La tivù sempre accesa, in una calda sera d’estate e si vive a stento nella stanza chiusa. Con il ventilatore stanco di voltare il tempo in una notte priva di vento. Questo è il malcontento di una estate afosa.
Quando sono triste sorrido, anche se il mio animo è triste, perché più triste di un sorriso triste c’è la tristezza di non saper sorridere.
Paura, rabbia e speranza.
Di fronte all’ennesimo attentato terroristico il mio animo ha avuto un tremito di paura che è la più antica e potente emozione umana. Seguito da un sussulto di sgomento, esacrazione ed orrore per quanto accaduto. Queste canaglie con fattezze umane hanno colpito nel momento della festa più semplice e lieto, quello dei fuochi d’artificio. Quando nel cielo i botti facevano divertire e rallegrare gli animi, questi sciagurati inumani hanno colpito con la loro irragionevole logica nichilista verso l’Occidente e verso tutto quello che rappresenta. Hanno colpito perché si rendono conto che sono senza valori e si sono appiccicati delle fasulle basi ideologiche religiose. Questi terroristi sono nati qui in Occidente, ma ne sono sempre stati ai margini, da rifiutati è cresciuto il loro insano odio. Questi nichilisti della morale del nulla, senza nessuno rispetto ne per loro ne per gli altri, hanno colpito con lucida follia perché ammaliati da promesse di martirio, frutto di letture distorte. La loro strategia terroristica mira a snervare, a fare saltare la nostra normalità nel quotidiano, vogliono fomentare odio nella convivenza civile, con i suoi riti quotidiani, e le sue regole di garanzia, e su questi non possono averla vinta. Certo subito, ho avuto un moto di rabbia e di stizza, figlio della paura, ma poi ragionando mi sono convinto che non servono muri ma la forza e la pazienza che permettono di costruire ponti tra comunità e anche, con la compattezza dei non violenti, di isolare chi vuole invece scavare fossati. Nel mondo ci sono due grandi forze che accompagnano il cammino dell’umanità, la paura che genera odio e l’amore che costruisce ponti di fratellanza. Certo la minaccia è in agguato ma non dobbiamo permettere che il terrore si insedi nella nostra vita, se così fosse, loro hanno già vinto una battaglia decisiva rendendoci simili a loro. Queste triste vicende devono essere una opportunità per ricostruire una Europa dei popoli liberi, dove al centro c’è la dignità dell’essere umano e la difesa della natura per le future generazioni, e non una Europa di burocrati che generano delle leggi assurde e che allontano i cittadini dal concetto di una vasa comune. La nostra società ha come base del vivere civile la cultura della vita e non della morte. Questa è la mia speranza che non prevarranno mai perché il loro nulla non prevarra sul nostro essere anche se il nostro animo oggi è ferito la delicata speranza di racconta sempre di domani migliore
Favria 17.07.2016 Giorgio Cortese
Nella vita di ogni giorno la speranza guizza tra le dita leggera e vibrante palpita, fa tremare la pelle. La sento li come un orologio fermo da troppo tempo che d’improvviso ricomincia a ticchettare.
Res Gestae Favriesi, 1911
Con il Consiglio Comunale del 10 settembre, denominato sessione d’autunno viene aumentato lo stipendio della maestra Chiri Giulia, insegnante delle classi IV e V elementare da lire 350 a lire 400. Il Parroco richiede all’Amministrazione Comunale dei contributi per restauri della Chiesa Parrocchiale. Nominata maestra comunale Borgialli Domenica. Verso la fine di quell’anno precisamente il 31 dicembre nell’ordine del giorno del Consiglio Comunale viene proposta una nuova strada d’accesso alla stazione
Favria, 18.07.2016
Durante la giornata quando ho l’animo calmo e tranquillo, in quel momento, solo per un momento, sono certo di aver catturato la felicità. E forse non mi rendo conto che il germe della serenità che mi rende felice è sempre dentro il mio animo
Portunali e la porta alla fine della vita .
