Schiavi in fuga 1848! – La leggenda dell’albero di Natale. – La leggenda del bastoncino di zucchero. – La notte di Natale – Nella Tua grotta…- La mattina di Natale. – Santo Stefano. – ’l quint pian da fité – Le lenticchie! – La sciarpa azzurra. – Hogmanay e il valzer delle candele. – Auguri e sarouma boutega 2022! LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Schiavi in fuga 1848! 
Nel XIX secolo molti schiavi degli Stati Uniti, in particolare quelli che vivevano negli stati più

meridionali, tentarono coraggiosamente di fuggire verso la libertà che li attendeva nel nord abolizionista del Paese. In migliaia ricorsero alla cosiddetta ferrovia sotterranea, una rete di percorsi segreti e nascondigli che si estendeva attraverso gli stati settentrionali fino al Canada. In molti casi la fuga avveniva di notte per evitare le pattuglie di schiavisti e delle autorità locali. Qui vi narro la storia di Ellen Craft e suo marito William che invece fuggiro in pieno giorno. Ellen era nata nel 1826 a Clinton, in Georgia, uno degli stati con la maggior popolazione di schiavi del Paese. Suo padre, il maggiore James Smith, era bianco e fu il suo primo proprietario. Sua madre Maria era afroamericana e schiava di Smith. Ellen aveva la pelle chiara e somigliava molto al padre e ai suoi figli legittimi, tanto che veniva spesso scambiata per una di loro. Si dice che fu proprio questa somiglianza che spinse il suo proprietario a cederla, all’età di undici anni, a un’altra delle sue figlie come regalo di nozze. La giovane schiava si trasferì così a Macon, a circa venti chilometri da dove era nata, per lavorare come serva della sorellastra. Qui Ellen conobbe l’uomo che sarebbe diventato suo marito, William Craft, nato in Georgia rurale nel 1824. Tutti i membri della sua famiglia appartenevano allo stesso proprietario, che li aveva crudelmente separati durante l’infanzia perché erano troppo vecchi per lavorare nella piantagione. William da ragazzo aveva imparato a lavorare come ebanista ed eccelleva nel mestiere e il nuovo proprietario lo dava in affitto come falegname ad altri schiavisti, trattenendo per sé quanto ricavava dal suo mestiere, lasciandogli solo una piccola parte. William sposò Ellen nel 1846 e temevano di vedersi portare via i loro eventuali figli. L’unico modo per costruire una famiglia era fuggire negli stati del nord, e nel 1848 i Craft elaborarono un piano per ingannare i negrieri e le loro pattuglie, viaggiando verso nord di giorno, approfittando della pelle chiara di Ellen. Ellen si tagliò i capelli corti indossando abiti maschili, con un cappello a cilindro, occhiali scuri per nascondere la paura che qualcuno potesse smascherarli durante il viaggio. Nessuno dei due sapeva leggere né scrivere, perché in Georgia queste attività erano vietate agli schiavi e allora Ellen decise allora di fasciarsi il braccio, per avere una scusa nel caso qualcuno le chiedesse di firmare dei documenti per viaggiare o dormire da qualche parte. Se le avessero domandato perché andava a nord, avrebbe risposto che doveva farsi visitare il braccio da uno specialista. Il 21 dicembre 1848 Ellen e William andarono cosi travestiti alla tazione di Macon e presero un treno per Savannah. Una volta sul treno, Ellen finse di essere sorda per non dover conversare con le persone. Quando arrivarono a Savannah, presero il piroscafo diretto a Charleston, in South Carolina e William come schiavo non aveva diritto a un posto a sedere a bordo, e trovò un angolo vicino al fumaiolo e si sedette lì fino al mattino successivo. Il capitano della nave mise in guardia Ellen, travestita da uomo che gli spietati abolizionisti degli stati del nord che avrebbero cercato di convincere William a scappare. Un commerciante schiavi fece un’offerta per acquistare William e un militare la rimproverò per aver detto grazie al proprio servo. A Charleston i due presero un altro piroscafo per Wilmington e da lì proseguirono per Richmond. Quando arrivarono a Baltimora, nel Maryland, il 24 dicembre 1848, erano a una sola fermata di treno dalla libertà, rappresentata dalla Pennsylvania. Qui i due appresero che i controllori non permettevano agli schiavi di viaggiare a Filadelfia. Uno di loro li trattenne provvisoriamente a Baltimora, per verificare che William fosse davvero di proprietà di Ellen, ma sentendo che il treno era in partenza e notando la fasciatura del gentiluomo, decise di lasciarli andare. Il giorno di Natale la coppia arrivò finalmente a Filadelfia dove si trasferirono in una comunità nera di Boston, un polo di attività abolizioniste. Ben presto diventarono portavoce di spicco del movimento abolizionista e viaggiarono in tutto il New England per denunciare gli orrori della schiavitù nel sud del Paese. L’inizio della loro vita a Boston sembrava promettente. William tornò a essere un apprezzato ebanista ed Ellen trovò lavoro come sarta, ma l’approvazione della legge sugli schiavi fuggitivi del 1850 complicò la loro situazione. La legge proibiva ai residenti degli stati liberi come il Massachusetts di ospitare o aiutare gli schiavi in fuga. Autorizzava anche gli agenti federali ad arrestare gli schiavi e rimandarli al sud senza processo. Per chi catturava sospetti schiavi in fuga erano previste laute ricompense. Due cacciatori di taglie di Macon tentarono di arrestare William ed Ellen, ma i due furono protetti da un gruppo interrazziale denominato Boston Vigilance Committee, che li fece spostare in varie case sicure nei dintorni della città per evitare che fossero catturati. Il rischio rimaneva comunque troppo alto, così Ellen e William decisero di trasferirsi a Londra, dove divennero leader e portavoce del movimento abolizionista locale. Dopo quasi vent’anni in Inghilterra, e ormai genitori di cinque figli, i Craft tornarono in Georgia. Si stabilirono vicino a Savannah e aprirono una scuola rurale per istruire gli schiavi liberati in virtù del proclama di emancipazione del 1863, emanato dal presidente Lincoln durante la Guerra di secessione.
Questa storia è tratta da “Uno schiavo americano.” Resoconto di una vita di Frederick Douglass. Mattioli 1885, Fidenza, 2021.

