Perché donare il sangue? – Teorie e tecniche del restauro architettonico – Ma va… in Egitto – Il digestore a vapore. – Il giorno del ricordo. – Semel in anno… – Avere una fifa blu. – Il nocchiere…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Perché donare il sangue? Non smetteremo mai di ripetere quanto donare il sangue sia

un gesto di grande generosità verso gli altri. Non tutti sanno però che donare fa bene anche a chi dona, sia al corpo che alla mente.
Donare il sangue vuole dire sottoporsi a controlli medici gratuiti, per tenere d’occhio la propria salute ed in particolare il proprio sistema cardiovascolare. Prima della donazione, si effettua un colloquio accurato con il medico per valutare lo stato di salute anche attraverso il controllo dei parametri. Dopo la donazione, riceverai i risultati degli esami ematochimici effettuati prima della assegnazione del tuo sangue al paziente compatibile.

Da studi recenti pare che donare il sangue riduce il rischio di cardiopatie e colesterolemia.

Donare il sangue Ti rende più consapevole dell’importanza di stare in salute e accresce la  consapevolezza del proprio stato di salute.  I donatori, di solito, decidono con coscienza di avere abitudini sane e di nutrirsi  nel modo giusto. Secondo alcune ricerche, individui tra i 40 e 60 anni di età che hanno donato sangue ogni 6 mesi sono stati numericamente meno soggetti ad attacchi di cuore e ictus. La donazione di sangue attiva il metabolismo, pensate che anche una sola donazione può bruciare fino a 650 calorie,  in quanto il corpo deve “lavorare” per rimpiazzarlo. Quando si dona, infatti, il corpo consuma energia per sintetizzare nuove proteine, globuli rossi ed altre componenti per supplire al disavanzo dovuto alla donazione. Ma la bellezza della donazione di sangue è di percepire nell’animo la gioia di salvare una vita. Ogni volta che si dona, si può contribuire a salvare anche 3 o 4 riceventi. Questo gesto significa che qualcuno, o più di qualcuno, riceverà  l’aiuto di cui ha bisogno. E questo è il beneficio più potente che si possa ottenere. Quando si sta lì seduti sul lettino e si offre il braccio, si fa un gesto di grande importanza. La donazione fa bene a tutti! Fa bene al donatore e ancor di più a tutti coloro che hanno bisogno di questo dono prezioso. Ascoltate la vita, donate il sangue. Esiste dentro di noi la gioia di aiutare. Basta ascoltarla. Ti aspettiamo a FAVRIA  VENERDI’ 24 FEBBRAIO  2023, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio.

Favria,  6.02.2023  Giorgio Cortese.

Buona giornata. Ogni giorno non devo confondere il percorso con la destinazione. Solo perché oggi lo trovo buio e burrascoso non significa che non sono diretto verso il sole. Felice lunedì.

“Teorie e tecniche del restauro architettonico”

Docente Ezio Vian, Mercoledì  8 FEBBRAIO 2023 ore 15,30 -17,00

Conferenze UNITRE’ di Cuorgnè presso ex chiesa della SS. Trinità –Via Milite Ignoto

Solo nel corso del XIX secolo si sviluppa una coscienza storica legata all’architettura, e ai suoi valori di arte e civiltà. In questo periodo si vengono a definire anche le prime idee teoriche legate al restauro, il ripristino delle fabbriche alterate, il completamento di quelle incompiute affermando il principio della “fedeltà storica” nei confronti degli edifici antichi. Poi il principio del restauro “filologico” e contemporaneamente si afferma il restauro “storico”, anche detto “analogico”: se nel caso del restauro “filologico” si intende riproporre esclusivamente ciò che è realmente esistito, per quanto riguarda la concezione “analogica” si ricostruisce secondo lo stile peculiare delle diverse tipologie costruttive di una determinata epoca. Il docente parlerà in particolare delle tecniche del restauro e dei materiali utilizzati.

Favria, 7.02.2023 Giorgio Cortese


Buona giornata. Si conoscono le persone tramite il cuore e non con gli occhi e l’intelletto. Felice martedì.

