La rinascita  della Val Soana     di Franco Falini
da "Mediterraneo" del Gennaio 1999

All'inizio del secolo, i Capo famiglia emigravano in Francia (soprattutto a Parigi o in Svizzera) per svolgere il mestiere di calderaio, di stagnino, di vetraio o di scalpellino. Oppure andavano a fare altri lavori stagionali nel torinese o in Lombardia. Ma tutti tornavano nel periodo estivo, per effettuare i lavori nei loro terreni, insieme alle loro famiglie.
Ma dagli anni '50 la situazione è cambiata completamente. Da stagionale, il lavoro è diventato annuale, investendo peraltro anche altri membri della famiglia, che potevano trovare occupazioni stabili nell'industria e nei servizi, grazie alla forte espansione economica, in Italia ed all'estero.
Ecco allora la fuga dalla vallata, come dalle altre zone povere del Paese, verso le città, con il conseguente abbandono dell'agricoltura, degli allevamenti, dell'artigianato, della difesa del suolo e dell'ambiente.Ma la montagna si è vendicata, con due alluvioni consecutive (del 1993 e del 1994), spazzando infrastrutture ed interi villaggi.
E questo il caso di una vallata lussureggiante di verde, stretta fra il Canavese e la Val d'Aosta, dove la strada è ancora quella fatto costruire dal Re Vittorio Emanuele Il nel 1856, allo scopo di poter raggiungere la propria riserva di caccia posta alle falde del Gran Paradiso. Si tratta dalla VaI Soana, che con tre Comuni (Valprato, Ronco Canavese e Ingria), ha toccato con il suo spopolamento la "soglia vitale", se è vero com’è vero che i residenti invernali dei tre Comuni non superano le 350-400 anime.
Si dà però il caso che - in questo "nocciolo duro" di residenti, con età media superiore ai 60 anni - aleggi non la rassegnazione ma una grande voglia di riscatto di rilancio di queste zone, certamente non ricche, ma capaci di offrire possibilità di vita, di qualità migliore, rispetto a quella che i Valsoanini trovano oggi nelle megalopoli industriali, dove - oltretutto - si vive sotto la spada di Damocle della cassa integrazione e dei licenziamenti (vedi le aree industriali di Torino e Ivrea).
Ma c'è dell'altro. Le donne di questa generosa vallata - forse perché abituate da sempre a dover sbrogliare le questioni, in assenza dei loro uomini - sono particolarmente determinate e combattive. Lo hanno dimostrato già nella triste circostanza dell'alluvione del 1994, dando vita ad una "Associazione per la ricostruzione e lo sviluppo socio-economico della Valsoana", presieduta proprio da una donna: una maestra, che non ha mai voluto abbandonare la valle.
Da allora, le cose sembrano davvero aver preso tutta un'altra piega. Non solo si stanno ricostruendo le case danneggiate, le strade e gli argini dei fiumi e dei torrenti, ma sono state messe sotto pressione le autorità locali - peraltro molto sensibili (dai sindaci, alla Comunità Montana), con l'appoggio anche del combattivo vecchio parroco - e soprattutto quelle regionali e perfino l'Unione Europea (come ha dimostrato il Direttore Generale dell'Agricoltura, anche in vista di Agenda 2000). Queste ultime hanno - unitamente alla Regione Piemonte finanziato peraltro i lavori della quinta Sessione dell'Università Rurale Europea che, dal 16 al 20 settembre scorso, ha visto oltre 200 esperti, studiosi, ricercatori, amministratori dei 15 paesi dell'U.E. valutare i problemi delle aree in difficoltà, per suggerire uno sviluppo integrato di tutto l'ambiente rurale, dove è necessario l'intervento congiunto dei privati e delle istituzioni pubbliche, per creare nuove infrastrutture, per rilanciare, con modi adeguati ai tempi, le produzioni tipiche (dell'agricoltura, degli allevamenti, del bosco), unitamente all'agriturismo, alla difesa del territorio e dell'ambiente, alla produzione di energia pulita, al rilancio del turismo legato al parco, ma anche agli sport invernali, all'artigianato, ai servizi. Il tutto, con una "educazione" lungo l'arco della vita degli interessati, tesa alla partecipazione all'esaltazione della cultura locale, allo sviluppo.
Non si tratta certo di panacee di alcun tipo. Anche perché le soluzioni a problemi di questa portata sono difficili, costose e richiedono interi lustri, per essere realizzate.
Ma quel che più conta è che i cittadini della valle, i diretti interessati, abbiano finalmente aperto gli occhi, si siano rifiutati di accettare l'inesorabile declino con l'abbandono di ricchezze messe insieme con fatiche inenarrabili dei loro avi, senza peraltro trovarne a portata di mano nelle zone nelle quali sono andati a lavorare.
