Quando indossi il capello alpino..- Allerta! – Arnèis e arnos! – La mitica Aratta! – Il pomodoro cuore di bue! – Poplifugia… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Quando indossi il capello alpino….

Quando indossi il cappello degli Alpini succede qualcosa di magico, diventi Alpino. E quando un Alpino viene

a mancare non è morto, ma è soltanto andato avanti, posando lo zaino. Come diceva un Alpino già da tempo andato avanti del Gruppo, andiamo avanti ogni giorno, con forza e coraggio. Una caratteristica degli Alpini, uno dei nostri motti è quello di “Onorare i morti aiutando i vivi”. Faccio questa riflessione dopo la recente dipartita dell’Alpino Antonio. Ogni domenica mattina passo dal Cimitero per onorare le persone che sono andate avanti e ogni volta rimango piacevolmente stupito di quanta gente lo frequenti per visitare i defunti, in qualunque momento dell’orario di apertura e non solo nel mese di novembre tradizionalmente dedicato ai defunti. In un mondo teso a prolungare il più possibile la vita terrena e a migliorarne a qualunque costo la qualità, cercando di ridurre malattie o eventi che possano minarne la durata allo scopo di allontanare il più possibile l’evento finale, si può pensare che recarsi a visitare le tombe dei defunti sia un rituale per non recidere del tutto il cordone ombelicale che ci lega, inconsapevolmente, ai cari con i quali non possiamo più condividere l’esistenza terrena. Evidentemente non è solo un’abitudine dei tempi passati, che trova radici da quando noi esseri umani esistiamo, poiché da allora esiste anche la morte. Come esseri umani vogliamo conservare la continuità con il vissuto passato, come a garanzia che vi sia una continuazione della vita oltre la morte, pur essendo oggi più che mai proiettati nel futuro dalle esigenze del mondo contemporaneo. Oggi partecipare al funerale e poi visitare il defunto al cimitero vuole testimoniare il nostro collegamento al defunto, ma anche al nostro passato vissuto insieme ai nostri cari che non sono più. Le modalità con cui si esprime il culto della morte e dei defunti dipendono dal concetto culturale o religioso di ciò che si ritiene accadere dopo la morte stessa e come i nostri progenitori nel Paleolitico ben 100.000 a.C. mettevano nella tomba oggetti personali come armi e utensili, ed oggi anche noi ai nostri morti mettiamo gli oggetti più in uso, come occhiali e per gli Alpini l’amato cappello a corredo funebre come estremo onore per la vita vissuta. Ci piaccia o no, la morte è parte della vita, al pari della nascita, la nascita e morte delimitano la vita, così come l’alba e il tramonto delimitano il giorno, spesso creando somiglianze di colori. In conclusione la morte ci tocca anche quando è l’altro a morire, perché muore anche quella parte di noi che era nell’altro.
Favria, 30.06.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Vivere la propria vita dimenticando l’età è la migliore delle medicine. Felice mercoledì.

Allerta!

L’allerta è una esclamazione per tenere alta l’attenzione con un atteggiamento attento, vigile verso un pericolo imminente. La parola deriva dalla frase all’erta. Ma quale erta? L’erta è la ripida salita, quinti una altura o albero da cui in luogo elevato si può controllare il territorio intorno. Allora all’erta è una raccomandazione a stare di vedetta, in alto, senza concedersi di trattenersi nelle comodità dabbasso, ma conservandosi pronti a percepire il pericolo nel primo momento; è questo il senso in cui si sta all’erta, stare in alto e vigilare. Pensate che questa espressione pare che esista in italiano da circa cinque secoli e ogni volta questa esclamazione ci ricorda di rimanere vigili e attenti.

Favria 1.07.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana l’esperienza non è un bagaglio a mano, ma la  forza d’un valore aggiunto nel mio animo. Felice giovedì.

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 7 LUGLIO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Arnèis e arnos!

