Settembre. – La scoperta di Brick, detto scavaterra. – Toponomastica rurale favriese – La bellezza dell’ibisco. – Galavron o burgnun – Pollaiopolis! – Malmostoso, vapido!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Settembre
A settembre nel cielo chiaro spunta il sole, che illumina e riscalda l’aria ancora tiepida e paziente. E’ il mese in cui non sono del tutto svaniti i colori ed i calori dell’estate, però vedo e sento nell’aria nuovi e più tenui colori e più fresche temperature. Personalmente amo settembre per i suoi colori davvero unici, delicati ed avvolgenti, per la sua aria dolce e malinconica, ma anche tanto romantica. Dolce mese, sei l’inizio del tramonto dell’estate annunciandone la fine con i Tuoi tenui colori e la natura intorno tace, a settembre e regna nel mio animo la pace.
Favria, 1.09.2020 Giorgio Cortese

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Tutto ha uno scopo nella vita, anche la piccola goccia di rugiada, quando muore, disseta un fiore.

La scoperta di Brick, detto scavaterra.
Un giorno Brick detto da tutti scavaterra, perchè sempre preso nello scavare infaticabilmente la terra, usci dalla galleria per prendersi un pochino di riposo. La giornata volgeva al termine e nel crepuscolo pensava che avrebbe potuto compiere azioni più eccelse, scalare la gerarchia sociale e arrivare a governare lui con i suoi simili. Brick, era un lombrico, un infaticabile lavoratore che, perforando la terra in tutte le direzioni, ne aumentava l’areazione favorendo la respirazione delle radici. Pensate che poi allo stesso tempo portava in superficie i materiali profondi e trascinava con sé foglie morte sostanze in decomposizione, arricchendo così il terreno di sostanze fertilizzanti. Parlando con i suoi simili, in quella pausa verso sera, di quelle che potevano fare di bello se potevano governare il mondo, loro vermi di terra, non poterono fare a meno di udire, i lombrichi non hanno occhi ma sentono con tutto il corpo, cosa dicevano due umani che si erano incontrati sul bordo della strada dietro a dei rigogliosi cespugli di sorghetto. I due umani convinti di essere al riparo da occhi indiscreti parlavano di rifiuti che avevano accumulato nel effettuare in casa di persone che nel pagamento, senza fattura, avevano anche pagato il costo per lo smaltimento. Il primo disse che non conveniva pagare per smaltire i rifiuti nella discarica autorizzata, ma conosceva li vicino una strada di campagna poco frequentata dove potevano lasciarli li e poi anche se avevano eternit ed altro non era un problema intanto nessuno li avrebbe scoperti. L’altro si vantavano di acquistare e vendere prodotti in nero e che le poche fatture che emetteva erano false. Brick rimase perplesso dai discorsi dei due umani che ritenevano esseri evoluto e non lombrichi come loro e allora penso di abbandonare ogni velleità di scalata sociale per governare se poi doveva avere a che fare con esseri tanto abbietti, dei veri vermi! E loro i lombrichi potevano continuare con umiltà il lavoro utile lavoro a causa della loro vicinanza alla Terra e della loro vulnerabilità, lasciando ai bipedi umani che si ritenevano i padroni nel continuare rovinare scelleratamente il mondo, inquinando per guadagno ma senza una vera spina dorsale morale.
Favria, 2.09.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana un obiettivo senza un piano è soltanto un desiderio.