Favria, 21.12.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. È Natale ogni volta che dal poco che abbiamo traiamo il tanto per donarlo. Guardiamoci intorno e cerchiamo un bisogno dove poter essere silenziosa carità. A volte basta poco per rallegrare i cuori. Felice  mercoledì

La leggenda dell’albero di Natale.

C’era una volta un boscaiolo, che era sposato con una giovane donna che amava molto. Siccome la amava molto ci teneva che lei avesse cose buone da mangiare e una casa sempre calda e quindi passava molto tempo nei boschi a tagliare la legna, un po’ per rivenderla e un po’ per scaldare la sua casa, che aveva un bel camino di pietra. La sera di Natale stava tornando a casa tardi come al solito e vide, alzando lo sguardo, un bellissimo abete alto e maestoso. Stava prendendo le misure per vedere se poteva tagliarlo quando si accorse che tra i suoi rami, nella notte che era buia che più buia non si può, riusciva a scorgere le stelle e che la luce di queste sembrava brillare proprio dai rami. Affascinato da questo spettacolo decise in quel momento due cose: la prima era che avrebbe lasciato il vecchio abete lì dove stava e la seconda che doveva far vedere alla moglie questo bellissimo spettacolo: tagliò allora un abete più piccolo, lo portò davanti alla casa e lì accese delle piccole candele che mise sui rami (senza dar fuoco all’albero accidentalmente). La moglie del boscaiolo, dalla finestra, vide l’albero così illuminato e se ne innamorò al punto da lasciar bruciare l’arrosto. Da quel momento in poi la bella moglie del boscaiolo volle sempre avere un abete illuminato per Natale e i vicini, trovandolo bellissimo a guardarsi, imitarono presto il boscaiolo. Quest’uso poi si estese e l’albero di Natale divenne uno dei simboli del Natale.

Favria, 22.12.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. L’inverno non sarà mai freddo per chi porta il Natale nel cuore. Felice giovedì.

La leggenda del bastoncino di zucchero.

