Sogno di una notte estiva. – Auguri! – Il mito di Io ed il mar Ionio. – Ma siamo esseri umani o solo dei numeri? – Estroso con estro…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Sogno di una notte estiva.
Dopo aver letto degli appunti relative a delle notizie storiche sulla Comunità in cui abito, sono uscito per una passeggiata serale per godermi, prima di andare a dormire, il fresco della sera. Durante la passeggiata, complice il silenzio delle vie, non ho trovato nessuno, mi sono fermato nella piazza davanti al castello e ho socchiuso un attimo gli occhi per godermi il fresco della sera ed il silenzio. Ho subito riaperto gli occhi e ho visto che dalle targhe di diverse vie attigue uscivano le figure del ersonaggi a loro dedicate. Un personaggio che dice di essere il famoso autore dell’”Arpa discordata” Don Francesco Antonio Tarizzo il quale mi dice che in questa notte estiva, ogni anno, le strade e le piazze prendono vita con le persone a loro dedicate, più altre che arrivano da paesi limitrofi e si radunano qui nella piazza per riprendere i dialoghi del precedente anno. Si avviano tutte verso la piazza, vicino alla panchina rossa dove sono seduto. Vedo la figura imponente del re Vittorio Emanuele accompagnato dal bersagliere Antonio Costantino, reduce delle guerra di Crimea, Seconda guerra d’Indipendenza e della spedizione che è andata incontro a Garibaldi, poi ha partecipato a diverse spedizioni contri il brigantaggio. Dal loro amabile discorrere ho solo percepito che stavano parlando del coronavirus, la cinese come la chiamava il bersagliere favriese, che affermava che quando era militare a Genova prima della spedizione in Crimea, la cura contro il colera che allora imperversava era stata di arance e tanta, ma tanta ginnastica. Dall’altra parte della piazza ecco arrivare il cavaliere Servais che parlava con Martinotti, antico proprietario dell’edificio Comunale, il loro discorrere era su un libro appena pubblicato, ma non sono riuscito di quale libro parlavano perché sono stato distratto dal sopraggiungere di altri personaggi ognuno con il suo discorrere, ed io come un novello asino di buridano cercavo di seguili tutti senza apprendere nulla di quello che dicevano. Il mio accompagnatore mi presenta una benefattrice favriese Bertetti, memorabile per il suo attaccamento a Favria, in quanto pur essendo stata molti anni residente negli Stati Uniti, volle, alla sua morte, essere tumulata nelle tombe del nostro Cimitero, donando al Comune alla sua morte un immobile. Vedo Giuseppe Verdi discorrere di musica con il Marchese Cesare Alfieri di Sostegno, ma anche qui non riesco a capire cosa dicono. Con passo veloce ecco arrivare Guglielmo Marconi in compagnia di Cavour. Oltre a loro vedo la figura di Cristoforo Colombo che conversava con Massimo D’Azeglio. Pongo, allora, una domanda al grande navigatore, scopritore dell’America una domanda relativa all’acredine nei sui confronti in America dove abbattono alcune sue statue. Interviene in sua difesa il nizzardo Giuseppe Garibaldi che dice che le statue vanno lasciate dove sono in quanto opere d’arte, in alcuni casi, o se non altro in quanto monumenti pubblici che non vanno vandalizzati a prescindere. Aggiunge che loro sono stati figli del loro tempo, e i loro comportamenti e le convinzioni vanno contestualizzati e non giudicati con gli standard del XXI secolo. Se non si fa così non si distingueranno mai la differenza tra i buoni e cattivi, prosegue il condottiero che l’abbattimento delle statue è un’operazione semplicistica, che rifiuta posizioni che invece sono molto più complesse. Aggiunge Cavour che andando avanti nell’abbattere i monumenti alla fine non se ne salva nessuno perché ci sono lati poco conosciuti e sgradevoli per gran parte dei personaggi storici, anche i più insospettabili, come le posizione razziste verso gli africani di Gandhi ed il maschilisno di Martin Luther King e non per questo si devono abbattere le loro statue per quanto di bene hanno fatto. Preso da coraggio, mi schiarisco la voce e chiedo al conte Camillo Benso di Cavour cosa farebbe se fosse lui Primo ministro in Italia adesso, tutte le figure presenti smettono di chiacchierare e si girano verso di noi, Cavour apre la bocca per darmi la risposta: “Se io fossi primo ministro farei…” ma ecco che vengo distratto da un leggero ronzio, giro la testa e mi…sveglio, era la sveglia e nell’altra stanza vicino al computer erano disposti i vari faldoni per prendere gli appunti. Uno scherzo del caldo estivo che ha fatto lavorare la mia immaginazione.
Favria 14.08.2020 Giorgio Cortese

