Richiede impegno ma dona tantissima soddisfazione. – La partita della vita. – Quandi che nàsso…. – 28 ottobre 1922 – Drogheria. – Camaica. – Dal girotondo alla ronda, Night Watch! …LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Richiede impegno ma dona tantissima soddisfazione La Filarmonica

Favriese, dalla centenaria storia, organizza corsi di musica rivolti a ragazzi che desiderano imparare a suonare uno strumento a fiato o a percussione.  Perchè la musica è quel linguaggio universale che è con noi da sempre, da quando esiste l’uomo. In grado di trasmettere le nostre emozioni e i pensieri, essa è un’alleata per il relax, per una cenetta romantica e come sottofondo per momenti con gli amici. Fare musica è un’arte che affascina tanto chi la produce quanto chi la ascolta. Imparare a suonare uno strumento richiede impegno ma dona una grandissima soddisfazione nell’animo del musico, come in quello di Andrea ,Davide, Alessandro, Alberto e Carlo. Che bella la musica che ha il  grande potere di riportarci  indietro nel momento stesso in cui ci porta  avanti, così riesce a farci provare contemporaneamente, nostalgia e speranza. I musici della Filarmonica vi aspettano tutti i sabato mattina ore 10,00 a Favria, nei locali sala musica cortile interno palazzo Comunale in via Barberis, ingresso pedonale, ricordandovi che senza la musica per decorarlo, il tempo sarebbe solo una noiosa sequela di scadenze senza vivacità. Cell. 3420038633
Favria, 25.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno il sapere e la ragione parlano, l’ignoranza e il torto urlano. Felice martedì.

La partita della vita.

La scacchiera è il mondo, gli scacchi sono i fenomeni dell’universo, le regole del gioco sono quelle che noi chiamiamo “leggi naturali”. Il giocatore dall’altra parte della scacchiera è invisibile. Sappiamo, però, che il suo gioco è sempre onesto, leale e paziente. Ma sappiamo anche, a nostre spese, che non perdona mai un errore né fa la più piccola concessione all’ignoranza. Questa  rappresentazione della storia non è priva di una sua verità e di un suo fascino. Ho trovato questo brano in un libro ed è di uno scienziato, un biologo dell’Ottocento, Thomas Henry Huxley, la citazione è tratta in un saggio intitolato Un’educazione liberale. Gioco a scacchi e sono sempre  sono sempre rimasto affascinato dagli scacchisti, coi loro riti, i ritmi lenti, le strategie esasperanti, gli esiti fulminanti. Il brano che ho trascritto mi fa pensare ad almeno tre  considerazioni. la prima è che nell’universo ci sono regole: la scienza le decifra, spesso con fatica, e quando non le scopre, non è detto che esse non ci siano.  La seconda è che il ricorso al caso e al caos sembra essere una semplificazione rinunciataria. Questo deve valere anche per quella creatura particolare che è l’uomo, segnato da una sua «legge naturale».  Il  giocatore invisibile, continua Huxley, è «onesto, leale e paziente» e questo è vero, ma bisognerebbe anche dire che il suo gioco è talora misterioso. La trascendenza di Dio, come insegna Giobbe, non è riducibile a uno schema com’è quello di un gioco pur creativo come sono gli scacchi. Infine, sì, egli denuncia i nostri errori o l’ignoranza, ma non è implacabile come dev’essere un giudice di gara, perché conosce il perdono e concede la possibilità di nuove partite sino alla fine.

Favria, 26.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata.  Chi non sbaglia mai perde un sacco di buone ragioni per imparare qualcosa. Felice  mercoledì.

Quandi che nàsso….