Il famoso bastoncino della leggenda è fatto di zucchero, ha il sapore di menta ed è bianco a strisce rosse. La leggenda narra che un dolciaio lo creò per ricordare Gesù alle persone. Tale bastoncino racchiude in sé molti significati: Il caramello, di cui è fatto il bastoncino, rappresenta Gesù come la roccia solida su cui sono costruite le nostre vite. La forma a “J” sta per Jesus (Gesù) oppure rappresenta la forma di un bastone da pastore (Gesù è il nostro pastore). Il colore bianco rappresenta la purezza e l’assenza del peccato. Le strisce rosse grandi rappresentano il sangue di Cristo versato per i nostri peccati. Le strisce sottili invece rappresenterebbero i segni lasciati dalle frustate che Gesù ricevette dai soldati romani per ordine di Ponzio Pilato. l sapore di menta piperita ricorda il sapore dell’issopo che è una pianta aromatica usata nel vecchio testamento per purificare.

Favria,  23.12.2022   Giorgio Cortese

Buona giornata. Abbracciate le emozioni, Natale è vicino. Felice venerdì

La notte di Natale

La notte di Natale non è soltanto il momento dei doni, è anche la notte dei
desideri. Si evoca il ritorno della luce nei giorni più bui dell’inverno. E se devo
esprimere un desiderio, è quello di sentire con me in questa notte le persone che
non ci sono più, che mi hanno fatto compagnia a lungo nella vita o anche soltanto
per qualche momento. Persone con cui ho avuto l’onore di vivere vicino o soltanto di prendere un caffè con loro. Persone che erano in armonia con gli esseri umani e la natura e che mi hanno insegnato tanto, partendo dai miei genitori fino ad arrivare agli amici che mi leggono. Che il Natale possa portare armonia, pace e serenità a tutti voi. Lasciate che la luce del Santo Natale brilli nei vostri animi.  Le cose più belle della vita si trovano nelle persone speciali e se amate il Natale portate sempre con voi tutto l’anno nel cuore   l’albero e non importa cosa ci troverete sotto, ma chi troverai intorno, per ogni sorriso per ogni abbraccio ci sarà un dono e il cuore si scalderà… d’amore… Buon Natale dove tutto  diventa possibile, anche una  rinnovata speranza.

Favria, 24.12.2022  Giorgio Cortese 

Buona giornata. Con infinito affetto Vi auguro il più bel Natale che Voi possiate desiderare! Felice sabato

Nella Tua  grotta…

Nella Tua grotta, in un angolino

Vorrei nascondermi, Gesù Bambino,

per non vedere il mondo di fuori

or così afflitto da grandi dolori

e per pregarTi con tutto il cuore

di far tornare la pace e l’amore

su questa terra tormentata

che di Te si è dimenticata.

Manda la luce della cometa

per indicarci la vera via,

che ci ricordi che siam fratelli

incamminati verso una meta.

Noi Ti invochiamo, e così sia.

La mattina di Natale.

Nella stanza la stufa accesa scoppietta lasciava salire verso l’alto piccole fiammelle.  In cucina intensi profumi si mescolavano; i vetri erano appannati.  Fuori faceva molto freddo.  Ed io piccolo curioso volevo vedere  cosa c’era sopra quel grande tavolo di legno scuro. La mamma e la nonna stavano preparando qualcosa di speciale. Noto nell’angolo un piccolo sgabello, lo  avvicino al tavolo per salire e …che meraviglia!!!  La mamma e la nonna stanno preparando il pranzo di Natale, io indeciso tra aiutali ed assaggiare opto per questa ultima opzione

È la mattina di Natale!  Quanti doni ha portato Babbo Natale! Mi stropiccio gli occhi  prendo i regali in fondo al letto corro in cucina. Evviva!  Che teneri ricordi  della mia infanzia felice.

Favria, 25.12.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Il Natale è un percorso; il tratto più prossimo intravede il lieto arrivo e alleggerisce la stanchezza accumulata per cui ne sarà valsa la pena. Il Natale è una ripartenza tanto più qualificante quanto maggiormente è determinata da origini solide, mete attendibili e compagnie affidabili per quanto queste ultime possano essere talvolta incomplete. Tanti auguri di Buon Natale e felice domenica.

