Penso positivo.. – Da farda a fardel ma non fardè! – La trapunta. – Sacca di Curlandia – Cretino, fesso e tanghero. – Fa nen tant l’erlo! – Il prototipo archetipo ma non ottuso sterotipo…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Penso positivo….

Di positivo, c’è che l’inizio un nuovo giorno che aspetto con la speranza che sia

migliore di quello trascorso. Ho dato sollievo ai miei ragionamenti scrivendo e creando parole, ammucchiandole come granelli di sabbia dando senso ai miei pensieri. Continuo con le mie parole, sempre con pensieri positivi. Sono grato alla vita e cerco di valorizzare le mie giornate per valorizzarle e anche in questo momento, non semplice, che stiamo vivendo, sempre curioso cercando di capire e di allargare il mio pensiero e la mia visione della vita quotidiana per cogliere le risorse e le potenzialità che può offrire e per sviluppare un modo funzionale per viverla. Penso positivo, già positivo è oggi una parola che suona bene, consola e mi fa sentire invincibile, è un lemma in modalità rap che grida la rabbia come gioia, forse molte volte in maniera superficiale, ma non è mai superficiale ne un viaggio nell’inconscio un’illusione pieno di scorciatoie, come un labirinto che riporta al punto di partenza. Già nell’Ottocento fu il Positivismo, che scartava tutto quello che era fuori dal rigore della logica, sacrificando la creatività, la malattia come anomalia, era l’arroganza di una scienza che si credeva neutrale e quindi universale. Non esiste che quest’attimo ed è consolidato solo il passato della memoria. Dobbiamo provare a vivere in un futuro anteriore e allora mi sforzo ogni giorno di pensare positivo … e la parola che ripeto dal primo giorno quando ho percepito la delicatezza del problema ed il significato che gli do è prettamente correlato alla positività.
Favria, 9.03.2021  Giorgio Cortese

Ritengo che la vita non si misura attraverso il numero di respiri che faccio, ma attraverso i momenti che mi lasciano senza respiro

Da farda a fardel ma non fardè!

La parola piemontese fardel può essere tradotto in diversi modi a seconda del contesto. Intanto è il corredo da sposa,  un tempo ogni donna si preparava il fardel/corredo.  Ma la parola fardel significa anche: fardello, fagotto, bagaglio, preoccupazione: fé fardel, vale per far fagotto, andarsene. Porté un fardel vuol dire avere un peso, una preoccupazione. Varianti sono fardò, fardlagi.  La parola è di origine  araba  fard che significava mezzo carico del dromedario passata anella lingua piemontese attraverso il provenzale fardel. Dalla parola araba arriva anche il lemma italiano fardello comparso nella lingua nazionale verso  il XIV secolo, ma già presente nel latino medievale nella prima metà del Duecento. È una voce che ha attraversato il mare per vie commerciali e ci parla delle due balle che erano caricate ai lati della groppa del dromedario, di pelle o di foglie di palma intrecciate. Un’unità di merce piuttosto immediata, buona per le compravendite. Ad ogni modo, le navi del deserto sono creature tenaci e questi fardelli potevano essere anche più di un quintale l’uno secondo alcune fonti del tempo. E anche se da noi questa balla ha preso volentieri il profilo più gentile di involto di panni, di fagotto, tant’ è che ci si presenta nella forma di un diminutivo, il fardello, ma mantiene una vocazione bestiale del trasportare qualcosa. La parola fard o fardè, in italiano far o fardo invece  è un cosmetico in polvere per dare colore alla guance e proviene dal francese fard che deriva a sua volta dal germanico farwida, belletto o farwidon, colorare il viso da cui deriva la parola tedesca farbe, colore. In piemontese  con il termine fardè  in senso figurato significa anche persona falsa.

Favria, 10.03.2021  Giorgio Cortese

Le donne mi hanno sempre sorpresa: sono forti, hanno la speranza nel cuore e nell’avvenire

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La trapunta. 

