L’erba di San Giovanni. – Alessandro Magno. – Il più antico trattato. – Giornata Mondiale Donatori di Sangue – Fiorino. – Marte, Venere e Vulcano. – La polizia nell’antica Roma…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

L’erba di  San Giovanni. L’Artemisia comune è conosciuta anche come erba di

San Giovanni, Assenzio selvatico, Amarella, Canapaccio. Il termine generico Artemisia proviene da Artemis Artemide, nome greco della dea Diana: genere già citato in Plinio; secondo alcuni autori, Artemisia II di Caria ?-350 a.C., sorella e moglie di Mausolo, che avrebbe dato il suo nome a questa pianta. l’epiteto specifico vulgaris è la derivazione di vúlgus volgo: molto comune, ordinario per la grande diffusione. L’Artemisia comune è una specie nativa delle zone temperate dell’Europa, Asia e Nord Africa, ma naturalizzata anche in Nord America. La pianta è abbastanza comune in tutta Italia. La si trova spontanea specialmente sulle scarpate, presso i bordi delle strade, nelle zone ruderali e incolti come campi abbandonati o luoghi vicini a corsi d’acqua; ma anche nei campi coltivati, nelle colture in genere e nelle vigne, dove è considerata sia pianta infestante. È diffusa fino ad una quota massima di 1800 m s.l.m.. Nell’antichità l’artemisia veniva adoperata e offerta in dono agli dei durante i rituali sacrificali, svolti affinché si potesse ottenere un buon raccolto, poiché era ritenuta il simbolo della donna e della fertilità. Tale considerazione la si può riscontrare nel significato del nome della pianta che dal greco si traduce come grande Artemes, cioè sano. Era inoltre una pianta consacrata alla dea Artemide, la divinità greca che aveva il compito di proteggere le donne durante la loro vita e soprattutto durante il parto. Dall’artemisia comune, così come dall’artemisia absinthium, si estrae l’assenzio, una sostanza digestiva e tonica che per secoli fu l’ingrediente principale di un distillato usato abbondantemente dagli artisti, prima solo europei poi anche americani ma, che fu bandito a causa dell’assuefazione che procurava. Da tempo si è ormai scoperto che a causare l’assuefazione non era l’assenzio ma l’alcool che veniva addizionato al distillato. A testimonianza dell’uso della bevanda a base si assenzio e dei suoi effetti vi è un famoso il quadro di Edgar Degas, che si trova nel Musée d’Orsay a Parigi, dal titolo “L’Absinthe” (L’Assenzio), del 1876. Il dipinto ambientato in un Café parigino, il Café de la Nuovelle Athènes in Place Pigalle, rappresenta due personaggi, l’incisore Marcellin Desboutin e l’attrice Ellen Andrée, famosi all’epoca del pittore, che bevono il liquore a base di assenzio e mette in evidenza l’effetto di stordimento che tale liquore ha sui due protagonisti. Ancora oggi esiste un mito, legato al potere tonico e rafforzante della pianta, secondo il quale mettendo qualche foglia di artemisia nelle scarpe al mattino, quelle scarpe permetterebbero di percorrere molti chilometri senza far percepire la fatica. L’ Artemisia vulgaris contiene vari oli essenziali veniva già utilizzata nell’antichità, già Dioscoride, un famoso medico del I secolo aC faceva riferimento ad un gran numero di rimedi a base di questa pianta medicinale. Anche Avicenna, il grande medico arabo del X secolo d.C. ne parlava e la utilizzava. Pare che sia utilizzata nella medicina popolare cinese e giapponese per la preparazione della moxa, dal giapponese moe kusa, erba che brucia, una medicina ottenuta triturando in un mortaio la pianta fino a ricavare un impasto lanoso con cui si preparano delle palline o dei coni che, una volta appoggiati su punti specifici della pelle, corrispondenti ai punti dell’agopuntura, vengono fatti bruciare. Artemisia comune è chiamata in tanti modi diversi in giro per l’Italia, ad esempio abbiamo: artemiria ed erba da fratti in Liguria, erba bianca ed ersemiso in Piemonte, erba legn e brianz in Lombardia, erba regina e absent in Emilia, sinsiolo e brustoloni in Veneto, altanisie in Friuli, rettimisia in Abbruzzo, arcimesa in Puglia, erba vranca e arcimisia majuri in Sicilia. Pare che l’Artemisia ha un sapore amaro e un aroma leggermente piccante ed emana un odore che ricorda il vermouth.
Favria, 11.06.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita i pensieri diventano azioni che si trasformano in cose concrete, scegliamo sempre quelli Buoni! Felice martedì.