Santo Stefano.

Non vi siete mai domandati perché il giorno dopo Natale si festeggia Santo Stefano.  Per molti è il giorno degli avanzi del dopo pranzo di Natale, un giorno di festa quando studiavo o andavo a scuola. Insomma un momento da trascorrere in famiglia per rilassarsi dopo i giorni più intensi delle feste o per organizzare una gita fuori porta. Il giorno di Santo Stefano si ricorda il primo martire del cristianesimo secondo il Nuovo Testamento. Infatti, intorno all’anno 36 d.C. Stefano fu accusato di blasfemia e condannato alla lapidazione. La celebrazione liturgica di Santo Stefano è da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio. Il giorno di Santo Stefano è una festa nazionale in Austria, Città del Vaticano, Croazia, Danimarca, Germania, Irlanda, Italia, Romania, San Marino e Svizzera italiana. L’Italia rese il 26 dicembre un giorno festivo nel 1947, ma non su richiesta della Chiesa cattolica. Ciò semplicemente per prolungare le vacanze di Natale con due giorni festivi consecutivi. In Irlanda questo giorno è chiamato “Lá Fhéile Stiofán” o “Lá an Dreoilín”. Il secondo nome è la traduzione letterale di un termine inglese, “The Day of the Wren” o “Wren Day”. “Wren” significa “scricciolo”. Il nome allude ad alcune leggende che collegano episodi della vita di Gesù all’immagine di un passero. In alcune parti dell’Irlanda, le persone vanno di casa in casa suonando canzoni, ballando e cantando e portando con sé l’immagine di uno scricciolo, o un vero scricciolo in gabbia.  In Puglia dal 1394 si dà inizio al “Carnevale più lungo del mondo” con la Festa delle Propaggini. Per l’occasione è allestito un palco nella piazza centrale dove si esibiscono gli artisti di strada. Il 1394 è l’anno in cui vennero traslate alcune reliquie di Santo Stefano dall’Abbazia di Monopoli a Putignano, dove ancora oggi sono conservate, nella chiesa di Santa Maria La Greca. Stefano in greco significa il coronato, patrono dei diaconi. Il suo principale attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli. Inoltre, è anche patrono dei tagliapietre e dei muratori.

Favria, 26.12.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. La speranza sorride alla soglia dell’anno che viene e sussurra: “Andrà meglio”. Felice lunedì

’l quint pian da fité”

Parlando con degli amici di persone zuccone, ci sono poi quelli sono la dimostrazione di essere delle teste vuote, e di avere “’l quint pian da fité”. Curiosa questa espressione, nata sul finire del Seicento, quando Torino, capitale del ducato sabaudo, stava vivendo un effervescente periodo di grandi ampliamenti urbanistici, con l’intervento di architetti di fama internazionale. L’architetto di corte Amedeo di Castellamonte, cui si deve il tracciato della Contrada di Po, ora Via Po, inaugurata nel 1674, aveva disposto che i palazzi dell’aulica arteria diagonale che collegava Piazza Castello alla Porta di Po non potessero superare i 16 ‘trabucchi ‘ di altezza (pari a circa 18.50 metri) e non dovessero elevarsi per più di cinque piani. Le unità al piano cortile erano adibite ad attività artigiane; gli appartamenti al primo piano erano destinati alla nobilità, da cui l’espressione piano nobile, e alle famiglie aristocratiche; man mano che si saliva, si passava alle classi borghesi e alla servitù. Tutte le classi sociali erano infatti rappresentate nello stesso palazzo, con una curiosa e rispettosa convivenza di cittadini di ogni rango ed estrazione demografica e culturale.  Gli appartamenti degli ultimi piani, considerati dai proprietari dei palazzi come unità immobiliari da reddito, erano decisamente più spartani e più scomodi da raggiungere: erano pertanto destinati alle famiglie meno abbienti e più popolari, e spesso rimanevano a lungo sfitti. Da qui la citata espressione “avèj ’l quint pian da fité”, avere il quinto piano, l’ultimo, sfitto.

Favria,  27.12.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. In quale luogo misterioso è finita tutta la luce dell’anno? La corrente dei giorni luminosi si è prosciugata e le  brevi mattine cadono subito nella notte. Felice mercoledì.