Siamo esseri umani e non possiamo vivere senza amore e neanche senza la fraternità dei nostri simili. Senza la reciproca a fraternità non esiste il senso di Comunità e non esisterebbe la società umana

Auguri!
Ci sono estati che ci porteremo addosso per sempre, estati che ricorderemo, estati che sogneremo di vivere ancora, ma questo anno bisesto con il coronavirus vorrei che passasse in fretta. Con il 15 di agosto viene festeggiata l’Assunzione di Maria in Cielo che ci ricorda quanto sia importante migliorare noi stessi in questa vita, per poter esserle accanto alla fine dei tempi nella luce di Dio. Vi auguro oggi di essere sempre delle persone che operano nel bene, con gioia e positività. Buon Ferragosto a chi adesso è sotto l’ombrellone o in casa col condizionatore. Buon ferragosto a chi sta vivendo l’emozione di una vacanza e a chi si gode una giornata di riposo in città. Buon ferragosto a chi lavora per la nostra sicurezza, le Forze dell’Ordine o per permetterci tutte le nostre quotidiane comodità, come trasmettere questo semplice messaggio. Buon ferragosto a tutti gli amici, a chi viaggia, a chi è al mare, a chi è in montagna. Buon ferragosto a chi si connette con lo smartphone o pc e lascia qui un commento. A tutti auguro uno splendido ferragosto!
Favria, 15.08.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana non servono grandi cose per fare grande un giorno. Oggi godiamoci questo sabato di Ferragosto fingendo che Settembre non arrivi mai! Buon Ferragosto e festa dell’Assunta a tutti!

