente nell'aprile del 1821, quando il camposanto frassinettese fu trasferito ove è attualmente: nel corso degli ultimi decenni è stato ampliato e arricchito di marmi, di tombe di famiglia, di loculi; ma ancora durante l'ultima guerra era un fazzoletto di terra segnato unicamente da povere croci in legno che solo durante la buona stagione si coloriva di fiori di montagna.
Ma lasciamo stare leggende, ipotesi, favole, racconti, errori. Veniamo alla realtà della documentazione.
Che cosa ci resta, oltre le sue opere, del breve passaggio su questa terra di un personaggio così straordinario? Nel complesso non certo poco, ma neppure molto. Ci restano i documenti ufficiali come quello del battesimo impartito dal Vicario don Domenico Michela di Aglié, che attesta il giorno della sua nascita (10 agosto 1855) e che ricorda i nomi dei genitori -Giovanni Francesco e Maria Lucia Gal Pecca (altrove Gallo Pecca): gli stessi nomi che appaiono nell'atto di matrimonio del 4 settembre 1854, da cui apprendiamo che lo sposo aveva ventitré anni, la sposa 21 ed era analfabeta.
Da questi e altri documenti possiamo ricavare un breve "albero genealogico" del pittore che riportiamo nelle pagine successive: vi comprendiamo alcuni antenati e i successori, del ramo che proviene dall'unica sorella dell'artista.
L'atto di morte del pittore (così egli vi è qualificato) ci indica che il decesso è avvenuto alle ore 7 e minuti 20 del mattino del 6 giugno 1878, all'età di ventitré anni non ancora compiuti; non è indicata la causa della morte, e quindi non vi sono elementi certi che confermino quanto riportato nei pochi scritti che parlano dell'artista, che cioè il decesso sia stato causato dalla tubercolosi; ma è assai probabile che così sia stato; indubbiamente quello di Carlo Bonatto Minella era comunque un organismo defedato. Un'intelligente osservazione del vicario attuale don Fiorenzo Rastello, alla cui cortesia durante questa mia ricerca mi sono rivolto in molte occasioni, ci fa avanzare qualcosa che non è nulla più di una ipotesi: cioè che egli sia stato anche vittima di un'epidemia forse influenzale di grande violenza. (D'altra parte l'aria e l'acqua pure di Frassinetto non tenevano lontane le forme epidemiche: pochi anni prima, dice il Bertolotti, il colera vi aveva causato 25 morti).
Don Rastello ha individuato (ne parla sul bel bollettino parrocchiale intitolato La Voce della Quinzeina, dal quale abbiamo tratto altre utili noti zie) in quel 1878 una eccezionale "punta" di decessi: contro una media annuale, negli altri anni del decennio 1873-1883, di 52 morti (mortalità annua vicina al 3%) il 1878 ne accusa più del doppio, cioè 122 (mortalità circa 7%); i morti del 1878 sono per oltre i tre quarti nel primo semestre dell'anno (l'atto di decesso del pittore reca già, ai primi di giugno, il numero 90 nel registro parrocchiale, il numero 83 in quello comunale: la differenza di numerazione è dovuta al fatto che il Comune conteggia separatamente, con numerazione a parte, i deceduti nel territorio comunale e quanti muoiono fuori dell'ambito amministrativo). Si fa notare come l'ultima grave epidemia influenzale (la "spagnola", 1918) non presenta neppure lontanamente un numero di decessi analogo.
Un esame più attento e specifico dei dati desumibili dagli atti di morte del 1878 ci dice che dei 100 morti nei primi sette mesi dell'anno ben 72 sono bambini o adolescenti tra zero e 14 anni e solo 28 hanno età superiore. L'epidemia quindi, se non fu una generica "influenza", potrebbe essere stata una violenta malattia infettiva infantile. Una ricerca nel l'ordinatissimo archivio storico del Comune non ha offerto, alla voce "sanità" alcun riscontro in merito.
Si potrebbe allora presumere che Carlo Bonatto Minella sia stato vittima della sua congenita debolezza e della sua malattia impietosa, che -testimonianza del Thovez, che sarà poi qui riportata integralmente -lo aveva fatto trasferire da Torino al paese natio per l'aggravarsi delle sue condizioni; senza escludere tuttavia del tutto che la causa ultima o almeno una concausa sia stata una violenta e per ora non individuata forma epidemica invernale e primaverile. Concludiamo trascrivendo gli atti di morte del nostro pittore, come sono nei registri conservati negli archivi parrocchiale (A) e comunale (B):

A) Atto n. 90 : «L'anno del Signore milleottocento settantotto, il 6 del mese di giugno, alle ore sette antemeridiane, in casa patrina munito dei Sacramenti Penitenza, Viatico, Estrema Unzione, benedizione papale, (11) è morto Bonatto Minella Carlo, d'anni 22, domiciliato in Frassinetto, figlio di Gioanni Francesco e della vivente Gal Pecca Lucia. Il cadavere è stato sepolto nel cimitero di questo Comune il giorno 7 di giugno».
Firma del parroco: Faga Giuseppe.
B) Atto n. 83: «L'anno milleottocentosettantotto, addì sei di Giugno a ore pomeridiane quattro e minuti venticinque, nella Casa Comunale, nanti a me Bongera Battista sindaco, Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Frassinetto Canavese sono comparsi Bonatto Giovanni di anni quarantasei, contadino, domiciliato in Frassinetto, e Marchiando Giuseppe di anni ventinove, falegname, domiciliato in Frassinetto, i quali mi hanno dichiarato che a ore antimeri diane sette e minuti venti di oggi, nella casa posta in Cantone Borgiallo al numero ..., e morto Bonatto Minella Carlo, di anni ventitré, pittore, residente in Frassinetto, nato in Frassinetto da Gioanni, contadino, e da Gallo Pecca Maria Lucia, contadina, domiciliati in Frassinetto, celibe. A quest'atto sono stati presenti quali testimoni Bonatto Gaspare di anni quarantasei, contadino, e Magoja Giuseppe di anni 38, impiegato, ambi residenti in questo Comune. Letto il presente atto a tutti gli intervenuti, si sono essi con me sottoscritti».
Seguono le cinque firme.

 
Queste informazioni  sono tratte dal libro "Carlo Bonatto Minella" scritto dal Professor Angelo Paviolo, reperibile presso le principali librerie del Canavese oppure presso la pro loco di Frassinetto.