Aprile – Oltre la siepe dell’animo – Le fiere nella storia – Die Forelle, la trota – Il gattino – Remare insieme, vigorosamente! – Donare: un piccolo gesto ma essenziale – Una hirundo non facit ver…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Sono ogni giorno sbalordito da come le persone, che ragionano normalmente, ed hanno la tendenza pericolosa ad accettare tutto quello che si dice e tutto quello che si legge, senza mai metterlo in discussione. Personalmente solo chi è pronto con spirito di critica costruttiva a pensare autonomamente, riesce forse a trovare dei pezzi di verità. E per arrivare alla verità devo innanzitutto accettare me stesso con i miei limiti e la mia limitata conoscenza!

Aprile
Secondo alcune interpretazioni, il nome Aprile deriva dall’etrusco “Apro”, a sua volta da Afrodite, dea greca dell’amore, a cui era dedicato il mese di aprile. Secondo altre teorie, il nome deriva invece dal latino “aperire”, aprire, per indicare il mese in cui si “schiudono” piante e fiori e si risveglia la natura e l’aria si fa appena calda. Giorni strani di un aprile, giorni calmi e caotici, di nodi invisibili, equilibri accennati. Niente di fermo e tutto che si muove. Le sere di primavera sono coccole di luci verso sera che non si fanno buio, sono passi nell’aria satura di aprile di cui amo il profumo di promessa per il maggio che verrà
Favria 1.04.2016 Giorgio Cortese

Ogni giorno incontro più pecore che eroi che sprecano più tempo per avere e sopravvivere, che per essere e vivere.

Certi giorni nella vita quotidiana cerco la verità e la giustizia, ed e invece la verità sembra rimanere sempre alla superficie della giustizia

Oltre la siepe dell’animo.
La scorsa settimana uscendo dal lavoro ho incontrato un nonno con un nipotino. Erano in una cremeria a mangiare un gelato, ma lui non osservava il nonno, presumo, ne le persone che entravano nel locale, ma fissava la vetrina con lo sguardo rivolto verso il cielo. La situazione mi ha colpito e ho guardato meglio il bambino, il suo volto era delicato e bello, come sono i volti dei bambini, ma i suoi occhioni azzurri fissavano un punto vuoto a mezz’aria, verso il cielo oltre la strada. Fissava con grandi occhi azzurri, profondi e inespressivi. E’ rimasto così, col corpo immobile e l’aria sperduta, ma determinato a fissare quel punto nel cielo, finché suo nonno, con la delicatezza che solo i nonni hanno per i nipoti è riuscito a fargli mangiare un poco di gelato. Poi se ne sono andati via, uno a fianco all’altro, ma senza toccarsi, senza guardarsi e senza parlarsi. Chissà quali pensieri passavano nel suo animo in un vortice rotante e quale sfida difficilissima: riuscire a trovare il modo per comunicare, per instaurare un dialogo, per bucare e fare scoppiare quella bolla di sapone che isola dal mondo degli altri queste persone dotate di grande sensibilità affette da un disturbo noto come autismo che fu identificato dallo psichiatra Leo Kanner nel 1943 prendendo in prestito il termine “autismo” da un altro psichiatra, Eugene Bleuler, per descrivere il ripiegamento su se stessi .
Cuorgnè, 2 aprile 2016 Giorgio Cortese

Ritengo che se le gli esseri umani non riescono a trovare un significato alla propria vita è anche perché ricercano la felicità solo attraverso i piaceri materiali.

