Corpo de mì, sangue de mì.. – Lasciare un buon ricordo. – Da goupil a renard, volpe! – Birba, briccone e manigoldo – La malcreansa! – Biante. – Tranciare o trinciare…. LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Buna seira, vìore. – Chi e-lo ch’è lì fora?/ s’al’è Martin, Madona. – Dunt è-tu stàit,

Martina?/ – A la fera, Madonna. Ch’as-tu cumprà a la fera?/ D’un capelin, Madonna. – Coz’ j’è-lo su, Martina? / D’un bel piumass, Madonna. – Di ch’è-l bordà, Martina?/ D’or e d’argent, Madonna – A chi ‘ vos.tu dè, Martina? / A lo padron dla stala – Intrè, intrè, Martina. / Pruntè d’ bucai, Madonna – Sun gia pruntà, Martina. / Pruntè d’goblot, Madonna. – Sun già pruntà, Martina. / Levè j’ascagn, Madona – Sun già levà, Martina. / Levè i cunot, Madona. – Sun già levà, Martina. / Pruntè i violin che bàllan. – Sun già pruntà, Martina. / Dobrì-nr l’uss, Madonna – L’è già dovert, Martina. / A brass a brass, Madonna. – A brass a brass, Martina. Traduzione: Buona sera, vegliatrici – Chi è loi di fuori? – Gli è Martino. Madonna. – Dove sei stato Martina? – Alla fiera, Madonna. Che hai comprato alla fiera? – un cappellino, Madonna. – Che c’è su, Martina? – un bel pennacchio, Madonna. – Di che è orlato, Martina? – D’oro e d’argento, Madonna – A chi vuoi tu darlo Martina? – Al padrone della stalla. Entrate, Entrate, Martina – Preparate i boccali, Madonna – Son già preparati, Martina – Preparate i bicchieri, Madonna. – Sono già preparati, Martina – Levate gli scagni, Madonna. – Sono già levati, Martina. – Levate le cune, Madonna – Sono già levate, Martina. – Preparate i violini, che balliamo. – Sono già preparati, Martina – Apriteci l’uscio, Madonna. – E’ già aperto, Martina. – A braccio a braccio, Madonna – A braccio a braccio, Martina. La canzone viene detta del “cappello” o di “Martina” è intervallata dal ritornello Corpo de mi, sangue de mi che ho preso come titolo veniva una volta cantata in Canavese nelle sere di Carnevale durante le veglie nella stalle, da due compagnie di uomini e donne, una fuori e l’altra dentro la stalla, dove si stava in veglia. L’inizio del canto avviene con gli uomini da fuori che dallo la buona sera alle donne dentro la stalla con una serie di domande, verso la fine si spalancava l’uscio della stalla e tutti entravano dentro. Il capo della compagnia porta con sé un cappello con un grande pennacchio e lo pone una volta entrato sulla testa del padrone della stalla. Poi la festa continuava al suono del violino ballando con i bicchieri riempiti di vino. Anticamente si ballava la correnta o courenta in piemontese, che era una danza molto diffusa, eseguita da coppie che si dispongono in cerchio, gli uomini all’interno, le donne all’esterno con il braccio sinistro sulla schiena del compagno che le tiene col braccio destro per la vita. In Piemonte a differenza della currenta Francese la danza era molto più vivace e meno maestosa di quella che ballavano nelle corti i nobili, per questo nella canzone si invita a togliere le gli scagni che servivano per mungere e i cunot che sono le culle ma anche i contenitori dove si pigiava l’uva che a volte veniva riposti dalla cantina nelle ampie stalle per fare spazio per ballare nelle sere di Carnevale

Favria, 16.02.2021 Giorgio Cortese

Che forza la speranza, una luce che illumina per guardare al futuro con animo sereno

Lasciare un buon ricordo.

Molte volte incontro per la strada delle persone, ed alcuni lasciano una scia del loro profumo non sempre gradevole, ma incontro anche persone che al loro passaggio lasciano una scia di sé nel mio animo. Questo accade quando queste persone si presentano per chiedere qualcosa con due semplici parole: “Scusi, per favore… può indicarmi dove posso trovare …”. A quel punto mi accade qualcosa che prima mi disorienta e poi cambia profondamente il mio stato d’animo che viene predisposto ad una generosa apertura. Sono delle semplici parole che rasserenano il mio animo e mi sollecitano a farmi parte attiva e buona. Mi adopero volentieri frugando dentro di me per estrarre il meglio per aiutare quella persona e, se non riesco, mi dispiace e la invito gentilmente a rivolgersi a chi lo può fare. Alla fine delle mie indicazioni, prima d’incamminarsi, sorridendo mi dice un ‘Grazie’ che mi invita a seguirlo con gli occhi fin dove riesco per essere sicuri che non si sbagli, e mi attira con sé ben oltre il mio sguardo in quella scia di gratitudine che rilascia e che segna chiaramente la differenza con la scia eccessiva dei profumi. La sua è una scia di ben altra natura. È simile a quella della cometa natalizia che annuncia una vita nuova che viene o a quella sempre attuale di san Francesco, mi coinvolge e mi fa sorgere il desiderio di esprimere a mia volta un grazie d’infinita gratitudine. Buona giornata a tutti in nome della fratellanza e della gentilezza.