Il mito di Io ed il mar Ionio.
Nella mitologia greca, Io era figlia di Melia e di Inaco, primo re di Argo e divinità fluviale. Io era sorella di Fegeo, Foroneo ed Egialeo. Secondo il mito, Iunge, figlia di Pan e di Eco, aveva gettato un incantesimo su Zeus, che si innamorò della bella sacerdotessa di Era, l’argiva Io. Era, adirata, tramutò Iunge in una statua di pietra, per altri in un uccello, ma Zeus giurò di non essersi mai unito ad Io, mentendo, poiché Zeus, temendo appunto la gelosia della moglie, si univa ad Io nascondendola in una nube dorata. Io, nel frattempo, continuava a sognare Zeus che la invitava ad unirsi a lui sulla spiaggia del lago di Lerna. Io rivelò questi sogni al padre, ed Inaco andò a consultare gli oracoli di Dodona e Delfi. Questi, in maniera molto sibillina, rivelarono che se Io non fosse stata allontanata dalla sua terra, il suo popolo sarebbe stato distrutto dai fulmini di Zeus. All’attenta Era, dall’Olimpo vide la strana nube che correva veloce nel cielo e, conoscendo il suo sposo, dopo averlo cercato invano nell’Olimpo, capì che il prodigio della nube altro non era che un altro travestimento di Zeus ed immediatamente intuì il tradimento. Era scese sulla terra per controllare di persona. Zeus vedendola arrivare e sapendo che nulla di buono sarebbe accaduto se l’avesse trovato in quella situazione, trasformò Io in una candida giovenca, vitella, per sottrarla alle ire della consorte. Era non si lasciò ingannare non ingannò e quando si trovò con il fedifrago gli chiese di donarle l’animale. Zeus era combattuto: negarle il dono significava ammettere il suo tradimento ma concedergliela significava abbandonare Io alla vendicativa moglie. Alla fine il vile Zeus preferì evitare l’ira della sua sposa e sacrificando l’incolpevole Io, regalò la giovenca ad Era. Era per evitare che il marito riportasse Io come era prima, affidò l’animale ad Argo, il gigante dai cento occhi, chiamato dai greci Panoptes, che vede tutto. Argo era figlio di Aristore, viene citato anche come persona molto accorta per antonomasia: “è un Argo” oppure “ha più occhi di Argo”. Il gigante è ricordato per aver liberato l’Arcadia da un toro mostruoso e da un satiro che rapiva le mandrie. Al gigante spetta anche l’uccisione si Echidna. Tornando a Io per lei iniziò una vita terribile sotto forma di giovenca, senza speranze di scappare perché Argo non la perdeva mai di vista, sia di giorno che di notte, in quanto i suoi cento occhi, che non erano posti tutti sul capo ma in ogni parte del corpo, si riposavano a turno: mentre cinquanta erano chiusi, gli altri cinquanta vegliavano. La povera Io era costretta ad una brutale vita animale: di giorno pascolava e si abbeverava in acque fangose e di notte dormiva legata ad un albero di Nemea con un collare al collo. Intanto Zeus che si sentiva colpevole per aver condannato Io ad un così crudele destino, chiamò suo figlio Ermes, per i romani Mercurio, incaricandolo di liberare la fanciulla dalla schiavitù a cui la moglie l’aveva condannata. Il giovane dio, presa la bacchetta d’oro che gli antichi chiamavano caduceo ed il suo leggendario copricapo, dall’Olimpo volò sulla terra e si presentò ad Argo sotto le sembianze di un giovane pastore di capre. Ermes iniziò a suonare un flauto di canne il “flauto di Pan” e la melodia era tanto armoniosa che Argo lo invitò a far pascolare le sue capre lì vicino dicendogli che quello era il miglior pascolo che si potesse trovare in quelle zone. Allora Ermes, seduto al fianco del gigante dai cento occhi, iniziò a suonare delle dolci melodie che inducevano al sonno chiunque le ascoltasse, ma Argo, che chiudeva a turno metà dei suoi occhi, non si addormentava, ma chiese ad Ermes come e da chi fosse stato inventato un tale strumento che procurava suoni così soavi ed Ermes, iniziò così a raccontare il Mito di Siringa, dal greco syrinx, canna. Alla fine del racconto Ermes si accorse che finalmente tutti i cento occhi di Argo si erano chiusi e, senza perdere un momento spinse il gigante giù dalla rupe su cui erano seduti, uccidendolo decapitandolo e liberando cosi la giovenca Io dal suo controllo. Ma la vednicativa Era, dall’alto dell’Olimpo si accorse della morte di Argo, prima di occuparsi della sfortunata Io che era libera, ma ancora sotto forma di animale, prese i cento occhi di Argo e li fissò alla coda di un pavone, animale a lei sacro, che da allora ebbero una coda splendida. La terribile, la dea Era non smise di perseguitare Io e la costrinse a vagare per la Grecia e oltre, senza liberazione e tormentata da un tafano che la pungeva in continuazione. A questo punto ebbero inizio le lunghissime peregrinazioni della povera fanciulla-giovenca, che per fuggire al tafano si gettò in mare che prese così il nome di mar Ionio. Io peregrinò poi sul Danubio e nel mar Nero, attraversò il Bosforo che significa guado della giovenca, dal greco bous, vacca e poros, passaggio in suo onore. Io poi andò nel Caucaso, dove incontrò Prometeo, che le predisse una futura liberazione, giunse poi in Colchide, a Tarso, in Battriana e poi in India ed in Etiopia. Ridiscendendo il Nilo, Io giunse a Canopo, in Egitto, dove Zeus, trovatala, le ridiede la forma di umana, tuttavia due corte corna le rimasero sulla testa. Dalla ninfa Io nacque Epàfo, figlio da Zeus, che fu re d’Egitto e costruì Menfi. Io, fu assimilata alla dea egizia Iside, la Luna, e Argo dai cento occhi è il firmamento dalle cento e cento stelle, sotto la cui custodia la Luna percorre il cielo da oriente ad occidente, senza fermarsi mai. Era scoprì e rapì Epafo, affidandolo ai Cureti, che lo nascosero da Io. Zeus però li scovò e li uccise. Quando Zeus trovò Epafo, egli era allevato dal re e dalla regina della Siria. Quando il padre adottivo Telegono morì, Epafo regnò sull’Egitto e sposò Menfi, in onore della quale nominò una città da lui fondata con Io che visse serenamente l’ultima parte della sua vita accanto a lui. Secondo una tradizione del tutto diversa, Zeus aveva fatto rapire Io e l’aveva violentata, procreando la figlia Libia. Io fuggì con la figlia e morì di vergogna. I fratelli, su ordine del padre Inaco, la trovarono, ormai morta.
Favria, 16.08.2020 Giorgio Cortese