Le fiere nella storia
Già nel Medioevo si svolgevano nel corso di feste locali e le autorità del tempo concedevano l’esenzione da dazi e gabelle rendendo così più convenienti i prezzi delle merci vendute. Questo privilegio creava l’afflusso di compratori, anche dai paesi vicini, attratti dalla possibilità di risparmiare. Tra le fiere più antiche d’Italia si annoverano la Fiera Internazionale di Messina, istituita da Federico II di Svevia nel 1296, che si teneva anticamente nel “piano” tra porta Reale e la chiesa di S. Francesco di Paola, a nord della cinta muraria cittadina. Molte fonti identificano la Fiera di San Giorgio istituita nella città di Gravina in Puglia, da Carlo II d’Angiò nel 1294, la fiera più antica d’Italia. Il privilegio della Fiera, in latino nundinas, era concesso o confermato a un paese o città tramite apposito diploma del feudatario scritto su pergamena ed era munito di sigillo plumbeo nel cui interno vi era impresso a fuoco su ceralacca lo stemma araldico di chi lo aveva rilasciato. Nel diploma era descritta la motivazione, il luogo e la data dove si teneva la fiera ogni anno, la durata e le relative esenzioni di gabelle e dazi. Importante era la funzione del Mastromercato o Maestro della Fiera il quale, oltre a regolare lo scambio delle merci, aveva la giurisdizione della giustizia della Comunità solamente relativa al periodo della fiera. Le origini della S. Isidoro ritengo che siano molto più antiche di quelle ufficiali, la fiera nasceva a Favria come luogo di incontro lungo l’antica via romana, naturale punto di incontro per le primitive attività legate alla pastorizia, al bestiame e poi al commercio. La Fiera agricola di Favria ci ricorda in questo periodo di crisi sociale ed economica che abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane, di gente che ama gli alberi e riconosce il vento. Bisognerebbe stare all’aria aperta almeno due ore al giorno, peccato che durante la brutta stagione il lavoro di ufficio, per il sottoscritto, non lo permette. Bisognerebbe ascoltare di più gli anziani, lasciare che parlino della loro vita, queste esperienze registrale e trasmetterle alle future generazioni. Dobbiamo ritornare a sentire il canto della natura, anche nelle piccole cose, dare attenzione a chi cade e aiutarlo a rialzarsi, chiunque sia. Fare nostro quanto scriveva Publio Virgilio Marone, Georgiche: “ Felix, qui potuit rerum cognoscere causas atque metus omnis et inexorabile fatum subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari. Felice chi si avvicina al cuore delle cose e calpesta la paura di ogni paura, il fato inesorabile, il frastuono ossessivo di Acheronte.” In questo modo non saremo tanto soli come adesso, impareremo di nuovo a sentire la terra su cui poggiamo i piedi e a provare una sincera simpatia per tutte le creature del creato.
Favria 3.04.2016 Giorgio Cortese

A volte l’evento più significativo nella mia vita non è un evento esterno. Può essere una scelta, un evento interiore. La scelta di essere felice ed ottimista indipendentemente dalle circostanze.

Die Forelle, la trota
fu scritto i l 21 febbraio 1818 su testo di Christian Friedrich Daniel Schubart, poeta lirico del Settecento originario del Wüttdmberg, un poeta dal grande talento, come testimoniano anche gli altri tre testi che a lui deve Schubert: “ An mein Klavier (Al mio pianoforte ); Grablied auf einem Soltaten (Canto funebre per un soldato), una sorta di corale strofico seguito da una marcia funebre al pianoforte;An den Tod (Alla morte Schubert compose questo Lied in casa dell’amico Anselm Huettenbrenner, compagno di studi musicali a Vienna, in una delle tante nottate di felice ispirazione. Il testo del “La Trota”: In un limpido ruscelletto / guizzava svelta e allegra la trota capricciosa, / veloce come una freccia. Me ne stavo sulla riva / assorto, a contemplare il bagno del lesto pesciolino, / nel chiaro ruscelletto. Un pescatore con una lenza / arrivò sulla spunta, e freddamente guardò / le evoluzioni del pesciolino. Finché non verrà meno / la trasparenza dell’acqua, così pensavo, egli non riuscirà / a catturare la trota con l’amo. Ma infine quel furfante / si stancò di aspettare. Con perfidia intorbidò le acque / e prima che me accorgessi tirò di scatto la sua lenza; / il pesciolino vi si dibatteva, ed io, turbato, rimasi / a guardare la trota ingannata. può sembrare quasi banale, se non gli si dà un significato intrinseco. In fondo si tratta solo di un piccolo pesce che viene catturato da un furbo pescatore sotto gli occhi increduli di un ingenuo testimone. Il Lied è, però, un piccolo apologo della Trota, l’unico della vasta serie esistente riguardante il apporto pescatore pesce, che sia visto dalla parte del pesce. Die Forelle simboleggia un po’ il rapporto carnefice, vittima, in questo senso il Lied diventa drammatico, nonostante la drammaticità sia celata sotto un velo di ironia rappresentata dalla vivacità pianistica, dalla tonalità e dalla generale semplicità armonica e melodica. In questo Lied spicca chiaramente il tema della natura così caro a Schubert e l’elemento acqua che ricorre con incredibile e commovente frequenza in moltissimi altri Lied. L’acqua in Schubert, si presenta innanzitutto come ruscello, come in questo caso, ma anche come fonte, sorgente, cascata, fiume, abisso spumeggiante, lago, mare, pioggia, lacrime, ecc. Come dice giustamente Schopenhauer: “la vita dell’uomo…somiglia all’acqua come noi di solito la vediamo…così l’arte poetica oggettiva l’idea dell’umanità della quale è caratteristico il presentarsi in caratteri fortissimamente individuali”. Legato al tema del ruscello, dello scorrere dell’acqua, è quello del fluire del tempo. In Die Forelle , è vero sì che l’attenzione è rivolta soprattutto alla descrizione della piccola trota “allegra” e “capricciosa”, ma è anche vero che il ruscello, quindi l’acqua come elemento, è fondamentale. Si potrebbe riferire il tutto al moto naturale della vita, all’esistenza effimera delle cose e l’acqua è lo scorrere del tempo che porta con se inevitabilmente gioie e dolori: “finché non verrà meno la trasparenza dell’acqua, … egli non riuscirà a catturare la trota con l’amo”, ma il pescatore “con perfidia intorbidò le acque” e “tirò di scatto la sua lenza” La trasparenza dell’acqua sta ad indicare la gioia precaria dell’animo, la serenità, ma l’animo umano è fragile, è facile da ingannare, è destinato comunque alla sofferenza, si può rimanere “turbati” per questo, ma è così che vanno le cose nella vita e bisogna accettarle magari con un filo di ironia.
Favria 4.04.2016 Giorgio Cortese

