Titoli: Gita FIDAS-La signora Censura – An vendumia – Advocatus diaboli- Il metro la misura democratica di unione di noi italiani?-Sapore di caldarroste, profumo di allegria- I falsi amici -Dietro le quinte nasce il bene – La ricerca -Da begolardo a cianciatore per arrivare alle beghe-Il Palazzo dalle parole perdute- Predicano bene ma razzolano male – Lettera aperta a tutti donatori e concittadini di Favria: Sono basito! – Ogni giorno – Tanto per chiarire.- La Giaccona!
Il Direttivo Gruppo Fidas Favria L.Tarizzo- D. Chiarabaglio organizza una gita, Domenica 9 novembre 2014, alla 84° FIERA INTERNAZIONALE DEL TARTUFO BIANCO DI ALBA. Organizzazione tecnica Boggio Viaggi di RIVAROLO CANAVESE Tel 0124 424477 – PULMAN RASTEL BOGIN di RIVAROLO CANAVESE, con il seguente programma: Partenza da Favria Piazza della Repubblica, antistante al Municipio, ore 7,00 si raccomanda la puntualità. Si prega di parcheggiare in piazza Padre Pio, vicino alla casa di Riposo, in Piazza della Repubblica avverrà molto probabilmente durante la mattinata la manifestazione del 4 novembre. Sosta durante il percorso nella mattinata presso uno stabilimento dedito alla produzione di torroni a Grinzane Cavour, verso le ore 9,00 ca. Arrivo previsto ad ALBA per la fiera del Tartufo ore 11,00. Tema della giornata: Il Cioccolato degli artigiani pasticceri e le grappe. Pranzo libero. Partenza prevista per le ore 17,30 ca, si raccomanda la puntualità. Rientro a Favria previsto entro le ore 19,30. QUOTA PER OGNI PARTECIPANTE: € 9,00 . La quota è comprensiva del solo viaggio in pullman andata e ritorno. Si declina ogni responsabilità durante il viaggio, prima durante e dopo la manifestazione. PAGAMENTO DELLA QUOTA ALL’ATTO DELLA PRENOTAZIONE. Per informazioni e prenotazioni Boggio Viaggi e in ore serali a: Macrì Nicodemo 0124 349509; Massaro Barbara 3479656671; Varrese Vincenzo 3381236372; Spaducci Antonello 339 3360888; Gazzetto Sandro 3396239178 Cortese Giorgio 333 1714827, disponibile in sede sabato 25 ottobre, o in altri orari dopo le 18,00 presso sede Fidas Favria da concordare preventivamente. Le prenotazioni si accettano entro e non oltre mercoledì 6 novembre 2014 sino all’esaurimento dei posti, la gita si effettuerà con un numero minimo di 40 partecipanti, in caso contrario verranno restituite le quote già versate. Purtroppo la visita programmata al Castello di Grinzane Cavour non è possibile effettuare in quella giornata in quanto il castello non sarà aperto al pubblico perché co sarà la premiazione mondiale del tartufo bianco! Il Direttivo Fidas Favria
Per certe persone la vita è breve ed estremamente travagliata quando si dimenticano il passato, trascurano il presente, temono il futuro. Poverini quando giungono alla fine della loro corsa ad ostacoli chiamata vita, comprendono tardi, di essersi occupati di nulla per tanto tempo senza concludere niente
La signora Censura
Camminavo placido nella stretta via, quando ho visto entrare di corsa e smarrita, nel vicolo, l’Ironia. Ho cercato di fermala ma andava con veloce passo, a cercare la chiacchierona Satira, nascosta dietro ad un muro, vicino al grosso sasso. La comare Satira impaurita, li si nasconde per paura della feroce signora Censura, che se l’acchiappa la riduce ad un misero sudario. Allora stiamo attenti nel criticare, la Censura, è lì ad ascoltare. Se critichi o proponi, pare che sempre a Lei ti opponi. Ma noi popolo bue che ne sappiamo del Governo maestoso se ci propinano solo clima festoso. La breve poesia è finita Sperando che alla signora Censura risulti gradita.
Favria, 19.10.2014 Giorgio Cortese
Nella vita il solo avere non significa nulla, quello che conta è osare ed essere sempre se stessi con sincera passione
An vendumia
Su, bele vendumiorie, su, domje na canta! Sì a canto le tesore e a canto desgagià. La vogna ch’as despeuja a veul la vostra vos. Dop l’ultima cavagna stasseìra a beiv vin doss. Eviva la vendumia travaj del bon-umor
Advocatus diaboli
Questo adagio latino ha una gran forza impattante, ovviamente è stato partorito in ambito ecclesiastico con una sua funzione ben precisa. Advocatus diaboli: Avvocato dle diavolo. Nei processi di santificazione ecclesiastici colui che si opponeva all’Adocatus Dei con il compito di rendere più difficile la beatificazione. Più precisamente era fino al 1983 era una persona incaricata dalla Chiesa cattolica romana di apportare argomenti che mettessero in discussione le virtù e i miracoli dei candidati alla canonizzazione, durante il processo d’indagine. Questo ufficio, istituito nel 1587 da parte di papa Sisto V, è stato abolito nel 1983, dal papa Giovanni Paolo II, con la costituzione apostolica Divinus perfectionis magister, che ha riordinato il processo delle cause dei santi, coinvolgendo molto di più rispetto al passato i vescovi locali nel promuovere e indagare sulle cause di canonizzazione, lasciando al promotor fidei il compito di redigere, insieme ad altri teologi, le conclusioni sulla relazione finale preparata dal relatore della causa (la cosiddetta positio). In seguito a quella data, il numero dei processi di canonizzazione è cresciuto rapidamente, arrivando a quasi 500 nuovi santi e più di 1300 beatificazioni durante il solo pontificato di Karol Wojtyla, cifre notevoli soprattutto se confrontate alle sole 98 canonizzazioni dei suoi predecessori nell’arco del Novecento. Nel linguaggio di tutti i giorni il termine indica una persona che controbatte a un’argomentazione non perché intimamente convinta, ma piuttosto per alimentare un dibattito o contrastare le altrui posizioni.