Toponomastica rurale favriese.
Con l’amico Bruno Costa Laia, stiamo raccogliendo delle notizie per scrivere un libro sulla cascine Favriesi vorremmo coinvolgere favriesi e non ed Associazioni che vorranno contribuire nel recuperare la toponomastica rurale di Favria, insomma i vecchi nomi dati ai terreni nella campagna favriese. Riteniamo che la toponomastica rurale favriese è una ricchezza che non deve andare dispersa. I toponomi dei terreni si trovano uno accanto all’altro, ma forse hanno in molti casi origini sia cronologiche, culturali e magari si sono stratificati in epoche storiche diverse, sono la storia di chi ci ha preceduto, la storia e le radici della nostra Comunità, che non deve andare dispersa. Alcuni toponimi rurali, con le loro storie ed aneddoti sono a volte l’unica testimonianza di chi nei secoli ha abitato qui. Fateci avere nomi e notizie dei terreni, con curiosità ed aneddoti, tutti verranno citati in questa ricerca comune delle nostre origini. Non abbiamo pretese scientifiche ma solo recuperare la storia del nostro passato agricolo. Grazie per chi vorrà contribuire
Favria, 3.09.2020 Giorgio Cortese.

Se nella vita di ogni giorno desideriamo qualcosa che non abbiamo mai avuto, dobbiamo impegnarci a fare qualcosa che non abbiamo mai fatto

La bellezza dell’ibisco.
Sono stati a casa di cari amici, splendidi anfitrioni e nel loro bellissimo giardino sono stato colpito dalla bellezza di in fiore. Nelle città italiane è ormai una pianta abbastanza diffusa perché, oltre ad essere bella esteticamente, è molto resistente agli agenti inquinanti come gli ossidi a azoto e l’anidride solforosa. Parlo dell’ibisco, fiore originario delle zone tropicali del continente asiatico e delle isole dell’oceano Pacifico anche se al giorno d’oggi ampiamente diffuso e coltivato, a scopo ornamentale, in tutta Europa e in nord America. Il nome hibiscus deriva dal termine greco hibiskos che significa malva e fu attribuito alla pianta da Dioscoride, uno dei più famosi medici dell’antichità, nel 100 a.C. Esistono nel Mondo circa 300 specie differenti di ibisco, alcune perenni e altre annuali, alcune simili ad alberi altre ad arbusti e infine vi sono persino alcune specie dalla conformazione erbacea. In generale le piante che crescono nelle zone europee e americane, dove il clima è mite, non raggiungono mai dimensioni rilevanti mentre le piante che crescono nei loro habitat originari possono raggiungere altezze di tutto rilievo. Secondo recenti studi i primi esemplari di ibisco giunsero Europa,n ello specifico in Olanda, nel 1500 dall’Asia Minore, luogo dal quale Ghislain de Busbecq, uno studioso di botanica e ambasciatore fiammingo presso la corte di Solimano il magnifico a Costantinopoli, inviò in patria numerosi esemplari e specie botaniche. In Giamaica una specie di ibisco è l’albero nazionale, la caratteristica di questa specie sta nelle sue dimensioni, crescendo infatti allo stato spontaneo nelle foreste o nelle montagne, può raggiungere i 25 m di altezza. In Polinesia esiste una pianta di ibisco da cui vengono ricavate le fibre e le foglie per creare i tipici gonnellini da ballo di quelle zone. Pensate che a Tahiti secondo le tradizioni locali è usanza diffusa che le ragazze si adornino i capelli coi fiori di ibisco, mentre i ragazzi utilizzino il fiore per segnalare il proprio stato sentimentale, appoggiando un fiore sull’orecchio destro, nel caso siano impegnati, o ponendolo sull’orecchio sinistro, nel caso siano liberi. Le tradizioni tahitiane vennero ben rappresentate dal pittore Paul Gauguin, che in molti dei suoi quadri, realizzanti a Tahiti, il raffigurò le donne del posto adornate da fiori di ibisco. Nel linguaggio dei fiori l’ibisco rappresenta la bellezza in particolar modo quella giovanile che sfiorisce velocemente. Secondo alcune tradizioni orientali offrire un singolo fiore di ibisco ad una persona cara, equivale ad una proposta di matrimonio. In passato la radice dell’ibisco era utilizzata in campo medico mentre il fiore veniva e viene utilizzato tutt’oggi per produrre il karkadè, una tipica bevanda delle zone africane. La parola karkadè,che deriva dalla lingua etiope karkadeb che significa ibisco, si ottiene dall’infusione dei calici e dei petali essiccati di fiori di ibisco, ed e’ denominato anche come tè rosa dell’Abissinia si tratta di una bevanda dissetante, dal sapore leggermente acidulo, di colore rosso o verde ricca di vitamine. Bevuta in Africa, nell’America tropicale, nei Caraibi e in India da secoli si diffuse in Italia intorno agli anni ‘30, nel periodo fascista, nonostante proprio in quegli anni in Italia vigesse il proibizionismo del consumo dei prodotti stranieri. Il motivo del suo utilizzo durante il proibizionismo fu dovuto al fatto che il karkadè non era considerato un prodotto straniero, perché veniva coltivato in quelle che ai tempi erano colonie italiane ovvero l’Etiopia e l’Eritrea e lo si usava come sostituto del tè che a differenza del karkadè veniva prodotto in paesi che avevano attuato una politica di embargo verso l’Italia. Negli Stati Uniti, invece, sempre negli anni del proibizionismo (’20 -’30) il karkadè venne utilizzato come bevanda sostitutiva del vino, probabilmente a causa della somiglianza di colore. In Giamaica è la bevanda tipica del periodo natalizio. Dimenticavo che la specie più famosa come pianta ornamentale è l’hibidcus syriacu originaria della Siria, una varietà che può raggiungere i 4 m d’altezza e che resiste bene alle basse temperature. Fiorisce solo nei mesi estivi riempiendosi di fiori di notevoli dimensioni di colore bianco o rosa.
Favria, 4.09.2020 Giorgio Cortese