Alessandro Magno.

Altro dilemma è se Alessandro avesse mai richiesto o ottenuto onori divini. Oggi gli studiosi  non credono che tale pretesa sia mai esistita sul piano formale. Aveva però ottenuto vari responsi da oracoli divini circa le probabilità di successo della sua spedizione asiatica. L’oracolo di Delfi l’avrebbe definito aniketos, cioè, invincibile, ma gli oracoli si sa erano spesso prodotti a posteriori dal clero locale per intestarsi i successi del re. Sicuramente manifestò un rispetto particolare per Ilio, il sito della città di Troia, luogo mitico di scontri tra Oriente e Occidente, dove sacrificò ad Atena, che gli avrebbe profetizzato la vittoria, e agli eroi omerici. Altro momento di carismatica sacralità fu il taglio del nodo di Gordio, in Frigia, che legava un carro forse appartenuto a Mida, custodito come sacro nel tempio di Zeus, e che, secondo la leggenda, avrebbe garantito il regno al primo che se ne fosse impadronito. Non è chiaro se Alessandro lo tagliò con un netto colpo di spada, secondo la versione probabilmente diffusa da lui stesso, o se, come tramandano fonti minori, il compagno d’armi Aristobulo, avesse ingegnosamente sfilato il perno che teneva insieme il timone del carro. Sicuramente Alessandro emerge come un sovrano capace di confrontarsi con realtà politiche e religiose nuove, interpretandole per utilizzarle a suo vantaggio. Il più famoso degli oracoli è senz’altro quello di Zeus Ammone nell’Oasi di Siwa in Libia. Qui Alessandro aveva interrogato i sacerdoti su alcune questioni, ed essi lo avrebbero poi salutato come figlio di Zeus, secondo un famoso aneddoto tramandato da Plutarco. Secondo Curzio Rufo, questo peggiorò nettamente i suoi rapporti con i Macedoni. Nell’estate del 325 a.C., dopo essere sceso lungo l’Indo fino al Delta del fiume nell’Oceano Indiano, ed avere esplorato due isole nel mare per vedere se vi fossero altre terre, avrebbe sacrificato ad Ammone proprio in relazione all’oracolo, che gli avrebbe appunto predetto l’arrivo all’Oceano, all’epoca considerato il confine del mondo. Il fatto che alla morte gli tributarono un funerale da eroe dimostra che non aveva mai preteso di essere adorato come un dio, ed anche la richiesta ai suoi cortigiani di rendergli omaggio con la proskynesis, l’atto di prostrazione al re tipico dei Persiani, fu osteggiata e non ebbe alcun successo, tanto che dovette rinunciarvi. Aveva la tendenza però a imitare alcuni semidei o eroi, come Dioniso, conquistatore dell’India, o Eracle. Un pamphlettista dell’epoca, Efippo di Olinto, segnala che negli ultimi anni di vita aveva adottato un abbigliamento persiano, a cui amava aggiungere attributi di Ammone, Ermes, e persino di Artemide. Collerico e dedito al vino, cospargeva il pavimento del palazzo di spezie e aromi da bruciare, in un’atmosfera silenziosa e sacrale in cui era palpabile la paura che incuteva alla corte. Sebbene fosse dotato di eccezionale carisma, i rapporti con i cortigiani si deteriorarono progressivamente, suscitando ammutinamenti e congiure. Nella famosa lettera di Aristotele ad Alessandro “sulla politica verso le città”, giunta a noi grazie a manoscritti arabi, il maestro esortava il re a non governare tirannicamente; un tentativo fallito di circoscrivere il potere del re entro limiti che diremmo costituzionali, perché Alessandro dimostrò sempre scarsa inclinazione per l’ascolto dei consiglieri, anche fidati. Tornato a Babilonia si ammalò gravemente dopo un banchetto, da cui l’ipotesi mai dimostrata dell’avvelenamento. Il malessere si presentò in maniera strisciante, come una febbre progressiva che gli portò via l’uso della parola. La situazione precipitò e il re spirò nella notte tra l’11 e il 12 giugno 323 a.C. Secondo una studiosa neozelandese, Alessandro potrebbe essere stato ucciso dalla Sindrome di Guillain-Barré, una paralisi progressiva che per alcuni giorni lascia intatte le facoltà mentali dell’ammalato. Si tramanda infatti che, nonostante la calura, il suo corpo per alcuni giorni non diede segno di decomposizione, ed è possibile che fosse ancora vivo dopo la data ufficiale del decesso. Lo storico Arriano ci racconta gli ultimi giorni del grande conquistatore: “Era di corpo bellissimo e amante delle fatiche; acutissimo di mente e coraggioso; amante della gloria e dei pericoli e molto rispettoso del divino. Dei piaceri del corpo era padrone; di quelli della mente, solo della gloria era insaziabile”. Agli amici che chiedevano a chi avrebbe lasciato il regno, rispose “Al migliore”, ma prevedeva correttamente che ci sarebbe stata una guerra all’ultimo sangue. Tre mesi dopo, la moglie Roxane partorì suo figlio Alessandro IV, che fu poi eliminato intorno ai quindici anni, quando si avvicinava all’età per regnare. Nei decenni successivi e tra interminabili guerre, il grande impero fu spartito tra i suoi generali, i Diadochi, e nacquero i regni ellenistici. Il suo corpo imbalsamato, simbolo di monarchia universale, fu rubato dall’amico e generale Tolomeo, che lo portò ad Alessandria d’Egitto; la famosa tomba, soprannominata Soma, “Il Corpo”, che gli archeologi stanno ancora cercando, divenne la più grande meta di pellegrinaggio degli imperatori romani.