Le lenticchie!

“Meglio un piatto di lenticchie di un panino al prosciutto”, recita il detto. Sarà vero? Se dal punto di vista del gusto ognuno potrebbe dare la propria risposta, per quanto riguarda la salute sì, è vero. Le lenticchie sono un alimento nutriente e tra i più sani a disposizione, e su questo gli scienziati sono tutti d’accordo. Attenzione: sono sane anche per l’ambiente, oltre a costare meno di tanti altri prodotti. Insomma: promozione a pieni voti per un legume che non per niente scodelliamo nei nostri piatti da diversi millenni. Le lenticchie sono tra i primissimi legumi a essere consumati e coltivati dall’uomo. Le prime tracce si fanno risalire alla Mezzaluna fertile, e se ne trovano testimonianze anche nella Genesi, nel famoso episodio di Esaù che, si legge, proprio per un piatto di lenticchie cedette il diritto di primogenitura al fratello Giacobbe. Pare, inoltre, che dall’antico Egitto partissero regolarmente navi cariche di lenticchie verso i porti greci e italici. Certo è che venivano apprezzate sia ad Atene che a Roma, tanto che l’autore latino Plinio il Vecchio, nella sua opera Naturalis Historia, le cita come alimento dal grande valore nutritivo e capace di infondere tranquillità nell’animo. Sembra addirittura che l’obelisco del colonnato di Piazza San Pietro a Roma, portato nella città eterna per volere dell’imperatore Caligola, abbia attraversato il Mediterraneo protetto da un gigantesco carico di lenticchie. Sin dal Rinascimento sono simbolo di prosperità e denaro, tanto da attribuire loro il potere di portare soldi, soprattutto se mangiate a cavallo del nuovo anno. Tradizione in voga anche oggi. Il motivo? Sarebbe da ricercarsi nel fatto che, a parità di peso con altri legumi, le lenticchie sono molte di più, simbolo, per questo, di un maggior numero di monete d’oro guadagnate durante l’anno successivo. Nella cultura ebraica, invece, simboleggiano il ciclo della vita per via della loro forma rotonda. Quel che si mangia sono i semi della Lens culinaris, della famiglia delle Fabaceae. È una pianta annuale, coltivata in diversi paesi in tutto il mondo, ma che non si trova praticamente più allo stato selvatico. Oltre che in Europa, principalmente nei paesi meridionali e orientali come Italia, Grecia e Cipro, la lenticchia si produce in Asia Minore e Centrale, nel Vicino Oriente, Canada e Australia. In Italia sono coltivate praticamente in tutte le regioni con un’antica tradizione in Sicilia, Abruzzo e Umbria. Si adatta bene anche a zone semiaride, terreni poco fertili, zone montane, e ha una buona resistenza agli attacchi dei parassiti. Inoltre è preziosa nella rotazione delle colture. Come tutti i legumi, infatti, le lenticchie sono ricche di proteine, più di cereali, frutta e verdure. E queste proteine contengono tutti gli aminoacidi fondamentali per il nostro organismo ad eccezione di un piccolo gruppo, gli aminoacidi solforati, che però sono abbondanti in cereali come riso, grano e mais. Perciò basta abbinarle ai cereali, per esempio in una zuppa. Sono presenti anche oligosaccaridi che nutrono la flora intestinale e la mantengono sana.  Infine, la pianta delle lenticchie restituisce azoto al terreno che lo può aver perso per esempio nella coltivazione del grano. A lungo termine questo significa minor impiego di fertilizzanti e di conseguenza benefici per l’ambiente. 

Favria, 28.12.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Quello che conta nella vita è quello che abbiamo dentro di noi, non il colore della nostra pelle. Felice mercoledì

La sciarpa azzurra.

