Ingria, per antonomasia, é stata denominata “Paese delle castagne”

Su segnalazione di Gabriele Reverso, già autore con Roberto Favero del libro “il Gergo dei Magnin e dei Vetrai”  mi piace pubblicare un documento che si trova a Ingria, accanto  alla “Mason dla Gra”. Stiamo infatti parlando di castagne ed il testo è scritto da Raimonda Bianco Levrin, peraltro curatrice della  sezione Bibliografia presente sul nostro sito  (e non aggiornata per colpa … mia)

Le castagne – Le chégne – Le baieuife
Ingria, per antonomasia, é stata denominata “Paese delle castagne”, da sempre.
E, da sempre, gli Ingriesi sono stati chiamati “Gruio”, cioè “castagna piccola”.
Quando ancora si rispettava la Natura ed in essa s’intravvedeva la Madre buona e generosa, per ogni semina, come per ogni raccolto, si seguiva un rito che era permeato dalla fede in Dio che s’invocava all’inizio e si ringraziava alla fine di ogni stagione.
Verso la fine del mese di ottobre, quando le foglie del castagno iniziavano a cambiare colore, le castagne si consideravano mature.
Con delle lunghe scale, si saliva sull’albero e si scuotevano i rami con una lunga “pertchi”, pertica.
Si ammucchiavano i ricci ancora chiusi, formando l’”arifé”.
Il più tardi possibile, quando già faceva freddo, si batteva sui ricci con “lo desmahior” e con “lo picon”. Quindi le castagne, che così si erano conservate fresche, si sceglievano secondo la grandezza e, per Natale, si potevano preparare ancora delle ottime caldarroste.
Quando ormai tutte le castagne erano state raccolte e portate via dal prato, c’era chi, proveniente da altri paesi, passava a “cahtagnir”, cioè a raccogliere qualche castagna dimenticata o caduta tardivamente dall’albero.
Le prime castagne cadute ai piedi dell’albero si facevano seccare sulla “gra” in un locale riscaldato, attiguo alla casa.
Quando erano secche, si pestavano nella “pihta” con “lo pihton”; poi si “valavont” con”lo val” e si sceglievano nella “hernioiri”.
Si facevano tre scelte: castagne bianche, castagne con la camicia e castagne con la “reifa”, quest’ultime da dare in pasto agli animali.
Quelle in parte ancora sane, si portavano al mulino a macinare.
Nel tempo della grande povertà, servivano per fare il “pan de cahtagnin”.
Chi faceva un raccolto abbondante, superiore al fabbisogno familiare, vendeva le castagne al mercato di Ronco o a qualche conoscente che passava a comprarle di casa in casa.
Per buona parte dell’inverno, tutte le case del paese profumavano di “brosatte”, di “mondine”, di “pelaie”, di minestra di castagne , una minestra dolce  preparata con delle castagne secche, del riso e del latte fresco e cremoso.
Qualcuno aggiungeva anche dello zucchero.
Perchè non si mangiassero troppe castagne, si diceva che facevano venire i pidocchi.