Nella vita i fatti segnano la storia mentre le parole inutili restano disoccupate

Ma siamo esseri umani o solo dei numeri?
Durante il nazismo nei famigerati campi di concentramento come ho letto in un libro i prigionieri erano sottoposti a continui appelli ed estenuanti quanto illogici conteggi: ogni stuck, in tedesco pezzo, così ci si riferiva per denominare gli esseri umani nei lager, doveva essere sotto controllo. L’annichilimento era allora il riverbero di una negazione di umanità, si trattava di una reificazione strategica e criminale. Dopo la seconda guerra mondiale, il lento processo di ricostruzione del tessuto sociale, nei paesi europei, è stato possibile solo grazie al rinnovamento dei principi di democrazia, libertà e giustizia ed in Italia dalla nostra Costituzione nata sul sangue di quanti hanno combattuto per la libertà contro la dittatura e la barbarie nazifascista. Oggi più che mai dobbiamo ripensare alla propria vita con coraggio e speranza. È il senso più profondo del 25 aprile 2020: si celebrano i valori della Resistenza ma si va oltre. La festa della Liberazione stavolta è un richiamo forte alla ricostruzione morale e materiale dell’Italia devastata dalla pandemia. C’è un’analogia con quello che accadde 75 anni fa. Perché il Covid, come la guerra, ci suggerisce una domanda: qual è il vero bene per l’uomo? Oggi troppo spesso, in ogni ambito, non si parla più di esseri umani ma di risorse, di indicatori o di soglie, insomma di astratti numeri rendendo tutto asettico e svilendo la disgnità umana. Stiamo attenti se perdiamo l’essere umano perdiamo la libertà e per questo per uscire dall’emergenza dobbiamo ritrovare il senso del nostro essere umani. Dobbiamo avere la capacità di fermarci in tempo per riflettere su questo: certo, è importante mangiare, vivere in un ambiente sano, lavorare… ma non come all’Ilva di Taranto dove si muore… E poi? Adesso il coronavirus ha messo la politica a nudo. Ora il popolo ha verso la politica un’attenzione maggiore che nel passato. Perché prima si discuteva su tematiche marginali e adesso invece si deve decidere come uscire dalla crisi. E chi avrà la capacità di inventare e di fare, chi salverà veramente il Paese con scelte di sviluppo, sarà riconosciuto ma non chi parlerà male degli altri e basta.
Favria, 17.08.2020 Giorgio Cortese

La bellezza di un sorriso dona un attimo infinito di felicità.

Estroso con estro.
Estros è un aggettivo che deriva da estro per indicare una persona che agisce in modo capriccioso e bizzarro, ma anche d’opera d’arte o letteraria, o anche di oggetti d’abbigliamento e di consumo, concepiti ed eseguiti con estro, con originalità, con capricciosa bizzarria. La parola originaria estro con il significato di esaltazione e spirito creativo, ma anche di insetti simili al tafano, deriva dal greco, oistros, puntura, pizzichino. In biologia per estro si intende la manifestazione periodica dell’ovulazione nelle femmine dei mammiferi, in tale stato fisiologico il desiderio sessuale si ravviva e l’animale cerca i simili di sesso opposto per accoppiarsi. La parola latina corrispondente era asilus, da cui l’italiano assillo. Con oistros, estro, presso gli antichi Greci era il nome del tafano ma indicava già allora l’azione del nume che stimolava il mortale durante l’entusiasmo profetico o poetico, il furore guerriero. L’estro è un forte colpo di reni, un moto improvviso, come quello di un cavallo punto da un tafano. Ma è anche sinonimo di bizza e capriccio, se torniamo alla figura del cavallo che improvvisamente scatta con violenza e si infuria per una puntura, insomma come certe persone: tanto rumore per nulla.
Favria, 18.08.2020 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana, vince chi non molla. Vince chi, non si abbatte ma combatte. Vince chi semplicemente è consapevole che nella vita, bisogna mettersi i guantoni e combattere per quello che crediamo importante
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