I Portunali erano nell’antica Roma la festa dedicata al dio Portuno, protettore dei porti, assimilabile a Palemone, figlio umano di Ino Leucotea, diventato in seguito il dio protettore dei giochi istmici in Grecia. In ogni caso il rito viene celebrato in Roma presso il Ponte Emilio, attuale Ponte Rotto. Pare che il lemma latino portus e porta, dai quali viene il nome del dio, sarebbero eredi di una radice insoeuropea prtu ed il nome del dio Portuno, era in origine degli attraversamenti d’acqua, cioè dei guadi e tale interpretazione risalirebbe ai tempi in cui gli antenati dei latini vivevano in villaggi palafitticoli nell’area centro-europea. In quel contesto, l’accesso al villaggio sarebbe stato contemporaneamente un porto, per l’attracco delle imbarcazioni, e una porta per l’entrata al villaggio. Nell’iconografia Portuno veniva rappresentato con le chiavi in mano, in quanto protettore delle porte, infatti gli antichi romani portavano le chiavi al Foro, per un sacrificio di espiazione. In ogni caso le chiavi avrebbero avuto una parte nella festa, forse come simbolo della casa da purificare. Nell’Eneide, Portuno viene invocato da Cloanto durante la gara delle navi e il dio risponde spingendo la nave in avanti. Questo parlare di porte mi porta a pensare che a volte nella vita l’infinito è in fondo al corridoio e la chiave è sulla porta. La vita di ogni giorno potrei rappresentarla come ad un corridoio che che conduce a una porta. Ogni giorno procedo, passo dopo passo, con molta esitazione perché quell’uscio è il simbolo della morte. Quando arriverò finalmente davanti alla porta, sono convinto che in quella porta ci sarà la mia chiave che mi permetterà di spalancare quella porta e di scoprire che, di là, si apre l’orizzonte dell’infinito e dell’eterno. Certo il pensiero può fare fremere l’animo, ma se ci pensiamo bene, tutto il nostro quotidiano agitarsi è quello di avvicinami lentamente a quella porta.
Favria 19.07.2016
Quando ho la mente serena nella giornata tutto è possibile.
La setta degli Assassini.
Con questo nome, Assassini venivano designati nel XII, nell’Europa cristiana, i seguaci del “Vecchio della montagna”, misterioso personaggio vivente in un castello inaccessibile tra le montagne di Siria, circondato da uno stuolo di fedeli fanatici, che egli, dopo averli inebriati con una bevanda aromatica, introduceva in giardini e sale piene di delizie, dando loro a credere di trovarsi nel paradiso e poi, addormentatili con la stessa bevanda, faceva metter fuori dal suo castello, dicendo loro che, se volevano riacquistare il paradiso perduto, dovevano sacrificare la vita in qualunque impresa egli avesse loro comandata: resili per tal modo schiavi del suo volere, li impiegava a uccidere a tradimento i suoi nemici. La più completa notizia del Vecchio della montagna e dei suoi Assassini si ha in Marco Polo, dove la grafia più sicura è asciscin; altri testi medievali dànno le forme assacis, chazisii, Più tardi la parola assassino ha assunto il significato generico di omicida, e come tale si trova già in Dante nell’Inferno. Le fonti orientali, arabe, persiane e anche cinesi, illustrano il carattere e la storia degli Assassini. Si tratta di una diramazione degli eretici musulmani Sciiti detti Ismailiti, della quale fu iniziatore il persiano al-Ḥasan ibn as-Sabbah, agente della propaganda dei Fāṭimidi di Egitto. Recatosi per ragioni del suo ufficio in Egitto, ne ritornò partigiano convinto di Nizār, pretendente alla successione all’imanato contro il fratello e si fece propagatore in oriente delle pretese di lui, divenendo nel 500 ègira, nel 1107 d. C., gran maestro di questa setta in Persia. Fin dal 1090 d. C., egli si era impadronito di Alamut, fortezza in posizione formidabile, che divenne il centro della sua potenza, e, conquistati poi altri luoghi forti in Persia e nella Mesopotamia e Siria settentrionali, organizzò saldamente la setta, combattendo con successo i sovrani musulmani ortodossi, specialmente i Selgiuchidi. I seguaci di al-Ḥasan e dei suoi successori sono chiamati