Arnèis, bagaglio a mano o anche bagaglio dell’esercito, ma significa anche un suppellettile, mobile o strumento agricolo. In senso figurato anche una persona malconcia o sgangherata, oppure un marmocchio o furfante. La parola deriva dal tedesco  hernest, provvista per il viaggio, intesa per i militari. La parola è arrivata attraverso il francese  harnois e anche oi in italiano con la parola arnese. La parola arnese era usata anticamente per indicare le varie parti dell’armatura del cavaliere e del cavallo, il termine assume per estensione il senso di  roccaforte,  fortezza. “Siede Peschiera, bello e forte arnese / da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi…..” Oggi ha la funzione di nome collettivo e indica un insieme di oggetti con le stesse caratteristiche o finalità. Riprendendo il  lemma piemontese scritto all’inizio nasce  la parola arnechè, in equitazione bardare il cavallo da tiro, vestirsi da festa o riacquistare la salute o l’atto di bardare il cavallo.  Per quanto riguarda il vino arnèis, originario del Roero, pare che nasce dal latino medievale Reneysius, nei dintorni di Canale d’Alba. La parola arnos vuole dire accigliato, pensieroso, mesto o di cattivo umore. Il lemma pare che derivi dall’occitano renous che risale al latino reniosum, renionis, rognone. Per trapasso semantico in italiano la parola rognoso.

Favria, 2.07.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Certi giorni prima di dire e di fare, è meglio un attimo meditare. Felice venerdì

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 7 LUGLIO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

La mitica Aratta!

Accadde 4.200 anni fa. Il clima cominciò a cambiare. I monsoni seguivano percorsi del tutto nuovi e nel volgere di pochi decenni le verdi alture dell’odierno Iran sudorientale diventarono montagne di sabbia. Dove prima sorgeva una città florida, adesso si estendeva un ambiente arido e inospitale. Gli ultimi anni furono crudeli, la terra non dava più cibo, l’esame delle tombe ha rivelato le spoglie di bambini malnutriti. Era la fine di una civiltà. I resti di quell’antico centro abitato sono emersi di nuovo, grazie agli scavi effettuati da una missione archeologica italo- iraniana. Questa città viene chiamata Shahr-i Sokhta, che vuol dire Città bruciata, conosciuta come la Pompei d’Oriente. Mentre a Pompei ogni cosa è rimasta cristallizzata nella lava del Vesuvio, a Shahr-i Sokhta è stata la sabbia del deserto a compiere il lavoro di conservazione. Una sabbia ricca di sale che ha assorbito anche la minima goccia di umidità lasciando inalterati i manufatti, le sepolture e i tesori. Alcuni studiosi sono convinti di poter identificare la Pompei d’Oriente con la leggendaria Aratta. I Sumeri erano affascinati dal mito di questa città fantastica, collocata a Oriente. Una città colma di ricchezze, piena d’oro, argento e lapislazzuli. La città divenne un punto di raccolta e trasformazione dei materiali. Nei laboratori gli artigiani ricavavano gioielli da metalli preziosi, modellavano ceramiche, cesellavano i lapislazzuli delle mitiche montagne blu afghane. I prodotti diretti verso la ricca Mesopotamia viaggiavano sul dorso dei cammelli lungo un itinerario che in seguito diventerà la Via reale di Persia fatta costruire dal re Dario. Quando arrivavano mercanti stranieri non sapevano come intendersi con gli abitanti locali. Allora usavano un sistema di segni, con un bastone tracciavano linee e punti per terra. Fu uno dei primi tentativi di dare vita a un metodo di scrittura.  Enmerkar e il signore di Aratta è un poema sumerico di 636 versi, il primo di un ciclo in cui si narra del conflitto, probabilmente reale, che aveva contrapposto le città di Uruk e Aratta intorno al 3.000 a.C. Il poema narra il sorgere della disputa fra Enmerkar, sovrano di Uruk, e il signore di Aratta. Enmerkar è un re leggendario che la lista reale sumerica colloca tra i mitici sovrani della I dinastia di Uruk. Il poema non parla di scontri armati, ma solo l’andirivieni di un messaggero che trasmette il pensiero dei due sovrani. La volontà del sovrano di Uruk di sottomettere Aratta al suo dominio si scontra con il rifiuto dell’altro sovrano, ma il problema della sovranità si intreccia con proposte di scambi commerciali tra le granaglie di cui è ricca Uruk e il legname e le pietre dure di cui è provvista la regione di Aratta. Il brano più interessante del poema è probabilmente quello in cui il re di Uruk, volendo trasmettere un messaggio troppo complesso perché sia ricordato con certezza dal messaggero, inventa la scrittura perché il messaggero aveva la “lingua pesante”, non era capace di ripeterlo. Allora il re di Uruk, Kullab impastò l’argilla e vi incise le parole come in una tavoletta ed esse furno visibili al signore di Aratta. Il mito sull’invenzione della scrittura contiene probabilmente un nocciolo di verità nel ricordare la particolare funzione svolta dalla città di Uruk. La descrizione delle due città suggerisce che Aratta fosse nata come colonia urukita. La contesa tra le due città costituisce l’argomento di altri cinque poemi del ciclo epico e viene infine risolta a favore di Uruk.  Aratta per i Sumeri Arratù era simbolo di eccellenza, il topos di tutti i miti come Troia lo fu per quelli dell’Asia Minore. I poemi sumerici ne parlano come di una città magica, distante sette montagne, in cui viveva un sovrano che in alcuni testi è “il Signore di Aratta”, in altri è chiamato Ensurgiranna. Perfino la dea sumera Inanna l’ha scelta come sua sede, il tempio a lei dedicato  dove tutto risplende tutto perché ricoperto di lapislazzuli. Ad Aratta allude anche la dea Ishtar nel poema dedicato alle imprese dell’eroe Gilgamesh. Ora, gli archeologi hanno davvero trovato a Shahr-i Sokhta la misteriosa Aratta? Chissa?

