Quale lavoro! – Maggio. – Vivere bene, vivere a lungo. – Gli alberi nell’antica Grecia – Giacinto – Bolgia, borsa, malabolgia, bolgetta – Patria, patriota o partigiano?…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Quale lavoro! “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, recita l’articolo 1

della nostra Costituzione. La Festa dei lavoratori ha una lunga tradizione, il “Primo Maggio” è stato celebrato a Parigi il 20 luglio 1889. L’idea di celebrarlo venne lanciata durante il congresso della Seconda Internazionale, riunito nella capitale francese, l’intento dell’organizzazione, nata dalle ceneri della prima Internazionale, era quello di coordinare l’attività di tutti i partiti nazionali collegati con il movimento operaio, e in quella occasione venne indetta una grande manifestazione per chiedere alle autorità pubbliche di ridurre la giornata lavorativa ad otto ore. Nel 1885 in Australia venne coniato il motto: 8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire. In seguito a fare ricadere la scelta su questa data furono i gravi incidenti accaduti nei primi giorni di maggio del 1886 a Chicago in piazza Haymarket, quando si tenne un raduno di lavoratori e attivisti anarchici in supporto ai lavoratori in sciopero, che si trasformò in tragedia. A metà Ottocento, infatti, i lavoratori non avevano diritti: lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni, anche rischiando la vita. Il Primo maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. La protesta durò tre giorni e culminò appunto, il 4 maggio, con un massacro represso nel sangue: 11 furono le vittime. L’iniziativa divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. Così, nonostante la risposta repressiva di molti governi, il Primo maggio del 1890 registrò un’altissima adesione. Oggi quella data è festa nazionale in molti Paesi, tranne che negli Sati Uniti dove il Labor Day si festeggia il primo lunedì di settembre, ed è differente dall’International Workers’ Day che nel Usa è stato riconosciuto ma mai ufficializzato come giorno dei lavoratori. In Italia la festività del Primo maggio fu ratificata due anni dopo, nel 1891. Poi durante il cupo ventennio fascista, a partire dal 1924, la celebrazione fu anticipata al 21 aprile, in coincidenza con il cosiddetto Natale di Roma. Dopo la seconda guerra mondiale in Italia, nel 1945, fu ripristinata mantenendo lo status di giorno festivo, anche se nel 1947 la celebrazione del Primo maggio venne repressa nel sangue a Portella della Ginestra. Il lavoro è un’ attività produttiva che ha lo scopo di soddisfare i bisogni delle persone. Il lavoro rappresenta uno dei fondamenti della nostra società, permette di soddisfare i bisogni più importanti, da quelli più basilari come mangiare, bere, dormire e avere una casa a quelli secondari. Se il lavoro garantisce la sola sussistenza, non rende le persone libere, ma diventa una dipendenza una dipendenza necessaria alla sopravvivenza. Se gli esseri umani hanno la capacità di inventare nuove macchine che tolgono lavoro ad altri uomini, hanno anche la capacità di rimetterli al lavoro per la loro dignità.
Favria, 1.05.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Lavorare per vivere non è la stessa cosa di vivere per lavorare: il primo è un dovere, l’altro un piacere. Felice  lunedì

Maggio.