In ogni tramonto si cela il seme dell’alba, e ogni alba è l’inizio per nuove opportunità.

Galavron o burgnun.
In piemontese si chiamano galavron gli insetti, calabroni o anche i damerini inclini al corteggiamento, il farfallone amoroso, delle nozze di Figaro di Mozart. La parola galavron, calavron o calabron potrebbe derivare dal tardo latino calabronem o dalla influenza delll’altra parola latina scarabaeum, scarabeo. Ma pare che la parola tardo latina poggi su una parola germanica krasro affine al gotico kruslo. Diverso è il termine tipicamente canavesano di bergiun, che si usa a Favria. La parola potrebbe derivare dalla voce onomatopeica BRR, che imita il rumore fatto dai calabroni in volo. Questa voce evoca anche oltre al rumore, esseri paurosi o nel caso di bergiabaù, il diavolo. Bau, anche questa voce onomatopeica per indicare spavento e timore, infatti in piemontese abbiamo il babao, lo spauracchio dei bambini.
Favria, 5.09.2020 Giorgio Cortese

Se nella vita crediamo in noi stessi per i nostri progetti, gli altri con il nostro esempio si convinceranno.

Pollaiopolis!
Esiste un paese che si chiama Pollaiopolis, chiamato così perché abitato solo da galli, polli, galline e pulcini. Gli abitanti sono poche centinaia di pennuti, ma facevano un baccano terribile, soprattutto i galli, che litigavano per stabilire chi dovesse cantare per primo la mattina. Così accadeva che ciascuno di loro cercava di alzarsi più presto degli altri per esibirsi nel suo più sonoro chicchirichì. Ed ogni gallo rinfacciava all’altro di fare il chicchirichì migliore! Anticipa oggi, anticipa domani, avevano proprio esagerato, perché si erano messi a cantare nel cuore della notte. Al primo chicchirichì, comare Alba con sua figlia Aurora correvano a svegliare Messer Sole e a spingerlo fuori dalla porta e a dire a sorella Notte di andare a dormire! Ma il poveretto, vedendo che dama Luna era ancora alta nel cielo, se ne tornava a dormire brontolando con un raggio per capello. Ma poi dopo 15 minuti, giusto il tempo di riprendere il sonno da poco interrotto, ecco un altro sonoro chicchirichì echeggiare nell’aria. Comare Alba tornava a scuotere Messer Sole per spingerlo fuori dalla porta e questi, vedendo che insieme alla luna brillavano ancora tutte le stelle, tornava a letto sbraitando che non si capiva più nulla e a Pollaiopolis regnava l’anarchia, o come dicono loro, tutti avevano le creste fuori posto. Questa storia continuò a ripetersi tutte le notti, per diversi anni, finché comare Alba e sua figlia Aurora, stanche ed esasperate di tutto quell’inutile lavoro, decisero di mettersi un bel paio di tappi nelle orecchie e di dormire insieme a messer Sole, fino a quando quegli stupidi e litigiosi galli non si fossero messi d’accordo. Di conseguenza, a Pollaiopolis il sole non si alzò più, tutto degradava e la vita era divenuta molto triste. Senza messer Sole c’erano sempre buio e freddo! Gli alberi erano spogli di frutti, tutto era grigio e spoglio e sembrava lontano quando i galli avevano promesso di dare maggior colore e vita a Pollaiopolis con i loro chicchirichì. Pensate che perfino gli abitanti, cioè galli, polli, galline e pulcini, avevano perso i colori del loro piumaggio ed erano magri e malaticci. Ma un bel giorno arrivò a Pollaiopolis gallo Bargiglio che era emigrato tanti anni prima per l’isola Gallinara, quando ancora a Pollaiopolis sorgeva il sole. Gallo Bargiglio si rese conto che la situazione ed il degrado era insostenibile in quel piccolo paese e quando le galline le raccontarono l’assurda diatriba dei galli. Allora gallo Bargiglio volle convocare un’assemblea generale, per cercare di risolvere la questione. Quando tutti i pollaiopolesi si radunarono sul prato, sotto una pallida luce lunare, gallo Bargiglio disse che ha Pollaiopolis le cose vanno alla rovescia perché non c’è rispetto per chi cantava prima di loro, questi galletti sono arroganti ed incapaci, ma adesso pare che il primo galletto che si alza