23 LUGLIO 1930 Terremoto nell’Irpinia. – Cecchino. – La ragione sta dal lato forte. – Bisanzio. – Tutto va bene madama la marchesa. – La Ruota della Giustizia. – Serenissima!… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

23 LUGLIO 1930  Terremoto nell’Irpinia Un terremoto di magnitudo 6,7 devasta l’Irpinia e il

Vulture Il terremoto colpisce una vasta area dell’Italia meridionale compresa tra l’alta Irpinia e la zona del Vulture, devastando le province di Avellino, Foggia e Potenza e causando la morte di oltre 1.400 persone I l 23 luglio 1930 una scossa di magnitudo 6.7 colpisce l’Italia meridionale. A subire i danni più gravi è l’alta Irpinia e in particolare i centri abitati di Lacedonia, Aquilonia e Villanova, in provincia di Avellino. Nel Potentino sono colpiti i paesi di Rapolla, Barile, Rionero, Atella, Melfi, posti ai piedi del Monte Vulture. Alla fine si conteranno oltre 1400 vittime. L’entità dei danni e l’ingente perdita di vite umane si deve alla particolare conformazione del territorio, caratterizzato da piccoli paesi situati a quote superiori ai 600 metri sul livello del mare, così come alla composizione stessa dei terreni sui quali erano stati edificati i centri abitati, in gran parte argillosi, sabbiosi o ghiaiosi. A ciò si aggiunge la fragilità del patrimonio abitativo, costituito per lo più da case realizzate con pietre di fiume legate da pessima malta o addirittura da fango essiccato. Anche i soccorsi sono stati resi complicati dalla precarietà e dal cattivo stato delle infrastrutture dei paesi, collegati fra loro da strade tortuose e mal tenute. Nonostante l’Irpinia e in generale l’Appennino Meridionale fossero stati più volte interessati, nel corso della storia, da terremoti catastrofici, nulla si era fatto per prevenire i rischi connessi al ripetersi di eventi simili. Le conseguenze sarebbero emerse con drammatica evidenza cinquant’anni dopo, il 23 novembre 1980, quando un nuovo sisma di magnitudo 6.9 avrebbe causato circa 280 mila sfollati, quasi 9 mila feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 vittime
Favria, 23.07.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. A volte penso che la mi vita sia come una raccomandata spedita alla speranza e senza ricevuta di ritorno! Felice martedì.

Cecchino.

Perché i tiratori scelti sono detti cecchini?  Con questo termine si indica un tiratore molto abile nel colpire un bersaglio con un solo colpo a lunga distanza, attraverso l’uso di un fucile di precisione. Il cecchino può operare da solo o far parte di una squadra speciale. Secondo una prima ipotesi, il termine cecchino deriverebbe da “céco”, o “cieco” riferito al fatto che per prender la mira “chiude un occhio. Una  seconda ipotesi lega il termine al suono che il grilletto fa al momento dello sparo. Una terza ipotesi, la più accreditata dagli studiosi, fa invece riferimento ai soldati che, durante il primo conflitto mondiale, combattevano per l’Impero austroungarico dell’imperatore Francesco Giuseppe, soprannominato dai soldati italiani Cecco Beppe. Da qui la parola “cecchini”, cioè “i tiratori di Cecco”, utilizzata dagli italiani nelle trincee. Gli italiani consideravano questi soldati non meritevoli di onore, in quanto non combattevano apertamente contro il nemico, ma si nascondevano e colpivano senza essere visti. Il nome tuttora viene utilizzato, in senso figurato, anche per identificare qualcuno che è molto preciso o abile in un determinato compito.

Favria,  24.07.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata Ogni giorno conto i fiori del mio giardino, mai le foglie che cadono. Felice mercoledì.

La ragione sta dal lato forte.