Il mese di maggio è il quinto del calendario gregoriano. Il suo nome potrebbe derivare dall’antica divinità romana Maia, dea della fecondità e del risveglio della Natura in primavera. Il Primo Giorno di Maggio il dio Vulcano regalava a Maia una scrofa gravida in segno di fecondità. Maia era parte di un culto ancestrale della Madre Terra, Bona dea, venerata dagli antichi abitanti del Lazio, legata alla fecondità e all’abbondanza. Tra la fine di Aprile e gli inizi di Maggio si venerava nell’Antica Roma un’altra dea, chiamata Flora , dea delle messi e della fioritura degli alberi da frutto, associata a Pomona, custode di orti e giardini. Durante questi giorni di festa, si svolgevano i Ludi Floreales o Floralia, feste a base di danze, canti, spettacoli teatrali, giochi, libagioni a sfondo orgiastico. L’aspetto orgiastico e l’essenziale licenziosità di questa festa era in realtà un rito propiziatorio affinché la terra desse i suoi frutti in abbondanza. In seguito lo scrittore cristiano Lattanzio, per denigrare la religione romana e il carattere lascivo delle celebrazioni asserì che la dea Flora non fosse altro che una meretrice che aveva lasciato i suoi beni in eredità al popolo romano che per gratitudine istituì i Floralia. Maggio è un mese di grande ricchezza di fiori, colori, canti di uccelli e ronzare di insetti. Maggio è certamente un mese tra i più belli dell’anno; tuttavia un pensiero va rivolto a tutti coloro che sfortunatamente soffrono di allergie legate ai pollini. Il primo Maggio è una festa molto importante nel calendario celtico e neopagano: segna l’inizio della seconda metà dell’anno, quella luminosa, in quanto i Celti dividevano l’anno solare in una parte luminosa e in una oscura. È la festività che si chiama Beltain o Beltane, che in gaelico significa letteralmente “fuoco luminoso”.  Beltane è anche il nome in gaelico irlandese del mese di Maggio ed in Irlanda è tradizionalmente considerato il primo giorno di primavera. Fonti gaeliche del X sec. affermano che i druidi accendevano dei falò sulla cima dei colli e che conducevano attraverso questi falò il bestiame del villaggio sia per purificarlo sia in segno di buon augurio. Anche le persone attraversavano i fuochi allo stesso scopo. L’usanza persistette attraverso i secoli e dopo la cristianizzazione e la celebrazione sopravvive ancora oggi in alcuni luoghi, dove principalmente le persone vengono fatte passare attraverso i fuochi. Il Calendimaggio o Cantar maggio, che trae il nome dal periodo in cui ha luogo, cioè l’inizio di maggio, è una festa stagionale che si tiene per festeggiare l’arrivo della primavera. Il Calendimaggio è una tradizione viva ancor oggi in molte regioni d’Italia come simbolo del ritorno alla vita e della rinascita: fra queste la Liguria, la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria. La funzione magico-propiziatoria di questo rito è spesso svolta durante una elemosina dove, in cambio di doni, tradizionalmente uova, vino, cibo o dolci, i Maggianti o Maggerini, cantano strofe benauguranti agli abitanti delle case che visitano. Simbolo della rinascita primaverile sono gli alberi dell’ontano, maggiociondolo, che accompagnano i maggerini e i fiori, viole, rose, con cui i partecipanti si ornano e che vengono citati nelle strofe dei canti. In particolare la pianta dell’ontano, che cresce lungo i corsi d’acqua, è considerata il simbolo della vita ed è per questo che è spesso presente nel rituale. Si tratta di una celebrazione che risale ai Celti, etruschi e liguri, che celebravano in Beltaine l’arrivo della bella stagione, essendo questi popoli

Favria,  2 maggio 2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Evviva maggio, ora ogni campo è rivestito d’erba, e ogni albero di foglie. Ora i boschi mostrano i loro fiori, e l’anno assume il suo aspetto più bello. Felice  martedì.

Buona giornata. Ogni giorno, in Italia, migliaia di persone sopravvivono grazie a un gesto così semplice ma così importante. Non indugiamo, perché “certe cose” non accadono solo agli altri. Gli “altri” siamo anche noi. Viene a donare il sangue VENERDI’ 5 MAGGIO, cortile interno comune di favria ore 8- 11,20. Avvisa per prenotare. Grazie se fai passa parola. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Per prenotare Cell.  3331714827.

Vivere bene, vivere a lungo.

Da sempre gli esseri umani combattono la tenace battaglia per esorcizzare la morte, o almeno per allontanarla il più possibile, affonda la sua radice agli albori dell’umanità.  Se infatti la leggendaria pozione fu una delle tenaci fissazioni degli alchimisti medievali e rinascimentali, a cominciare da Paracelso, il primo a cercare con insistenza  la formula dell’immortalità, nel III secolo a.C., fu  il primo imperatore cinsese, il leggendario Quin Shi Huangdi a cercare la porzione dell’eterna vita. Questo imperatore fu persuaso da questo  dalla lettura degli antichi testi taoisti che ritenevano che ci dovesse essere un miscuglio segreto in grado di renderci immortali. Persuaso da questi antichi testi l’imperatore cinese mandò Xi Fu, il medico di corte, con delle navi nei mari Orientali, il Pacifico, a cercare gli ingredienti misteriosi. La spediazione, oltre a soldati e marinari  comprendeva 500 giovani e altrettante fanciulle. Il medico Xi Fu non fece più ritorno e di tutte le navi e degli equipaggi non si seppe più nulla e l’imperatore Quin Shi Huangdi morì all’età di cinquanta anni, lasciando in eredità il suo monumentale mausoelo scoperto solo nel 1974, il fantastico esercito di terracotta. Riprendendo il desiderio umano di vivere a lungo, con il passare dei secoli, le aspettative di vita delo genere umano è cresciuto smisuratamente grazie  ad un generale miglioramento delle condizioni di vita e dell’alimentazione, ed ai progressi della medicina specialmente negli ultimi due secoli.