Ma va… in Egitto

Questa risposta data ad un interlocutore noioso, ma anche per chi racconta delle fandonie: “ma va in Egitto”. Questa invettiva è comune in diversi dialetti italiani  ed è improntata alla concezione biblica dell’Egitto come paese della non salvezza, della perdizione, dell’inferno per dire , va al diavolo,  al diavolo o anche al limbo dei santi padri. Per scherzo o per eufemismo, va al diavolo venne (e viene) trapassato da una destinazione all’altra: va al diavolo, a casa del diavolo, all’inferno, al limbo, va a quel paese. In questa serie si doveva giungere anche a va in Egitto! Ancora una nota per segnalare come non mancassero altre “risonanze egiziane”, quali i racconti che favoleggiavano di principi egiziani “meravigliosi” per pratiche, abitudini e modi di vita. Ampia, tra gli europei, un tempo, la fama del soldato d’Egitto che nel 1187 tolse ai cristiani Gerusalemme e la Palestina: la perdita ebbe una tale eco che ne scaturì la terza crociata (guidata da Federico Barbarossa, Filippo II Augusto di Francia e Riccardo Cuor di Leone). La fama e, nel contempo, la “indefinitezza” del Saladino e del suo mondo erano suscettibili di evocazioni nella chiave del meraviglioso: un’aura di leggenda che rispondeva alla lontananza delle zone orientali e al bisogno di sognare di europei ed europee. Sul Saladino sono scontati rinvii come  di Dante nell’Inferno, nel Decamerone e nel Novellino. Aggiungete, la  visione del “paese lontano e meraviglioso con i  racconti sulle piramidi (spesso vantate con ampiezza di particolari e enfatizzazioni nel rievocare che facevano viaggiatori e reduci) tra tutte la  battuta “se recordelo dell’Armeno che gha’ vendù el lume eterno delle piramidi d’Egitto”, Carlo Goldoni, La famiglia dell’antiquario.

Favria, 8.02.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. La parte migliore di certe persone sono i loro piccoli e ignoti gesti, dei dimenticati atti di gentilezza e rispetto per gli esseri umani ed il creato. Felice  mercoledì.