vuole dettare legge! Risentito dalle affermazioni di Bargiglio, un galletto il più giovane volle dire la sua affermando che erano loro che dovevano guidare, perché erano giovani e dalle rosse creste. Intervenne anche la gallina Piopio che chiocciò con la sua vocina a nome di tutte le galline che se qualcuno doveva comandare era lei ed il Comitato GGGG, acronimo di Galline Ganze Gaie Gigione, per il bene dei pulcini e di tutti gli abitanti di Pollaiopolis, promettendo che avrebbe regolato con una legge disciplinata da un regolamento soggetto ad interpretazioni il chicchirichì mattutino, la gallina Piopio si pensava furba ed istruita ma non vedeva il becchime fuori dalla ciotola (modo di dire a Pollaiopolis per indicare un pollo ottuso ndr). Riprese a parlare il gallo Bargiglio, affermando che era ora per salvare dalla rovina Pollaiopolis, un CIGIC, Comitato di Galline Industriose e Capaci per gestire con buon senso chi canta al mattino affermando che poi che i problemi di Pollaiopolis erano ben altro e non solo il chicchirichì mattutino! Tutti le galline e pulcini pigolando applaudirono ed i galli boriosi e la gallina Piopio lo a guardarono col becco storto, ma non ebbero il coraggio di fiatare. Gallo Bargiglio allora si staccò una penna dalla sua bella sua coda, la intinse nell’inchiostro e cominciò a scrivere su un foglio di carta i nomi di coloro che intendevano candidarsi a Capo Gran Gallo, per procedere ad una democratica elezione. Manco a dirlo, i galli si proposero tutti. Ciascuno di loro si fece la campagna elettorale, andando in giro per il pollaio a promettere becchime e insalata, modo di dire che corrisponde al nostro mari e monti. Uno, il gallo Brahma, grosso ed imponente diceva: “Se voterete per me il sole tornerà finalmente a sorgere ogni mattina!”, un altro gallo Concincina affermava che se votato non solo il sole tornerà a sorgere ad ogni alba, ma sarà puntuale come un orologio svizzero! Il galletto Sebright giovane ed arrogante diceva per farsi eleggere che se eletto non solo il sole sarebbe tornato a splendere in cielo, puntuale come un orologio svizzero, ma sarà addirittura più grande e radioso. Era una gara a chi la cantava più grossa, pensate che, addirittura, uno di loro il gallo Vorwerk, arrivò a dire che, se fosse stato eletto non solo avrebbe rispedito il sole a splendere in cielo, puntuale come un orologio svizzero, più grande e radioso che mai, ma avrebbe addirittura fatto sì che a uscire fossero due soli, invece di uno solo! Ma forse quello che perse il senso della misura fu il gallo Coccodè che con voce roboante chiedeva di essere eletto promettendo il levarsi del sole all’alba, puntuale sorgendo ad Ovest e non da Est perché il progresso era questo, rompere i vecchi schemi. Messer Sole, intanto, continuava a dormirsela beatamente nel suo letto, tanto era abituato a tutto quel coro di chicchirichì, che echeggiava continuamente da una parte all’altra di Pollaiopolis. Ad un tratto, quando gallo Bargiglio ne ebbe abbastanza di sentire tutto quel baccano, salì sul punto più alto di Pollaiopolis, una enorme ed imponete quercia e sfoderò il suo acuto chicchirichì. Allora tutti il chiacchiericcio dei galli cessò. Messer Sole si svegliò con un sobbalzo e, si affacciò a curiosare, rischiarando il buio di quella interminabile notte. I pollaiopolesi non credevano ai loro occhi, finalmente il sole tornava a illuminare la loro misera esistenza! Tutti i polli furono concordi nell’affermare che Bargiglio era un pollo dai fatti concreti, invece delle inutili chiacchiere degli altri galli. Ai galli concorrenti non rimase che calare la cresta e beccarsi i bargigli. Fu così che gallo Bargiglio venne acclamato da tutti polli nel ruolo più ambito, quello di svegliare il sole ogni mattina col suo Chicchiricchi!
Favria, 6.09.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana ogni cosa prenderà il suo corso, ma importante è guardare sempre dove sorge il sole e non dove tramonta.