Nel 416 a.C. gli ateniesi inviarono una spedizione nell’isola di Melo, che desiderava rimanere neutrale nello scontro in corso tra le potenti Sparta e Atene. Tucidide ricostruisce il dialogo tra i melii e gli ambasciatori ateniesi, che vanno dritti al punto: “Nelle considerazioni umane il diritto è riconosciuto in seguito a una uguale necessità per le due parti, mentre chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede”. E a tal proposito annunciano: “Noi siamo qui per avvantaggiare il nostro impero e che, per salvare la vostra città, ora vi facciamo questi discorsi, tutto ciò ve lo mostreremo, intenzionati a comandare a voi senza affrontare fatiche e a salvarvi con utilità per entrambi”. I melii dal canto loro interrogano gli ambasciatori: “E come può derivare dell’utile a noi dall’essere vostri schiavi, come a voi dal comandarci?”. La risposta degli ateniesi è diretta: “Perché a voi toccherebbe obbedire invece di subire la sorte più atroce, mentre noi se non vi distruggessimo ci guadagneremmo”. I melii cercano di controbattere: “E che noi restando in pace fossimo amici invece che nemici, ma alleati di nessuna delle due parti, non l’accettereste?”. Gli ateniesi sono categorici: “No, perché la vostra ostilità non ci danneggia tanto quanto la vostra amicizia, manifesto esempio per i sudditi della nostra debolezza, mentre l’odio lo è della nostra potenza”. I melii allora insistono nel rimanere neutrali, ma gli ateniesi li accusano di comportarsi come degli ingenui. Alla fine gli ateniesi assalteranno la città dei melii, massacreranno gli uomini e ridurranno in schiavitù donne e bambini. Più di duemila anni dopo la legge del più forte, che il testo di Tucidide presenta in modo chiaro e diretto, continua a imporsi sotto i nostri occhi anche a adesso.

Favria, 25.07.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non guardo se il mio bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, ma guardo sempre quanta luce c’è nel vetro. Felice

Bisanzio.