Favria, 12 .06.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana noi impariamo ad amare le persone perché ci prendiamo cura di loro. Felice  mercoledì.

Il più antico trattato del mondo.

Nel giugno 1371 venne firmato da Edoardo III d’Inghilterra e da Ferdinando I ed Eleonora del Portogallo, il trattato anglo-portoghese, ratificato più volte nel corso dei secoli, è il più antico ancora valido nel mondo.  Esso sancì “amicizie, unioni e alleanze perpetue” tra le due nazioni. Il passo più importante del Trattato indica che : “Primariamente stabiliamo che da questo giorno in poi vi saranno […] vere, fedeli, costanti, mutue e perpetue amicizie, unioni, alleanze, e moti di affetto sincero, e che da veri e fedeli amici saremo d’ora in avanti reciprocamente amici degli amici e nemici dei nemici, e ci assisteremo, appoggeremo e sosterremo mutuamente, per terra e per mare, contro tutti gli uomini che potranno vivere e morire.”. Nei secoli è stato ratificato e modificato più volte: nel 1386, 1643, 1654, 1660, 1661, 1703, 1815 e in una dichiarazione segreta del 1899. Esso fu riconosciuto nei Trattati di Arbitrato nel XX secolo tra la  Gran Bretagna e il Portogallo nel 1904 e il 1914. Esso fu attivato durante la Seconda Guerra Mondiale, nella prima parte del conflitto il Portogallo rimase neutrale in accordo coi britannici, il cui interesse non era quello di portare la guerra nella penisola iberica,  e fu attivato con pieni poteri nel 1943 dal governo di  Londra di Winston Churchill e da quello di Lisbona, dopo 3 mesi di negoziati furono garantiti alla Gran Bretagna alcuni aeroporti e alcune strutture navali nelle Azzorre, per contrastare la minaccia degli U-Boot. Nonostante gli oltre sei secoli di durata del trattato, non sempre i suoi termini sono stati rispettati. Non è mai stata dichiarata guerra tra le due nazioni, ma non sempre esse sono state dalla stessa parte nei tanti conflitti che hanno attraversato  L’Europa nel II millenni. Nella guerra Luso-olandese del 1588-1593, gli inglesi aiutarono apertamente gli olandesi, nel tentativo di limitare il potere degli Asburgo, cui faceva capo l’Impero Portoghese, allora governato in unione personale con la Spagna asburgica.  Nei primi anni quaranta del XX secolo fu anche perpetrato un disarmo forzato dei territori dell’Africa Occidentale Portoghese e di diverse isole atlantiche governate da Lisbona, in seguito ai timori degli Alleati che il Portogallo, allora sotto il regime fascista di Antonio de Oliveira Salazar,  potesse stringere un patto con la  Germania Nazista ed entrare a far parte delle Potenze dell’Asse. Nonostante le proteste formali da parte del governo portoghese prima, e le rivolte locali poi, il Portogallo rimase neutrale nei primi anni della guerra, mentre diversi volontari portoghesi si unirono alle forze alleate per resistere all’invasione  giapponese dei possedimenti lusitani nel Pacifico, Timor Est, Macao.