La parola trapunta è il participio passato di trapungere. La parola trapungere deriva  dal tardo latino trapungere, parola composta da trans e pungere.  Trapassare da parte a parte un tessuto con una serie di punti ad ago regolari, per rinforzo, la trapuntatura, o anche per eseguire un ricamo per imbottire un giaccone o veste. Al riguardo cito un verso di Ariosto:“ …Brandimarte adorno, avea trapunta e di sua man contesta,…” La trapunta è una coperta a doppia fodera, detta anche imbottitao coltrone, ripiena di lana, ovatta, piume o materiale sintetico, trapassata da un lato all’altro da lunghi punti regolari.  Il coltrone da coltre, suo accrescitivo è una coperta da letto imbottita di lana o piume e trapunta, ma anche una grossa  tenda imbottita che si appende alle porte, specialmente delle chiese o di grandi sale, per riparo dal freddo. La trapunta anticamente era un Indumento imbottito e trapuntato, indossato nel Medioevo e nel Rinascimento sotto la corazza. I soldati crociati di ritorno dalla Terra Santa, talvolta indossavano questo particolare capo di abbigliamento. Dal XIV al XVII divenne particolarmente usato anche in Europa, non solo per quanto riguarda la moda maschile, bensì come particolare indumento da indossare sotto le armature dei guerrieri, in Italia questo particolare tipo di tessuto lavorato, impiegato anche nella produzione di tuniche. Le trapunte riportavano disegni sulla propria stoffa, raffiguranti animali, esseri umani, ritratti, proprio nella stessa misura in cui è possibile farlo su di un tappeto, dove l’abilità del disegnatore, e del maestro tessitore, riescono a conferire maggiore importanza al tessuto, ed al prodotto. In America i pionieri europei, visto che la carta scarseggiava, spinse le donne, veri numi tutelati di noi maschi a conservare ritagli di giornale, e qualsiasi altro pezzo di carta riuscissero a procurarsi, che veniva impiegata anche come isolante termico, e veniva inserito come materiale per l’imbottitura nelle trapunte, che cucivano con le loro mani. Come si vede la  semplicità di utilizzo di questo indumento che serve a coprire, non ha mai smesso di accompagnare l’essere umano in tutta la storia della sua evoluzione.

Favria,  11.03.2021   Giorgio Cortese

Ogni giorno la vita quotidiana è simile ad uno scatto senza posa.

Sacca di Curlandia

Si definisce  Sacca di Curlandia il combattimento durante la Seconda Guerra Mondiale organizzato nell’area corrispondente alla regione storica della Curlandia a  partire dall’ottobre 1944, dalle notevoli forze tedesche del Gruppo d’Armate Nord, due armate con oltre 30 divisioni, accerchiate nella regione baltica a seguito della riuscita offensiva autunnale dell’Armata Rossa seguita al grande successo estivo dell’Operazione Bagration. Il Capo di Stato maggiore, il Generale Heinz Guderian, richiese l’evacuazione delle due armate accerchiate, ed il loro ridispiegamento a sostegno del martoriato settore centrale. Ma Hitler, tuttavia, decise di mantenere in armi la sacca appena creatasi, nella convinzione che un’eventuale vittoria sul fronte occidentale avrebbe restituito alla Germania l’iniziativa sul versante orientale. In questo senso, la Curlandia sarebbe stata la testa di ponte dalla quale sferrare una nuova offensiva ad Est.   La difesa delle esperte truppe del Gruppo d’armate Nord, ribattezzate Gruppo d’armate Curlandia, rifornite via mare dalle unità della  Krigsmarine, si prolungò accanita, nonostante i ripetuti tentativi sovietici di schiacciare le truppe isolate, fino al 10 maggio 1945. Secondo le fonti storiografiche sovietiche, l’Alto Comando dell’Armata Rossa avrebbe considerato il fronte di Curlandia come un pericolo decisamente remoto per il buon conseguimento dell’offensiva contro Berlino. Pertanto le manovre di pressione effettuate a più riprese contro le forze tedesche sarebbero state volte esclusivamente al “controllo” della sacca. Le perdite stimate ammonterebbero a 160.948 fra il 16 febbraio e l’8 maggio 1945. Secondo fonti Occidentali e Lettoni si sostiene che il Comando Sovietico avrebbe considerato la presa della Curlandia come un obiettivo di natura primaria, essendo quella regione il nucleo della resistenza antibolscevica organizzata dai Lettoni alla fine della Prima Guerra Mondiale . Prova di questo sarebbero le sei offensive lanciate contro il Gruppo di Armate Curlandia. Nonostante la sacca fosse difesa da duecentomila uomini, e le forze sovietiche non riuscissero ad avanzare per più di 25 miglia, l’Alto Comando Sovietico ordinò ripetuti attacchi contro la sacca[ Le perdite sovietiche nell’assedio, secondo un comunicato del Comando Germanico del 16 marzo 1945, ammonterebbero a 320.000 uomini fra morti, feriti e prigionieri, 2388 carri, 659 aerei, 900 cannoni e 1440 pezzi d’artiglieria durante le prime cinque offensive. Fonti sovietiche stimano ulteriori 74.000 perdite nella sesta battaglia. La cifra totale porterebbe a quasi 400.000 le perdite sovietiche.  Nel gennaio del 1945, i comandi Germanici  in Curlandia alla luce della situazione e degli sforzi compiuti dalle sue truppe contro gli assalti sovietici richiesero alla  cancelleria del Reich l’istituzione di uno speciale distintivo di campagna. La richiesta venne accolta da Adolf Hitler,  che il 12 marzo 1945 acconsentì all’istituzione della fascia da braccio “Curlandia”, ufficialmente riconosciuta il 18 marzo successivo. La fascia da braccio “Curlandia” di conseguenza risulta essere la quarta e ultima decorazione di campagna di questo tipo istituita dai tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale, oggi  una fascia molto ricercata dai collezionisti. A causa della pesante situazione sul campo, la fascia fu prodotta sia localmente in alcune piccole manifatture interne alla sacca, sia in Germania e poi spedita in Curlandia via aereo o nave: ciò fece sì che lo stile del manufatto risultasse assai diverso a seconda del metodo costruttivo prescelto. Il limitato periodo di conferimento, unitamente alle difficoltà materiali di produzione e consegna, hanno reso nel tempo la fascia da braccio “Curlandia” abbastanza rara, e pochissime risultano le fotografie originali dell’epoca di militari tedeschi che la indossano. I prezzi elevati ne hanno favorito la falsificazione, ma in anni più recenti sono state individuate delle caratteristiche tecniche che – in mancanza di un’attribuzione più che certa dovuta a foto o documenti indiscutibili – hanno definito un certo standard per una certificazione di autenticità. La fascia da braccio “Curlandia” iniziò ad essere conferita dai primi di aprile del 1945 e la distribuzione andò avanti fino agli ultimi giorni di guerra, purtuttavia solo una piccola parte dei combattenti nella sacca la ricevette.   Con la resa i sovietici registrarono 181.000 prigionieri, fra i quali 28 generali, 5.083 alti ufficiali e l’ultimo comandante in capo. Data la quantità di soldati tedeschi che, con l’arrivo della fine, avevano dismesso gli abiti militari per darsi alla macchia, o per unirsi ai vecchi camerati lettoni che avevano aderito ai gruppi di resistenza anticomunista, l’Armata Rossa iniziò una campagna di “filtraggio”, tesa ad identificare tutti i cittadini maschi in età fra i 16 ed i 60 anni. Parallelamente, reparti sovietici setacciarono i boschi, incendiando vaste aree forestali. I membri delle unità lettoni in forza all’esercito tedesco vennero trattati come traditori e giustiziati sommariamente. Coloro che riuscirono a nascondersi animarono il movimento dei Fratelli della Foresta,  che al pari di simili organizzazioni Estoni e Lituane, continuarono la lotta contro l’Unione Sovietica fino a metà degli anni ’50.