Mille anni per un impero sono tanti. Altri domini sono durati molto meno, di fronte all’inevitabile declino provocato sul fronte interno dalle guerre civili e su quello esterno dalle invasioni. Al millenario Impero bizantino non sono mancate né le une né le altre, eppure ha saputo resistere a ogni tipo di pressione e a un’amputazione progressiva dei propri territori che lo hanno reso negli ultimi secoli della sua esistenza una specie di città-Stato: Costantinopoli si ergeva in mezzo a una selva di nemici ed è caduta solo grazie alla tenacia di un sultano, Maometto II, che fin da bambino aveva avuto il pallino di conquistarla.  Il V secolo è la chiave di volta che ha determinato la sua longevità. È il secolo della crisi provocata dalle invasioni barbariche, dalle rivolte dei mercenari barbari e dalle guerre civili: a Occidente, l’impero semplicemente scompare, sostituito da una serie di regni romano-barbarici, mentre a Oriente lo Stato si dimostra più forte, più spietato, più solido, meglio condotto da imperatori di polso. E infatti sopravvive ancora a lungo.  Nel secolo seguente l’imperatore Giustiniano può contemplare la prospettiva di ricondurre l’intero bacino del Mediterraneo sotto il tallone imperiale. Recupera l’Africa dai Vandali, l’Italia e la Dalmazia dagli Ostrogoti,  ma anche dai Franchi,  e argina la spinta persiana ai confini orientali. Ma è un fuoco di paglia: la Penisola italica è troppo lontana dal baricentro di Bisanzio, e i suoi rappresentanti non riescono a opporsi all’invasione longobarda. Sul Danubio, i Bizantini non possono resistere all’arrembante marea slava, che cambia la composizione etnica della Grecia, e agli ancor più minacciosi Àvari, che arrivano ad attaccare la stessa Costantinopoli, questo è ora il nome della città insieme con i Persiani. Siamo all’inizio del VII secolo, e proprio quando le gesta del grande imperatore Eraclio sembrano aver riportato l’impero ai primitivi fasti, conducendolo al trionfo sulla Persia, nello spazio di pochi anni Bisanzio subisce le sue più drastiche amputazioni: la marea araba, infatti, spazzerà via il logoro Impero sassanide e sottrarrà a quello bizantino l’Africa e i territori mediorientali, dall’Egitto alla Siria, arrivando a minacciare, sotto il califfato omayyade, la stessa capitale.  Nel IX secolo gli Omayyadi vengono rilevati dagli Abbasidi, e il baricentro arabo si sposta da Damasco a Baghdad. Gli scontri tra i due blocchi si limitano così a scaramucce di frontiera, ma più a Occidente, dopo il riflusso della potenza dei Cazari, in grado di determinare la caduta di almeno un imperatore nell’VIII secolo, si è fatta tangibile l’invadenza dei principati russi di Kiev e Novgorod. Retti dai Vareghi, Vichinghi che si erano uniti agli Slavi,, sono prima nemici, poi infidi alleati. Mezzo millennio prima di Maometto II, il loro principe Oleg arriva a minacciare Costantinopoli mettendo 2mila navi su ruote per farle procedere via terra ed evitare la catena di sbarramento lungo il Bosforo che impedisce gli attacchi dal mare Altrettanto ondivago è l’atteggiamento dei Peceneghi, alleati del principe russo Svjatoslav I nella sua guerra a Bisanzio. Ma soprattutto è cresciuta la pressione bulgara: il khan Krum arriva a farsi una coppa da vino con il cranio dell’imperatore Niceforo I Foca, e il regno bulgaro è una spina nel fianco dell’impero fino al 1014, quando l’imperatore Basilio II vi pone fine con la vittoria campale seguita dall’accecamento di 15mila prigionieri, rimandati al loro zar a gruppi di cento, condotti da un uomo cui è stato lasciato un solo occhio. Le cronache dicono che lo zar bulgaro ne morì di crepacuore. Una sorte più benevola meritano i Vareghi che osano assalire per l’ennesima volta Costantinopoli nel 1043: ai prigionieri viene tagliata una mano, e solo 800 vengono accecati. In generale, pressoché tutte le popolazioni delle steppe euroasiatiche che si avvicendano o si sovrappongono nel settore tra Mar Nero, Mar Caspio e Urali si danno fastidio a vicenda, e Bisanzio nei loro confronti usa sempre più volentieri la diplomazia al posto della forza militare, procurandosi l’alleanza degli uni contro gli altri e facendo in modo che nessuno di loro raggiunga una potenza tale da costituire una minaccia insormontabile. In effetti, solo i bulgari arrivano a costituire una potenza stabile e duratura, e un pericolo costante per l’impero. Intanto a Oriente si manifesta una nuova minaccia: poco dopo la riconquista dell’Anatolia nel X secolo, a opera di sovrani capaci come Niceforo II Foca e Giovanni Zimisce, l’impero deve fronteggiare l’ascesa dei turchi della dinastia dei Selgiuchidi, nuovi signori del califfato abbaside. La loro pressione in Asia Minore è aggravata da quella dei Normanni nel Mediterraneo. La sconfitta nella battaglia di Manzikert nel 1071 d.C, è causa indiretta della richiesta di aiuto all’Occidente, che porta alle Crociate, colpo fatale per l’impero. La quarta crociata, infatti, condotta dai veneziani all’inizio del XIII secolo, ha come obiettivo Costantinopoli: per oltre mezzo secolo saranno i conquistatori occidentali, cioè i “latini”, gli avversari di un potere costretto all’esilio, frazionato negli imperi di Trebisonda, Nicea ed Epiro. La spunteranno i Bizantini, ma riducendosi a potenza regionale: nell’area balcanica i conquistatori, infatti, hanno ormai costituito Stati potenti come Serbia, Ungheria e secondo Impero bulgaro. E come potenza regionale, privata perfino di una flotta dai genovesi, Costantinopoli diventa tributaria di un nuovo nemico, il più temibile di tutti: i turchi ottomani. Da allora, è questione di tempo: soltanto le avanzate dei Mongoli prima, e delle orde di Tamerlano poi, impediscono ai sultani turchi di inglobare Costantinopoli nei loro possedimenti. Quello che infine accade nel 1453, quando Maometto II espugna la città al termine di uno storico assedio, sarebbe potuto accade. Nell’ultimo assedio cade  Bisanzio, o Costantinopoli, per mano degli Ottomani il 29 maggio 1453: gli oltre 80mila soldati turchi di Mehmet, Maometto II fecero breccia nelle poderose mura difese da circa 7mila bizantini. La lista  dei popoli  con i quali Bisanzio è venuta in contatto nella sua storia millenaria è lunga. La lista dei nemici della Nuova Roma, così come era conosciuta la capitale dell’Impero romano d’Oriente, i cui abitanti sono definiti dagli storici Bizantini o “tardo Romani” sono: Alani, Uzi, Anti, Unni, schierati contro Bisanzio in epoca tardoantica, Kutriguri, Uniguri, Onoguri, o protobulgari, Oghuz, Ugri, Mongoli, Magiari, Iberi, georgiani e armeni e poi gli slavi.