Favria, Favria 20.10.2014 Giorgio Cortese
Ogni persona che si dà alla politica dice di portare idee nuove e migliorare o cancellare quelle vecchie. Questo paese è ormai un armadio sfasciato pieno di idee vecchie e nuove e vuoto di fatti.
Il metro la misura democratica di unione di noi italiani?
In Francia la Rivoluzione verso la fine del 1700 aveva cambiando molte abitudini e tradizioni e tra le varie iniziative decise di adottare il metro come misura ufficiale per tutta la nazione; una legge lo rese obbligatorio dal 1° luglio 1794. Ma, nonostante i manifesti pubblicitari appesi nelle strade di Parigi e le lapidi con incisi i campioni del metro poste agli incroci più frequentati, all’inizio l’esperimento non riuscì: alla gente il metro non piaceva; e solo Napoleone, qualche anno più tardi, riuscì a far accettare ai francesi le nuove misure. Ma il metro, il nome è opera dell’invenzione di un italiano, o almeno ne ha inventato il nome: fu infatti il disegnatore Tito Livio Burattini a metà del Seicento a proporre per primo una lunghezza universale e a chiamarla “metro”, che in greco significa semplicemente “misura”. Poi però la sua dimensione venne stabilita nel 1790 a Parigi in base alla circonferenza della Terra: fu deciso infatti di prendere un meridiano, la linea immaginaria che circonda il pianeta passando per i due poli, e di dividerlo in 40 milioni di parti; ecco il metro. Perché la misura fosse precisa, però, bisognava prima stabilire la lunghezza esatta del meridiano: perciò due illustri astronomi vennero mandati in missione e, dopo complicati calcoli, durati addirittura anni , diedero la loro risposta. Nel 1793 il metro divenne legge a Parigi, nel 1800 Bonaparte lo confermò come unico sistema e di lì a poco lo introdusse, insieme ai suoi eserciti, anche in Italia. La restaurazione del Congresso di Vienna promosse il movimento inverso; ma fino a un certo punto, ad esempio, nella Lombardia dove il trabucco aveva ben 22 lunghezze diverse, per motivi di praticità. Così intorno al 1840, quando ancora dalla Francia partì il rilancio del metro, il Regno di Sardegna con le sue ambizioni di internazionalità fu tra i primi ad accoglierlo nel 1845 in Europa. Di lì a diventare il sistema unico della nuova Italia fu questione di tempo e di compiutezza del Risorgimento. In Italia, prima che il metro venga ufficialmente adottato, bisogna attendere l’Unità d’Italia , quando con una legge vengono aboliti gli altri sistemi, la legge che lo adottava nel nostro Paese è del 1861, mentre l’abolizione ufficiale dei vecchi sistemi avvenne il 1° gennaio 1863, da quel giorno in poi, palmi e piedi restano solo nei proverbi e lo Stivale si misura in metri. Per tutto l’Ottocento, gli italiani si sottoposero a un meticoloso allenamento collettivo per interiorizzare un sistema che trasformò la loro percezione del mondo, basta pensare al perfezionamento prodotto dall’introduzione del millimetro in una cultura che al massimo prevedeva precisioni di qualche centimetro. Ma prima dell’introduzione del sistema metrico-decimale, ogni regione aveva un proprio sistema. Ma tra pollici, tese, palmi, canne la confusione imperava. Se in un immaginario viaggio nell’Italico Stivale del 1930 avessimo posto la domanda: “Quant’è lungo?2 o “Quanto pesa?”da subito si sarebbe scatenato un putiferio di misure diverse nonostante che avessero molte volte lo stesso nome, in Piemonte la giornata cambiava da provincia a Provincia, e il braccio di Forlì risultava di 26 centimetri più esteso che a Piacenza. La discordanza derivava che la prima unità di misura era stata il corpo umano, “una spanna di stoffa”, “un dito di vino”, e per questo erano usati in molte civiltà del passato, dagli egizi ai romani. Del resto, ancora oggi molte zone del globo, basta pensare al mondo inglese, misurano a piedi e braccia. Già, ma noi uomini non abbiamo tutti la stessa altezza e le medesime forme: di quale “piede” dunque parliamo, ad esempio, quando vogliamo misurare una lunghezza? Be’, gli antichi avevano risolto brillantemente il dilemma: usavano il piede del re come modello! Quella era la misura “sacra” a cui tutti dovevano stare. Così ancora nell’Ottocento in Piemonte e in Toscana si usava il “piede di Liutprando”, cioè la lunghezza che, secondo la leggenda, avrebbe avuto l’estremità del grande sovrano longobardo, vissuto addirittura oltre mille anni prima. L’introduzione del sistema metrico decimale non fu indolore in Italia, si visse come per l’euro i travagli, i pentimenti, le discordie, i contrasti, le opposizioni anche colorite, i rimpianti, le incertezze le approssimazioni e le paure che hanno accompagnato nel 2002 il passaggio dalla lira all’euro . Ma rispetto all’euro sono nulla rispetto ai dibattiti e alle