La musica del periodo romantico. – Dal boia alla boiada. – Il paese delle aquile. – Est modus in rebus! – Il libro. – Reggere il moccolo. Perde i toc cum an lebrus…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Libertà, emozione, sentimento. La musica del periodo romantico” una lezione con musica e

canto dal vivo, pianoforte con Alerino Fornengo e Giovanni Usai al piano ed Elisabetta Giannone  soprano.
Docente Alerino Fornengo  mercoledì  11 gennaio 2023 ore 15,30 -17,00

Conferenze UNITRE’ di Cuorgnè presso ex chiesa della SS. Trinità –Via Milite Ignoto

Il Romanticismo è stato un movimento artistico, musicale, culturale e letterario sviluppatosi al termine del XVIII secolo in Germania che si afferma nell’Ottocento.  Gli artisti romantici sostengono la superiorità del sentimento e dell’immaginazione rispetto alla ragione: cercano di esprimere nelle loro opere le aspirazioni, le passioni e gli ideali degli uomini. I musicisti utilizzano uno stile diverso, più personale, capace di rappresentare il mondo interiore dell’individuo. La musica è considerata la più adatta a comunicare le emozioni. In quel periodo con il Congresso di Vienna del 1815, ha inizio l’età della Restaurazione, che segna il ritorno delle vecchie dinastie regnanti. In Italia, il Risorgimento porterà all’unificazione nazionale e alla nascita del Regno d’Italia. L’aspirazione alla libertà e la volontà di cacciare l’oppressore straniero sono argomenti che si ritrovano nei melodrammi di Giuseppe Verdi. L’Ottocento conosce invenzioni e scoperte scientifiche: il treno, l’elettricità, la fotografia, il motore a scoppio. In questo periodo nascono le industrie. Con la Rivoluzione Industriale si forma la classe operaia.

Favria, 10.01.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ognuno di noi è artista della propria vita: che lo sappia o no, che lo voglia o no, che gli piaccia o no. Felice martedì.

Dal boia alla boiada.

Il boia è la persona che esegue la sentenza capitale. La parola deriva dal latino: boia laccio, gogna,  per estensione strumento di tortura e successivamente lo stesso carnefice; a sua volta dal greco: boieai strisce di cuoio di bue, con cui erano fatti i lacci e le fruste. Innumerevoli detti ed esclamazioni sono connessi a questa spregevole figura, ormai scomparsa dalle nostre terre ma ancora viva nella memoria della lingua, seppur lentamente si stia addolcendo. da boia arriva la parola boiata, ad esempio, oggi è un’azione più connotata da inopportunità e stupidità, piuttosto che da crudeltà e violenza come originariamente era, cifra dell’esercizio di un potere servile ed abusivo, superiore ma affine a quella del tirapiedi. Secondo altri la parola boiata deriva dal milanese boiada, con il significato di abbaiamento, latrato, derivato da boià variante di baia, abbiarare. Si dice anche baiata, per indicare lo schiamazzo fatto per canzonatura o scherno contro qualcuno. Oppure la sciocchezza che ho scritto senza senso adesso.

Favria, 11.01.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana si cresce grazie alle lascrime e si matura ritornando a ridere. Felice  mercoledì

Il paese delle aquile.

Il termine Albania è di origine incerta. C’è chi dice che provenga dalla radice protoindoeuropea albho-, che indicava il “bianco“, oppure dalla quella alb-, che significherebbe “collina“.  Altri ipotizzano, invece, che derivi dalla tribù illirica degli Albani. Ma c’è una cosa davvero curiosa: gli albanesi indicano la loro terra con il termine Shqiperia. Il nome discende da Shqiponja, cioè da aquila in italiano. Oggi vi narro di una leggenda che racconta proprio il perché del nome albanese di questa terra. Si dice che in un lontano passato un giovane, durante la caccia, vide un’aquila volteggiare sopra di lui serrando nel becco un serpente. Quando questa si allontanò, il giovane si arrampicò sulla cima della montagna e vide nel nido il cucciolo del rapace che giocava con il serpente apparentemente morto. Il rettile scattò di colpo, tentando di uccidere il piccolo aquilotto, ma il giovane fu più veloce e trafisse la bestia con una freccia. Il ragazzo prese con sé il cucciolo e si avviò verso casa, ma fu presto raggiunto dall’enorme aquila che gli promise, come ricompensa se gli avesse restituito il piccolo, l’acutezza dei suoi occhi e la potente forza delle sue ali. Il giovane accettò e crebbe audace e potente, sempre accompagnato dal giovane aquilotto che lo guidava nelle sue imprese. La gente era sbalordita dalle gesta del giovane uomo e decise di incoronarlo re, soprannominandolo Shqipetar , figlio dell’aquila. Fu così  che il suo regno prese il nome di Shqiperi, oTerra delle Aquile. 

Favria, 12.01.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita ciò che è importante raramente è urgente e ciò che è urgente raramente è importante. Felice giovedì

Vivi con quelli che possono renderti migliore e che tu puoi rendere migliori. C’è un vantaggio reciproco, viva la vita se doni la vita. Ti aspettiamo a FAVRIA  MERCOLEDI’ 18 GENNAIO  2023, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Est modus in rebus!

Est modus in rebus, scriveva il poeta latino Orazio latino: la traduzione scolastica conferisce a «modus» il significato di moderazione, giusta misura, limite. Ad essa fa seguito “sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum” (vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto).  La frase è ancora oggi citata quando si vuole richiamare a una saggia moderazione o sollecitare qualcuno al giusto senso della misura. Come dire che nelle cose ci vuole equilibrio, saggezza, normalità. Orazio combatteva gli eccessi, parlava di aurea mediocritas, preziosa via di mezzo. Oggi quello che serve è la moderazione  dal  sostantivo moderatio/onis e dal verbo moderari, entrambi con evidente riferimento al latino modus, misura, limite. La  moderazione è un atteggiamento interiore, prima che esteriore, col quale ci si deve porre di fronte alla vita. Riprendo la frase di Orazio completa: “Est modus in rebus , sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum”.Vi è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto”. Orazio scriveva questo pensiero nelle Satire, ed è un pensiero sempre attuale, la moderazione porta a dare una giusta misura alle proprie scelte, alle proprie azioni e ai propri sentimenti, evitando eccessi e sposando la linea della sobrietà, dell’equilibrio e del rispetto delle persone, dell’ambiente e delle cose. Il primo grande storico e oratore dell’età arcaica, Catone il Censore, ammoniva: “Evita ciò che eccede la misura e ricordati di accontentarti del poco: più sicura è la nave trasportata da una corrente moderata”». Senza che ciò venga inteso come rinunzia all’azione o a una vita vissuta in pienezza e con passione. Proprio perché frutto di faticosa ed esigente vigilanza su noi stessi, la mancanza di moderazione tende spesso a segnare in maniera evidente la storia, a qualsiasi livello. E purtroppo ne abbiamo di esempi, dal linguaggio eccessivo che pervade il mondo dei social, il comportamento, oltre i limiti, di politici che amministrano o dovrebbero amministrare il nostro tempo e promuovere progetti sensati. Sembra che la specie umana sia più propensa a comportamenti eccessivi e compulsivi che a stili di vita moderati. Insomma, si fa meno fatica a cedere agli eccessi, nel cibo, nel bere, nel consumo del tempo libero che a scegliere comportamenti improntati alla moderazione. nella vita di ogni giorno la moderazione è sempre frutto di scelte coraggiose perché come scriveva Montaigne, La grandezza dell’animo non è tanto andare in alto, e andare avanti, quanto saper tenersi al proprio posto e limitarsi.  Di sicuro, non c’è stata moderazione nella scelta descritta nell’episodio biblico che ha avuto come protagonisti negativi Adamo ed Eva. C’è mancanza di moderazione quando si trasforma la partecipazione carica di passione alla vita pubblica in “tifo” per un gruppo, politico, sportivo, religioso, o per un’idea, ignorando quanto scriveva San Girolamo che le virtù esercitate senza moderazione e misura devono essere considerate vizi

Favria, 13.01.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata.  Dicono che il mondo è di chi alza presto. io dico che il mondo è di chi è felice di alzarsi. Felice venerdì

Il libro.