Favria,  13.06.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno pensiamo  in grande, ma assaporiamo i piccoli piaceri. Felice giovedì

Giornata Mondiale  Donatori di Sangue.

Ormai da parecchi anni, su iniziativa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 14 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Donatore di Sangue. La scelta della data non è casuale: infatti, nel 1868, proprio il 14 giugno è nato Karl Landsteiner, scienziato insignito del premio Nobel per la Medicina nel 1930 per aver scoperto i gruppi sanguigni. In questa  Giornata Mondiale del Donatore di Sangue riflettiamo sull’importanza della donazione di sangue nel salvare vite e promuovere la salute. Grazie donatori di sangue, ogni giorno con il Vostro gesto fate entrare in circolo la solidarietà, donate il sangue plasma e piastrine. Come il sangue circola nelle nostre vene, così il messaggio della solidarietà incondizionata vuole farsi strada tra le persone.

Se volete venire donare il sangue vi aspettiamo a Favria mercoledì 17 luglio ore 8 -11,20 cortile interno del Comune per prenotare e info cell 3331714827,  favria@fidasadsp.it. Grazie, donatori di sangue, plasma e piastrine di tutto il mondo per il Vostro grande gesto salvavita.

Favria 14.06.2024 Giorgio Cortese

Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue. Vieni a donare il sangue, vieni a donare a Favria Mercoledì 17 luglio, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te.  Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare  e portare  sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827. Ricordo i requisiti minimi per donare: età compresa tra i 18 e i 60 per la prima volta, poi dai 65 a 70 anni l’idoneità a donare va valutata dal medico .  Grazie se fate passa parola e divulgate il messaggio

Buona giornata. Nella vita un’intera montagna di ricordi non uguaglierà mai una piccola speranza. Felice  venerdì.

Fiorino.

L’antica moneta d’oro coniata a Firenze nel 1252, che si diffuse in Italia e in Europa soprattutto per i commerci fino al Seicento, prende il nome dal giglio poiché sul suo lato principale, dritto, vi era appunto un giglio, lilium, il fiore simbolo di Firenze. Il fiorino d’oro divenne una delle monete più importanti e utilizzate del Medioevo, ampiamente accettata per il suo alto contenuto di oro, 3,53 grammi a 24 carati, e per la stabilità del suo valore. Sembra che l’accostamento del fiore al capoluogo toscano sia legato alle celebrazioni che i Romani dedicavano alla dea Flora e che avvenivano nello stesso periodo dell’anno, primavera, in cui fu fondata la città di Florentia, nel 59 a.C. Il termine fu usato anche per altre monete, come il fiorino austriaco

Favria, 15.06.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno ci sono 1.440 minuti, ciò significa che abbiamo 1.440 opportunità quotidiane per avere cose positive. Felice sabato

Marte, Venere e Vulcano.