Riprendo la frase piemontese iniziale: “Quandi che nàsso son tucc bèi, quandi ch’ës maȓìjo son tucc rich, quandi chi meuȓo son tucc bȓau. Quando nascono sono tutti belli, quando si sposano sono tutti ricchi, quando muoiono sono tutti bravi. Ecco servito, con questa trilogia, il Principe dei luoghi comuni. Soffermiamoci però sul terzo, dacché in questi giorni ricorrerà la festività di Tutti i Santi e successivamente dei nostri defunti, buone anime. Ecco allora il modo di dire di un defunto che si è voluto bene, bonànima, da dove deriva l’esclamazione rivolta a un individuo che non si incontra da molto tempo.  Il significato è di facile intuizione poiché anche in lingua italiana viene adattata con buonanima; trattasi dunque di parola composta da bon-a, buona e anima, anima, alludendo così al carattere positivo di qualcuno di ormai defunto. In verità, succede di esclamare la parola di oggi, quando si incontra qualcuno che non si vede da ormai molto tempo. Magari ci si è frequentati per un po’ e col passare del tempo, né l’uno né l’altro si è manifestato; quando ci si rincontrerà si alluderà scherzosamente che l’altro fosse ormai sepolto con un sonoro Oh, bonànima!, seguito da tutti gli scongiuri del caso. Quando invece è davvero di defunto che si parla, si aggiunge bonànima come fosse un commento tra parentesi quando si fa il suo nome nel mezzo di un discorso, in modo tale che l’interlocutore si renda conto di almeno due cose; la prima è che si sta parlando di un defunto, la seconda è che in vita fosse una brava persona: Giors bonànima oppure bonànima ed Giors. Quando però il defunto è un parente abbastanza stretto, congiunto , l’aggettivo bonànima viene rafforzato con un’altra nota esclamazione: che Nossgnur o l’àbia ‘n gloria, che il Signore ce l’abbia in gloria. Parlando di luoghi comuni concludo con questa ironia spiritosa: “Rancin e crin istessa sòrt: veno a tàj mach da mòrt, avaro e maiale hanno la stessa sorte, tornano utili soltanto dopo la morte.

Cerea!

Favria, 27.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita ognuno di noi vale quanto alle cose a cui dà importanza. Felice giovedì.

28 ottobre 1922

Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo, ricordiamoci che la dimenticanza porta a fare ripetere gli eventi una seconda volta, la memoria  è riscatto e attenzione. In un’epoca come la nostra, dominata dalla fretta di trovare soluzioni immediate senza curarsi di esaminare le radici dei problemi, è importante fare buon uso della memoria, ma la memoria in Italia, oltre a essere fragile, è anche perennemente divisa, con il risultato che le commemorazioni introdotte per legge sortiscono spesso l’effetto di favorire schematismi narrativi che eludono il nodo cruciale delle responsabilità. Il 28 ottobre 2022 cadono i cent’anni dalla Marcia su Roma. Il 28 ottobre del 1922,  la marcia su Roma che non fu allora un fulmine a ciel sereno. Fu preceduta da anni di comportamenti illegali, di proclami minacciosi, di insurrezioni promesse. Anni, soprattutto, di violenze: il numero di morti, feriti, vittime di aggressioni, persone minacciate è impressionante. Per non parlare di sedi politiche o istituzionali occupate, distrutte, bruciate, di manifestazioni interrotte, di persone terrorizzate, di cittadini umiliati. Si stenta a credere che tutto ciò non abbia provocato normali interventi di ordine pubblico o reazioni straordinarie da parte dello stato e che abbia potuto contare sulla passività o sulla complicità di grandissima parte della classe dirigente. Ecco fare memoria di quanto sopra scritto ci serve per  ricordare dopo cento anni per l’attualità inquietante di quello sgradevole  evento, che pure merita di essere ricordato per la lunga e nefasta incidenza che ha avuta sulla storia della nostra Patria. Con la marcia su Roma ebbe inizio la lunga dittatura fascista. Se i nostalgici del vecchio regime si apprestano a celebrarne i fasti, allora oggi più che mai per ogni autentico democratico quel 1922 merita di essere ricordato, se non altro, per fare tesoro di un prezioso, anche se drammatico, insegnamento della storia. Si potrebbe pensare che, dopo oltre 77 anni di vita democratica, quanto è avvenuto nel 1922 sia soltanto una lontana memoria; ma non è così: sappiamo che nessuna democrazia è mai acquisita definitivamente, ma va ogni giorno difesa da quanti, apertamente o surrettiziamente, intendono (s)travolgerla. Ecco perché non è fuori luogo, a un secolo di distanza, domandarsi perché il fascismo riuscì allora ad affermarsi e perché questo rischio di stravolgimento del sistema democratico è ancora di fronte a noi, sia pure in un contesto profondamente mutato. Come l’abbondante bibliografia su come il fascismo divenne una dittatura ha posto in evidenza, due furono le cause fondamentali dell’affermarsi del regime: i profondi ed apparentemente insolubili contrasti tra le forze democratiche e l’ignavia, se non l’aperto sostegno offerto al nascente regime dalla monarchia, nonché da parte di componenti non marginali delle élite di allora che si erano illuse di potere superare ed alla fine governare il fascismo.  Queste riflessioni potranno essere da qualcuno, e forse da molti, ritenute lontane dalla realtà: ma un’attenta riflessione dell’attuale stato di salute della democrazia italiana dovrebbe inquietare coloro che intendono tenere alta la guardia contro le ricorrenti minacce autoritarie: parziali e limitate oggi, e lo sembravano anche ieri, nel 1922 ma non per questo meno pericolose. Il tasso di litigiosità tra i parti all’opposizione  ha portato alla vittoria la destra con la fiamma tricolore. Tranquilli non soffro della sindrome di Cassandra, ma vigilare e fare memoria del passato e spronare i partiti di tornare a contatto con gli elettori  per evitare che tutto scivoli sulla mediocrità quotidiana della superficialità che è il brodo di  cultura, da cui attinge il fascismo. Pertanto è sempre attuale l’appello di don Sturzo “ A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà.”