Questa vita più lunga rispetto ai secoli precedenti ha presentato il conto in malattie croniche e denegenative. Oggi la sfida non è solo più di farci vivere a lungo ma di vivere bene e in buona salute.

Favria, 3.05.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Maggio il mese delle rose, delle spose e delle mamme. Felice mercoledì.

Gli alberi nell’antica Grecia.

Difficile immaginare la nostra vita senza la presenza discreta e silenziosa degli alberi: testimoni del tempo che scorre e indispensabili alla vita, oggi a volte passano inosservati, ma non fu così per i popoli antichi, che li adorarono come dèi. Fino  dai tempi più antichi il luogo sacro per eccellenza era il bosco che diventava espressione della presenza divina. Dall’Epiro alla Sicilia, dalla Gallia alla Tracia si estendevano boschi e foreste considerati sacri alle divinità: qui l’immaginazione collocava episodi delle storie mitiche, dove la voce degli dèi si faceva oracolo e dove talvolta sorgevano templi. Origini antichissime. Succedeva per esempio a Olimpia, la sede dei famosi giochi: il santuario panellenico di Zeus fu costruito nei pressi di un alsos, un bosco sacro. E a proposito di giochi: una delle origini mitiche delle Olimpiadi è legata alla figura di Ercole che dalla terra degli Iperborei portò l’olivo per incoronare i vincitori. Un oleastro, specifica Plinio (I secolo), ancora visibile e venerato ai suoi giorni. E nell’88 a.C., in un lucus (“bosco sacro” in latino) il console Gaio Mario si rifugiò per salvarsi dai sicari inviati dal rivale Silla.

Favria, 4.05.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita vale molto di più l’astuzia che la forza. Felice  giovedì.

Giacinto.