difficoltà incontrati dal metro, allorché agli albori dell’Ottocento iniziò il suo pluridecennale cammino per affermarsi sui competitori e sostituire le disparate e campanilistiche misure preesistenti, uniformando finalmente i sistemi non solo d’Europa ma anzitutto tra i vari Stati italiani. Allora, i no metro, erano per esempio i latifondisti, i quali temevano che, misurando con troppa precisione le terre, avrebbero dovuto pagare più tasse catastali.. Si opponevano gli industriali, preoccupati che l’uniformità metrologica avrebbe reso più facile comparare i prodotti e dunque li avrebbe privati di certi monopolii. Erano contrari all’introduzione del sistema metrico decimale anche gli scrittori romantici, che si opponevano alla matematizzazione del mondo, per Goethe “l’arte era l’opposto dei tecnicismi da ragionieri che misurano invece che sentire”, frase che in questo periodo di globalizzazione delle coscienze dovremmo rifare nostro per ritrovare un’umanità nel governare e nel gestire l’economia. Erano contrari ancora tanti governanti, timorosi di perdere consenso appoggiando una riforma che almeno all’inizio avrebbe messo in difficoltà i commercianti e in genere i sudditi, lo stesso Cavour, pur favorevole al metro, proponeva di introdurlo gradualmente e solo in città, perché nelle campagne temeva la rivolta popolare. Per ultimi erano contrari anche molti patrioti risorgimentali, avversi a portarsi in casa uno strumento “straniero”, inventato dai francesi e importato ed imposto da Napoleone durante il suo impero. Con l’introduzione del metro viene introdotto un importante unità di misura democratica, perché non a caso venne scelto di fondare il calcolo del metro su una partizione matematicamente ben definita del meridiano di Parigi; uno spazio chiaro, fisso, non più sottoposto ai capricci di chicchessia, intangibile e indiscutibile, uguale per tutti e ovunque, «democratico» appunto. Comunque sia, il metro costituì per i nostri antenati una vera rivoluzione culturale, e non solo perché furono gli illuministi rivoluzionari a propugnarne la scelta universale. Il metro fu proposto per primo nel 1790 dal matematico Auguste-Savinien Leblond, venne difeso da Talleyrand davanti all’Assemblée Nationale. Oggi il metro è l’unità di misura comunemente accetatta e mai nessuno si sognerebbe in
Sicilia di ritornare al quartiglio antica unità di misura di superficie usata a
Palermo che deriva come lessico dal un quarto di dinar, moneta d’oro coniata sempre in Sicilia dagli emiri arabi Aghlabiti e Fatimidi e poi dai sovrani normanni e svevi.Sul metro, il dubbio che mi rimane è che il metro, non abbia alla fine tradito le attese dei suoi creatori illuministi: scientifiche o no, oggettive per tutti oppure mutevoli da un luogo all’altro, infatti le misure dipendono ancora e sempre dal “potere”.
Sapore di caldarroste, profumo di allegria
Quando osservo il lavoro dei volontari della Pro Loco che ogni anno fanno i caldarrostai, mi viene in mente i rami ormai spogli degli alberi nel bosco, che sembrano indicare il cielo bigio ed il camminare lentamente su di un tappeto di foglie gialle e rosse che scricchiolano lievemente sotto il mio passo. Poco alla volta mi avvolge l’odore di fumo ed il ritmico movimento imposto ai smisurati padelloni, dove abbrustoliscono le castagne ed ogni tanto, qualche marrone scoppia provocando ilarità in vecchi e bambini. Nell’aria ormai, pervade un gradevole profumo di caldarroste. Profumo di una bella giornata autunnale, di caldarroste al fuoco, profumo di frittelle e di ciò che custodisce l’Autunno che mi allieta con la musica occitana, creando nell’aria una contagiosa allegria. Questi momenti mi fanno ritornare bambino, quando mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Profumo di caldarroste, quanti ricordi escono dallo scrigno dei ricordi, mi ricordo quando mettevo la mia piccola mano fiduciosa in quella dei miei genitori e con il cartoccio in mano camminavamo lungo quel sentiero che era la vita. Camminavamo e sgranocchiavamo una castagna dopo l’altra. Mi sembra ancora adesso sentire nella bocca un sapore amico e accanto il ricordo della fanciullezza. Il buon odore delle caldarroste, si diffonde nell’aria e mi ristora. Nel frattempo i volontari della Pro Loco mi sorridono mentre le rivoltano sulle grandi padelle arroventate e le signore preparone delle succulente frittelle e del buon vin brulè. Buone sono le castagne e mi scaldano pure le dita. Aspetto a un poco prima di mangiarle, è tanto delicato il tepore che le trattengo con gioia fra le mani! Grazie alla Pro Loco di Favria che con il suo lodevole lavoro di volontariato, necessiario ed indispensabile per la nostra Comunità ha fatto affiorare oggi questi ricordi del mio animo.