Il digestore a vapore

Nel 1679 il francese Denis Papin ideò un “digestore a vapore”, precursore della moderna pentola a pressione. Propose di utilizzarlo per sfamare i poveri Nel 1682 la corte francese di Luigi XIV approfittò con stupore dell’opportunità di assaggiare uno squisito stufato di carne che era stato cucinato nella metà del tempo normalmente richiesto da piatti simili. Il responsabile di questo “miracolo” era un apparecchio arrivato nelle cucine di palazzo dallo stabilimento gestito da un maestro saldatore di nome Houdry, situato a Parigi in rue de la Ferronnerie. Era stato realizzato a partire dal progetto disegnato in Inghilterra dal fisico francese Denis Papin. Papin annunciava in un opuscolo che la sua invenzione sarebbe stata disponibile per chiunque desiderasse acquistarla. Era costituita da un recipiente chiuso ermeticamente che permetteva di portare la temperatura di ebollizione fino a circa 130 °C, riducendo così il tempo di cottura del cibo senza alterare i risultati dell’operazione. La pressione all’interno era controllata tramite una valvola di sicurezza che permetteva di espellere il vapore acqueo in eccesso attraverso un beccuccio. Papin, che aveva già condotto diversi esperimenti sulla forza del vapore, battezzò la sua creazione digesteur, o “digestore a vapore”. Un fisico in cucina Papin era nato a Chitenay, vicino a Blois, nel 1647. Sebbene provenisse da una famiglia protestante, fu istruito dai gesuiti nella sua città natale e poi si laureò in medicina a Parigi. Ma il suo interesse per la fisica lo portò a diventare assistente, insieme a Gottfried Leibniz, dello scienziato olandese Christiaan Huygens, allora presidente dell’Accademia francese delle scienze. Nel 1675 la crescente persecuzione dei protestanti in Francia costrinse Papin a trasferirsi in Inghilterra, dove collaborò con Robert Boyle e nel 1680 fu eletto fellow della Royal Society. Papin visse anche in Italia e in Germania, e ovunque risiedette portò avanti un’infaticabile attività scientifica che sfociò in una serie d’invenzioni visionarie, tra cui un sottomarino, una catapulta, una macchina per sollevare l’acqua e, nel 1690, una macchina a pistone capace di creare il vuoto tramite condensazione di vapore acqueo. Ma l’invenzione per la quale è ricordato ancora oggi è la marmitta o digestore a vapore. Ideata nel 1679, fu presentata due anni dopo alla Royal Society di Londra come un esperimento che dimostrava la possibilità di controllare la forza del vapore acqueo. Papin espose i dettagli della sua invenzione in un opuscolo intitolato Un nuovo Digestore o macchina per ammorbidire le ossa, con una descrizione particolareggiata della sua fabbricazione e del suo uso. Come indica il titolo del testo, Papin mise subito in evidenza le proprietà della sua invenzione per usi culinari. Di fatto, immaginava che potesse essere utilizzata per cucinare cibo economico e abbondante per i poveri, in particolare nei periodi di carestia. Nel 1694 suo cugino Isaac propose d’istituire un sistema per cui i ricchi avrebbero conservato gli avanzi dei loro pasti e ogni settimana degli inservienti li avrebbero raccolti e poi cucinati nelle pentole inventate da Denis. Il sistema non sembra essere mai entrato in funzione, ma a metà del XVIII secolo l’idea di sfruttare la pentola di Papin per sfamare i poveri aveva ancora dei sostenitori. L’invenzione di Papin cadde nell’oblio, e fu solo nel XX secolo che la pentola a pressione divenne un elemento quasi indispensabile nelle cucine occidentali. Intorno al 1902 furono brevettati negli Stati Uniti alcuni modelli di dimensioni considerevoli, allo scopo di utilizzarli per fare conserve. In Spagna, l’inventore di Saragozza José Álix Martínez progettò una pentola a pressione di dimensioni ridotte per uso domestico che battezzò olla express, il cui formato finale fu definito nel 1919. Lo stesso Álix si dedicò a promuoverne le vendite tramite un libricino con 360 ricette da lui elaborate. Nel 1925 cedette il brevetto a Camilo Bellvis Calatayud, che  commercializzò l’apparecchio con il nome di Olla Bellvis. Il definitivo salto in avanti arrivò nel 1938 con la Flex-Seal Speed Cooker dello statunitense Alfred Vischer, perfezionata nel modello Presto del 1939.

Favria, 9.02.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. L’amore e la gentilezza hanno sempre un passo in più della paura e del rancore. Felice  giovedì.