W L’Italia, W la democrazia.

Favria, 27.10.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata.  Sono consapevole che non sono niente e non sarò niente, ma dentro di me ho tutti i sogni del mondo. Felice venerdì.

Drogheria

La parola drogheria ha origine nel XVII secolo ma, come accade spesso, esistono diverse teorie sulla sua etimologia. Una di queste la fa derivare dal turco “bakkal”, la cui traduzione è “commerciante di verdure”. In italiano il termine proviene da “droga” nel significato originario di ‘spezia’ il cui utilizzo era destinato a più scopi: alimentare, per condire e conservare il cibo, medicinale per curare malattie come la peste, magico e religioso, per rituali e cerimonie. Permettetemi una piccola divagazione sulla parola droga. La parola droga deriva dall’olandese droog ed è simila all’anglosassone dryg, che deriva dall’antico tedesco trockan o trocchan con il signifiacto di arido e secco. Oggi in inglese dry vuole dire asciutto. Nel Medioevo, anche per il grande contributo dato dalle Repubbliche marinare, fiorisce e si sviluppa il mercato delle spezie con Venezia che diventa la capitale del mondo occidentale per quanto riguarda le piante di uso medicinale e il loro studio. Si cominciò a usare la parola droga nel sedicesimo secolo quando i commercianti olandesi importavano dal’estremo oriente delle spezie, di origine vegetale, droghe usate per aromatizzare e insaporire cibi e bevande, e, specialmente in passato, usate anche in medicina e farmacia come lo zenzero, cannella, chiodi di garofano, coriandolo, pepe e noce moscata, e molte altre. In Italia le drogherie nascono nel periodo compreso tra la fine del 1800 e i primi anni Trenta del Novecento. Cominciano vendendo quei prodotti alimentari che hanno subìto una speciale lavorazione culinaria, per la quale sono soggetti a conservazione a lungo termine in determinate condizioni. Poi continuano, commercializzando anche altri generi, spesso i più disparati fra loro, dal caffè allo zucchero, dai coloranti alimentari alle caramelle e cioccolatini, dal bicarbonato al citrato. Altre drogherie, invece, erano simili a torrefazioni o a botteghe coloniali.  La loro attività prosegue a pieno regime fino al 1957, anno che coincide sia con l’apertura a Milano del primo supermercato, sia con l’avvento di Carosello, la prima forma di pubblicità televisiva.  Da ragazzo mi ricordo che vendevano di tutto dal thè agli insetticidi, dal vino alle speziecon le caramelle sciole che erano messe in mostra nei grandi vasi di vestro. Nelle drogherie si poteva trovare proprio di tutto.  Mi hanno detto che ancora oggi, in certi paesi  esistono ancora le drogherie, divenute un pezzo di storia italiana e molte di esse si sono adeguate ai tempi, aprendo anche shop online.