Favria, 19.10.2014 Giorgio Cortese
Certe persone hanno dimenticato che se l’istruzione finisce nelle classi scolastiche, l’educazione finisce solo con la loro vita
I falsi amici
Come spiega un noto proverbio africano, il mondo si divide in due categorie: leoni o gazzelle. In leoni o cervi, diremmo noi Europei. Quello che veramente importa per entrambi è comunque saper correre. E correre velocemente: per sfamarsi o per sfuggire l’aggressore. Perciò, in questa corsa quotidiana, occorre conoscere quali sono i nostri punti di forza e che cosa ci può salvare. Senza cadere nell’errore del cervo della favola di Esopo. Vanitoso e sprovveduto. Orgoglioso delle sue belle corna, preoccupato per le sue zampe sottili. Ma l’apparenza, si sa, inganna e guai a scoprirlo troppo tardiIl cervo alla fonte e il leone di Esopo: “Un cervo, oppresso dalla sete, arrivò a una fonte; dopo aver bevuto, come si vide riflesso nell’acqua, osservò la grandezza e la forma articolata delle sue corna e se ne sentì fiero; era invece davvero preoccupato per le zampe, poiché erano sottili e deboli.Mentre ancora faceva questa riflessione, comparve un leone e si mise a inseguirlo. Il cervo prese a fuggire e stava davanti al leone con un notevole distacco (la forza dei cervi, infatti, risiede nelle zampe, quella del leone nel cuore).
Fino al punto in cui la pianura era priva di alberi, il cervo era salvo, mantenendo il leone a distanza; quando però giunse in un bosco, accadde che le sue corna si impigliarono nei rami e, poiché non riusciva a correre, fu catturato Ormai sul punto di morire, disse tra sé: “Povero me! Mi stavano salvando le zampe, che avrebbero dovuto tradirmi; vado in rovina, invece, a causa delle corna, di cui avevo piena fiducia”. Nella vita di ogni giorno, spesso, nelle situazioni pericolose, gli amici che guardiamo con diffidenza diventano nostri salvatori, quelli in cui riponiamo tutta la nostra fiducia, la tradiscono.
Favria 22.10.2014 Giorgio Cortese
Molte volte sprazzi di ozio riflessivo sono un completamento della nobiltà d’animo.
Dietro le quinte nasce il bene
Cari amici che mi leggete, il donare il sangue, ogni volta fa gongolare di felicità il mio animo, ma devo ammettere che non è merito mio ma Dio che mi ha fatto nascere sano e disposto, un merito non è ottenuto con studi particolari, con azioni eroiche ma semplicemente genetico, che mi permette di essere sano e di poter donare il sangue ai miei fratelli. Quando dono il sangue o effettuo una prelievo tramite aferesi del plasma, ogni volta per me la prima volta, ma nella sala prelievi, linda e ordinata, grazie al lavoro dei volontari, l’equipe medica dell’Unità di Raccolta riesce ogni volta a mettermi a mio agio, a farmi rilassare. Senza il personale medico, i volontari del Direttivo Fidas di Favria, sempre infaticabili, che ad ogni donazione, che da decenni, lavorano dietro le quinte, di questo mio gesto, nulla sarebbe possibile. Insomma, come dire, un bel lavoro di squadra per fare vincere il Bene! Il messaggio che vorrei suggerire attraverso il mio gesto è questo, forse diverso da quello che qualcuno si aspetterebbe: non serve essere speciali ne eroici o supereroi per donare il sangue! Sono un mediocre ragioniere, persona di cultura e di intelligenza normale, di estrazione sociale normale, di abitudini di vita ed interessi normali, di professione normale, ho potuto fare questo, chiunque può fare questo. Basta credere che ogni persona abbia un valore ed un potenziale immenso in se, e che se è in difficoltà ed è nelle nostre facoltà aiutarla, va aiutata a prescindere da chi esso sia, ma per il grandioso principio di sincera amicizia che unisce gli esseri umani che amano gli altri esseri umani, l’empatia, rispettano gli animali e cercano di preservare la natura che mi circonda per le generazioni future. Io questo l’ho creduto molti anni fa quando iniziai a donare il sangue con la Fidas di Favria, e continuo a crederlo oggi con la mia 98 donazione.