dagli autori musulmani con varî nomi relativi a Sciiti credenti in una dottrina esoterica. Rarissimo è l’uso del nome che allude all’uso del ḥashish, droga inebriante atta a produrre gli effetti, analoghi a quelli dell’oppio, che si è detto essere serviti al Vecchio della montagna per fingere ai suoi fedeli le gioie del paradiso. Questo nome, che dovette essere usato popolarmente e che, nell’uso letterario, ha dato origine al vocabolo europeo Assassini, mentre il nome di “Vecchio” deriva da un equivoco sul significato dell’arabo shaikh “vecchio” e “capo”. Del resto le fonti orientali stesse riferiscono il racconto dell’inebriamento e citano altresì, a prova del potere assoluto che il capo degli Assassini aveva sui suoi seguaci. C’è da ricordare che a quel tempo e non solo allora l’assassinio per fini politico-religiosi era comunemente ammesso nella dottrina di questa setta e una delle prime e più illustri vittime ne fu il celebre ministro dei Selgiuchidi, Niźam al-Mulk e altri omicidî seguirono più tardi con impressionante frequenza. Corrado di Monferrato, principe di Tiro, e Raimondo I, conte di Tripoli, caddero sotto i colpi dei loro sicarî e lo stesso Saladino sfuggì solo per caso a un attentato. I Selgiuchidi, specialmente Malik Shāh e suo figlio Muḥammad, cercarono invano di snidare gli Assassini dalle loro ben munite fortezze. L’ultimo capo, Rukn ad-din, non fu in grado di resistere all’impeto dei Mongoli, il cui khan Hulagu espugnò Alamut nel 1256 d. C., e, fatto prigioniero Rukn ad-dīn, lo fece mettere a morte. La potenza politica degli Assassini non risorse più, e gli avanzi di questi settarî si confusero con il resto degli Ismailiti. Le dottrine teologico-politiche degli Assassini erano esposte in un’opera persiana, oggi perduta, ma della quale rimangono citazioni presso scrittori musulmani. Salvo il riconoscimento dell’imanato in Nizar e alcune lievi differenze nei particolari, esse sono simili a quelle degli Ismailiti , dei quali accentuano il principio fondamentale della sottomissione assoluta all’autorità rivelata senza lasciare alcun posto all’uso del raziocinio: questa dottrina ci spiega la devozione fanatica degli Assassini ai loro capi e il carattere di cupo fanatismo della loro condotta. Attualmente i Nizariti sono la principale setta degli Ismailiti, una corrente dell’islam sciita e seguaci dell’Aga Khan.
Favria, 20.07.2016 Giorgio Cortese
Certi giorni mi pare di viaggiare senza sapere chi sono, senza vedere l’essenza delle cose, ma solo l’apparenza e dove la linfa che mi nutre è il condizionamento.
Ubbia.
L’ubbìa consiste nell’indicare in un preconcetto completamente infondato, talvolta una superstizione, che ingenera timore, diffidenza, avversione. Non conosco l’etimologia di questo termine, per alcuni è una derivazione latina da oblivia, cioè “cose cadute nell’oblio”, per altri deriva da lubido, capriccio, ma sono ipotesi poco attendibili. Ciò che è certo è che le prime attestazioni di ubbìa sono vecchie più di sei secoli. Ma allora dove sta la forza di questa parola? Il pregiudizio privo di una giustificazione razionale e la superstizione sono fenomeni pervasivi e nocivi. Il lemma permette di indicarli in maniera più fredda e distaccata proprio perché non ha la consuetudine di sinonimi come pregiudizio o superstizione, parole incandescenti. E poi il lemma ubbia è aulico e ricercato e avvolge il giudizio di autorevolezza, e poi il suono buffo contribuisce allo stesso tempo a smorzarne il tono, senza che però l’intensità del significato ne risenta. Quindi posso parlare di ubbie di certe persone ignoranti ed arroganti, perché nel mondo ci sono più ubbìe sulla terra che uccelli in cielo, senza mai confondere l’ubbioso col dubbioso,che tendenzialmente è tutt’altro che ubbioso.
Favria, 21.07.2016 Giorgio Cortese
Il mio pensiero va a tutte quelle persone che ogni giorno con mille sacrifici e difficoltà vanno avanti. Persone che ammiro tantissimo, che rispetto ad ogni costo, ho una grande stima di loro, perché son loro i veri eroi, son loro le persone speciali.