Favria, 29.10.2022    Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana non cìè nulla da temere, ma solo da capire. Felice  sabato.

Camaica.

La camaica in piemontese è un’agreste danza ungherese, kalamajka o kolomejka, con il significato di anni felici. Tale denza era in origine ballata in Ucraina è praticata  soprattutto dagli ebrei yiddish  in occasione dei matrimoni. La melodia è un tempo di 4/4 e di movimento animato. L’etimo è incerto secondo alcuni si basa sulla parola finnica Kala, pesce, secondo altri sulla voce Kolo, danza circolare con i toponimi ungherese come Kolomya o Kolomea.

Favria, 30.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Non conta la durata della vita, ma la sua profondità. Felice  domenica.

Dal girotondo alla ronda, Night Watch!

Il lemma girotondo mi ricorda un gioco che facevo da bambino, ci tenevamo la mano in circolo girando in tondo, cantando una filastrocca che comincia con le parole giro giro tondo e seguita in modo vario da regione a regione. Esistono varie versioni della filastrocca. La più nota recita: “Giro giro tondo, casca il mondo, casca la Terra, tutti giù per terra, all’ultima strofa ci si ferma e si accovacciava. Ma per girotondo si intende anche il veloce movimento rotatorio intorno al proprio asse, il girotondo. della giostra. Anche, giro vizioso o tortuoso, il traffico cittadino certi giorni ci obbliga a fare un girotondo per le strade per raggiungere il centro. Con girotondo si intende anche nel linguaggio giornalistico e politico, manifestazione di protesta i cui partecipanti si prendono per mano girando intorno a sedi istituzionali o politiche. Dal girare in tondo alla ronda il passo, scusate il gioco di parole è breve. La parola di ronda deriva dal francese ronde, nella locuzione. “à la ronde”, femminile di rond, rotondo, cioè che gira intorno, a sua volta dal latino. rotundus, rotondo. Chi si aggira nel fare la ronda si dice rondare. Insomma l’andare in giro in una zona determinata allo scopo di perlustrare. Oggi si dice soltanto con riferimento a un servizio armato, servizio di ronda, al quale possono essere destinati due o più militari, in genere tre, di cui uno graduato. E qui arriviamo all’attualità, perché di fronte all’aumento degli episodi di criminalità alcune persone invocano la ronda! Nel linguaggio militare esiste anche il “Cammino di ronda”, specialmente nelle fortificazioni antiche, stretta terrazza che si svolge lungo il perimetro sommitale e che consente a ronde, sentinelle e altri difensori di percorrere tutto il perimetro restando coperti dall’esterno. Ma chi invoca la ronda si sente, forse un po’ sceriffo? Sceriffo, parola che evoca il Far West americano ma che deriva dall’antica carica inglese di shire reeve. Come la parola sceriffo, sheriff, in sé, il ruolo di sceriffo ha una storia interessante. Nell’Inghilterra anglo-sassone il reeve era un funzionario nominato dal re per essere responsabile degli affari pubblici delle località. Un alto funzionario, lo shire-reeve era il rappresentante dell’autorità reale in uno shire o contea. L’incarico di sceriffo venne mantenuto dopo la conquista normanna, dove veniva denominato visconte. Visconte era un Titolo nobiliare, frequente in Francia e poi in Inghilterra e anche introdotto con la conquista di Carlo Magno anche nel nord della penisola italiana. I conti eleggevano dei vicecomites, che ne facevano le veci, in Italia sostituirono in molti casi i