Alzi la mano chi, nell’infanzia, non abbia mai provato a coltivarne almeno uno, in un bicchiere d’acqua  chiuso in un armadio, per farlo fiorire in casa anzitempo e poi ritrovarsi fra le mani un pallido e debole fantasma: chissà chi aveva diffuso questa tecnica, oggi abbandonata, per la forzatura dei giacinti. Da anni, del resto, li si trova
comodamente in vendita prima di Natale, pretrattati e in boccio, in vasetti colorati: basta acquistarli per regalarsi un anticipo di primavera. Precoci e facilissimi da coltivare in giardino e in vaso, i giacinti (Hyacinthus orientalis) sprigionano un profumo delizioso, dolce, fresco e intenso, ma mai eccessivo. Si dice che siano stati i Romani a portarli in Europa dal Medio Oriente e lo dimostrerebbe la loro presenza allo stato
spontaneo lungo le coste della Francia meridionale. Tuttavia la prima introduzione ufficiale, registrata da Carolus Clusius, botanico e docente francese naturalizza-
to olandese, responsabile dei giardini imperiali di Vienna, risale al 1573». Originari di Turchia e Paesi limitrofi, i giacinti erano da tempo coltivati nei giardini degli imperatori ottomani: fu Ogier Ghiselin de Busbecq, in quegli anni ambasciatore viennese a Costantinopoli, a portarli con sé, di ritorno in patria, assieme ai tulipani e a molte altre bulbose. A sua volta, Clusius li diffuse in Inghilterra, in occasione di una sua visita nel 1590, e n Olanda, per la precisione nell’Orto botanico di Leyda, da lui fondato tre anni più tardi. Anche i giacinti, come i tulipani, ebbero un periodo di grande fortuna: «Ma la giacintomania si verificò un centinaio di anni dopo e fu un po’ più contenuta, anche se nel 1770, per esempio, si arrivò a pagare 800 sterline dell’epoca per un unico
bulbo a fiori doppi», prosegue Shipp. «A dare l’avvio a questa passione collettiva fu Peter Voorhelm, vivaista olandese, che nel 1708 individuò una mutazione con corolle doppie bianche con centro rosa, la propagò e la diffuse, con il nome di ‘Koning van Groot Brittannië’, ovvero Re di Gran Bretagna, in onore di William III d’Orange, sovrano olandese di madre inglese. Prima di allora, invece, i giacinti doppi venivano scartati perché considerati deformi». I prezzi iniziarono a salire solo nel 1720, toccarono l’apice fra il 1733 e il 1736, e poi scesero di colpo un anno dopo, perché ritenuti eccessivi anche dai collezionisti più sfrenati. I giacinti comunque rimasero di gran moda ancora a lungo. Madame de Pompadour, amante di Luigi XV, per esempio, lo incoraggiava a piantarli in grandi quantità nei giardini dei suoi palazzi. Lei stessa amava coltivarli, ma in casa, in vasi di vetro: nel 1759 arrivò ad averne ben 200 in fiore, a dimostrazione di come queste amabili bulbose potessero rallegrare anche chi non aveva un giardino. Alla fine del secolo si contavano 2.000 varietà, cosa piuttosto straordinaria, tenendo conto che erano tutte derivate da un’unica specie: nel caso dei giacinti, infatti, per la creazione di nuove cultivar ancora oggi si può contare soltanto sulle mutazioni naturali. Oltre che coltivatore (l’unico in Inghilterra, fra l’altro, a essere specializzato in giacinti), Alan Shipp è il responsabile della National Hyacinth Collection: nei dintorni di Cambridge, è riuscito a radunare finora 243 varietà, piantate in file ordinate nei campi e in morbide macchie ai piedi degli alberi del suo giardino. Alcune sono molto vecchie, recuperate in anni di ricerca in giardini e vivai d’Europa, talvolta con un colpo di fortuna: «Come quando mi scrisse dalla Lituania una signora che aveva una collezione di giacinti originari dell’allora Unione Sovietica, con varietà che credevo estinte: tra queste ce n’era una a fiore giallo doppio, che ho riconosciuto grazie a una illustrazione di Mary Delany custodita alla British Library e vista per caso da un amico: era ‘L’Ophir’, risalente al 1770! Altrettanto fortuito è stato il ritrovamento, in Romania, di ‘Gloria Mundi’, varietà a fiore doppio bianco con cuore rosa, introdotta nel 1767 e poi perduta per 250 anni», ricorda Shipp. Fra le sue varietà d’antan, vi sono anche ‘Grand Maître’, azzurro-celeste (1873); ‘General Koehler’, azzurro intenso (1878); ‘Distinction’, color ciclamino (1880); ‘Lord Balfour’, rosa scuro con margini dei tepali più chiari (1883); ‘Sunflower’, doppio e bianco crema (1897); ‘Prins Hendrick’, giallo pallido (1910) e ‘Menelik’, blu intenso (1911). Fra le più recenti, ‘Blanche Baron’, con fiori violetti, da lui selezionata e dedicata alla mamma della fotografa Marianne Majerus, autrice degli scatti di queste pagine. I giacinti, il cui colore oggi spazia dal bianco al viola, passando per giallo, arancio, rosa, rosso, azzurro e blu, sono perfetti in macchie naturalistiche, con perenni e altre bulbose; in aiuole formali se vi diverte revocare gli anni Sessanta-Settanta; in piccoli vasi radunati su una scaletta o un davanzale e, in casa, coltivati in terra o in acqua, come Madame de Pompadour. Una raccomandazione, però: quando li pianterete, il prossimo autunno, indossate i guanti, perché i loro bulbi, contenendo cristalli di ossalato di calcio, possono provocare irritazioni pruriginose alle mani

Favria,  5.05.2023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Il colore di un fiore può cambiare il colore di una giornata. Felice giovedì.

