Forasacco. – Concerto di san Pietro 2024 a Favria. – Un bello scorcio di Favria. – Le palle da gioco dei Maya. – La prima centrale termoelettrica italiana . – Le lasagne medievali. – Tiglio, profumo di festa Patronale! …. LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Forasacco. Il forasacco, orzo murino, hordeum murinum, è una pianta erbacea

annuale della famiglia delle Poaceae, originaria dell’Asia occidentale, diffusa allo sto rustico nelle regioni temperate del Mediterraneo e in Europa. In Italia cresce spontanea nei campi incolti, lungo i cigli delle strade, nelle fessure dei muri di campagna, persino nei prati e negli orti. Il nome del genere, già in uso presso i Romani, è assonante con il latino fórdeum’ e con il greco phorbé, foraggio; quello specifico, dal latino mus, muris,  topo , significa dei topi. Questa pianta ha diversi nomi nelle varie regioni italiane: Code dal diaul (Friuli), Erba codola (Toscana, Monte Murlo), Erba codola (Italia), Erba d’ spi (Piemonte), Erba da can (Piemonte, Novara), Erba de can (Lombardia, Como), Erba parissoea (Liguria, Chiavari), Erba resta (Emilia-Romagna, Romagna), Erba senajola (Liguria, Genova), Erba spiga (Italia), Erba spiga (Liguria, Savona), Erba spigaroela (Lombardia, Brescia), Erba spigo (Liguria, Quinto), Fanargia (Sardegna, Alghero), Forasacco (Toscana), Formeint dal diavol (Emilia-Romagna, Piacenza), Formeint matt (Emilia-Romagna, Piacenza), Forment matt (Lombardia), Formento mato (Veneto, Verona), Gran d’ l diau (Piemonte), Gran d’ l diavo (Piemonte), Gran d’ muraja (Emilia-Romagna, Romagna), Gran servaj (Piemonte), Grano canino (Toscana), Grano di formica (Puglia, Barletta), Jerbe di spie (Friuli, Carnia), Laureddu (Sicilia), Muscidda (Basilicata, Potenza), Ordio sarvaego (Liguria, Mortola), Orgixeddu de topis (Sardegna), Orz d’ muraja (Emilia-Romagna, Romagna), Orzo forasacco (Italia), Orzo mato (Veneto, Verona), Orzo murino (Italia), Orzo salvatico (Toscana), Orzo selvatico (Italia), Pajola (Veneto, Verona), Panizzella (Veneto, Verona), Siale de Jeobe (Friuli), Siale salvadie (Friuli), Spicalora (Sicilia), Spicciola (Basilicata, Potenza), Spiga murina (Sardegna), Spigairora (Liguria, Montalto), Spigajoera (Liguria, Porto Maurizio), Spigarola (Veneto, Verona), Spigarola (Emilia-Romagna, Bologna), Spigheta (Veneto, Verona), Vena varia (Toscana). Al riguardo mi viene in mente questa filastrocca che recitavo da bambino: “Peru peru monta su, cala cala mai pi giu. Spiga verde sali su, senza scendere più giù.” Questa era una filastrocca che veniva ripetuta più volte nei pomeriggi tra le spighe dei campi di campagna. Perché per passare lunghe ore tra i campi, nel torrido caldo estivo, senza cellulare o connessione internet, allora come tutti  dovevamo sognare e abbandonarmi alla creatività per trasformare la campagna in un parco giochi. Non c’erano  i social o centri commerciali. Allora c’era l’arte di far morire un seme piantato nella terra, di aspettare il freddo dell’inverno e la soave brezza primaverile per veder nascere la pianta da cui tutto poi aveva inizio. Oggi una filosofia, quella agricola, che sembra sempre più lontana e nascosta.  L’arte della attesa, perché in natura non è tutto subito. Per giungere alla bellezza, quella vera, bisogna faticare, lavorare, aspettare e sperare. In natura c’è un tempo per tutto e le coltivazioni richiedono fatica come zappare sotto il sole cocente. Non è tutto subito, altrimenti sarebbe acerbo. E non è tutto al tempo nostro: un frutto se non è colto quando è maturo, marcisce. Ecco, l’arte dell’attesa è l’arte di arrivare pronti agli appuntamenti importanti. E’ la fatica di prepararsi; è la gioia di tenere nel palmo di una mano il frutto del proprio lavoro pronto per essere gustato. Poi c’è l’arte dell’originalità. Dal latino origoche significa origine. Come a dire che è davvero originale solo chi ha radici profonde, chi appartiene a qualcuno. E’ l’arte di riconoscersi responsabili della propria terra, del proprio territorio, perché è da lì che si proviene. Forse è un’arte sempre più in disuso. Perché essere originali non è analogo ad avere successo, ma è sinonimo di preziosità. Infine c’è l’arte dell’umiltà. Umiltà deriva dal latino humus, terra. Umile è colui che arriva dal basso, dalla terra appunto. Umiltà è anche un senso di piccolezza nei confronti di qualcosa di più grande. Umiltà è quel sostantivo che racchiude la filosofia agricola che tanto ci manca oggi. Un amico agricoltore tempo fa mi aveva detto: “Il latte delle mie mucche, la frutta dei miei frutteti… Io faccio di tutto perché vengano fuori nel miglior modo possibile, ma non dipende tutto da me. Tutto è dono, della mucca o dell’albero. Io ne colgo solo i frutti”. E il frutto di tutto questo è la trama della nostra vita.
Favria,  25.06.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. C’è un solo ottimista. È qui da quando l’uomo è su questa terra, ed è l’uomo stesso. Se non avessimo avuto un così magnifico ottimismo per passare attraverso tutte queste cose, non saremmo qui. E invece siamo qui. Sopravvissuti grazie al nostro ottimismo. Felice martedì.