Favria,  3.07.2021  Giorgio Cortese

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 7 LUGLIO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Buona giornata. Nella vita quotidiana le persone che ammiro sono quelle di poche parole e concrete, con sentimenti dritti e sinceri che sono  veramente come assomigliano, teste quadre, polso fermo e fegato sano. Certo parlano poco, ma sanno sempre  cosa dicono. Felice sabato.

Il pomodoro cuore di bue!

Quando acquisto dei pomodori cuore di bue in questo periodo, la memoria mi riporta all’infanzia, nella casa dove sono nato con mia nonna  che mi accompagnava in nell’orto vicino alla vigna, che non era grande ma quando sei piccolo mi sembrava una sterminata foresta. In questo periodo, finite le scuole al mattino presto dopo aver fatto insieme la cvolazione andavamo nell’orto a raccogliere questi enormi pomodori che mi sono ri,masti impressi nella mente. Poi questo prelibato prodotto lo consumavamo   insieme alla famiglia alla cena. Eppure il pomodoro non è roba nostra. L’abbiamo importato dal Sud America, Perù e Messico, al ritorno dalle spedizioni, e dagli stermini, degli spagnoli, assumendo il nome che identificava la sua tinta originale (pomo d’oro) diventata rossa attraverso innesti e incroci. In altri paesi invece fu adottato il nome originale azteco tomatl, ma anche in Piemonte, dove i pomodori diventano “tomatiche”. Sulle nostre tavole arrivò solo all’inizio del Settecento, cambiando per sempre la tavolozza dei colori delle salse. Da bambino  in televisione e radio trasmettevano la canzone di Rita Pavone: “ viva la pa-pa-pappa/ col po-po-po-po-po-po-pomodoro/ah viva la pa-pa-pappa/ che è un capo-po-po-po-polavoro/ Viva la pa-pappa pa-ppa /col po-po-pomodor!” Che dire oggi se non evviva il pomodoro con la sua maliziosa salsa che mi tenta sempre il pane. Forse un giorno riuscirò a coronare il mio sogno di mangiare una bruschetta con il pomodoro, senza far cadere tutto il pomodoro ogni morso. Evitando così uno dei predatori più pericolosi, il sugo di pomodoro che può aspettare anche molte settimane prima che io mi metta la camicia bianca e pantaloni chiari. Concludo con un a storiella. C’era una volta una persona che cacciava il naso per tutto e, introducendosi nelle famiglie, in ogni affare domestico voleva metter lo zampino. Era, d’altra parte, un onest’uomo e poiché dal suo zelo scaturiva del fare bene più che del male, lo lasciavano fare; ma i concittadini arguti lo avevano battezzato Munsù Tomatica, per indicare  che i pomodori entrano per tutto; quindi una buona salsa di questo frutto sarà nella cucina un aiuto pregevole.