La futuristica insalata Caprese
La Caprese è semplice da realizzare, perfetta per ogni occasione, l’insalata caprese è tra i piatti principali che amiamo gustare durante l’estate. Ma, oltre a essere fresca e saporita, la Ricetta della Caprese nasconde anche un’origine davvero particolare. Dovete sapere che l’insalata Caprese è un secondo piatto partenopeo che, come suggerisce il nome, ha le sue origini nella bellissima Isola di Capri. Sulla sua storia, così come accade per molti dei piatti tipici del nostro paese, esistono diversi miti e leggende. Ma la vicenda più accreditata sull’origine di questa deliziosa insalata, riporta la nascita del piatto durante il secondo dopoguerra. Molti sostengono che la Ricetta della Caprese debba la sua nascita a un muratore particolarmente patriottico, il quale amava racchiudere i colori del nostro tricolore all’interno di un panino: basilico, pomodoro e mozzarella andavano così a farcire una morbida pagnotta di pane da gustare durante la pausa pranzo. Tuttavia esiste una prova storica antecedente a questo vicenda, che collocherebbe l’inizio della storia della Caprese intorno agli anni ‘20, quando la ricetta del piatto fece la sua comparsa nel menù dell’Hotel Quisisana di Capri. Si dice, infatti, che la Caprese facesse parte di una cena futurista, organizzata per il fondatore di questo movimento storico-culturale, Filippo Tommaso Marinetti. Al fine di stupire il poeta, che più di una volta si era scagliato contro la cucina tradizionale, si diede vita a questa particolare insalata che, oltre a rappresentare l’Italia nei colori e negli ingredienti, si contrapponeva alla classica pasta che lo stesso Marinetti definiva “passatista di pesantezza”. E non finisce qui: a quanto pare, secondo le cronache cittadine, la caprese fu anche la protagonista di una vicenda che coinvolse, addirittura, il Re Farouk, sovrano d’Egitto. Nel 1951, il sovrano si recò in visita a Capri con la famiglia e in un pomeriggio assolato, dopo la richiesta di un pasto veloce che potesse placargli la fame, ebbe l’occasione di assaporare un fragrante panino farcito con pomodoro, mozzarella e basilico. Inutile dire che, anche un nobile palato come quello del re Farouk, rimase esatasiato dall’incontro di questi tre sapori tutti nostrani!
Favria 22.07.2016 Giorgio Cortese
Le grandi menti parlano di idee; le menti mediocri parlano di eventi; le piccole menti discutono di persone.“ Eleanor Roosevelt
EMERGENZA SANGUE IN PIEMONTE: appello della Fidas ADSP alla donazione per tutti i donatori di sangue
COMUNICATO STAMPA
Il bisogno di sangue non va in vacanza; con l’arrivo della stagione estiva in Piemonte torna l’emergenza sangue.
Da alcune settimane i Centri Trasfusionali della Città della Salute e della Scienza di Torino, in collaborazione con le Associazioni di Donatori di Sangue del Piemonte, segnalano una grave carenza di sangue.
Nonostante la buona risposta dei volontari ai numerosi appelli, la situazione resta ancora molto critica a causa di emergenze contingenti che si aggiungono all’ordinario fabbisogno e alla difficoltà nel reperire donatori a causa del periodo estivo (caratterizzato anche dalle numerose partenze per le vacanze).
La FIDAS ADSP Onlus, anche questa volta, è in prima linea per fronteggiare l’emergenza.
L’appello, rivolto principalmente ai donatori periodici, è quello di recarsi a donare prima di partire per le vacanze.
Anche i nuovi donatori possono però dare il loro prezioso contributo, infatti è proprio in momenti come questi che iniziare a donare vuol dire contribuire a salvare vite.
I requisiti principali per poter donare sono: avere un’età compresa tra i 18 ed i 65 anni, peso maggiore di 50 kg e godere di buona salute.
Tutti i nuovi donatori saranno sottoposti ad un primo prelievo per verificare l’idoneità alla donazione; una volta ricevuto l’esito positivo i candidati donatori potranno inziare a donare.
La FIDAS ADSP è presente, grazie all’impegno di numerosi volontari, su tutto il territorio regionale, mentre la sede centrale è a Torino in Via Ponza 2.
Vi a spettiamo a Favria venerdì 12 agosto ore 8,00 – 11,20 cortile interno del Comune e per maggiori informazioni e per trovare il punto prelievi più vicino consultare il sito www.fidasadsp.it