Favria, 12.03.2021  Giorgio Cortese

La creatività certi giorni mi permette di realizzare l’inaspettato!

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Cretino. fesso e tanghero.

Ecco tre parole che hanno avuto una evoluzione cambiando il significato originario, prendiamo la parola cretino che ha mutato il significato originario di cristiano, dal  provenzale crétin, cristiano a quello odierno di stupido o sciocco. Non voglio essere irriverente ma in Provenza come in tutta  Europa gli esseri umani venivano chiamati cristiani, con un significato di quello religioso, con una venatura di commiserazione. In quelle zone come in Savoia e nell’Italia Nord Occidentale,  c’era  una categoria di persone che destava una particolare commiserazione, ed erano gli affetti da quello che modernamente  viene chiamato cretinismo. Una deficienza mentale o fisica causata, il più delle volte, da problemi tiroidei e in quella zona la dieta povera di iodio la rendeva endemica, e da allora a chi era affetto da quella malattia venne etichettato come stupido, termine ancora oggi usato. Diverso è il caso della parola fesso che ha due due significati ben distinti. Se apro il  vocabolario  alla voce in oggetto, leggo, rotto, crepato per lungo, un vaso fesso, cioè rotto ma anche imbecille e stupido. Ma che legame  tra la rottura e l’imbecillità?  Nel significato di fesso come rotto,  si usa il  participio passato  del  verbo fendere, tagliare, oppure attraversare una cosa fitta e folta, come la folla o l’acqua. Il significato di stupido invece arriva dal napoletano  dal lemma fessa, ciòè  da vulva, organo genitale indicata nel gergo popolare come una cosa stupida. Infine il  tanghero significa una persona zotica, rozza, ottusa e villana. La parola pare che derivi dalla radice  germanica  tahn, tenere fermo, tenere saldo, affine alla voce tac, sempre tedesca, attaccare. Da li arriva a noi nel tardo latino tanganum, in francese tangre, ostinato e resistente o l’olandese tanghe. Nel medioevo l’alyo tedesco zangher, ostinato. Il tànghero potremmo dire che è la persona “ferma sulle proprie posizioni”, quindi ostinata, e che tiene strette le sue idee. Data la crescente diffusione del tango, va marcata bene la differenza fra tànghero e tanghèro: il tanghèro, adattamento dello spagnolo tanguero è il ballerino di tango – e in generale tanghèro significa ciò che è relativo al tango. Insomma, quando su una locandina si legge “serata tanghera” vuol dire che si ballerà il tango, non che ci si prenderà a sgabellate. È molto curioso come nella medesima forma vengano a confluire due immagini così stridenti: da un lato il goffo screanzato, dall’altro il ballerino aggraziato e appassionato.