Favria, 17.02.2021 Giorgio Cortese

Alcuni pensano che tenere duro renda forti, ma a volte è lasciarsi andare che lo fa. Teniamo sempre presente che è la nostra ferma convinzione di riuscire è più importante di qualsiasi altra cosa.

Da goupil a renard, volpe!

Il lemma goupil o gupil nell’antico francese voleva dire volpe e derivava dal tardo latino vulpiculum, dal latino classico vulpen. Questa parola pare che derivi dal protoitalico wolpi da dove è derivato anche il germanico wulf per indicare il lupo. Ma allora perché poi la volper in francese si chiama renard. La spiegazione arriva dal nome proprio maschile Renard in italiano Rainardo. Questo nome deriva dal francone Raginhard e poi Rainhard, composto da ragin, consiglio, sottinteso, anche come consiglio divino, e hard, forte, coraggioso e valoroso. Insomma ha vari significati, fra cui consiglio del forte, ardito nell’assemblea o anche valoroso per volere degli dei. Entrambi gli elementi sono piuttosto comuni nei nomi germanici come in Rinaldo, Raimondo o in Eberardo, Eccardo, Adalardo e Gebardo e vari altri. Il nome Renard era molto diffuso in Francia nella forma Renard nei racconti medievali in lingua francese chiamata Romanzo di Renart, redatta tra il il XII e XIII secolo, nei quali vediamo agire degli animali al posto degli esseri umani, con il mondo alla rovescia e di forte contenuto satirico e per alcuni di essei viene ancora adesso conservato il nome nelle moderne fiabe. Il protagonista dei racconti è la una volpe chiamata Renart che vive a Malpertuis, Malpertugio, è sposato con Hermeline da cui ha all’inizio due figli, Percehaie e Malbranche; un terzo nascerà più tardi e sarà chiamato Renardel; il lupo Ysegrin, deriva dal fiammingo Ysen-grin che significa feroce come il ferro o più concretamente casco di ferro, sposato a Dama Hersent, nemici giurati di Renart; Noble il re leone sposato con Fière la leonessa; Beaucent il cinghiale; Belin o Bellyn l’ariete; Rohart il corvo; Baudoin o Bokart, l’asino; Brun, o Bruno o Bruin l’orso; Chantecler il gallo; Couard la lepre; Eme la scimmia, sposato a Dama Rukenawe, zia di Renart, da cui ha due figli: Bytelouse e Fulerompe; Grimbert il tasso, cugino e difensore di Renart; Tibert il gatto; Tiécelin il corvo; Cado l’anatra; Brichemer il cervo, siniscalco. Il siniscalco, termine antico germanico da sini, anziano e skalk, servitore era, originariamente, colui che sovrintendeva alla mensa o, più in generale, alla casa della famiglia reale, successivamente divenne il termine con cui si attribuivano le funzioni di amministrazione della giustizia e comando militare; Bernard l’asino; Corbant la cornacchia; Coupée la gallina; Drouin il passero; Hubert il nibbio; Firapel il leopardo; Jacquet lo scoiattolo; Mésange la cincia; Musart il cammello, ambasciatore del Papa; Roonel il cane; Tardif la lumaca.

Favria, 18.02.2021 Giorgio Cortese

Certi giorni la speranza è il desiderio che la mente dona al cuore per guarirlo da un dolore.

Birba, briccone e manigoldo.