gastaldi longobardi, che, oltre ad amministrare i beni del sovrano, avevano anche incombenze giudiziarie e di governo locale. Quando le città passarono sotto il dominio dei vescovi, il visconte si trasformò in vassallo vescovile, mantenendo il carattere di rappresentante del potere militare. Ma in italiano abbiamo italianizzato il lemma sceriffo anche dall’arabo Sharīf, che significa letteralmente “illustre, nobile”, anche se tale “nobiltà” non potrà che essere morale, visto che nel mondo islamico non esiste un feudalesimo di impronta europea.. Nei primi tempi dell’Islam il termine fu usato per indicare tutta la “Gente del Casato di Maometto”. A partire dal IX secolo è usato in senso più largo per indicare in generale la discendenza hascemita del Profeta, dal nome del nonno del Profeta Hashim o come onorifico generico. A differenza degli altri paesi islamici, in Marocco invece di Sharīf o Sayyid si utilizza il titolo di Mulav. Tornando agli sceriffi famosi in Europa e negli Usa mi viene da pensare allo Sceriffo di Nottingham della leggenda di Robin Hood, che con i suoi due degni compari Crucco e Tonto ne facevano una macchietta irresistibile nel film di W. Disney. Ma la figura dello sceriffo è presente in molti film western, considerata come difensore della legge contro malviventi particolarmente prepotenti e violenti, dove si rende protagonista di azioni per lo più eroiche e nobili. Wyatt Earp è un altro leggendario sceriffo di Dodge City, Kansas, la cui figura ha ispirato numerosi registi cinematografici. Ma le evocate ronde mi ricordano un famoso dipinto di Rembrandt Harmenszoon van Rijn , 1606-1669, La ronda di notte del 1642. La ronda di notte, in inglese, Night Watch, in olandese, De Nachtwacht, è il titolo con cui è conosciuto uno dei lavori più famosi dal pittore olandese, ma deriva da un equivoco a causa del degrado della superficie del dipinto. In origine, infatti, è stata dipinta una scena alla luce del giorno, come ha rivelato la pulitura eseguita nel 1946-47. Fu l’ossidarsi delle vernici a causare l’impressione notturna, con una patina molto scura. Il dipinto è famoso per tre elementi: le sue grandi dimensioni, 363 x 437 cm, composto da tre larghi elementi orizzontali, assemblati dall’artista, l’uso efficace di luce e ombra, e la percezione del movimento in quello che tradizionalmente sarebbe stato uno statico ritratto militare di gruppo. Rembrandt ha rappresentato il momento esatto in cui il capitano della compagnia da l’ordine, ai suoi uomini ancora sparpagliati, di inquadrarsi per la marcia. Questa tensione di passaggio tra la staticità e il movimento conferisce all’immagine un particolare vigore. Poi ci sono gli effetti brillanti del chiaroscuro, con una luce quasi mistica che enfatizza notevolmente la figura della ragazza in giallo, l’architettura quasi nascosta, il modo in cui le lance e gli stendardi chiudono la scena nella parte superiore, molto più apprezzabili se la pittura non fosse stata tagliata, il modo veloce e spontaneo in cui i volti sono dipinti: tutto sommato, un lavoro fondamentale per la storia della pittura occidentale. ma che mi fa pensare che invece di fare le ronde, visto l’equivoco del quadro, fare un bel girotondo, perché no intorno ad una tavola rotonda!

Favria, 31.10.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno possiamo ancora trovare una via, perché  niente dura per sempre, nemmeno le corte giornate di novembre. Felice Lunedì.