Concerto di san Pietro 2024  a Favria.

Come di consueto ogni anno alle festa Patronale dei SS.Pietro e Paolo la  Società Filarmonica Favriese Aps  terrà il concerto sabato 29 giugno alle ore 21,00 nella piazzetta dell’Oratorio.

Il programma del concerto:

Parte prima.

Florentiner Marsch,

La Gazza Ladra,

Disney Spectacular,

Springtime Gonna Fly Now.

Parte seconda.

Blues in Paris,

La Tarantella,

Demasiado Corazon,

Liberty Bells.

Direzione artistica M.o Alberto Pecchenino.

La Società Filarmonica di Favria è il sinonimo della Comunità stessa di Favria.

Ci sono la cornetta, tromba, tuba e corno francese, clarinetto, flauto e sassofono, la grancassa, piatti, timpano, xilofono, eccetera, eccetera.

Ognuno di loro spesso ha parti completamente diverse, ma devono concorrere tutti, pur avendo frasi diverse, a un unico bene, che è quello dell’armonia di tutti.

La musica è un linguaggio di fratellanza e il concerto di San Pietro e Paolo è l’embrione della società perché tutti devono ascoltare anche le voci degli altri.

Sempre bravissimi i 40 musici della Filarmonica diretti sempre magistralmente dal Maestro Alberto Pecchenino. Arrivederci a sabato 29 giugno per assistere ad un imperdibile concerto.

Favria,   Giorgio Cortese

Un bello scorcio di Favria.