Bolgia, borsa, malabolgia, bolgetta

La parola bolgia deriva dall’antico francese bolge a sua volta dal lemma latino bulga sacco di cuoio. Anticamente era una specie di borsa o di bisaccia. Diversa è la storia della parola borsa che deriva dal latino bursa a sua volta da una parola greca con il significato di pelle e per e per estensione otre di pelle. Pensate dall’indicare l’originaria l’otre di pelle che era si è estesa ad indicare un’infinità di sacchetti e custodie di vario tipo. Enorme successo hanno avuto anche gli usi figurati come le borse sotto gli occhi , le  borse dei marsupiali, e per metonimia è passata ad indicare anche il contenuto stesso della borsa, in particolar modo il denaro, celebre la frase “O la borsa o la vita!”.  Dall’otre, borsa si arriva alla borsa di commercio che prende vita dalla  città di Bruges, in Belgio, che tra il XIV e il XV secolo è stata uno snodo commerciale di fondamentale importanza, tanto che vi si radunavano mercanti da tutta Europa, e il mercato si svolgeva principalmente in una particolare piazza. Fra questi mercanti vi erano quelli di una famiglia veneziana, che in quella piazza acquistò un palazzo: in poco tempo fu proprio il palazzo a diventare il cuore del mercato. Quella famiglia erano i Della Borsa,  naturalizzati Van der Burse. Tanto successo ebbe quell’impianto commerciale che l’esperienza del mercato “Della Borsa” fu replicata ad Anversa, a Tolosa, a Lione, a Londra: insomma, dilagò in tutto il continente. Così oggi la borsa,  significa un’adunanza organizzata per determinati affari, sottoposta a regole proprie. Tornando alle bolge, il successo in italia si deve a Dante che li immaginava circolari e concentriche dell’ottavo cerchio dell’inferno, luogo ch’egli chiama complessivamente Malebolge, dove sono puniti i fraudolenti.  Dante immagina  che nell’ottavo cerchio sia suddiviso in dieci bolge, ovvero fossati concentrici, cerchiati da mura e scavalcati da ponti di roccia, simili alle fortificazioni esterne di un castello. Dentro i fossati sono puniti i dannati, suddivisi in base alla loro colpa.  I dannati puniti in ciascuna bolgia sono i seguenti: seduttori e ruffiani, adulatori e lusingatori, simoniaci, indovini e maghi, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti (ingannatori), seminatori di discordia e scismatici. La visita di Malebolge occupa i canti dal XVIII al XXX dell’Inferno ed è inutile  dire che l’ambiente all’interno delle bolge non è dei più sereni. Qui i peccatori gridano e tentano di sfuggire ad atroci contrappassi, e su di loro infieriscono sadiche schiere di diavoli.  Dante li chiama Malebranche che significa cattivi artiglie, le branche sono artigli leonini, dei veri e propri uncini. Dante ci fornisce anche i nomi: Malacoda il capo della banda; Scarmiglione, arruffato o arruffone; Barbariccia, il il “sergente” della truppa che accompagna Dante e Virgilio lungo l’argine della bolgia;  Alichino,  nome tratto dalla tradizione medievale, da cui poi deriverà l’Arlecchino delle commedie;  Calcabrina; Cagnazzo; Libicocco;  Draghignazzo; Ciriatto, maiale; Graffiacane; Farfarello, pure esso tratto dalla tradizione popolare medievale, ed infine  Rubicante, rosso rabbioso.  Come si vede la  bolgia, da sacca, diventa luogo di dolore e confusione: il sabato mattina ci si ritrova nella bolgia del supermercato, sul lavoro oggi era una bolgia, la festa si trasforma in una bolgia agghiacciante, alla fine la partita di calcio, si scatena la bolgia in campo e sugli spalti. Un esito stupefacente, esempio di come la creazione poetica possa conferire significati intensissimi alla più modesta delle parole. Ed arriviamo al diminutivo Bolgetta, una piccola borsa usata per inviare documenti dal sottoscritto tanti anni sul lavoro.

Favria,  6.05.023 Giorgio Cortese

Buona giornata. Se nella vita la felicità non si condivide non è felicità! Felice sabato.

Patria, patriota o partigiano?