Come è emerso da questo importante incontro, dove, peraltro, lavorando gomito a gomito, ci si è dimenticati delle rispettive provenienze, costruendo, anche in questa fortunata circostanza, e dal basso, un pezzetto di quella "Europa dei Cittadini" che tutti auspichiamo, si tratta di guardare avanti e dare una prospettiva, sia pur minima, a chi è restato solitario in questa vallata, ma anche a chi vuole tornare e a quanti amano queste zone e vogliono impegnarsi nel loro rilancio economico, ma anche sociale e civile.
"Osare vuoI dire perdere delle certezze. Ma non osare vuoI dire perdersi per sempre", è stato il motto, veramente appropriato, richiamato dai dirigenti dell'Università Rurale Europea, la cui presidenza sarà per i prossimi 2 anni di un italiano:Enrico Capo.
E poiché - come ha affermato la V. Presidente dell'U.R.E. Josy Riechez - non ci sono territori senza avvenire, bensì territori senza progetti", in VaI Soana ci dovrà essere avvenire, perché sono stati già elaborati validi progetti. E tanti. Si va dal rilancio degli alpeggi, alla produzione di frutti tipici biologici (castagne, nocciole, noci, frutti del bosco e del sottobosco); dall'agriturismo al turismo anche invernale; dalla ricostruzione della fucina per il rame (quella di Ronco è stata abbandonata nel 1952), al la riapertura di Cave per produrre lastre tipiche per la copertura delle case; dalla produzione di legno pregiato, alla lavorazione di mobili ed oggetti tipici; dal rilancio dei tessuti, al ferro battuto; dalla costruzione di diverse centraline per lo sfruttamento della abbondanti risorse idriche, alla produzione di pesce pregiato; dalla costruzione di un'arteria viaria decente, alla ricostruzione e al risanamento di strutture storiche e di interi villaggi.
E il parco? Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, il primo parco realizzato in Italia nel lontano 1920, è sì una grande realtà, una ricchezza per il paese, ma che - a dire di tutta la popolazione interessata - deve essere riveduto nel modo di operare e nei vincoli eccessivi che, con il tempo, ha posto a carico della cittadinanza.Anche perché, derivato dalla riserva reale - circoscritta peraltro alle falde del Gran Paradiso e riguardante solo 2.100 ettari il parco include oggi intere popolazioni, avendo esteso l'area addirittura a 2 regioni. il Piemonte e la VaI d'Aosta, vincolando ben 70.000 ettari di terreno.
Se lo scopo del parco era quello di difendere le specie rare, come lo stambecco ed il camoscio, oltre a molte specie della flora alpina, questo obiettivo è stato certamente raggiunto e anzi superato. Oggi si parla di 7-8.000 stambecchi, che in numero troppo rilevante per il loro areale naturale (le alte vette delle montagne del parco) sono costretti a ricercare l'erba alle quote più basse, dove il pascolo dovrebbe essere riservato al camoscio, il quale - anch'esso in numero eccessivo di esemplari (si parla di 10-12.000 capi) scende a sua volta alle quote più basse, da sempre riservate agli allevamenti bovini (malghe) che, a giugno, trovano l'erba già brucata dai selvatici. Dal basso, poi, una specie un tempo inesistente, il cinghiale, grufola i prati intorno alle abitazioni ed i campi, destinati all'alpeggio del bestiame bovino.
Non solo. Ma i divieti dell'Ente Parco scandiscono quotidianamente la vita ed i movimenti degli autentici padroni della valle: i cittadini che - come qualcuno sostiene - anziché trovare prospettive di sviluppo, grazie all'esistenza del parco, si sentono, di fatto, al servizio di questa, pur utile, istituzione. I problemi, come si vede, non mancano davvero.
Le risorse naturali di questa magnifica vallata, le tradizioni ancora vive, la vicinanza con un'altra zona a forte sviluppo turistico, la VaI D'Aosta, il patrimonio di abitazioni esistente, l'attaccamento dei 6.000 valsoanini sparsi per l'Europa alla loro terra, il cambiamento delle condizioni di lavoro nelle zone di tradizionale emigrazione, la ricerca di ambienti naturali ameni e a dimensione d'uomo, la determinazione delle popolazioni, a incominciare dalle donne, l'impegno delle autorità locali: tutti questi ingredienti non possono non far sperare in una inversione di tendenza ed in una rinascita di questa vallata, la VaI Soana, appunto, ma con un nuovo modo di affrontare i problemi economici, ma anche quelli sociali e culturali: lo sviluppo rurale integrato.

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