Certe persone mentono sapendo di mentire in modo tale che a loro non credo neanche al contrario di quanto affermano.

Il gattino
Da bambino ho avuto la fortuna di avere un gatto per parecchi anni. Lo avevo raccolto nella vigna, magro e macilento, le oche nel cortile lo avevo pizzicato e aveva una gamba tutta ferita. Mi ricordo ancora della fatica nel tenerlo mentre una mia zia gli disinfettava la ferita e lo bendava. Poi convinsi mio papà a mettere nel pollaio le oche starnazzanti per permettere al gattino di pochi mesi di riguadagnare il fienile dove gli avevo creato un piccolo ma caldo e riparato rifugio per la sera. Mi ricordo che aveva due incredibili occhi color verde smeraldo, dilatatissimi per la paura. Da allora appena scendevo nel cortile mi correva incontro, insomma era meno indipendente e solitario degli altri felini che avevo avuto. Certo non era devoto come il cane, che mi guardava sempre con occhi adoranti e che era gelosissimo delle attenzioni che riservavo a gattino. Ritengo che si fosse affezionato a me in seguito alla brutta avventura con le oche che aveva fatto scattare in lui l’istinto che di me si poteva fidare. Mi ricordo che quando scendevo nel cortile ritiravo nel box il fido cane Blek, Miao così avevo chiamato il micio, si avvicinava e la prima cosa che faceva si sfregava il muso contro i miei pantaloni con la coda dritta e mi faceva le fusa e lo prendevo in braccio e lo coccolavo. Avevo sempre un brivido di stupore quanfo giocavo con lui per i campi nell’osservare che stava osservando qualcosa che io non riuscivo a vedere. Da allora e per molti anni, al pomeriggio avevamo, indipendentemente dal clima un appuntamento fisso. Poi un pomeriggio d’estate scesi nel cortile ma Miao non mi venne incontro come al solito. Sali nel fienile dove aveva il suo rifugio ma niente. Per giorni gli portavo da bere del latte ma di lui nessuna traccia. Mi prese nell’animo un magone e una grande tristezza. Ma dopo una settimana, verso sera nel giardino dopo quei violenti temporali di luglio, intravidi “baluginare” i suoi occhi verdi in mezzo all’erba del campo. Corsi a prenderlo e me lo strinsi al petto. Era tutto bagnato e odorava di muschio. Oggi non trovo le parole per descrivere quell’emozione. Dirò soltanto che il mio cuore, vicino al suo cuoricino, galoppavano oltre i cento battiti al minuto. Forse i gatti sono qui sulla terra per insegnarci questo: a vivere l’attimo in modo così completo, con un totale coinvolgimento, che lo faccia durare in eterno.
Favria 5.04.2016 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno non devo aspettare che l amia nave arrivi in porto, ma le nuoto ogni giorno incontro e anche quando tutto sembra essere contro, mi ricordo sempre che l’aereo decolla contro vento. Ed infine non mi devo mai spaventare dell’ombra, se è li vuole dire che vicino, da qualche parte, c’è la luce che illumina.