Malmostoso, vapido!
Si dice malmostoso per indicare una persona intrattabile, indisponente, di cattivo umore. La parola trae origine dal milanese: malmostós, composto di mal male, malamente e mostos sugoso, ovvero che dà poco sugo. Bellissima questa immagine per indicare una persona indisponente, spiacevole, ma raffigurato ironicamente perché il malmostoso non è una persona insipida in sé, è una persona che rende insipido qualcosa e lo rovina col proprio carattere e i propri atteggiamenti, così come un buon piatto è rovinato dalla penuria di sugo. Certe persone non sarebbe malmostose ma con certi loro improvvisi atteggiamenti lo diventano e rischiano di divenire vapidi. Vapido un lemma che significa alterato, inacidito o anche corrotto. Deriva dal latino vapidus svanito, andato in aceto, corrotto. Vapidus, in latino, è un aggettivo che viene riferito in particolare al vino: descrive una bevanda alterata, che si è corrotta svanendo o andando in aceto. Proprio questa tendenza all’acido è stata alla base degli usi che sono stati fatti di questa parola in chimica e in farmacia, indicando soluzioni alcoliche che hanno perso spirito in favore della componente acida. Una parola poco usata ma che tratteggia meglio l’atteggiamento di certe persone che non hanno nerbo e sono di cattivo gusto. Infine una curiosità, la parola vapido come vappa, cioè il vino cattivo, che è alla base della parola guappo.
Favria, 7.09.2020 Giorgio Cortese

Nella vita il successo non è un caso. È duro lavoro, perseveranza, apprendimento, studio, sacrificio e, soprattutto, amore per ciò che stiamo facendo o che stiamo imparando a fare.
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