Il giorno del ricordo

Il Giorno del ricordo  è una ricorrenza  celebrata il 10 febbraio, in ricordo dei massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata. La giornata, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, ha l’obiettivo di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.Il giorno del 10 febbraio è stato scelto perché in quella data, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi,  che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia. In precedenza appartenenti all’Italia. I territori in questione erano stati assegnati all’Italia con il Patto di Londra, accordo che segnò l’ingresso italiano nella Prima Guerra Mondiale,  mentre la Dalmazia venne annessa a seguito dell’invasione nazista in Jugoslavia. Con il ritorno di questi territori alla Jugoslavia ci fu un vero e proprio massacro e una rappresaglia feroce che colpì cittadini italiani spesso innocenti, ma colpevoli solo di essere italiani e ritenuti colpevoli di quanto,  purtroppo, le truppe fasciste avevano fatto durante l’occupazione jugoslava. Si andò a configurare quella che gli storici identificano come pulizia etnica: prigionia, campi di lavoro forzato e morte nelle foibe coinvolsero fra i 4.000 e i 5.000 cittadini (stima ancora oggi approssimativa). Non tutti morirono infoibati, termine che indica l’uccisione tramite le foibe, ma perirono all’interno dei sistemi di pulizia etnica attuati dalle truppe jugoslave. Molti scapparono e da qui si ricorda anche il grande esodo che coinvolse tra le 250mla e 350mila persone, nel periodo compreso tra il 1945 e il 1956. Il massacro delle foibe  è una tragedia italiana. Le foibe sono delle insenature naturali costituite da grandi caverne verticali  presenti nei territori del Friuli Venezia Giulia e dell’Istria. Veri e propri inghiottitoi naturali che nelle zone carsiche sono presenti in grande abbondanza: una vera e propria trappola naturale, si restringe scendendo in profondità per poi chiudersi riallargandosi in un bacino che impedisce l’uscita e rende difficile la risalita e o i soccorsi e il recupero. Gli eccidi delle fobie, perpetrati dai partigiani jugoslavi, vedevano le vittime giustiziate gettandole vive all’interno di queste cavità, dove erano solitamente spinte o costrette a lanciarsi. Gran parte dell’utilizzo delle foibe in questi territori, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu per occultare i corpi dei caduti derivati dagli scontri nazifascisti e partigiani, nascondendo il numero di vittime delle violenze causate dal movimento di liberazione croato e sloveno. Molto spesso le vittime venivano fucilate nei pressi di queste cavità e poi gettate al loro interno, celando un crescente numero di esecuzioni e omicidi.

Favria, 10.02.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non aspetto di essere felice per sorridere, ma sorrido per essere felice.  Felice venerdì.

Semel in anno…

Il detto: “ Semel in anno licet insavire”, una volta all’anno, ogni schema può essere ribaltato. E’ In fondo, il principio del carnevale, dove dietro ad un rito spassoso e festoso si nasconde il desiderio di un rovesciamento o, ancora, quel sfondo violento e sovversivo che soggiace ad ogni desiderio di profondo annullamento  sociale e spirituale.  Con il Carnevale si annullano per un attimo le convenzioni sociali e ribaltando l’ordine precostituito della collettività, costituisce una valvola di sfogo delle tensioni sociali. Al di là dell’accostamento del motto con il carnevale, l’adagio è oggi usato per giustificare un momento di gioia sfrenata e disinibita. Una situazione “ fuori dagli schemi” che, una volta soltanto è più accettabile. Nel concreto, può essere quello strappo alla regola che naufragare ogni velleità di dieta a partire da un’abbondante festa di torta 900. Questo detto nasce nel Medioevo, anche se già nell’Antica Roma, un passo di Seneca nel “De superstition”, opera perduta ma  trascritto in alcuni brani da S. Agostino nel De civitate Dei. Da questi frammenti dello scritto di Seneca sappiamo che si riferisce agli adoratori di Osiride, culto di origine egiziana.  costoro praticavano ritualità volte a compatire la morte della divinità e a gioire della resurrezione, il tutto con uno spiccato realismo quasi stessero vivendo questi fatti in prima persona, per questo Seneca commenta che tutto sommato , comportarsi da folli , se capita una sola volta all’anno è tollerabile: “ Torelabile est semel anno insanire, è cosa sopportabile la follia una volta all’anno.” Riprende quindi il tema nel De tranquillitate animi, anche se con valore diverso: qui sottolinea la piacevolezza dell’impazzire una volta ogni tanto, una volta ogni tanto: “

Aliquando et insanire iucundum est: talora è piacevole impazzire”. Al di là di tali precedenti espressioni si diffonde nel Medioevo  e approda , come detto, alla frequente identificazione con un ribaltamento di tipo carnevalesco.

Chiudo il discorso con le parole seicentesche di un nobile aretino che fu scienziato, medico di cortese dei Medici ed anche accademico della Crusca, Francesco Redi.

in occasione dello  “stravizzo”(1) un pranzo collegiale con tutti i colleghi della Crusca, egli recita una “ cicalata” (2) per  tessere le lodi dei vini toscani, ottimi allora come oggi.  Talmente buoni che l’autorizzazione a impazzire una volta all’anno si sestuplica: “ Vino, vino  ciascun bevere bisogna/ se fuggir vuole ogni danno/ e non mi par mica vergogna/ tra i bicchieri impazzir sei volte  all’anno. Bacco in Toscana.