Alzi la mano chi non ha mai sentito le parole sopra indicate, ecco vediamo la loro curiosa origine. Birba significa monello; vagabondo, truffatore e deriva dal francese bribe tozzo di pane, e per estensione, accattone e delinquente. Attualmente è una parola tanto più bonaria di quanto non fosse all’origine: dal poveraccio male in arnese che diventa delinquente o brigante è passata ad indicare un più blando bricconcello, legandosi molto al vocabolario infantile, i bambini discoli o semplicemente vivaci vengono chiamati bonariamente birba, birbante, birbaccione. Per briccone dal provenzale bricon a sua volta derivato da un soprannome longobardo Bricco-onis, X secolo, connesso con bricca: individuo rozzo, montanaro, forse in agguato. Oggi significa persona di grande scaltrezza e di pochi scrupoli, che non rifugge da azioni disoneste pur di ottenere il proprio tornaconto. Insomma un vero manigoldo, carnefice boia, aguzzino; furfante. Questo ultimo etimo pare derivato dal tedesco managold, nome di un autore che nell’XI secolo scrisse contro gli eretici, o forse di un celebre boia. Altri credono derivi dal longobardo mudivald tutore, cioè colui che esercita il potere, e quindi giustiziere. I significati più antichi di questa parola sono truci e gravi, raccontano del manigoldo come di un assassino, di un boia. Oggi invece si parla di manigoldo quando si vuole ironizzare sul furfante per renderlo nullo come la sua idiota azione.

Favria, 19.02.2021 Giorgio Cortese

Ogni giorno mi sforzo di essere sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci. Il dolore di ieri è la forza di oggi

La malcreansa!

Aveva ragione Plutarco di non cercare la voce nei pesci né la virtù nelle persone male educate. Un giorno mentre gironzolavo in un Comune del nostro grande Piemonte tra le variopinte bancarelle dove facevano bella mostra di sé frutta, ortaggi, formaggi e vino, tanto per elencarne alcuni sono stato testimone dell’episodio che adesso Vi narro. Premetto che ho sempre trovato e trovo sempre degli ottime persone che oltre a produrre i loro prodotti sanno anche venderli con bonomia e schietta cordialità. Una signora anziana davanti a una bancarella che vendeva generi vari chiedeva delle uova bianche che facevano bella mostra di sè dentro un cesto con delle uova scure. Odo distintamente che la signora attempata richiede mi pare sei uova bianche e il venditore incomincia a prenderle dal cesto. La signora gli fa notare che alcune non sono bianche e lui con supponente arroganza gli dice che vanno bene lo stesso. La signora ribatte che le aveva richieste bianche e lui per tutta risposta gli dice che se così la prossima volta non gli venderà più le uova! Tolto il banale prezzo pagato per sei uova, quello che mi ha colpito è la malacreanza o meglio la malacreansa, in piemontese, come poi diceva l’acquirente più avanti ad una sua amica che l’aspettava li vicino e che aveva assisti all’episodio. Forse la persona poco educata ha scambiato la sua maleducazione per franchezza, pensando di essere naturale ed invece mi rendo sempre più conto che non è facile essere gentili con gli arroganti, gli stupidi presuntuosi, i supponenti, i bugiardi colti in flagrante. Sicuramente verrebbe voglia usare la loro stessa scortesia per aiutarli a capire i loro errori, ma usando la malacreansa con queste persone si riesce ad avere torto persino quando si ha ragione. Con le persone maleducate usando tutta la pazienza che riusciamo ad immagazzinare dopo un profondo respiro, ritengo che bisogna usare sempre la gentilezza, come ha fatto la signora che nell’accomiatarsi le ha augurato un buon pomeriggio. Purtroppo questa pandemia ha fatto riemergere in tante persone una nuova maleducazione che è globale, è nell’aria, straripa dai cellulari, trabocca dalle televisioni, domina la conversazione culturale e politica, e minaccia seriamente di sopraffarci e si diffonde proprio come un comune raffreddore. Personalmente detesto la maleducazione e dire grazie e per favore ritengo che cambia la giornata a me e a chi se lo sente dire. Di fronte ai maleducati, e so che è difficile bisogna convincere l’altro, a dialogare con me e, argomentare sul merito che è molto più impegnativo e difficile che non trascinare l’avversario in una zuffa ove è solo l’ira e la forza bruta a prevalere. Purtroppo oggi sempre più spesso in televisione si vedono esempi meschini di questo atteggiamento e l’effetto perverso che essi producono, anche quando si sa bene che sono risse accese ad arte e quindi fittizie, ma che vengono emulate e portano a devastare le relazioni sociali quotidiane. Mai come in questo tempo la maleducazione, il conflitto, il contrasto sono il vessillo inalberato sulla debolezza della ragione e della dignità personale fanno male. Sicuramente oggigiorno viviamo con attorno delle persone cafone, che sono una minoranza ma molto rumorosa e allora per risolvere i problemi economici del Paese basterebbe mettere una tassa sulla maleducazione.

Favria, 20.02.2021 Giorgio Cortese

In certi momenti della giornata, in modo inaspettato, la vita mi sorprende perché mi regala un dono piacevole chiamato speranza!