Camminando per Favria mi sono imbattuto in pieno centro davanti ad una siepe di gelsomino, che fa da bella bordura all’ingresso del bar Italia come uno scudo araldico. Il gelsomino è un viticcio od arbusto sempreverde rampicante, originario della Cina, dell’Asia occidentale e dell’India settentrionale. Dalla lettura di alcune fonti, il gelsomino sembra esser stato importato in Europa intorno al 1500, ad opera degli Spagnoli, Secondo altri autori viene spostata la data d’importazione al secolo precedente, considerata la raffigurazione del gelsomino in questo testo risalente al 1415 in base al Codice “Liber de Simplicibus”. Il fiore è noto anche come gelsomino bianco, gelsomino comune, gelsomino dei poeti o, ancora, jasmine o jessamine. Il nome “gelsomino” sembra avere origine persiana, yasamin che vuol dire fiore profumato o anche dono del Signore quando viene dato come nome ad una persona. Il suo nome ufficiale è in effetti “Jasminium Officinale”. Questa bella pianta fiorisce tra fine primavera e estate per riempire di colore e profumo. Con  il tempo, al termine originario yasamin si sovrappose la parola gelso, originando l’attuale nome riconosciuto al fiore. In botanica, il gelsomino è Jasminum officinale e, quando ci si riferisce alla varietà pendula,  Jasminum grandiflorum, tra le specie più comuni si ricordano il gelsomini di Catalogna e quello di Spagna. Secondo una credenza araba, il paradiso è pervaso da fiori di gelsomino: non a caso, il fiore viene spesso utilizzato come simbolo di amore divino. Una leggenda di origine araba,  racconta che questi fiori erano in origine stelline cacciate dal cielo a causa del loro comportamento un po’ troppo arrogante verso la loro madre kitza. Si racconta infatti che queste stelline si lamentavano dei loro vestiti con la madre Kitza e che il signore degli spazi sentendo tutta quella confusione le avrebbe inviate a terra. Grazie all’intervento della signora dei giardini, che voleva consolare la madre, queste stelline furono trasformate in gelsomini, fiori con cinque petali che ricordano appunto le stelle. In effetti la simbologia legata al numero cinque è forte. Fin dall’antichità, il numero 5 è legato alla grande madre, Afrodite per i greci e conosciuta con altri nomi nelle altre culture,  Ishtar per i Babilonesi. In Egitto, nella necropoli di Deir-el-Bahri, sono stati rinvenuti piccolissimi frammenti di petali di Gelsomino sulla mummia di un faraone, mentre in Asia minore si portava al collo come amuleto un pentacolo, perché si pensava che la Grande Madre in questo modo proteggesse dagli spiriti cattivi. Questo significato è attribuito al gelsomino da moltissimo tempo, fin dall’antico Egitto. Si pensava anticamente che portare con sé dei fiori di gelsomino possa proteggere dalla cattiva sorte. Per questo la pianta di gelsomino bianco viene associata come regalo floreale al matrimonio oppure in generale quando si vuole regalare un fiore che rappresenta amore e speranza. Il gelsomino anticamente simboleggiava l’immortalità, mentre in Spagna è da sempre considerato simbolo di sensualità. Si racconta al riguardo che in Toscana  anticamente solo la famiglia Medici potesse coltivare gelsomini in giardino e che non lasciasse nessun altro avere questi fiori. Un giorno, uno dei giardinieri della famiglia più importante di Firenze prese una pianta di gelsomino per regalarla alla sua fidanzata come pegno d’amore. La pianta portò fortuna e i due amanti si sposarono. Da quel giorno il gelsomino si regala agli sposi soprattutto se di colore bianco che indica affetto ed amore, il rosso indica il desiderio, mentre il giallo la felicità. Esistono più di 200 specie di gelsomino, alcune che vengono utilizzate da coltivare in casa o in giardino altre invece usate per le proprietà medicinali di questa pianta. L’olio di gelsomino ha numerose proprietà e viene utilizzato in aromaterapia per contrastare gli stati depressivi ed ansiosi. Ma non solo viene considerato un alleato delle donne per il sollievo dai dolori mestruali, mentre in erboristeria i fiori di gelsomino vengono utilizzati per la produzione di saponi e creme anti rughe. L’olio essenziale ha anche proprietà antisettiche ed antibatteriche. Qualche goccia aggiunta ad una crema qualsiasi può apportare benefici in caso di brufoli. Ha proprietà cicatrizzanti, si può utilizzare per i segni lasciati dai brufoli e dall’acne, per la cura delle ferite e anche per le smagliature.

Favria, 26.06.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. L’ottimismo, se non può tutto, può tutto il possibile. Felice mercoledì.

Le palle da gioco dei Maya.

Il gioco più popolare tra i popoli precolombiani era quello della palla, praticato per circa 3.000 anni. Le regole precise non sono note, ma sappiamo che le squadre erano composte da 2-4 giocatori e che probabilmente la palla doveva essere colpita con anche, braccia e mani, e in alcuni casi con bastoni. Era uno sport piuttosto rude, e le partite più importanti assumevano significati simbolici e religiosi; in alcuni periodi storici furono associate anche a sacrifici umani. Da un recente studio dove sono stati esaminati  i materiali usati per produrre le palle, trovati tra le rovine del sito maya di Toniná in Messico,  emerge un’ipotesi piuttosto inquietante. Le palle usate dai Maya, con diametro tra i 25 e i 30 cm e un peso di un paio di kg, erano realizzate in gomma vulcanizzata, ma al loro interno sono state trovate tracce di materiale organico. Per gli studiosi, potrebbero essere le ceneri di personaggi di alto lignaggio.

Favria, 27.06.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. La terapia di pensare positivo. Non ha effetti collaterali, non costa, non ha limiti e la somministrazione è facile. Felice giovedì.