L’origine di questo capo dell’uniforme degli Ufficiali sembra risalga al 1366, quando il Conte Verde, Amedeo VI di Savoia, volle che sulla sua nave ammiraglia sventolasse, accanto allo stendardo rosso-crociato in argento dei Savoia, una grande bandiera azzurra in omaggio alla Ss. Vergine. Da quel periodo gli Ufficiali portarono annodata in vita una fascia o sciarpa azzurra. Tale uso venne reso obbligatorio per tutti gli Ufficiali nel 1572 dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia. Attraverso diverse modifiche nel corso dei secoli divenne la principale insegna di grado dell’Ufficiale. Sotto il regno di Carlo Emanuele II, il Regolamento stabilì, in data 24 febbraio 1750, che la sciarpa dovesse essere a strisce azzurre e oro, completata alle estremità da due fiocchi dorati, con la striscia centrale dorata che si assottigliava ed il fiocco che si rimpiccioliva a seconda dei gradi, scendendo a ritroso la scala gerarchica, verso i gradi inferiori. Nel 1775 Vittorio Amedeo III modificò la sciarpa per i Tenenti Colonnelli e i Maggiori, dividendola in tre strisce uguali, di cui la centrale rigata in azzurro, mentre per gli Ufficiali inferiori vi erano sottili distinzioni a seconda del grado. Sotto Vittorio Emanuele I, il regolamento dell’8 novembre 1814 stabilì che la sciarpa fosse gialla cosparsa in file parallele di puntini azzurri, rimanendo invariata per gli Ufficiali Generali, cioè in maglia dorata a puntini azzurri. Dal 25 giugno 1833 si stabilì che la sciarpa fosse portata distesa attorno alla vita, con il nodo sul fianco sinistro, mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore, gli Aiutanti di campo e gli Ufficiali applicati alle divisioni dovevano portarla ad armacollo da destra a sinistra. Dal 4 marzo 1843 la sciarpa si dovette portare arrotolata e non distesa in vita, per non celare la cintura. In data 25 agosto 1848 fu prescritto il colore turchino per tutti i gradi, tranne il fiocco. Essa veniva indossata ad armacollo dalla spalla destra al fianco sinistro, mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore e gli Aiutanti di campo dovevano portarla ad armacollo al contrario. La sciarpa azzurra divenne definitivamente un distintivo di servizio e non di grado in data 9 ottobre 1850, uguale per tutti i gradi, in tessuto color turchino con i fiocchi del medesimo colore. I due capi della sciarpa erano uniti da un passante cilindrico o “noce” in tessuto di seta turchina. La sciarpa azzurra, ancora oggi simbolo distintivo degli Ufficiali delle Forze Armate italiane, può dunque vantare un’origine tanto antica quanto ineguagliata.

​Favria, 29.12.2022  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ora guardiamo verso nuovi orizzonti, nuovi sogni da realizzare, nuove scelte da eseguire, consapevolezze, gioie e amore. Felice giovedì e buon  2023 a tutti.

Hogmanay e il valzer delle candele.