Biante…

Plutarco, storico e filosofo greco, famoso per la sua opera “Vite parallele”, dove presenta a coppie le biografie di personalità dell’antichità. Leggendo un libro che parla di Plutarco ho trovato questo interessante aforisma dove narra che Biante, il fratello dell’indovino Melampo interrogato quale fosse l’animale più dannoso, rispose: “Se parli delle belve, il tiranno; se degli animali domestici, l’adulatore!” Esistono nell’antica Grecia diversi personaggi con il nome di Biante, oltre che a una figura mitologica sopracitata, è esistito anche un uomo politico greco vissuto nel VI sec. a.C., Biante di Priene, annoverato tra i sette sapienti dell’antichità. Forse più che Biante dovevo intolare questa breve riflessione sull’adulazione, un difetto che tocca ognuno di noi, che ci lambisce sia attivamente, perché, a volte chi non ha o sacrificato un po’ di verità per e di dignità pur di compiacere il potente di turno o anche solo semplicemente chi ci assicurava un favore o uno scatto di carriera. In questa frase si parla dell’adulazione, difetto dal quale nessuno può dirsi totalmente immune, in senso attivo o passivo. Attivo, perché Passiva è, invece, l’adulazione subita e qui alzi la mano chi non sente un certo languore nell’anima quando intercetta una lode in suo onore. Mi ricordo di aver letto di un proverbio arabo che afferma che è meglio una lode falsa di un rimprovero vero. Quello che trovo interessante è come Biante dice quanto sia pericolosa l’adulazione nella vita sociale. Purtroppo è il quotidiano rischio nei rapporto con i nostri simili, perché molte volte germoglia la piaga della seduzione e dell’inganno, ed allora questi rapporti acquistano un tono di falsità e alla fine di sospetto e così si infrangono irrimediabilmente creando malintesi a volte insanabili nel tempo.

Favria, 21.02.2021 Giorgio Cortese

Il coraggio certi giorni non è avere la forza di andare avanti, è andare avanti quando non hai più forze.

Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 26 MARZO 2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio

Tranciare o trinciare.

Molti ritengono che trinciare e tranciare siano verbi l’uno sinonimo dell’altro. Tranciare sta per tagliare di netto, a freddo, da trancio o trancia, l’utensile usato, appunto, per tagliare a misura barre, lastre o profilati, in genere di metallo, adattamento del lemma francese trancher, tagliare! Il secondo, invece, significa tagliare a strisce, a pezzetti, come si faceva con il tabacco; da qui, trinciare giudizi, deriva dal francese antico trancher a sua volta da una forma latina popolare trinicare, alterazione del latino classico truncare, troncare per incrocio con trini, a tre a tre, tre per volta, tre a tre, tagliare in tre pezzi. Dal verbo trinciare ecco il trincetto, arnese costituito di una lama d’acciaio appuntita a un’estremità, affilata da una sola parte, molto tagliente, più o meno ricurva, usato dai calzolai per tagliare il cuoio. In piemontese il trincét è un falcetto o roncola usata per lavorare la vite e potare gli alberi. Abbiamo anche il Chef trancheur, una figura ormai quasi scomparsa del personale di sala di lusso, i cui compiti sono di trinciare grossi pezzi di carne, filettare pesci, tagliare prosciutto crudo, salmone affumicato, dolci, formaggi. Oggi queste mansioni sono svolte dai maître oppure da un cuoco, in particolare in occasione di banchetti, o da un abile chef de rang. Il lemma piemontese trinchét è simile alla parola trinché, ma quest’ultima parola indica chi beve smodatamente e deriva dal germanico trinken, bere brindando, pervenuto nel piemontese attraverso il francese trinquer. Purtroppo ci staimo perdendo nel trincot, in italiano il trincotto, in francese jeu de paume, meglio conosciuto come campo e gioco della pallacorda, lemma di origine germanica strikan, splamare, toccare arrivato sempre attraverso il francese tripòt. La pallacorda è forse conosciuta dal famoso giuramento omonimo del 20 giugno 1789, quando il terzo stato prima della Rivoluzione francese quando i delegati borghesi giurarono di non separarsi mai e di riunirsi ovunque le circostanze l’avrebbero richiesto, fino a che non fosse stata stabilita e affermata su solide fondamenta una Costituzione per il regno francese, preludio dell’assemblea nazionale. Adesso smetto per evitare di avere un giudizio tranchant, che deriva dal latino trinicare, tagliato in tre, con un colpo solo, e adesso un giudizio tagliente su tutto ciò che ho scritto!

Favria, 22.02.2021 Giorgio Cortese

Penso che dovremmo possedere sempre la capacità di saper guardare oltre i propri limiti, se soltanto abbandonassimo il vizio di giudicare noi stessi come dei limiti.