Grazie
Favria 23.10.2014 Giorgio Cortese
La ricerca
On questi giorni ho letto un bel articolo sulla fiera di Alba del Tartufo. Pensate che nell’antica Grecia il popolo greco lo chiamava Hydnon, da cui deriva il termine “idnologia” la scienza che si occupa dei tartufi. I latini lo chiamavano Tuber, dal verbo tumere, gonfiare, mentre per gli arabi era Tomer. Gli spagnoli Turma de tierra, gli inglesi Truffle, infine i tedeschi Truffel. I francesi Truffè che deriva da frode, collegato alla rappresentazione teatrale di Molière “Tartufe”del 1664. Certo che l’origine della parola tartufo è stata per tanto tempo dibattuta dai linguisti, che dopo molti secoli di incertezza sono arrivati alla probaile ma non definitiva conclusione che il lemma derivi da territùfru, volgarizzazione del tardo latino terrae tufer, (escrescenza della terra, dove tufer sarebbe usato al posto di tuber . Nei dialetti si denomina come trufola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in altri paesi d’Europa assumendo varie dizioni: truffe in Francia, Trüffel in Germanoa e, truffle nelle isole Britanniche. Tornando per un attimo, indietro, nell’antica Grecia, Plutarco di Cheronea, filosofo greco, credeva che il tartufo fosse generato dall’acqua, che insieme ai fulmini e al calore nasceva, nascondendosi sotto terra. Di altra opinione, circa l’origine del tartufo, erano invece Plino, che lo descrisse come miracolo della natura, Porfirio lo reputava un dono degli Dei, Galeno ne’ interpretava la natura afrodisiaca, Cicerone, fu il primo forse che penso fosse generato dalla terra, solo Giovenale, ne cantava le lodi senza interpretarne l’origine. Tali ipotesi in realtà hanno origine nel mistero che avvolgeva il tartufo e che si alimentava di leggende e racconti in quanto mancavano le conoscenze necessarie per una corretta classificazione, per cui non si riusciva a definirne l’origine, se fosse cioè di natura vegetale o animale. Oggi la raccolta avviene con un cane addestrato, il docile lagotto romagnolo, pare che venga anche utilizzato il maiale che è però ghiotto di tartufi, ed occorre trattenerlo per impedirgli di mangiare il tubero appena ritrovato. Ecco l’immagine del tartufo, questo tesoro nascosto nella terra mi ha fatto ricordare il tema della ricerca. Ma a volte può nascere la paura di non trovare quanto cercato. La paura è salutare perché è all’origine del rischio. Il rischio, è una necessità essenziale dell’animo. La mia condizione umana a è una condizione precaria, tutta la vita è un rischio, impossibile sfuggirgli, devo ogni giorno affrontarla, solo affrontando il rischio sfuggo all’umana paura. Il sapere di avere ogni giorno nell’animo un’ inquietudine mi aiuta ad affrontare sempre nuove sfide, a cercare di rinnovarmi sempre. Mi viene in mente che cosa mi ha detto una cara persona, diverso tempo addietro, circa il consiglio che ebbe in gioventù da un vecchio zio: “Nella vita fai la fame, ma compera dei libri e gira il mondo”. Ma oggigiorno chi direbbe questo ad un giovane in questa società dominata dall’apparire, dall’avere sempre di più. Quante persone sarebbero pronti a ripetere questo consiglio ai loro figli? Al massimo regalerebbero l’ultimo ritrovato elettronico, un capo di abbigliamento firmato e una vacanza-studio che di studio ha solo il nome. La vera attrezzatura per affrontare la vita non è nelle tenute sportive o nei processori più sofisticati, ma in uno studio appassionato e serio e in un’esperienza fatta di conoscenza genuina e non di semplici trasferimenti spaziali in località amene. Il vero studio non è soltanto apprendimento, ma ricerca, analisi, riflessione, creatività e alla fine l’aprirsi di orizzonti inattesi e immensi, insomma appassionarsi. Oggi per ripartire dobbiamo, per superare la crisi si deve coniugare allo studio all’esperienza. Vivere la vita non s’impara solo sui libri, la bellezza e lo stupore si trova osservando la natura che mi circonda, fosse solo un misero filo d’erba in mezzo all’asfalto, la verità la si scopre solo nella ricerca.
Favria, 24.10.2014 Giorgio Cortese
Come diversamente obeso forse vivrò di meno, però ho mangiato è gustato di più del buon cibo
Da begolardo a cianciatore per arrivare alle beghe
Begolando deriva da begolare, che pare che sia onomatopeico, arriva infatti dal verbo belare, oppure un alterazione del verbo pigolare da non confondere con il provenzale bègayer, balbettare da bègue, balbuziente. Insomma i novelli begolardi sono dei chiacchieroni a sproposito. Allora il lemma bega che deriva dal proto-germanico bēga-, bēgaz, bǣga-, bǣgaz con il significato di contesa, combattimento, sembra poco attinente, ma il nesso c’è. La parola bega oggi indica una questione o situazione intricata e fastidiosa, di complessa risoluzione e la si ritrova in tutta l’Italia centro-settentrionale ed in particolare nel veneziano, toscano, comasco, bergamasco bega, nel friulano bege, nel tirolese begar, begarol (attaccabrighe), nel viareggino bega che significa anche lunga storia, penso anche che la parola inglese beggar (mendicante) possa essere derivata da questo etimo importata nelle isole britanniche dai Normanni dopo la conquista del 1066. Oggigiorno con tutta l’informazione che abbiamo il falso e il vero mi sembrano le foglie alterne di una stesso ramo ed è necessaria molta cura per discernerle. Sembra quasi che la politica ad ogni livello sia ammalata di ciancia che portano solo a delle beghe per salvare le cadreghe di chi le racconta. Penso che bisogna rivedere ol tutto partendo da un nuovo accoppiamento, solidarietà e verità non sono avverse tra di loro come non lo sono scienza e fede, pensiero umano e pensiero divino; estrema elaborazione critica ed estrema semplicità mistica. Anche nella musica due voci agli estremi del registro vocale, come il soprano e il basso, possono coesistere, incontrarsi, dialogare creando armonia, così deve avvenire nel contrappunto tra ragione e morale, tra cultura e fede, tra politica e verità. Come il soprano non deve cercare di abbassare il suo timbro né il basso ricorrere al falsetto, in un accordo che sarebbe ridicolo, così noi cittadini e chi abbiamo eletto democraticamente ci si deve ascoltare reciprocamente, stando ciascuno coi piedi piantati nel ruoli che ci compete nel nostro territorio, ma ascoltando con attenzione ciò che nell’altro campo si presenta e si afferma.
Favria, 25.10.2014 Giorgio Cortese
Certi giorni i luoghi che evolvono in ricordi sono quelli in cui il cellulare non ha campo, dove la bellezza della natura non dà scampo. Perché la natura è un ricamo di poesia e di pittura sul telaio dell’emozioni.
Il Palazzo dalle parole perdute
Passeggiando davanti ad un austero edificio pubblico in una tranquilla domenica pomeriggio, ho pensato che oltre alla mole di lavoro eseguita in quel luogo dai dipendenti, viene anche versato negli orari di quanto è aperto al pubblico un fiume di parole che poi si perdono. Le parole si sa, nascono e poi, essendo più leggere dell’aria, salgono in su e arrivano fino al punto in cui il cielo finisce e conduce all’eternità. Le parole passano per l’aria attraverso le onde radio in ogni momento flussi ininterrotti di parole che avvolgono tutto il globo. Ma molte di queste parole sono ben più pesanti dell’aria pura, naturalmente in senso metaforico. Penso che forse ogni giorno si fanno delle immense e futili chiacchiere diffuse ora attraverso i cellulari, si tratta di polvere che cade per terra, meritando di essere calpestata. Molti sono convinti che le parole, una volta dette, si spengono per sempre. E questo per fortuna accade a tante chiacchiere vane e insulse. Ma ci sono parole che sono come semi o come chiodi, possono germogliare in grano o ferire con punte acuminate ed avvelenate, possono persino ferire e uccidere, lasciando una scia di odio irrecuperabile dietro di sé. Sì, il linguaggio ha una sua forza dirompente, può generare odio e inimicizie ma fondere gli animi delle persone. Mi viene da pensare a quanti uomini politici, personaggi pubblici usano usano malamente le proprie parole nei confronti di altre persone che non la pensano come loro. Ma c’è, per fortuna, anche la possibilità opposta, quella del dialogo, in cui le parole costruiscono ponti di incontro. Ci sono parole che fanno vivere e sono parole innocenti, come la parola calore, la parola fiducia, giustizia, amore e la parola libertà. Mi auguro che in quel austero palazzo, come in tutti i palazzi del potere, dove esercitano le loro funzioni dei cittadini democraticamente eletti, in mezzo al quotidiano fiume di: “parole, parole, parole” come diceva l’Amleto di Shakespeare ce ne siano di quelle che non si perdono ma, anzi che salgano fino a toccare il cielo, parole buone, dette per sostenere e per consigliare, per perseguire il Bene Comune. . Sono in fondo poi le stesse parole usate dai veri amici e dagli innamorati che esprimono la loro tenerezza e la loro comunione di vita. Sono le parole importanti, parole belle, buone e lievi che salgono verso l’alto e irradiano luce, sono parole che non si perderanno mai
Favria, 25.10.2014 Giorgio Cortese
L’essenza di certe persone mi ricordano una cornice senza l’immagine.