Favria, 26.07.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. L’ottimismo sono io che cado nel baratro e penso dai che ora è tutto in discesa. Felice venerdì

Tutto va bene madama la marchesa

L’espressione “Tutto va bene madama la marchesa”, oggi viene utilizzata con un tono ironico in occasioni in cui in realtà nulla sta andando bene. Si tratta di un modo di dire che risale dal titolo della versione italiana di una canzone francese degli anni ’40 “Tout va très bien, Madame la Marquise” il cui testo è anch’esso ironico. A parlare è infatti il maggiordomo Jean, nella versione italiana Battista, che vuole rassicurare la nobile padrona marchesa nonostante stiano accadendo degli avvenimenti non proprio buoni. In Italia la canzone veniva cantata da Nunzio Filogamo, un cantante palermitano che è stato anche un famoso conduttore radiofonico e televisivo, famoso per essere stato il primo presentatore del festival di Sanremo. Il testo racconta di una nobile marchesa che al telefono chiede informazioni al suo maggiordomo Jean sulla situazione del suo castello a Parigi e riceve paradossali rassicurazioni da questi, che invece descrive una situazione catastrofica. Il modo di dire si usa infatti per canzonare coloro che lodano sempre tutto e che non vedono, o fingono di non vedere, il lato brutto e reale delle cose. Quello di cui il servitore Jean, nella canzone, informa la marchesa tornata dalla vacanza a Parigi è che: la sua cavalla preferita era morta a seguito di un incendio nelle stalle che avevano fatto crollare un’intera ala del castello e che avevano portato al suicidio del marito marchese, ma che a parte questo: “Tutto va bene, madama la marchesa!”. Una scenetta molto simile appare nel film Totò story del 1968, nel film Totò impersona un maggiordomo impassibile a cui la marchesa dichiara in modo memorabile: “come soffro, come soffro!” Tornando alla canzone originale è stata scritta nel 1934 da Paul Misraki un compositore e paroliere francese di origini turche che ha scritto canzoni per molti grandi della canzone francese, come ad esempio per Édith Piaf. Infine la canzone francese è cantata da Ray Ventura.

Favria, 27.07.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Non troverai mai un arcobaleno se guardi in basso. Felice sabato.

La Ruota della Giustizia

Con la bolla Ratio iuris del 16 settembre 1331, emanata da papa Giovanni XXII durante il periodo della “cattività avignonese” del 1309- 1377 d.C, è considerare l’atto legislativo con cui ebbe inizio il secolare operato della Rota Romana, l’unico tribunale medievale ancora esistente. A quell’epoca, o al più tardi al XVI secolo risale anche il termine “rota”, sulla cui origine sono state avanzate diverse ipotesi dagli studiosi. Secondo l’opinione più diffusa, tale nome potrebbe derivare dal recinto o dalla tavola rotonda in cui sedevano gli uditori, oppure dalla forma della sala stessa del collegio, dove forse era presente, sul pavimento, una grande lastra circolare di porfido rosso, una ruota, simbolo del potere divino. Altre ipotesi suggeriscono che il nome deriverebbe da uno scaffale circolare con ruote dove venivano conservati i documenti delle cause, o, ancora, che possa riflettere il procedimento “a rotazione” nel trattare le cause tra gli uditori. Da oltre 500 anni, il Tribunale della Rota Romana, insieme agli altri due organismi giudiziari della Curia, ossia la Penitenzieria e la Segnatura, si riunisce a Roma nel palazzo della Cancelleria apostolica, proprietà extraterritoriale della Santa Sede. Il sontuoso edificio, tra i primi in stile rinascimentale realizzati nell’Urbe, fu inaugurato nel 1513 come residenza privata del cardinale Raffaele Riario, che lo avrebbe costruito grazie a una vincita al gioco di 60mila scudi accumulata in una sola volta ai danni di Franceschetto Cybo, figlio di papa Innocenzo VIII. La congiura. Quando, nel 1531, il cardinale fu accusato di aver partecipato a una congiura contro il pontefice Leone X, il palazzo fu confiscato divenendo, appunto, la nuova sede della Cancelleria apostolica. In quasi settecento anni di attività decisionale della Rota, si è consolidata l’opinione per cui i personaggi di una certa levatura possano beneficiare di un “trattamento speciale”. Quando, per esempio, nel 1927, la Chiesa dichiarò nullo il matrimonio tra il grande inventore Guglielmo Marconi e Beatrice O’Brien, in molti pensarono che i giudici rotali fossero mossi da sentimenti di riverenza nei confronti di un premio Nobel che, oltretutto, era senatore del Regno. Fu in realtà una giusta sentenza, poiché, prima di unirsi, Guglielmo e Beatrice avevano fatto un apposito “patto”, cosa inammissibile per il diritto canonico: “… Marconi dovette assicurare mia madre che in un eventuale contrasto tra lui e me egli avrebbe acceduto al divorzio secondo la legge e la confessione anglicana”, dichiarò Beatrice ai giudici rotali. “E ciò egli fece anche per proprio convincimento, in quanto professava anche esso la fede protestante benché battezzato”, Acta Apostolicae Sedis dell’anno 1927. E se un tempo le cause rotali erano talvolta caratterizzate da tempi lunghissimi, la recente riforma di papa Francesco nel 2015 ha reso le procedure più rapide, suddividendo l’iter in “ordinario”, un anno, e “breve”, trenta giorni, ma solo per alcuni capi di nullità, potendo spendere da un minimo di 1.600 a un massimo di 3.000 euro (ma esiste il patrocinio gratuito per gli indigenti). Un cambio di rotta che rende accessibile a tutti ciò che una volta sembrava un labirinto costoso riservato solo a chi poteva permetterselo.

