CULTURA – FRASSINETTO “DIECI E VENTICINQUE” : IL NUOVO LIBRO DI ALBERTO GIOVANNINI di Marino Pasqualone

La storia di una giovane vita spezzata 40 anni fa alla stazione di Bologna

FRASSINETTO – Alle ore 10.25 del 2 agosto 1980 una bomba scoppiata nella sala d’attesa di 2^ classe della stazione di Bologna uccise 85 persone, ferendone più o meno gravemente altre duecento.
A distanza di 40 anni da quella tragedia, che ha segnato profondamente la storia dell’Italia repubblicana, lo scrittore e poeta Alberto Giovannini Luca, torinese di nascita e residenza ma con salde origini frassinettesi (paese di cui è anche attualmente consigliere comunale), ha tratto lo spunto per un lungo racconto in cui il protagonista, l’allora ventiduenne Fausto, narra in prima persona i momenti più importanti e della sua giovane vita, fino a quel fatidico appuntamento con la morte in una sala d’aspetto della stazione di Bologna in una giornata di inizio agosto.
Ed in modo inequivocabile e significativo il rimanzo, uscito da poco per Neos Edizioni di Torino (106 pagg. , 14 euro), si intitola “Dieci e venticinque”, ovvero la storia di Fausto, un “ragazzo che amava il rock e scriveva poesie d’amore”, originario di Ottone, un paesino dell’alta Val Trebbia prossimo al confine tra ben quattro regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Liguria), luogo simbolico non casualmente scelto dall’autore, in quanto proprio da queste regioni italiane provenivano il maggior numero di persone uccise o ferite nella strage di quarant’anni fa.
“Fausto è un personaggio della fantasia, ma reale perché in lui si assemblano caratteri ed elementi di alcuni degli 85 martiri che persero la vita per quella bomba infame – scrive Alberto Giovannini nelle note a margine del suo lungo racconto – Fausto è il nome di una di quelle vittime, l’ho scelto come ossimoro di una giornata che di fausto non aveva e non avrebbe mai avuto nulla”.
E la storia di questo ragazzo di provincia, uguale a quella di migliaia di altri in quei due decenni a cavallo tra gli anni sessanta e settanta del novecento, con gli amici di paese, la prima fidanzata, i genitori, le serate in discoteca, il servizio militare e le vacanze al mare, raccontata nella sua linearità e semplicità in prima persona dal protagonista, tra momenti di gioia capaci di strappare un sorriso al lettore ed altri più intimi e commoventi, corre però inevitabilmente verso la cesura netta di un epilogo che non gli lascerà scampo.
Questo racconto di Giovannini arriva due anni dopo la silloge poetica “Cinquattotto” (Neos Edizioni) che conteneva al suo interno tre poesie dedicate alle vittime della strage, alcune riproposte a piè di capitolo in questo volume, e dopo il precedente monologo teatrale dello stesso autore “Il ragazzo che amava il rock e scriveva poesie d’amore”, che è diventato il sottotitolo del suo ultimo libro.
Il quale, sempre nelle note, rivela anche una storia personale che lo lega indissolubilmente al ricordo di quel 2 agosto del 1980: esattamente 24 ore prima Alberto Giovannini si trovava infatti nella stazione di Bologna, proprio in quella sala d’attesa di seconda classe dove il giorno dopo sarebbe scoppiato l’inferno.
Anche lui, come Fausto, era in attesa del treno che lo avrebbe portato a Cattolica, per un periodo di vacanze estive al mare: e crediamo non per caso anche l’autore di “Dieci e venticinque” è nato, come Fausto e numerose altre vittime, nel 1958, ed anche lui ama il rock e scrive poesie d’amore. Quest’ultima fatica letteraria di Alberto Giovannini è dunque non solo un delicato omaggio a tutte le persone che in quel tragico giorno hanno perso per sempre il loro futuro, ma tra le righe si può leggere anche la consapevolezza che, per gli strani giochi del destino, quella stessa sorte a lui è stata risparmiata per un soffio: “ E’ una storia che mi porto dentro da quarant’anni – confessa infatti l’autore – ed era giunto il momento di lasciare libero Fausto, di farlo conoscere, di farlo sentire nuovamente vivo nella consapevolezza che nessuno verrà mai a chiedere perdono a lui, a tutte le vittime delle stragi e, in fondo, neanche a noi”.
Marino Pasqualone
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