Quello in risposta a chi dice che bere un poco di vino fa male e restringe pure il cervello, magari chi scrive questo non l’ha mai sviluppato

(1)Stravizzo dal croato zdravica, brindisi,, interpretato per etimologia popolre come composta. di stra- e vizio da cui anche l’italiano  stravizio.

(2) cicalata, deriva da cicalare.  Discorso lungo intorno a cose futili, o sentite come tali da chi ascolta), fatto da più persone o anche da una sola persona. Era  un discorso bizzarro e ameno, volutamente su materia di poca importanza, che veniva spesso letto dopo i banchetti nelle accademie letterarie italiane secentesche e settecentesche.

Favria,  11.02.2203  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno compiamo il nostro dovere non perché qualcuno ci dica grazie, ma per noi stessi per la nostra umana dignità.  Felice sabato.

Avere una fifa blu.

In molte culture i colori, e in Italia non siamo da meno,  sono spesso accostati, fra le altre cose, a stati d’animo, sentimenti o emozioni, che in virtù di tale accostamento abbandonano la pura astrattezza per assumere una concretezza esperibile nel caso specifico attraverso quello che per Aristotele era il più importante dei cinque sensi, la vista. Diciamo infatti che siamo al vere quando siamo sena soldi,  se non dormiamo, abbiamo passato la notte in bianco. In italiano ad esempio il verde non è solo il colore dell’invidia,  ma anche della rabbia, essere verde di rabbia, essere verde dalla bile ed infine  della paura, essere verde di paura. Poi diciamo che abbiamo una fifa blu. la parola fifa è di provenienza settentrionale, e risulta documentata in particolare nei dialetti lombardi e veneti, pare che sia di origine milanese documentata dal 1884 di origine onomatopeica. La voce si è diffusa nel gergo militare durante la Prima Guerra Mondiale. La voce nasce dall’imitazione del tremore delle labbra causato, per l’appunto, dalla paura di qualcuno o di qualcosa. Secondo altri la parola deriva dal venire meno dal filo delle feci prodotto da chi perdeva il controllo degli sfinteri.   Avere una fifa blu è una locuzione idiomatica che significa “prendersi un grande spavento”

Favria, 12.02.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Quando mi alzo al mattino penso al prezioso privilegio di essere vivo, di respirare, provare gioia e amore ed avere un altro giorno da vivere. Felice domenica

Il nocchiere.

Il nocchiere significa chi  guida una nave o anche  alta carica o chi guida. La parola deriva dal  latino naucleurus, prestito dal greco náukleros, armatore, padrone di nave, ma anche suo conduttore. Oggi il  nocchiere, o nocchiero, è la persona alla guida della nave. La  complessità  di mandare una nave invita da millenni il paragone fra guida della nave e guida di un gruppo, o di una società intera,  basti pensare che governo nasce dal latino gubernum, cioè timone.  In italiano il nocchiere viene esteso come significato di guida, chi conduce,  chi è in capo. Una delle  dantesche più famose e aspre nel  VI canto del Purgatorio, sigilla il nesso fra nocchiere e governo. Recita: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!”. Rappresenta  l’Italia proprio come una nave senza guida nella tempesta, che non è più dominatrice di province come ai tempi di Roma, ma un gran bordello, ed oggi  siamo allo stesso punto, infatti esiste un detto  biblico: “Niente  di nuovo sotto il sole”.

Favria, 13.02.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita l’amore e la compassione sono necessità. Senza di loro l’umanità non può sopravvivere. Felice lunedì.

Lo scopo della vita di noi essere umani è quello di accendere una luce di speranza nei nostri simili anche donando il sangue. Ti aspettiamo a FAVRIA  VENERDI’ 24 FEBBRAIO  2023, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio