Ghimberga. – La repubblica di Bosgattia. – Calendario e Almanacco. – Il babbeo, babbione. – Dal birro al berroviere – Una sfida divina…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Ghimberga, o vimperga, è il frontone altissimo, triangolare e

appuntito, caratteristico dell’architettura gotica. Spesso fiancheggiato da due pinnacoli, presenta non di rado sculture e decorazioni anche elaborate, che lo fanno somigliare a un merletto. La parola proviene dal francese guimberge, a sua volta derivato dal termine medio alto-tedesco Wintberge, entrambi con significato di “luogo che protegge dal vento”.
Favria, 11.04.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita troppe comodità creano troppi bisogni, meno comodità meno bisogni, più felicità. Felice martedì.

Esiste dentro di noi la gioia di aiutare. Basta ascoltarla. Lo scopo della vita di noi essere umani è quello di accendere una luce di speranza nei nostri simili anche donando il sangue. Ti aspettiamo a FAVRIA MERCOLEDI’ 19 APRILE  2023, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

La repubblica di Bosgattia.

Via  dalla pazza folla, dai condizionamenti della vita moderna e dai laceranti ricordi della Seconda guerra mondiale appena conclusa. Su questi presupposti il linguista milanese, traduttore e critico letterario Luigi Salvini creò nel 1946 la bizzarra Repubblica di Bosgattia, più precisamente la “libera, indipendente, periodica, transitoria e analfabeta Tamisiana Repubblica di Bosgattia”, micronazione istituita prima nella golena di Panarella di Papozze e successivamente sull’isolotto del Balotin in prossimità di Corbola (Rovigo), dove comincia il Delta del Po. Qui Salvini e i suoi adepti risiedettero per dieci anni nel periodo estivo, tra luglio e settembre, vivendo in modo frugale e senza le moderne comodità: la pesca era l’unico modo accettato di procacciarsi il cibo e le tende canadesi il solo riparo notturno. Con l’andare del tempo l’eco dell’eccentrica iniziativa si diffuse e richiamò sul Po un gran numero di curiosi. Ma l’accesso all’oasi non era per tutti. Occorreva adeguarsi allo stile di vita dell’utopica repubblica e sottoporsi ad un test d’ingresso che consisteva nella pesca di un pesce gatto. Salvini disegnò lo stemma raffigurando un suino bianco in campo rosso stellato: il riferimento era al termine “bosgato” che in dialetto polesano si riferisce al maiale, così come il “tamiso” è il setaccio da cucina. La Repubblica ebbe anche delle banconote, il “cievaloro”, dal termine dialettale “sievolo”, ovvero il cefalo, accettate in tutte le spiagge del Po e cartoline postali e francobolli divenute oggi rarità bramate dai collezionisti. Nell’estate del 1955 Salvini festeggiò il decennale della sua repubblica; nell’inverno seguente si ammalò e due anni dopo morì. Senza di lui Bosgattia si dissolse, ma non la memoria di quella esperienza unica di temporaneo rigetto del progresso e ritorno alla vita semplice del passato.

Favria, 12.04.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita l’ottimismo è la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando tutto sembra che fallisca. Felice mercoldì.

Calendario e Almanacco.

La parola calendario deriva dal latino calendarium. Con questo termine si indica “un sistema convenzionale di divisione del tempo”. L’intervallo base di tale divisione è l’anno, la cui durata, anno civile, è fissata in modo che coincida il più possibile con il movimento di rivoluzione della Terra intorno al Sole, noto anche come anno solare. È suddiviso in 12 mesi, a loro volta suddivisi in circa 4 settimane. Ci sono diversi tipi di calendario. Quello attualmente in uso riprende il calendario di Numa Pompilio, il primo a introdurre i 12 mesi nell’Antica Roma. Successivamente riformato da Giulio Cesare, che introdusse l’anno bisestile e il calendario gregoriano. Nel 1582 il pontefice Gregorio XIII lo cambiò ancora, trasformandolo in quello ora vigente in quasi tutti gli stati. Durante la rivoluzione francese fu adottato un calendario fondato solo sul movimento del Sole e sul sistema metrico decimale: i 12 mesi avevano nomi caratteristici come vendemmiaio, brumaio, termidoro. Il primo calendario della storia risale a circa 10mila anni fu ritrovato in Scozia. L’almanacco deriva origini  dall’arabo al-manakh tavola astronomica utilizzata dagli Arabi della Spagna per ricavare per qualsiasi giorno dell’anno, sia il giorno della settimana sia la posizione del sole e della luna. Poi è divenuta nel medioevo  una pubblicazione che per secoli ha attraversato, sotto differenti forme, i territori di varie parti del mondo allo scopo di tenere aggiornate le popolazioni circa diversi tipi di notizie. All’inizio pubblicazione discontinua e irregolare diventa periodica diffondendosi maggiormente, e al suo interno vengono aggiunte informazioni sulle feste, notizie su fiere, mercati ed eventi di rilievo. Una sorta di piccola enciclopedia circa l’anno venturo. Vi si possono trovare consigli sulla coltivazione, notizie sui mercati, addirittura previsioni meteorologiche, curiosità culturali, suggerimenti sulla salute. Una volta era uno strumento  culturale insostituibile, spesso letto coralmente, da chi sapeva leggere. Curioso è il verbo almanaccare  che significa  fantasticare, congetturare, rimuginare, insomma fare castelli in aria.

Favria, 13.04.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Non siamo mai vecchi finchè i rimpianti non sostituiscono i sogni. Felice giovedì

Il babbeo, babbione.

La parola babbeo è di origine onomatopeica, ba ripetuto, che ha originato il latino  babulus e l’interiezione babae. Babbio, sciocco dalla voce sopradetta onomatopeica bab-, che imita l’aprire e chiudere le labbra a vuoto. Oggi si intende individuo dotato di scarsa intelligenza, anche come allocuzione ingiuriosa. Viene anche usato come sinonimo babbuasso, baggiano, e babbione che significa sciocco, semplicione. Se il babbeo e dispregiativo il babbione è solo uno sciocco semplicione, più morbido e benevolo, come spesso sa rendere il suffisso accrescitivo –one, mentre il suffisso -eo ha qui valore spregiativo. Lento di testa, spesso anche con tratti di vecchiezza, il babbione ha un’esagerazione che ne rafforza la carica ironica, magari anche autoironica, smussando a un tempo l’attacco. Raccoglie la parte meno aggressiva del giudizio di sciocchezza, ma senza per questo diventare lusinghiero, beninteso. Babbione, pare che prenda origine dal nome del protagonista di una commedia latina molto conosciuta nel Medio Evo, e di cui l’erudito inglese Thomas Wright ha pubblicato un buon testo nel 1838. La “Comedia Babionis” sembra sia stata composta verso la fine del secolo XII. Babione, prete pagano, ammogliato, alleva con sé una giovinetta sua pupilla, chiamata Viola, e l’ama segretamente, ma trema dalla paura che il suo amore sia scoperto, al punto che dà dei buoni bocconi ai cani, in presenza dei quali ha disfogato la sua passione, perché non ne raccontino nulla. Per cui la sciocchezza di questo individuo passò in proverbio. La parola fu ripresa nel  Rinascimento, che fu un momento fervido per le arti ma anche per la lingua italiana, e che in particolare si trovi per la prima volta nella penna di Burchiello, poeta faceto fiorentino che non ci è nuovo a introduzioni di simile simpatia, suo anche il balzello. Così lo troviamo usato con vigore dalle commedie d’Ariosto fino ai doppiaggi dei Simpson.

Favria  14.04.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita non c’è coraggio senza pazienza, non c’è gioia senza fatica, non è forza senza dolcezza, senza umiltà non c’è gloria. Felice  venerdì.