Quale è la differenza tra patriota e partigiano? La parola patriota anticamente patriotto deriva dal termine  “patria” e non deriva  come si potrebbe pensare dal latino “pater, patris”. In realtà la parola latina più vicina al significato italiano è l’aggettivo “patrius, patria, patrium”, terra del padre, degli avi. La patria è, infatti, il luogo in cui sono nati e vissuti gli antenati e i genitori, e in cui si è nati, acquisendo con la nascita l’appartenenza alla comunità che vi è stanziata e diventando partecipi del patrimonio culturale che in tale ambito locale si è costituito con il succedersi delle generazioni. Dalla parola “patria” ne sono poi nate molte altre come l’aggettivo patrio che  definisce ciò che è relativo alla patria; il  patriottismo che è l’amor di patria e patriottico  ciò che esprime l’amor di patria. Eccoci arrivati alla parola patriotta, successivamente diventato patriota, chi ama, difende e onora la patria; patriotticamente, in modo patriottico. Poi abbiamo il dispregiativo per indicare un patriottismo di bassa lega patriottume; il patriottardo, il patriota  fanatico; il compatriota, appartenente alla stessa patria; espatriare, lasciare la propria patria; rimpatriare, tornare in patria.  In passato la parola patria era vista come qualcosa di sacro con il dovere, l’ubbidire a ciò che vuole la patria, alle sue leggi. Significa, in altri termini, svolgere il proprio ruolo di cittadino. È interessante notare che il concetto di patria non è rimasto invariato nel tempo, ma ha assunto diverse connotazioni e sfumature a seconda del periodo storico. Passiamo dalla patria delle città stato greche, polis, poi a Roma il concetto imperiale di fare una sola patria di popoli diversi. Una fase sicuramente positiva del patriottismo si ha durante il Medioevo. Con la nascita e lo sviluppo dei comuni, infatti, si diffonde il patriottismo cittadino. Questo porta a gareggiare le città  tra loro nella costruzione di piazze, di edifici, di chiese per rendere la propria città più bella delle altre. Nel Settecento, il concetto di patria ha iniziato a sovrapporsi al concetto di nazione, anch’esso legato a un’idea di origine, dal latino nascor , nascere, tanto che spesso i due termini sono stati e sono tuttora utilizzati come sinonimi.  Parallelamente a ciò, ritorna sulla scena il patriottismo imperialistico con Napoleone cerca di estendere il proprio impero sottomettendo altri popoli. Ma ecco che, tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’‘800, rinasce il  vero patriottismo, che  scalda nuovamente il cuore dei popoli, questo grazie al Romanticismo che esalta la cultura legata alla propria patria. Questo fenomeno esagera fino ad arrivare verso la fine dell’Ottocento, ecco il nazionalismo che incita ancora una volta al desiderio di rendere la propria patria più potente delle altre: in questo modo si arriva alle dittature del ‘900, di cui quelle fascista e nazista. Dopo la successiva decadenza che oggi nel periodo che stiamo vivendo nell’era della globalizzazione è quanto di meno patriottico possa esistere. La parola partigiano, letteralmente significa di parte,  ovvero persona schierata con una delle parti in causa. In  Italia, con il termine “partigiano” ci si riferisce ai protagonisti del fenomeno della Resistenza sviluppatasi nei paesi occupati dalle truppe dell’Asse durante la  seconda guerra mondiale.  Sebbene non indicato con questo termine, la figura del partigiano compare nella storia fin dall’antichità. Possiamo identificare in Spartaco e nel suo esercito irregolare una prima forma di lotta partigiana, ovvero una lotta di forze irregolari contro un potere ufficialmente costituito. In epoca moderna abbiamo i movimenti partigiani nella guerra partigiana spagnola, che scoppiò in seguito alla sconfitta dell’esercito spagnolo ad opera di Napoleone nel 1808. Si trattò di oltre 200 battaglie combattute non coordinatamente. Episodi di guerriglia partigiana si ebbero anche nel centro  Europa, nel 1809 in Austria e Tirolo,  presto soffocati nel sangue. Come vedete le parole sono dei sinonimi  perché partigiano è l’appartenente a formazione armata irregolare che svolge azioni di guerriglia nel territorio nazionale invaso dal nemico. Durante la seconda Guerra mondiale, chi appartenne ai movimenti di resistenza contro le forze nazifasciste. Per partigiano si intende anche il fautore,  seguace o difensore di una parte, di un partito cosi abbiamo i partigiani del riformismo, oppure farsi partigiano dei poveri. Nel Medioevo esisteva pura un tipo di arma bianca detta “partigiana” anche detta “Spiedo alla Bolognese”,  arma di tipo  rinascimentale, usata dalle milizie di ventura e sulla quale veniva messa l’insegna del comandante. Ma oggi fare una distinzione tra patrioti e partigiani è fazioso, siamo cittadini del mondo, la terra è una sola, e ogni popolazione vegetale ed animale dai poli all’equatore partecipa del medesimo respiro. Tutta la terra è la nostra patria e dobbiamo essere tutti partigiani della pace.

Favria, 7.05.2023  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nela vita si può perdonare ma dimenticare è impossibile. Felice domenica