Favria,  28.07.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. L’ottimismo è la fede che porta a una conquista. Non si può fare nulla senza fiducia e speranza. Felice  domenica

Serenissima!

Non c’è certezza assoluta sulle ragioni per cui Venezia è spesso soprannominata Serenissima, un epiteto che ci riporta indietro ai fasti del passato, quando la città lagunare era una delle repubbliche marinare più potenti del Mediterraneo. Di sicuro c’è solo che il nome deriva dal latino ed era uno dei titoli attribuiti al doge, che era definito Serenissimus Dominus Dux”nei documenti emessi dalla Repubblica. A lui ci si rivolgeva in tal modo anche nelle epistole indirizzate a Venezia e tale il doge si firmava in quelle a sua volta inviate agli altri Stati. È quindi molto probabile che l’appellativo sia passato da lì a indicare, per estensione, anche la Repubblica. Durante i secoli del suo massimo splendore, tra il Medioevo e la fine del Settecento, Venezia del resto deteneva il controllo del commercio marittimo sull’Adriatico ed era rinomata per la sua stabilità politica, la sua ricchezza e le condizioni di vita floride che garantiva ai suoi abitanti. Serenissimo, inoltre, era il titolo dei reggenti di Costantinopoli, da cui Venezia dipese formalmente fino al 1453, data in cui la capitale dell’impero romano d’Oriente cadde definitivamente in mano ai Turchi. La gloriosa storia della Repubblica di Venezia terminò il 12 maggio 1797 quando il Maggior Consiglio si riunì per l’ultima volta e il doge Lodovico Manin fu costretto da Napoleone Bonaparte ad abdicare, decretando il passaggio di Venezia sotto il controllo francese. Di lì a poco, con il Trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797, Napoleone avrebbe ceduto l’ex repubblica e i suoi domini all’Austria in cambio di alcuni possessi veneti e, soprattutto, del riconoscimento del nuovo assetto dato dal Bonaparte alle regioni da lui conquistate in Italia, aprendo un nuovo capitolo della storia veneziana.

Favria, 29.07.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno cerco di guardare sempre il lato positivo della vita, altrimenti sarà troppo buio per leggere. Felice  lunedì.

D𝐚 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝑎𝑛𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑛 𝑉𝑎𝑐𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑎𝑣𝑒𝑟 𝑑𝑜𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑒́ 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑎 𝑢𝑛’𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎

Il senso di famiglia e l’amore per gli altri sono le condizioni più belle per andare in vacanza con totale serenità e spensieratezza.

Da sempre i nostri donatori fanno un salto alla Fidas prima si mettersi in viaggio. FALLO ANCHE TU Poi lo sapevate che ad ogni donazione, si bruciano circa 400 kcal? Oltre a fare del bene gli altri, vi aiutiamo anche per la prova costume! Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue. Vieni a donare il sangue, vieni a donare a Favria Venerdì 2 agosto, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te.  Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare  e portare  sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827. Ricordo i requisiti minimi per donare: età compresa tra i 18 e i 60 per la prima volta, poi dai 65 a 70 anni l’idoneità a donare va valutata dal medico.  Grazie se fate passa parola e divulgate il messaggio