La prima centrale termoelettrica italiana

A Milano si costruisce la prima centrale termoelettrica italiana  in via Santa Radegonda, a due passi dal Duomo, una centrale termoelettrica che illumina gli eleganti locali della Galleria, il Teatro alla Scala e il Manzoni. Prima in Italia e terza nel mondo, dopo quelle di Holborn a Londra e di Pearl Street a Manhattan, a Milano il 28 giugno 1883 entra in funzione la centrale termoelettrica di via Santa Radegonda, commissionata e finanziata dal “Comitato promotore per le applicazioni dell’energia elettrica in Italia”. Tra i soci c’è anche la Banca Generale, che acquista e mette a disposizione del progetto il vecchio teatro di via Santa Radegonda, che viene demolito e al suo posto sorge la palazzina della Centrale. La struttura contiene al piano terra le macchine a vapore e le dinamo, al primo piano le caldaie a carbone. Per lo scarico dei fumi era stata costruita una ciminiera in muratura di mattoni alta 52 metri, quindi ben visibile nel centro della città e non distante dalle guglie del Duomo. I primi clienti dell’energia elettrica prodotta sono gli eleganti negozi sotto i portici di Piazza del Duomo e quelli della Galleria, quindi il Teatro Manzoni e la Scala. L’impianto avrà comunque vita breve, a causa dei forti limiti riguardo alla distanza utile di trasmissione della corrente, pari ad un raggio di circa 550 metri e circa 720 metri lungo i conduttori. Negli anni successivi i macchinari furono potenziati e nell’adiacente officina di via Agnello viene installato un gruppo di “convertitori rotanti”. Nel 1926 la centrale di via Santa Radegonda viene demolita e al suo posto sorge il cinema Odeon

Favria, 28.06.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana pensieri positivi danno risultati positivi. Felice venerdì.

Le lasagne medievali

Le lasagne non sono sempre state come le immaginiamo, quelle che cuciniamo oggi sono in realtà lasagne al forno, o per meglio dire, “timballi” di lasagne come si chiamano in Abruzzo. La lasagna di per sé è un formato di pasta, di solito un semplice quadrato o rettangolo largo tre o quattro dita, simili alle famose “lagane e ceci” che si fanno ancora oggi in meridione. Sono queste le lasagne di cui parlano le fonti medioevali che venivano condite solo con formaggio grattugiato e mangiate aiutandosi con un bastoncino appuntito, l’antenato della moderna forchetta. Sembra che i più grandi appassionati di lasagne fossero i frati e la cosa era talmente risaputa da diventare un vero e proprio topos letterario. Ne parla già Salimbene da Parma nella sua cronaca del 1284 dove racconta del corpulento confratello Giovanni da Ravenna dicendo di non avere mai visto nessuno che mangiasse tanto volentieri le lasagne con il formaggio. Questo frate in carne e ossa è il primo di una serie di personaggi che animano divertenti novelle e rappresentano lo stereotipo del monaco goloso e smaliziato. Giovanni Sercambi e abadino Degli Arienti, due autori quattrocenteschi, ne forniscono altrettanti esempi: nel primo i monaci ingannano una coppia di semplici contadini dicendo loro che, se li avessero ospitati per la notte, avrebbero fatto penitenza mangiando 25 pietre. Ovviamente gli scaltri monaci si fanno servire prima le lasagne per fare il fondo allo stomaco e, tra una scusa e l’altra, non ingoiano nessun sasso, beffando i loro ospiti. Nella seconda novella i frati si avventano su un gigantesco piatto di lasagne fumanti scottandosi uno l’altro, senza però avvertire i confratelli del pericolo. L’amore per le lasagne era sicuramente dovuto alla loro prelibatezza, ma anche al fatto che erano una specialità vegetariana, pertanto potevano essere consumate anche il venerdì o da chi aveva abbracciato una dieta monastica. La caratteristica di adattarsi alla dieta di magro imposta dal calendario liturgico, ha aiutato non poco la pasta a  conquistare uno spazio stabile nella gastronomia della cattolicissima Italia e per questo dobbiamo ringraziare anche i monaci golosi, veri e propri sponsor delle lasagne.

Favria, 29.06.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Un forte e positivo atteggiamento mentale produrrà più miracoli di qualsiasi potentissima medicina. Felice sabato

Tiglio, profumo di festa Patronale!