Predicano bene ma razzolano male
Alcuni giorni addietro mi è venuto tra le mani un libro che da tempo non avevo più letto e tra i vari argomenti parlava di Plutarco, si quello che già 2000 anni addietro scrisse numerose pagine contro l’uso del mangiar carne e contro le crudeltà sugli animali. Nel dialogo Sull’intelligenza degli animali afferma che essi, essendo esseri animati, sono dotati di sensibilità e di intelligenza come gli umani. Nel trattato Del mangiar carne critica aspramente e con un linguaggio crudo quella che considera l’efferatezza di chi imbastisce banchetti con animali morti e fatti a pezzi, ma forse le sue opera maggiori e più conosciute sono: “Vite Parallele” e “Moralia”. Sfogliandolo ho riletto con piacere il testo che ho trascritto: “Leggendo il retore Gorgia ad Olimpia ai greci un discorso riguardante la concordia, Melanzio disse: “Questo ci parla riguardo la concordia,l ui che non ha persuaso nè sè stesso, nè la moglie, nè la serva, i quali erano soltanto tre in casa, ad andare d’accordo”. Infatti com’è naturale, c’era l’amore di Gorgia e la gelosia della moglie verso la servetta. E allora bisogna che la casa sia ben in armonia per colui che ha intenzione di rendere armoniosa una città, una piazza e degli amici.” Questo mi ha fatti riflettere che spesso mi guardo intorno e penso ascolto sento dire tante cose belle, persone che si riempiono d’orgoglio nel descrivere le loro buone azioni, offrono denaro facendo volteggiare la banconota perché tutti la vedano e così senza pudore ostentano la loro bontà d’animo magari con proventi che non sono i loro. Gente che si spreca in manifestazioni d’affetto amore, stima, riconoscenza, complimenti, baci abbracci e non so se sono tutti sinceri. Persone che pontificano dall’alto delle loro cariche indicando a tutti noi semplici cittadini la strada giusta per uscire dalla crisi. Persone che al primo refolo di vento non li vedi più , che a parole si battono per nobili cause e che poi non assistono a dei parenti ammalati. Persone che siedono sempre davanti ad ogni pubblica occasione. Ascolto, leggo, penso e mi chiedo come mai noi esseri umani siamo così ottusi, miopi, presuntuosi e limitati. Ma da ottimista mi viene pensare che è sempre più utile nel condividere i pensieri di un altro individuo parlando e ascoltando, rispondendo argomentando e riflettendo su che cosa mi dice e che porta parole vere. Ma disprezzo senza vergogna le persone che predicano bene e razzolano male e nel farlo non si nascondono, lo fanno alla luce del sole, certi della copertura, della complicità e della comprensione ignorante dei loro simili. Molte volte i concetti di Amicizia, Fedeltà, Sincerità, Libertà sono calpestati da chi li sbandiera per squallido opportunismo. Parole e concetti che sono rispettati e tenuti in conto da gente semplice che non sanno nemmeno di farlo per il solo fatto che gli viene naturale. La libertà è una cosa grande va saputa comprendere e apprezzare, se viene utilizzata male è il peggior modo per calpestare i diritti degli altri.
Favria, 26.10.2014 Giorgio Cortese
La sincera passione significa agire ed esaltarmi con giudizio senza tregua nel volontariato.
Lettera aperta a tutti donatori e concittadini di Favria. Sono basito!
In data 21 ottobre mi è stato comunicato dal Comune, tramite telefonata, al sottoscritto in qualità di Presidente pro tempore dell’associazione che i manifesti apposti per la propaganda sangue per il paese erano abusivi! Questa telefonata avviene dopo che, dopo da tantissimo tempo i volontari del Diorettivo apponevamo le locandine del Gruppo Comunale Fidas di Favria per ricordare i giorni in cui avveviva la raccolta del sangue. Perdonate la mia ignoranza ma forse c’è una nuova legge? Perché non ci è mai stato dettoniente prima? La cosa mi ha lasciato basito, di manifesti ne vedo apporre tantissimi per tutte le manifestazioni del territorio, manifestazione gastronomiche e sportive, nei punti nevralgici degli incroci, e tali avvisi grafici potrebbero distrarre i guidatori. Osservo che certe associazione del territorio mettono di tutto e di più! Ma a loro niente. Si vede che il servizio della raccolta sangue gode di poca sensibilità a chi ci Amministra in questa Comunità. Personalmente in questi ultimi due anni non ho mai visto nessuno degli attuali Amministratori venirci a trovare durante la donazione per scambiare due parole e colgo l’occassione per invitarli a vernirci a trovare. Ritengo che anche in queste circostanze per un breve saluto aiuterebbe entrambi, noi donatori perché ci sentiamo seguiti e loro per informarsi dei nostri umani problemi di mandare avanti il gruppo. Mi viene quasi da riflettere, ma il pensiero è troppo meschino che a qualcuno dia fastidio il nostro lavoro, che porta ogni anno dei lusinghieri risultati. Mi era già sorto, questo insulso sospetto nell’animo, che ci fosse un celato malessere nei nostri confronti, quando due anni fa avevo ricevuto come presidente una lettera dal Comune che mi sembrava “lunare”, in quella lettera a firma di due amministratori si proibiva l’ingresso e la sosta con le auto dei donatori ed era consentita una breve sosta per i donatori con problemi di deambulazione motoria nel cortile interno del Comune dove abbiamo la sede, locali che affittiamo dal Comune e che paghiamo regolarmente l’affitto e relativa cauzione. Locali nei quali ospitiamo sempre i dipendenti comunali per le visite mediche, senza chiedere nulla in cambio ma solo di non farle a ridosso delle nostre donazioni per consentirci la pulizia dei locali stessi. Questa ultima telefonata da parte del Comune, sui manifesti di propaganda del sangue, mi fa nascere una amara domanda riflessiva: “Perché?” Forse pensano che la Fidas sia un circolo politico? Forse ci hanno confusi con altre associazioni o forse gli risulta sgradito a qualcuno il colore dei mei capelli, dei miei occhi, della mia pelle? La prossima proibizione che dovremmo subire quale sarà? Ci vieteranno di inviare le cartoline di propaganda oppure ci daranno lo sfratto in quanto associazione non gradita? Onestamente non so più che cosa pensare e come devo comportarmi, ma poi l’umana amarezza lascia il posto alla consapevolezza che fare volontariato senza secondi fini, fare del bene senza chiedere nella e di continuare di andare avanti. Non serbo nessun rancore e mi auguro che da questo increscioso episodio si possano istituire in Favria degli spazi su cui le associazioni senza fine di lucro possano fare liberamente la loro opera di alto spirito morale di proselitismo, uno spazio potrebbe essere ad esempio un lato della fontanella dell’acqua Comunale.
Chiedo ancora scusa per lo sfogo e chiedo a tutti di venire a donare il sangue venerdì 14 novembre e se Tu che mi leggi e non puoi venire fai da passa parola, non possiamo più mettere i manifesti di avviso ai soliti posti dove li leggevi, grazie del Tuo indispensabile aiuto
Favria, 27.10.2014 Giorgio Cortese
Scriveva Georg Lichtenberg: “ Ci sono prediche che non si possono ascoltare senza piangere…e leggere senza ridere”.
Ogni giorno
Ogni giorno mi sembra di affrontare nella mia quotidiana navigazione la scoperta di un arcipelago di sentimenti ed emozioni che mi appaiono all’orizzonte. Mano a mano che vado avanti quella che mi sembravano isole compatte e unite tra di loro, sono in realtà distinte ed unite le une dalle altre,. Le isole che vedevo da lontano, sono le persone che incontro, ciascuna con le sue peculiarità, differenti tra di loro nel carattere e alcune colte, ma separate tra di loro da profondi vuoti di desolazione, che si possono colmare solo con il dialogo e l’attento ascolto
Racconto ed ascolto e dunque sono vivo
Oggigiorno vengo colto Ho la sensazione che stiamo stia perdendo la consapevolezza di che cosa significhi raccontare nella nostra società. Oggigiorno, esporre una storia non è più l’obbiettivo principale o l’ incentivo più importante. Io credo invece che il dovere di noi comuni cittadini, spettatori di cambiamenti epocali nella nostra civiltà è di avere qualcosa da dire, accrescere la passione di raccontare nuove storie. Nella vita di ogni giorno, ogni osservazione, accadimento, intuizione, cerca una connessione con il tutto che mi circonda e che mi fa sentire vivo. Personalmente cercare una storia da raccontare significa cercare un senso, credere in un senso, dare un senso alla vita. Noi esseri umani sino dalle origini ascoltiamo, ascoltiamo oggi il poeta che canta , modulandole, storie. Leggiamo i resoconti di avvenimenti storici, che divengono storie. Interpretiamo la realtà quotidiana tramutandola in successione di storie. La realtà quotidiana molte volte è resa accessibile dall’ascolto di chi mi racconta gli avvenimenti, ascolto e dunque sono vivo.
Favria, 28.10.2014 Giorgio Cortese
Osservando certi animi meschini, nella vita di ogni giorno l’importante è di non diventare mai l’ombra di sé stessi.
Tanto per chiarire.
Su di su di un post ho letto “ …l’hanno che verrà ….” Ecco tanto per chiarire, si scrive anno ed indica un periodo di tempo pari a quello impiegato dalla Terra per completare la sua orbita attorno al Sole. Un anno è diviso in 365 giorni e 6 ore, poiché la Terra completa la sua orbita in un tempo leggermente superiore. Per questo motivo si è reso necessario introdurre degli anni bisestili composti da 366 giorni, per correggere la discrepanza. Per estensione il termine anno si applica al periodo orbitale di qualsiasi pianeta, nel qual caso anno viene fatto seguire da un aggettivo, ad esempio un anno marziano. Pensate che già nel II secolo a. C. Ipparco di Nicea, astronomo e matematico greco, calcolò che la durata dell’anno era di 365 giorni, 6 ore, 55 minuti e 12 secondi. Un risultato sorprendente, tenuto conto dei mezzi dell’epoca. Per quanto riguarda “hanno” in italiano è la terza persona plurale dell’indicativo presente del verbo avere.
Così tanto per chiarire.
Favria, 29.10.2014 Giorgio Cortese
Mi rendo conto di avere dentro me stesso una bestia che vorrebbe uscire da dove è stata confinata per nutrisrsi del mio odio. Ma ho anche dentro di me un animo che si nutre dell’amore che dono.
La Giaccona!
La Giaccona in francese chaconne, lemma che deriva a sua volta dallo spagnolo chacona, è una danza popolare di probabile origine messicana fiorita in Spagna alla fine del Cinquecento.. Passata in Francia e stilizzata dai maestri del ballo nobile, divenne nei sec. XVII e XVIII una maestosa danza di corte.Il basso che caratterizza la ciaccona soggiace a una regola ferrea: si muove dalla tonica alla dominante, con moto ascendente o discendente, cromatico o diatonico. Può anche essere sottinteso, dato che l’armonia realizzata dalle voci superiori ne fa comunque percepire la presenza
Favria, 30.10.2014 Giorgio Cortese
Spero ogni giorno di non nutrire mai la bestia e fare indigestione all’animo di bontà e di dono verso gli altri.
Visita anche tutte le vecchie pagine Giorgio Cortese fino ad agosto 2014 nel vecchio sito