Il primo canto dove viene raccontata la relazione erotica tra Venere e Marte è di Demodoco e risale al VIII libro dell’Odissea, i personaggi di questo canto sono la bellissima e adulterina Venere, l’amante Marte e il tradito Efesto. Il matrimonio tra Efesto e Venere nasce da un ricatto; Zeus aveva generato Atena facendola nascere dalla sua testa, senza aver bisogno di una donna. Era, moglie di Zeus, volle compiere la stessa impresa ma generò un figlio deforme e debole, Efesto, dio del Fuoco e delle Fucine, il povero bambino dopo la nascita fu gettato dall’Olimpo dalla stessa madre a causa della sua fisicità. Efesto escogitò la vendetta per il gesto di sua madre ed un giorno la legò, tramite fili sottilissimi e un marchingegno sofisticato, ad un trono che iniziò a fluttuare. Gli dèi provarono a convincere Efesto a liberare Era, ma il dio non ne voleva sapere, solo Dioniso facendolo ubriacare ebbe risultati, ma in cambio della libertà della madre egli volle in sposa Afrodite. Il mito parla della passione travolgente tra Venere e Marte, i quali finiscono per consumare il frutto del loro amore nel letto di Venere ed Efesto, fonte di grandissimo disonore per il marito. Efesto viene informato però da una sentinella, il Sole, il quale essendo onnipresente vede i due amanti “abbracciati in amore” (Omero, Odissea, VIII); furioso e straziato Efesto andò alla fucina meditando vendetta e creò una catena d’oro fina come la tela di un ragno ma indistruttibile, la posizionò proprio sul letto in modo da poter intrappolare i due amanti nel loro amplesso. Una volta posizionata la trappola Efesto finse di andare a Lemno, sicuro che i due giovani dèi si sarebbero visti in sua assenza, e così fu, Marte prese per mano Venere e la accompagnò sul letto, proprio dove scattò la trappola, la rete li imprigionò ed Efesto corse a recuperare il suo “bottino” sbraitando agli dèi la sua ira. Gli dèi accorsero in gruppo per farsi beffe dei due amanti mentre le dee evitarono lo spettacolo per pudore, solo Poseidone, dio del mare, chiese ad Efesto di liberare i due poveri amanti, i quali una volta sciolti dalla rete indistruttibile scapparono uno in Tracia e l’altra a Cipro. Anche se nella letteratura latina questo mito fu marginale, a causa degli ideali forti del mos maiorum soprattutto riguardanti la pudicizia femminile, caposaldo della società del tempo, l’amore tormentato e passionale di Venere Marte fu spesso fonte di ispirazione per letterati ed artisti. Lucrezio, nel De rerum natura, scrive uno dei versi più celebri e letti che riguardano questa storia, fa un elogio a Venere, unica dea capace di calmare il focoso carattere di Marte. Molto bello è il quadro dello spagnolo Diego Velazquez, Siviglia 1599- Madrid 1660 che lo raffigura perplesso. Molti ritengono che  quell’espressione triste sia dovuta a Venere, la madre di suo figlio Cupido. Forse ha visto Venere in compagnia del bel cacciatore Adone,  di cui Venere si è innamorata, e il dio della guerra è imgelosito. Certo doveva aspettaselo perché Venere è famosa per i suoi tradimenti, e in fono anche Cupido è nato così, quando Venere ha traditi suo marito Vulcano per lui.

Favria, 16.06.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana è importante  crederci sempre, arrendersi mai. Felice domenica

La polizia nell’antica Roma.

Nel periodo imperiale, gli antichi Romani si dotarono di  diverse milizie simili alle attuali forze dell’ordine. Tra queste, le coorti urbane e quelle dei vigiles, entrambe istituite sotto il governo dell’imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.). I componenti delle coorti urbane, detti “urbaniciani”, erano dei veterani incaricati di pattugliare la città e prevenire sommosse, ribellioni e tafferugli, mentre il corpo dei vigiles era costituito da civili, per lo più liberti, e nacque in particolare per contrastare gli incendi, venendo in seguito adibito anche a funzioni di polizia notturna. Divisi in sette coorti, ognuna assegnata a uno o più quartieri della città, regiones, i vigiles potevano reprimere crimini arrestando malviventi o comminando delle multe a chi trasgrediva la legge. Con una popolazione superiore al milione, l’Urbe era infatti una metropoli molto pericolosa: tra i suoi vicoli, omicidi e violenze erano comuni, soprattutto nelle ore notturne, e camminare senza una scorta era rischiosissimo.

Favria, 17.06.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. La vita quotidiana  è come un’equazione di matematica e per ottenere il massimo, devo saper convertire il negativo in positivo. Felice  lunedì.