I Tigli in fiore sono gli alfieri odorosi dell’imminente festa patronale di San Pietro a fine Giugno in Favria. Il tiglio è un albero presente in diversi miti e mitologie. Secondo un mito c’era molto e molto tempo fa, prima che Zeus diventasse il Signore dell’Olimpo, una bellissima ninfa di nome Filira, figlia dell’Oceano sorella di della ninfa Stige, il fiume che bagna gl’inferi e che anche gli Dei temono, sul quale prestano i loro giuramenti. E questa donna antichissima fu amante di Crono, il primo dei Titani, coloro che a quei tempi dominavano il mondo. Ma Crono aveva una sposa, Rea, la quale un giorno sorprese il marito a letto con Filira, ed egli, vedendosi scoperto, ecco che subito balzò dal giaciglio con forma di stallone e fuggì via. Anche Filira si allontanà da quel luogo per sempre, e prese dimora sul monte Pelio, in Tessaglia, terra di streghe e magia quanto nessun’altra nell’Ellade. Qui, in una grotta che prese il suo nome, diede alla luce il figlio del suo amore, Chirone. Ma Chirone non era un bimbo come gli altri, era infatti un Centauro, il primo ed il più saggio, metà uomo e metà cavallo, a causa delle metamorfosi del padre. Secondo il mito la madre, presa dalla vergogna per un figlio tanto orripilante invocò gli Dei, e chiese di venir tramutata in qualcos’altro. Così fu che divenne il primo albero di Tiglio, ma attenzione la parola Filiria, alcuni studiosi fanno risalirea philyra al greco philos, amico, e yron, sciame, col significato di pianta amata dagli sciami di api.Ma attenzione non è una storia triste, Chirone divenne un grande conoscitore delle erbe con le quali curava gli uomini, e ciò non stupisce vista la madre, essendo il Tiglio da sempre ritenuto un albero dalle grandi proprietà medicinali, il cui nome nelle lingue germaniche ha dato origine al verbo lindern, alleviare, calmare, mitigare, fu un grande maestro di eroi, fra i quali Giasone ed Achille. Bellissimo è il mito sul Tiglio narrato da Ovidio nelle Metamorfosi che narra di quando vivevano un tempo in Frigia in una piccola capanna, due anziani sposi , Filemone e Bauci. Un giorno gli Dei si presentarono alla loro umile abitazione chiedendo ospitalità, dopo essere stati rifiutati da tutti i vicini molto più ricchi ed agiati dei due vecchi. Questi accolsero i misteriosi stranieri con gentilezza e con ogni riguardo. Allora, volendo gli Dei punire coloro che avevano rifiutato loro ospitalità allagarono la piana, ma salvarono Filemone e Bauci dicendo loro che avrebbero potuto chiedere ciò che volevano in cambio della loro affabilità; essi chiesero solo di poter divenire loro sacerdoti e di morire insieme, poiché s’amavano molto e non volevano sopravvivere l’uno all’altro. Così la loro dimora divenne un tempio, e quando giunse il tempo della morte, i due si mutarono in alberi, Filemone in Quercia e Bauci in Tiglio che ha come caratteristiche la gentilezza, premurosità e accoglienza. Nei paesi del nord Europa la sacralità degli alberi si è conservata per molto tempo, tanto che ancora in epoca medievale e spesso anche più tarda, venivano emessi divieti e decreti affinché si cessasse di adorare i boschi sacri e particolari alberi, i quali in molti casi furono abbattuti. Il nome della madre di Odino, Bestla, sembra significhi, fibra della parte interna della corteccia, soprattutto del Tiglio, ed ecco nuovamente questo albero come Antica Madre che precede l’ascesa degli Dei indeuropei, dei quali in questo caso è madre e non sposa. Nella Saga di Sigfrido il Tiglio ha un ruolo centrale, l’eroe principale, dopo aver ucciso un drago guardiano di tesori, si bagna con il suo sangue che lo rende invulnerabile, ma nel mentre, una foglia gli cade fra le scapole, e quello sarà il suo unico punto debole, che scoperto dai suoi nemici, verrà trafitto e porterà l’eroe alla morte. Dalle trascrizioni Medievali di questa storia, la foglia che cade sulla schina di Sigurd, è proprio di Tiglio. In Scandinavia è anche uno degli alberi vardtrad, parola svedese composta da varda, curare e trad albero, comunemente tradotta come albero che cura. Questi particolari alberi sono i custodi delle case o dei villaggi, se vengono tagliati l’abbondanza e la fortuna abbandonano il luogo. Per questo le famiglie lasciavano offerte alle sue radici, sotto le quali si diceva vivessero gli spiriti aiutanti della comunità. Questa tradizione sembra essersi conservata in ambienti di lingua tedesca dove fino alla fine del XIX secolo si potevano ancora trovare il Dorflinde, il Tiglio del villaggio ed il Gerichtslinde, il Tiglio del giudizio” intorno al quale si tenevano i processi, poiché era opinione diffusa che sotto ai suoi rami non si potesse mentire, e che la sua dolcezza avrebbe mitigato le sentenze troppo severe. Ma si ha notizia anche di Tanzlinde, il Tiglio del ballo, sotto le cui fronte si tenevano danze di buon augurio durante le pricinpali feste dell’anno. Molti di questi Tigli, essendo stati curati per generazioni dagli abitanti dei villaggi divennero molto vecchi ed imponenti, e molteplici vennero dedicati alla Madonna in tempi più tardi. Di nuovo, il Tiglio come Madre amorevole, femminile protettrice. E oggi noi favriesi portiamo orgogliosi e festanti per le vie del paese la statua del nostra Santo Patrono, Evviva  SS Pietro e Paolo e auguri a tutti quelli che oggi portano questi bei nomi. Pietro nome di origine aramaica kefa, successivamente in kephaas tradotto in greco Petros e poi in latino Petrus, primo Papa della Chiesa. È il protettore dei pescatori, dei fabbri e degli orologiai. È patrono di città quali Roma e molte altre come a Favria con San Pietro, il nome deriva dall’aggettivo paulus che significa, il secondogenito,  giovane, piccolo. Il nome fu scelto dall’apostolo Saul di Tarso una volta convertitosi al Cristianesimo per avvicinarsi al mondo greco-romano.

