Ripartire, perché il mio primo dovere sociale è essere il meglio di me stesso di Giorgio Cortese

Ripartire, perché il mio  primo dovere sociale è essere il meglio di me stesso
Ieri mattina, chiacchieravo amabilmente con l’amico Franco e con sua moglie, davanti ad una tazza di caffè, ne troppo caldo ne troppo freddo, insomma, alla mia personale temperatura ideale. Parlavamo di quale società oggi viviamo, dove le persone oneste si devono chiudere in casa e certi personaggi malavitosi circolano liberamente per le strade. Parlavano del liquefarsi dell’attuale società sempre di più sfilacciata nel suo tessuto collettivo.  Parlavamo delle nostre tradizioni che traggono origine dal pensiero socratico passando poi alla sua evoluzione in San Tommaso D’Acquino,  per cui la morale che ci guida nella  prospettiva cristiana, ha sempre in rilievo  la ragione,  la quale è capace di discernere la legge morale naturale. La ragione che possiamo riconoscere nel quotidiano  considerando sempre in ogni nostra azioni di ciò che è bene fare e ciò che è bene evitare per il conseguimento di quella felicità che ci sta a cuore,  e che impone anche una responsabilità verso gli altri e, dunque, la ricerca del Bene Comune. In altre parole, le virtù dell’uomo, teologali e morali, sono radicate nella nostra natura umana. Senza addentrami in altre considerazioni filosofiche mi viene da pensare alla mia giornata quotidiana. Quando mi alzo al mattino e ascolto o telegiornali o leggo le notizie su internet, incapace ormai di  vivere solo con i miei pensieri, vengo soffocato da notizie negative. Sembra sia compito, quello dei media di portarmi subito a conoscenza delle informazioni sfavorevoli. Quello che invece avrei bisogno, come parlavo con l’amico Franco è di avere bisogno di consolazione, di certezze sul mio avvenire. Per non parlare del giornale dove ogni giorno rischio di essere travolto da una raccolta di fatti negativi, e allora una domanda mi sorge spontanea nell’animo, ma  la vita è davvero e per tutti così? Non c’è scampo al dolore, alla malvagità, all’odio, alla vendetta? Quando esco nel tardo pomeriggio dal lavoro, non posso non osservare  come la gente che cammina nelle strade delle nostre Comunità, sempre più diffidente, guarda i negozi, e chi vede poco mette gli occhiali per leggere il prezzo sempre scritto piccolo e seminascosto forse per un sentimento di vergogna di chi vende, e poi va via con un sospiro. Aspetterà quando arriva lo stipendio o la pensione neo prossimi mesi per fare qualche acquisto, il resto degli emolumenti servono per cercare di arrivare quasi alla fine del mese, una meta che per molti si allontana sempre di più. Su media leggo di Leggi per il lavoro, di sofismi dei vari politici, ma il lavoro ed il benessere non si creano solo con le leggi, certo esse servono. Ritengo che la  salvezza sta nel lavorare per il futuro del mondo chiedendo poco per sé. Avere la coscienza che ognuno di noi ha un valore aggiunto per la Comunità in cui vive  da spendere per gli altri, che nessuno è inutile anche se ha un piccolo posto, un breve angolo nella società, e che l’animo dei grandi della politica, della scienza, del potere economico hanno la stesso colore e peso della nostra, piccola e modesta attività quotidiana. Ma dal nostro animo abbiamo una grande ricchezza, quello di poter  colorare ogni giorno la nostra umana avventura con gli splendidi colori della pazienza, dell’impegno, della riconoscenza e dell’onesta. Mi viene in mente una poesia di  Douglas Mallok, che dice: “Se non puoi essere pino sul monte, sii un cespuglio di erica nella valle… Se non puoi essere una via maestra, sii un sentiero nel bosco. Se non puoi esser un sole, sii una stella. Sii sempre il meglio di ciò che sei ora. Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere, poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita”. C’è sempre una via di uscita che bisogna cercare con fiducia, coraggio e costanza. Continuo a pensare che la cultura, in quest’epoca storica e almeno in questa parte del mondo chiamata Europa occidentale e che si ritiene la vera Europa o il suo cuore, sia diventata un consumo tra i tanti, che consola e trastulla invece di tener desta l’intelligenza sulle cose di fondo e di stimolare a una conoscenza attiva, fattiva, o meglio un legame tra le idee e le azioni, tra il dire inteso come scrivere, il leggere, il discutere e il fare. La cultura dovrebbe essere uno stimolo alla conoscenza e sono semmai, neanche sempre, uno stimolo alla conoscenza che trascura del tutto la virtù.  Oggi il sociale, welfare, sopraffatto in Italia dalla crisi, è in agonia, nelle strette dei “tagli” operati dai vari governi. Mentre  peggiorano le condizioni di vita di milioni di persone, e anzitutto degli “ultimi”, i malati, i disoccupati, gli immigrati e di tanti giovani  bene intenzionati che non vedono più di fronte a sé neanche la prospettiva di una povera ma onorevole sopravvivenza all’interno del “sociale”, di fronte a un sistema di potere che appare sempre più crudele nei loro confronti ma, tutt’altro che disattento agli interessi dei meno, dei pochi, ma indifferenti a quelli dei più.  Concludo, riprendendo il pensiero iniziale, ritenendo sempre di attualità il pensiero di San Tommaso d’Acquino che è riuscito a coniugare Aristotele e la tradizione cristiana. Oggigiorno si pensa alla politica ed al potere politico come un male necessario.  Il potere politico non è mai pulito se si usa la forza, l’inganno e la sopraffazione ma deve essere sempre legato  all’autorità, che è la capacità, di chi comanda, l’autorevolezza di dare disposizioni razionali, cioè conformi all’ordine che è già realizzato parzialmente  nelle cose, per questo, tutti noi dobbiamo completarlo, se vogliamo uscire dalla crisi,  dandoci tutti nuovi compiti, più ardui di quelli di ieri, ma che oggi è indispensabile affrontare anche per quelli che verranno dopo di noi.
Favria, 29.1.2015 Giorgio Cortese