Favria, 4.07.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non poniamo limiti a nulla. Più sogni, più lontano andiamo per rendere ogni giorno un capolavoro. Buona domenica

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 7 LUGLIO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Poplifugia.

Il 5 Luglio, nella Antica Roma, si svolgevano i Poplifugium o Poplifugia, antica festività romana, in onore di Giove. Come tutte le festività romane la cui origine era molto antica, il significato dei Poplifugia divenne ben presto oscuro, anche se è probabile una sua contrapposizione con il Regifugium del 24 febbraio, in cui il rex sacrorum abbandonava i comizi e si rifugiava nella regia, per essere sostituito temporaneamente da un interrex, prima di ricomparire in pubblico il 1° marzo. La festa era forse anche collegata con le Nonae Caprotine che si svolgevano il 7 luglio, tanto da essere confusa con quest’ultima già da autori antichi.  A causa dell’oscurità che avvolgeva l’origine dei Poplifugia, già nell’antichità fecero dei tentativi di spiegarne il significato. Secondo Plutarco, la fuga del popolo si riferiva al momento di sbandamento e confusione che avrebbe colto i Quiriti subito dopo la scomparsa o l’assassinio di Romolo. Altre fonti la collegavano alla fuga del popolo in armi davanti ai Latini di Fidenae e di Ficulea oppure agli Etruschi, che approfittarono del grave sbandamento dei Romani, successivo all’incendio di Roma ad opera dei Galli nel 390 a.C., per operare delle incursioni in città. Secondo alcuni storici c’è  un collegamento con la fine della mietitura e quindi con la chiusura dell’annata agricola, laddove il Regifugium simboleggiava la fine dell’anno, che per i Romani iniziava il 1° marzo, quando il rex sacrorum faceva la sua ricomparsa in pubblico. Secondo altre fonti veniva  commemorata la  fuga dei Romani quando i Fidenati e i Ficulei ed Etruschi li assalirono poco dopo la conquista di Roma da parte dei Galli, nel 390 a.C.  La cerimonia si svolgeva nella Palude Caprea, Palus Caprae, l’area del Campo Marzio in cui Romolo, durante un’assemblea popolare, scomparve senza lasciare traccia nel corso di una bufera con pioggia, tuoni e vento che oscurò la luce del giorno. Il 5 luglio di ogni anno, il popolo si radunava nella Palus Caprae per compiere un sacrificio – probabilmente officiato dal flamine di Giove, il flamen dialis, dopo aver attraversato le porte della città gridando ritualmente alcuni dei prenomi romani più comuni, come Gaio, Lucio e Marco. Infine pare collegata alla morte di Romolo nel 716 a C., alcune fonti lo indicano il 7 luglio. Romolo fondatore eponimo e primo Re di Roma. La leggenda racconta che dopo la morte Romolo viene assunto in cielo durante una tempesta ed un’eclissi, avvolto da una nube, nei pressi di campo Marzio. I Romani lo proclamano dio, con il nome di Quirino, figlio di Marte, Re e “Pater” di Roma. Tito Livio, nella sua “Ab Urbe condita”, riporta il racconto del compagno di Romolo, Proculo Giulio, alcuni giorni dopo la sua morte: “Stamattina o Quiriti, verso l’alba, Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo e apparso davanti ai miei occhi. … Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dei è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Che essi diventino pratici nell’arte militare e tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra può resistere alle armi romane”.

Favria, 5.07.3021  Giorgio Cortese

Dona il sangue e sii un eroe nella vita di qualcuno. Il sangue è destinato a circolare. Condividilo! Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 7 LUGLIO  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Buona giornata. Essere giovani ed essere vecchi sono due fasi dell’esistenza. Nella prima si anela alla conoscenza, nella seconda è la conoscenza stessa che ci rivela la nostra ignoranza. Felice lunedì