Favria, 30.06.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno non possiamo certo fermare il tempo ma possiamo sempre cercare la luce nel buio più profondo. Felice domenica.

Luglio.

Il nome luglio affonda le sue radici nel passato, così come succede per gli altri mesi dell’anno. Il mese di luglio deve il suo nome a Gaio Giulio Cesare, figura chiave dell’antica Roma. Il condottiero nacque proprio in questo mese, che fino alla riforma del calendario da lui voluta si chiamava Quintilis, cioè il quinto mese dell’anno.  Fino al 46 a.C. a Roma si usava il calendario romano, che divideva l’anno in dodici mesi, proprio come oggi, ma con numero di giorni leggermente diverso. L’anno cominciava il primo marzo, ed è per questo che il mese di luglio si chiamava Quintilis, quinto mese, ed agosto Sextilis, sesto mese. I successivi mesi, da settembre a dicembre, ancora portano l’impronta di quell’antico calendario, settimo, ottavo, nono, decimo mese. La riforma del calendario, decisa da Giulio Cesare, venne introdotta nel 46 a.C.: da quel momento il calendario si sarebbe chiamato Giuliano. Nel 1582 una nuova riforma avrebbe introdotto il calendario usato oggi nella maggior parte dei paesi del mondo: il calendario Gregoriano. Una delle caratteristiche più importanti del nuovo calendario introdotto da Giulio Cesare era che l’anno non iniziava più a marzo, bensì a gennaio. Proprio come oggi.  Il mese di luglio ex Quintilis, ormai non più quinto ma settimo mese dell’anno, venne chiamato Julius, in onore a Giulio Cesare. Il latino julius ha dato poi vita alle tante varianti nelle lingue neolatine: in spagnolo si chiama julio, in francese juillet, in rumeno iulie, in portoghese julho. Anche nelle lingue non neo-latine è rimasta la stessa radice: in inglese si chiama july, in tedesco july.

Favria,  1.07.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata e benvenuto Luglio. Questo è il mese in cui i giorni gocciolano via come il miele dal cucchiaio. Felice  lunedì.

Io Dono. Tu doni, insieme con le nostre gocce  salviamo delle vite. Quando qualcuno dona un fiore, il profumo del fiore rimane sulle mani del donatore. Il senso della nostra vita è iscritto nel dono stesso della vita, nella mente e nel cuore del Donatore. Il sangue viene rigenerato dopo pochi mesi, ma la vita no, per favore dona il tuo sangue. Vi invitiamo a donare il sangue per una ragione che si chiama vita.  Lo scopo della vita di noi essere umani è quello di accendere una luce di speranza nei nostri simili anche donando il sangue. Ti aspettiamo a FAVRIA MERCOLEDI’ 17 LUGLIO  2024, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te.  Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827. Ricordo i requisiti minimi per donare: età compresa tra i 18 e i 60 per la prima volta, poi dai 65 a 70 anni l’idoneità a donare va valutata dal medico .  Grazie se fate passa parola e divulgate il messaggio