Pensateci: quale altro oggetto è rimasto praticamente identico in una vita lunga 566 anni? Propongo una risposta: il libro. Un oggetto che si è testardamente opposto all’evoluzione digitale, come disse Jeff Bezos presentando il Kindle di Amazon a New York nel 2007, ma con successo. Sì, perché nonostante l’innegabile diffusione dei dispositivi per leggere in versione digitale, il libro di carta resiste caparbiamente, e continua a batterli sui numeri. Forse perché profuma, lo puoi leggere anche se ti cade in mare o nella vasca da bagno, lo puoi accumulare come fanno gli scoiattoli con le noci non per difendersi dall’inverno ma per seguire i desideri e cambi d’umore. E se lo metti in tasca e ti ci si siedi sopra non si frantuma, ma segue il tuo corpo e le sue indicazioni. Detto ciò, gli appassionati di schermi anche per leggere e scrivere troveranno molto interessante l’articolo che Luca Tremolada ha firmato per la nuova pagina di Tech24 del Sole 24 Ore, domani in edicola. Si parla di device che si connettono via Bluetooth, inchiostri digitali che ricreano la tattilità della carta, display intelligenti e adattabili a ogni nostro desiderio. Il giorno in cui i Kindle o i Kobo rilasceranno anche l’odore delle pagine, forse gli ultracentenari libri potranno iniziare a preoccuparsi. Almeno un po’.

Favria, 14.01.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ci sono due modi per vivere la vita, il primo è pensare che non ci siano miracoli, il secondo pensare che ogni cosa sia un miracolo. Felice  sabato.

Reggere il moccolo

L’espressione “reggere il moccolo” significa letteralmente “tenere in mano la candela” ed è utilizzata per rendere l’imbarazzante situazione che si verifica quando una terza persona si ritrova, più o meno volontariamente, ad assistere ad un momento di intimità di una coppia di innamorati o di sposi. Troviamo l’origine della locuzione descritta nei “Modi di dire proverbiali e motti popolari italiani” pubblicati alla fine dell’Ottocento dal linguista Ludovico Passarini sotto lo pseudonimo di Pico Luri di Vassano, anagramma del suo nome: “Anticamente in fatto di amori furtivi e notturni, e in altre opere ladre, i grandi signori si facevano tenere il lume dal servo più fido. Un lume e un aiuto ce lo voleva per scalare muri, traversare viottoli, scoprire agguati. Il servo doveva tenere il lume, vedere, ed essere muto e anche sordo”. Secondo lo studioso, dunque, alla base c’era l’abitudine, da parte dei signorotti, di portarsi dietro un servo che gli rischiarasse la strada con un lume quando uscivano alla ricerca di furtive avventure amorose. In romanesco, per la verità, l’espressione parrebbe invece derivare dal rituale del matrimonio ebraico: gli sposi celebrano le nozze sotto la chuppah, un baldacchino che simboleggia la loro futura casa. Insieme a loro c’è il fratello maggiore dello sposo, la cui unica funzione è tenere in mano una torcia accesa: in gergo romano “er moccolo”, appunto.

Favria, 15.01.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita c’è un tempo per capire, uno per scegliere e uno per decidere. C’è un tempo che abbiamo vissuto uno che abbiamo perso, e poi un tempo che ci attende. Felice domenica

Perde i toc cum an lebrus

Si pronuncia “Perde i toc cum an lebrus” e si traduce “perde i pezzi come un lebbroso”. Certamente non è un complimento, anzi è un frase molto dura rivolta a quelle persone che, sul posto di lavoro, ma anche a casa, perdono sempre qualcosa, non trovano mai le loro cose. Persone diciamo distratte, poco attente, sbadate. In italiano gli avremmo detto “stai attento che se continui ad essere così sbadato potresti avere dei seri problemi”. Il piemontese invece utilizza un’immagine terribile ed evocativa. “Perdi i pezzi come un lebbroso”: i lebbrosi perdono pezzi del loro stesso corpo, della loro carne. La lebbra era una malattia contagiosa, terribile, da noi scomparsa ma che è ancora presente in tante parti del mondo, meno fortunate. Era una malattia che comportava l’emarginazione, l’isolamento. Il lebbroso faceva paura, ribrezzo ed era bandito dalla società. La frase quindi, rappresenta un duro monito. Un’immagine davvero un po’ esagerata, in fondo, per bacchettare una dimenticanza, una distrazione. Proprio per questo, il duro monito piemontese, strappa anche un sorriso.

Favria, 16.1.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Non abbiamo bisogno della magia per cambiare il mondo, abbiamo già dentro di noi tutto il potere per farlo. Abbiamo il potere di immaginarlo migliore e di attivarci per farlo. Felice  lunedì.