Favria, 13.03.2021   Giorgio Cortese

Le redini della vita sono in mano ad un destino che non è mai stato disarcionato dal cavallo

Fa nen tant l’erlo!

Da ragazzo una persona anziana ogni tanto mi riprendeva bonariamente dicendomi:  “Fà nen tant l’erlo che tant it saras sèmpre ‘n merlo, Non fare tanto il galletto smargiasso perché tanto sarai sempre un merlo”. E si il modo di dire fà l’erlo, vuole dire fare il bullo, lo smargiasso, fare il furbo. La parola  érlo corrisponde  allo smergo maggiore in latino Mergus merganser merganser, un’anatra di grosse dimensioni un tempo molto comune in Piemonte. Lo smergo maggiore presenta una forma piuttosto slanciata e il nome di questo pennuto deriva dal latino herolum diminutivo di herum, padrone, signore per l’aspetto baldanzono dell’uccello, caratterizzato da un ciuffo di penne alla sommità del capo e dal piumaggio elegante e l’espressione piemontese potrebbe derivare dal lemma francese herlè a sua volta derivato dal lemma germanico  herr, spaccone che deriva sempre dal latino herum. Fare l’èrlo viene citata da Primo Levi nell’opera La chiave a stella nel racconto Senza tempo che invito a leggere

Favria, 14.03.2021  Giorgio Cortese

Leggo negli occhi delle persone che incontro con la mascherina in viso il peso della vita e mi rincuoro a vederli sorridere.

Il prototipo archetipo ma non ottuso sterotipo.

Il prototipo significa il tipo esemplare da cui derivano altri e deriva dal greco anticoprototypos il primo tipo, composto da proto primo e typos impronta, modello. Quando sentiamo parlare di prototipo di solito lo associamo al il primo e unico modello di una qualche mezzo ad esempio auto, insomma una prima versione difettosa, ancora da ritoccare, rimaneggiare. Il prototipo è la prima immagine prima, poi parliamo dopo dell’archetipo. La parola archetipo deriva dal latino archetypum, a sua volta dal grrco antico archetypon, composto di arche– e typos. Questa parola si trova già nell’italiano antico e si diffonde nel Rinascimento con il  significato di ‘modello, primo esemplare.Il termine archetipo è anche adoperato nel linguaggio filosofico, pensate nella filosofia platonica indica l’essenza sostanziale delle cose sensibili, oppure in  psicologia in particolare se ne parla negli studi di Jung, e  poi in filologia, per indicare il manoscritto originale cui ogni copia altra fa riferimento, fino alla mitologia, dove è l’insieme di flussi di pensiero e sentimento che uniformemente modellano i miti, e poi a tante tante altre discipline. Per spigarmi meglio dal prototipo dell’Iliade e dell’Odissea discendono tutti i romanzi epici come dall’aereo dei fratelli Wright abbiamo quelli attuali. Poi dobbiamo stare attenti a non cadere nello stereotipo, di avere per delle azioni o idee preconcette che limitano il nostro ragionamento e modo di agire. Curiosa è l’origine di questa parola che deriva dal francese stéréotype, neologismo del tipografo Firmin Didot, indicante il metodo di stampa da lui brevettato nel 1795, composto dal greco stereos duro, rigido e da typos impressione. Monsieur Didot ideò un metodo per duplicare le lastre tipografiche: la pagina di stampa, composta con righe e caratteri mobili, veniva impressa su un materiale capace di accoglierne, successivamente, un calco in piombo. In questo modo si otteneva una composizione tipografica fissa, che stampava sempre e solo la medesima pagina. Un bel balzo avanti, per il mondo dell’editoria: stampare un libro stava diventando sempre più semplice. Rimanendo in metafora, lo stereotipo non può competere con la fluida versatilità della stampa digitale, come un preconcetto una opinione su delle persone a prescindere non può mai competere con la nostra onestà intellettuale per combattere ottusi pregiudizi razzisti e sulle donne.

Favria,  15.03.2021  Giorgio Cortese

Ti aspettiamo a Favria   VENERDI’  26 marzo  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro giovedì 18 marzo . Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

La speranza mette radici anche nella roccia ed ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle.