Un tuffo nel passato ma non solo! – Quel sacripante dispitto forse è solo un plufer nufiacop! di Giorgio Cortese

L’arte riesce a rendere l’ignoto  quasi evidente.
Un tuffo nel passato ma non solo!
Domenica 16 novembre c.a. sono stato in gita parrocchiale a Venaria Reale, riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, è uno dei più significativi esempi dell’architettura barocca del XVII e XVIII secolo.  La Venaria Reale, per la sua storia, la bellezza del paesaggio e dell’arte, è oggi una “reggia contemporanea” aperta a tutti, “camera con vista” sull’arte, lo stile e la cultura del nostro paese, laboratorio di produzione culturale, formazione, educazione e divulgazione, insomma  per il sottoscritto la visita è stata un’occasione di esperienza e di conoscenza diretta, dinamica e creativa con la Storia, l’Arte, il Paesaggio e la Natura. La  reggia di Venarìa fu progettata dall’ architetto Amedeo di Castellamonte. A commissionarla fu il duca Carlo Emanuele II,  che intendeva farne la base per le battute di caccia nella collina incolta vicino a Torino. Pare che gli venne questa idea sull’esempio del Castello di Mirafiori o Miraflores, luogo destinato alla moglie del duca  Carlo Emanuele I, Caterina Michela d’Asburgo,  dal nome di quel castello prende il nome il quartiere  attuale di Mirafiori, dove era situata quella reggia. Tornando al nome di Venaria Reale,  il toponimo pare derivi dal latino,  Venatio Regia,  ovvero reggia venatoria.  I Savoia scelsero questo luogo, perché era vicino a Torino, la loro capitale e poi anche, perché era situato vicino alle Valli di Lanzo, dove allora si estendeva un esteso bosco detto “del Gran Paese”, ricchissimo di selvaggina. Questo bosco allora si  estendeva per un centinaio di chilometri fino alle montagne alpine, giungendo a sud e a est in prossimità del capoluogo. Carlo Emanuele II,  allora volendo anch’egli creare una reggia che si legasse al proprio nome e a quello della consorte,  Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours,  comprò il piccolo villaggio di Altessano Superiore dalla famiglia di origine milanese Birago, che qui aveva dato vita a importanti piantagioni,  denominandolo, come detto sopra,  “la Venaria” perché destinato agli svaghi venatori. I lavori vennero progettati dal 1658 ed affidati agli architetti  Amedeo di Castellamonte e da Michelangelo Garove. L’opera si protrasse nel tempo fino almeno al 1675, quando il borgo di Venaria, realizzato con una pianta che disegnava un Collare dell’Annunziata. Il Supremo Ordine della SS.A. è stato il maggior ordine cavalleresco della monarchia sabauda e del regno d’Italia, istituito nel 1364 da Amedeo VI di Savoia. Non  sono chiare, però, le circostanze e le cause dell’istituzione. I quindici collari d’argento dorato, simili a quelli comunemente usati per i levrieri, che nel gennaio del 1364 furono acquistati dal principe presso un orefice di Avignone, dovevano con tutta probabilità servire come insegna per Amedeo VI e a quattordici suoi cavalieri, in un torneo destinato a festeggiare la vittoria riportata, nell’estate del 1363, sul marchese di Saluzzo, costretto a riconoscersi vassallo sabaudo. L’Ordine del collare fu forse in origine, una società o fratellanza cavalleresca, come quelle già organizzate alla corte sabauda per tornei, e denominate della Tavola rotonda, del Cigno nero, dei Cavalieri verdi. Il carattere giocondo e amoroso appare nelle insegne, con il collare da cane, segno di sudditanza fedele per la dama del cuore, la chiusura del collare formata da tre lacci di amore a doppio intreccio, segno di amore indissolubile ed infine il motto Fert che fu già usato, come i lacci, dal giovane conte, e che significa l’obbedienza all’amata. Secondo alcuni le quattro lettere vengono spiegate come: “Fortitudo Eius Rhodum Tenuit,   Fides Est Regni Tutela, Foedere Et Religione Tenemur”; secondo altri il motto sarebbe un’abbreviazione di fertè, voce dell’antico francese col significato di “fermezza”, o di “ferto”, nome di una moneta di Amedeo VI di Savoia, oppure il motto allude al proposito del cavaliere di sopportare, dal latino fert, porta, sopporta, ogni pena per la propria dama ed in seguito quando l’Ordine assunse carattere religioso-militare, di sopportare ogni cosa per devozione e in onore della Vergine. Ritornando alla Reggia di Venaria, i lavori andarono avanti e ripresero anche dopo  che il 1º ottobre  1693 i francesi distrussero alcune costruzioni,  Vittorio Amedeo II commissionò un ulteriore intervento sulla reggia che venne ristrutturata secondo i canoni francesi. Purtroppo durante l’assedio di Torino del 1706, importante  episodio bellico narrato da Francesco Antonio Tarizzo, sacerdote originario di Favria, con “L’arpa discordata”, L’arpa dëscordà” poemetto scritto in lingua piemontese, che narra  gli eventi intercorsi tra il  1705 ed il 1706 nel Piemonte sabaudo, durante l’invasione francese. I francesi di Louis d’Aubusson de la  Feuillade vi presero dimora, danneggiando molte strutture. Alla fine della guerra vittoriosa per i Piemontesi ed i loro alleati Asburgici, Vittorio Amedeo II, data la morte del Garove, affida il progetto a Filippo Juvarra. Successivamente durante la dominazione napoleonica, la reggia subì serie trasformazioni, in particolare i giardini, distrutti per farne una piazza d’armi e l’intero complesso trasformato in caserma e, con la Restaurazione, questa destinazione fu mantenuta. Il complesso si confermò pure come il centro nevralgico della Cavalleria sabauda, ospitando, tra l’altro, una scuola di equitazione militare di prestigio europeo dove maturarono innovativi metodi di equitazione, di combattimento, di affardellamento e anche un allevamento di stalloni.  Nel periodo che va dalla fine delle guerre napoleoniche fino al 1978 la reggia fu utilizzata a fini militari causandone un progressivo degrado. Il complesso della Reggia  è imponente, per accedendo dall’entrata principale si viene accolti nella corte d’onore, nel centro della quale sorgeva una fontana detta del cervo, la facciata principale in intonaco con cornucopie conchiglie e frutti risulta sulla parte destra come “sfregiata” da una cesura di mattoni a vista che delimitano la parte seicentesca da quella settecentesca, successiva all’intervento del primo architetto di corte Amedeo di Castellamonte. Sono rimasto colpito nella Reggia dall’incantevole scenario del Salone di Diana progettato a metà del Seicento da Amedeo di Castellamonte, la solennità della Galleria Grande e della Cappella di Sant’Uberto con gli immensi volumi delle opere settecentesche di Filippo Juvarra. Ritengo che la Reggia sia uno dei capolavori assoluti del barocco. Mi è stato detto che il percorso con quasi  2.000 metri lineari complessivi,  è una evocazione  permanente della storia passata del nostro Piemonte. Con oltre e 50 ettari di bellezza  i giardini completano naturalmente l’architettura della Reggia. I Giardini sono oggi uno stretto connubio tra antico e moderno, un dialogo virtuoso tra insediamenti archeologici e opere contemporanee. La “recuperata” Reggia di Venaria Reale, nei pressi di Torino, rappresenta un inedito esempio della grande architettura italiana che nel tardo Rinascimento arricchì i palazzi reali di mezza Europa. I restauri e l’arredamento, recuperato, danno alla Reggia un’immagine che proietta indietro nel tempo e ricrea interessanti atmosfere. Il parco, poi, è di struggente bellezza  e se  l’ho trovato bellissimo in autunno penso che in primavera e in estate debba essere meraviglioso!  Un grazie sincero a Don Gianni e ai suoi collaboratori per la bella gita, organizzata magnificamente e consiglio a tutti di visitare la reggia, merita decisamente!
Favria 18.11.2014       Giorgio Cortese

Certi giorni devo pensare di meno ed emozionarmi di più!

Quel sacripante dispitto forse è solo un plufer nufiacop!
Premetto che Sacripante è il nome di un personaggio dell’Orlando innamorato di M. Boiardo e dell’Orlando furioso di L. Ariosto, valoroso e fortissimo re dei Circassi. Sacripante ama, non ricambiato,  Angelica e combatte per lei ad Albraccà,  Boiardo e contro Rinaldo, Ariosto. Angelica richiede la sua protezione per uscire da una selva e Sacripante si appresta ad abusare di lei, ma viene distolto dal sopraggiungere della guerriera Bradamante che lo disarciona. Per antonomasia, il nome del personaggio è entrato nel linguaggio comune a indicare  uomo di alta statura e corporatura molto robusta, dall’aria fiera e minacciosa, che incute timore e soggezione:. Ma viene anche usato come interiezione, in tono volutamente caricato, per esprimere meraviglia, contrarietà o irritazione. Dispitto o despitto deriva dal francese antico despit, corrispondente all’italiano dispetto con il significato di superbo disprezzo come scrive il sommo Dante: “ Ed el s’ergea col petto e con la fronte Com’avesse l’inferno a gran dispitto” Tornando al lemma sacripante, il suono di questa parola è bellissimo, riempie la bocca con una vibrazione unica, e anche per questo torna bene come esclamazione,  anche se oggi ci suona parecchio rétro come certe persone che continua a fare gli smargiassi e a fare dei puerili dispetti, forse sono solo de plufer, lemma piemontese che indica soldato alamanno grande e grosso ed arrogante, e aggiungo nufiacop, che letteralmente significa  annusa-tetti per indicare di una  persona altezzosa, boriosa.
Favria, 19.11.2014     Giorgio Cortese

A Novembre nessuna ombra, nessun brillare, nessuna farfalla, niente api, niente frutta, niente fiori, niente foglie, nessun uccello, solo un gelido grigio mi avvolge!!!