Dal birro al berroviere

La  parola “sbirro” è diffusa nella nostra lingua da secoli. L’etimologia del vocabolo non è certa: secondo i vocabolari l’ipotesi più probabile è che derivi dal latino tardo “birrum“, il mantello rosso a cappuccio che avrebbero indossato gli antichi sbirri, a sua volta proveniente dal greco “pyrròs”, “rosso”; a partire da “birro”, “sbirro” si sarebbe formato tramite l’aggiunta del prefisso s con valore peggiorativo.  Ma si può intuire il perché di questa piega spregiativa: questi sbirri dei tempi passati spesso non erano che il braccio armato del signorotto di turno, che li impiegava per imporre il suo potere sul popolo inerme. Niente a che vedere con corpi armati al servizio della giustizia. Quindi, paradossalmente, in questa parola così scapigliata e ribelle, ritroviamo il retaggio di una memoria storica secolare, il maturo ricordo di un’oppressione bruciante di armigeri dalla casacca di colore che certe guardie del medioevo e del rinascimento indossavano come uniforme. Alcuni studiosi avanzano  anche un’altra ipotesi, cioè che possa trattarsi di una variante di “sgherro”, parola che già anticamente designava l’uomo al servizio di un potente, dai modi violenti e intimidatori, alla stregua dei bravi e dei sicari . Nel medioevo avevamo anche il  berroviere o birroviere, dal provenzale  berrovier, dal francese antico berruier, forse «uomo, soldato della regione francese del Berry. Questi Birri erano  così chiamati nei sec. 13° e 14° gli uomini armati che venivano assegnati ai priori per l’esecuzione degli ordini, o che i podestà, i bargelli, i capitani del popolo portavano con sé quando si recavano a esercitare la loro carica in un comune: e chiamaronsi Priori dell’Artie furono loro dati sei famigli e sei berrovieri (Compagni). L’incremento che ebbe l’impiego di berrovieri mercenari nelle guerre comunali del Nord Italia fece si che questi combattenti, di propria volontà e non più su richiesta, prendessero armi e bagagli per accorrere, anche non voluti, ad ogni sentore di guerra in vista di ricchi bottini e facili guadagni, operando quasi ai margini della legalità. Nel Canavese del XIII secolo venne istituita la lega contro il brigantaggio, infatti, l’endemico stato di guerriglia fra i signori locali nonché i frequenti attriti fra le maggiori città dell’Italia nordoccidentale, fra Ivrea e Vercelli, Pavia e Milano, Vercelli e Novara, determinarono uno stato di grave tensione, in cui le alleanze fra tali piccole e medie potenze si alternavano in un crescente e pericoloso gioco d’interessi e di rivalità. In questa situazione s’inquadra la costituzione della “grande lega del Canavese”, della quale facevano parte non solo i conti delle varie casate ma anche il forte comune d’Ivrea, suggellata dalla “Carta Concordiae” del 1213. L’alleanza fra canavesani ed eporediesi doveva dissuadere la politica espansionistica intrapresa dal Marchese del Monferrato e sostenuta da Vercelli, ma, già nel 1231, le rinate rivalità fra i conti ed il comune d’Ivrea, in un primo tempo neutralizzate con un nuovo accordo del 1229, compromisero irrimediabilmente il futuro della lega. La comunità di Favria, posta sotto il controllo dei Monferrato, non era certamente in grado di vivere in prima persona queste controversie. Tuttavia almeno un atto del consortile deve aver interessato anche il borgo favriese. Si tratta della convenzione dell’11 marzo 1263, stipulata da Vercelli ed il Marchese del Monferrato con i conti del Canavese, per l’”estirpamento dei berrovieri e dei ladri”. (A.Bertolotti, “Convenzioni e statuti nell’estirpamento dei berrovieri e dei ladri dal Monferrato, Canavese, vercellese e Pavese nei secoli XIII e XIV”, in “Miscellanea di storia italiana”, tomo XII, Torino, 1871, pp. 735.-761 e G. Frola, “Classificazione degli statuti”, B.S.B.S., Torino, 1905, p. 144). Infatti, il fenomeno del brigantaggio, causato dall’imperversare delle guerre e dalle sopraffazioni dei signori, aveva assunto proporzioni tali da richiedere interventi straordinari per la sicurezza delle strade e la difesa dei piccoli borghi rurali come la costruzione di recinti e luoghi fortificati. Ricetti, per racchiudere i raccolti.
Favria, 15.04.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana le grandi cose sono a volte più facili di quanto pensassimo. Felice sabato.

Una sfida divina.

Atene, faro dell’epoca greca classica, conservava un albero nel cuore del suo luogo più sacro. Sull’Acropoli, nel recinto scoperto del tempio chiamato Eretteo, era infatti custodito un tronco prezioso: un dono di Atena, risultato di una sfida divina per il possesso dell’Attica. Sorvegliati speciali. Il mito, come raccontato da Apollodoro di Atene, risale ai tempi in cui gli dèi erano in cerca di città che li onorassero di un culto preferenziale. Davanti a Cecrope, re dell’Attica, si presentarono Poseidone e Atena. Il dio del mare, con un colpo deciso del suo tridente, fece scaturire dalla roccia flutti di acqua salata. Atena invece offrì il germoglio del primo ulivo. Tra i due sfidanti nacque dunque una contesa che soltanto il grande Zeus riuscì a risolvere: affidò il giudizio a dodici divinità che attribuirono la vittoria ad Atena da allora eponima della città. Da quel primo tronco di ulivo ne germogliarono altri, chiamati moriai, alberi sacri ad Atena che si piantavano in vari luoghi pubblici e privati. Un’orazione scritta da Lisia nel IV secolo a.C., a difesa di un uomo accusato di aver sradicato un ceppo di ulivo sacro, testimonia che quegli alberi erano protetti da leggi severe e sorvegliati dai magistrati della città.

Favria, 16.04.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno nel mondo succedono piccole cose, così tante da non riuscirle a tenere a mente, tra queste si nascondono granelli di felicità appena percettibile che permettono al nostro animo di respirare e vivere. Felice domenica