Hogmanay rappresenta la festa per l’ultimo giorno dell’anno in Scozia ed ha radici antichissime. Questa giornata infatti rientrava nelle celebrazioni pagane dei i Dodici Giorni insieme a quella di Yule. Nella tradizione germanico pagana Tule era la festa del solstizio d’inverno, anticamente celebrata verso il 21 dicembre. Yule è la variante inglese del norreno Jól e del tedesco Jul. L’etimologia della parola non è chiara. È diffusa l’idea che derivi dal norreno Hjól, ruota, con riferimento al fatto che, nel solstizio d’inverno, la ruota dell’anno si trova al suo estremo inferiore e inizia a risalire. I linguisti suggeriscono invece che Jól sia stata ereditata dalle lingue germaniche da un substrato linguistico preindoeuropeo. Nelle lingue scandinave, il termine Jul, danese e svedese, Jól, islandese, faroese, e Jol in norvegese, ha entrambi i significati di Yule e di Natale, e viene talvolta usato anche per indicare altre festività di dicembre. Il termine si è diffuso anche nelle lingue finniche per indicare il Natale, in finlandese Joulu, sebbene tali lingue non siano di ceppo germanico. Si festeggia a Capodanno, perché in Scozia il Natale non è stato celebrato in Scozia  per più di 400 anni, fino al 1958, per Santo Stefano bisognerà aspettare addirittura il 1974. Al tempo la Chiesa di Scozia era quasi una setta ed era molto potente tanto da essere riuscita a cancellare praticamente la festività cattolica del Natale. Questo ha fatto sì che a Capodanno si riversasse tutta la voglia di festeggiare. Ed è per questo che le celebrazioni iniziano già dal 30 con la Torchlight Procession. La Torchlight Procession è  la fiaccolata che divampa per le strade di Edimburgo ogni anno il 30 Dicembre. E’ una tradizione antichissima, che si rifà ad antichi riti celtici. Queste feste includevano l’accensione di falò, il lancio di torce e di barili infuocati, poiché il fuoco era, ed è tutt’oggi, simbolo di rinascita e nuovi inizi. Tradizionalmente la pelle degli animali veniva avvolta intorno ad lungo bastone per poi essere bruciata. Si diceva che il fumo così avrebbe allontanato gli spiriti maligni. Anche durante le celebrazioni vichinghe, che celebravano il solstizio d’inverno, palle di fuoco e torce rappresentavano il potere del sole di purificare il mondo. Esiste poi la tradizione della prima persona che varca la soglia di casa, il first footing, dopo la mezzanotte è considerata come portatrice di buona sorte per il nuovo anno. Secondo la tradizione, il first footer deve esser un uomo dai capelli scuri che porti con sè biscotti e whisky. Si dice che questa tradizione risalga al periodo delle invasioni vichinghe perchè i vichinghi erano famosi per fare irruzioni nelle case senza decisamente essere invitati quindi l’arrivo di un uomo biondo avrebbe significato un pericolo imminente.  Ed infine una tradizione di origine piemontese. La canzone Auld lang syne, conosciuto da noi come valzer delle candele è la canzone di Hogmanay per eccellenza e nei paesi anglosassoni si canta per salutare l’anno appena terminato. Nasce proprio in Scozia e pare che a comporla sia stato un piemontese di Pancalieri, allora suddito Sabaudo, Davide Rizzio, segretario e amico, alcuni dicono pure amante di Mary Stuart. La canzone racconta dell’incontro di due vecchi amici che dopo molti anni finalmente si ritrovano, brinando alle esperienze passate e ai tempi andati. Il testo della canzone è un invito a ricordare con gratitudine i vecchi amici e il tempo lieto passato insieme a loro. Il Ceilidh, si pronuncia kay-lee, è il ballo tipico che proviene dall’Irlanda  e dalla Scozia, la parola trae origine dalla parola gaelica, raduno o festa. Il ballo risalea 1875,  sebbene il suo nome derivi dal gaelico; è una combinazione di musica folk scozzese, irlandese e inglese. Viene ballato non solo a Capodanno  ma in occasioni speciali come matrimoni, compleanni e anniversari.Lonny dook la  mattina del 1 gennaio i più spericolati si ritrovano a Southqueensferry, un paesino poco distante da Edimburgo sulle sponde del Firth of Forth, il fiordo marino su cui affaccia anche Edimburgo. Le persone, travestite in maniera un po’ folle, si buttano nelle acque gelate per raccogliere fondi per organizzazioni locali.

Favria, 30.12.2022  Giorgio Cortese 

Buona giornata. Ogni giorno al mattino desidero che per me sia un capoodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Felice venerdì.

Auguri e sarouma boutega 2022!

Buon anno. 365 giorni sono passati, il nuovo anno come sempre porta una ventata di allegria, emozioni, commozione, avvolta nella sfera dell’Universo, la magia! Auguri scintillanti a nuove prospettive della vita, Auguri spumeggianti al corso del nostro tempo, Auguri stellari ad ogni singolo giorno possa donare ad ognuno di noi l’amore e il bene dei nostri cari. Dice una vecchia canzone popolare “La festa a l è faita, e ‘l bal a l è fini, sarouma boutega” . Anche mi sero boutega, e büto al  penel a moei ant’l’acquaragia, fin n’autran. Auguri  e che che la speranza non ci abbandoni mai, ma anzi ci fortifichi, perché si possa porre rimedio allo sfacelo che si sta verificando nel mondo.

Cerea neh. Auguri.

Favria,  31.12.2022 Giorgio Cortese

Buona giornata. Mi auguro soltanto di mantenere quello che ho, al nuovo anno non ho da chiedere niente di più. Felice sabato