Remare insieme, vigorosamente !
La nostra vita è simile ad un viaggio, già dai tempi di Omero con Ulisse, passando per il Medioevo con Dante e Petrarca, sino alla poesia ottocentesca di Foscolo, il viaggio è sempre stato visto come metafora della vita e continua ad esserlo ancora oggi. Un viaggio stupendo alla ricerca di un porto sicuro, magari tra alti e bassi, ma comunque esaltante. O magari, come per Petrarca la cui vita è dallo stesso definita in un sonetto “nave colma d’oblio”, un viaggio insicuro, pericoloso, pieno di insidie e di venti contrari, che giunge al porto avanzando un dubbioso passo. Se dovessi paragonare la vita attuale, la equiparerei ad un viaggio. Siamo tutti delle piccole barche che vanno avanti a forza di olio di gomito e a vele gonfie di speranza. Alcuni seguono dei finti miti che spingono avanti solo con battagliere parole o demagogiche azioni per farsi rieleggere a qualche carica pubblica. Nel mare tempestoso della vita qualche barca si perde per strada perché preferiscono approdare al facile porto della critica, altri verso i porti della presunzione, convinti come sono di avere sempre ragione. Io continuo ogni giorno a remare, con le mani salde sui remi seguendo la rotta per dirla con le parole di Kant:” il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Sembrerà banale ma c’è un viaggiatore nascosto dentro il mio animo , un marinaio che molto spesso ha paura di navigare per non cadere vittima di una tempesta di accuse e di errori. E senza saperlo anche io adesso sono in viaggio, cercando ogni giorno di migliorami cercando di mantenere la giusta rotta. E se certi giorni la tempesta nella vita quotidiana aumenta, rimetto in barca i remi spezzati, il viaggio è ancora lungo e mi sembra che non diminuisca mai. Ma non mi lascio portare fino al punto estremo, al naufragio, ma con lena riprendo a remare insieme a chi vorrà rimanere. Nella vita siamo remi che dobbiamo remare coordinati e insieme per raggiungere grandi risultati e attraversare mari tempestosi, nessuno di noi è intelligente quanto tutti noi messi insieme perché in questa vita siamo davvero tutti sulla stessa barca. Nella vita di ogni giorno la cosa che rende felice il mio animo è quella di rendere feliice il mio prossimo, infatti non c’è esercizio migliore per il mio animo che stendere la mano e aiutare gli altri ad alzarsi. Ecco l’essenza del lavoro di squadra è l’abilità di lavorare insieme verso una visione comune. Nessuno di noi è tanto in gamba quanto noi tutti messi insieme. Indipendentemente dalle differenze, l’abilità è quella di dirigere ogni realizzazione individuale verso un obiettivo organizzato, con questo carburante si possono ottenere risultati straordinari, Potrei riassumere il lavoro assieme, di squadra in cinque brevi parole: “io credo in un altro”. Ma se non riusciamo a remare con spirito di squadra, l’alternativa nella vita e approdare su una panchina di un porto per fare gruppo.
Favria 6.04.2016 Giorgio Cortese

Fiat iustitia ruat caelum è una locuzione latina che, tradotta alla lettera, significa sia fatta giustizia anche se i cieli cadono. L’espressione espone la convinzione che la giustizia debba essere realizzata a prescindere dalle conseguenze. Questa citazione viene solitamente attribuita al console Lucio Calpurnio Pisone Cesonino.

Il Gruppo Fidas di Favria- To Ti ricorda che mercoledì 13 aprile si terrà in sede, cortile interno del Comune, dalle ore 8,00 alle 11,30, si terrà la donazione di sangue. Ti invitiamo a segnalare la Tua presenza per questioni organizzative. Ti auguriamo buona giornata. cell. 3331714827

Donare: un piccolo gesto ma essenziale
Donare: un piccolo gesto ma essenziale. Un grande gesto che richiede un’indole altruistica e coraggiosa. Un gesto che può salvare una vita donando una parte di sé. Un’azione che gratifica sia chi dona sia chi riceve. Secondo me, donare è la cosa giusta da fare perchè con un piccolo gesto si può rendere la vita migliore donando felicità, amore e speranza. La donazione di sangue è l’azione volontaria, dettata da puro spirito di solidarietà di chi dona il proprio sangue affinché siano possibili trasfusioni a chi ne ha bisogno .Donare il sangue è un gesto di solidarietà. Significa dire con i fatti che la vita di chi sta soffrendo mi preoccupa .Il sangue non è riproducibile in laboratorio ma è indispensabile alla vita Indispensabile nei servizi di primo soccorso, in chirurgia nella cura di alcune malattie tra le quali quelle oncologiche e nei trapianti Tutti domani potremmo avere bisogno di sangue per qualche motivo. Anche tu. La disponibilità di sangue è un patrimonio collettivo di solidarietà da cui ognuno può attingere nei momenti di necessità Le donazioni di donatori periodici, volontari, anonimi, non retribuiti e consapevoli… rappresentano una garanzia per la salute di chi riceve e di chi dona. Ti aspettiamo mercoledi 13 aprile a Favria cortile interno del Comune ore 8,00 – 11,30. Amare gli altri significa anche condividere con gli altri tutto ciò che è tuo, in questo caso con gli altri stai condividendo la vita che è la cosa più importante che ci è stata data.
Favria 7.04.2016 Giorgio Cortese

Donazione per me significa essere gentile ed altruista con altre persone, anche se estranee. Una semplice donazione come quella del sangue, può essere molto importante per i bisognosi. In molti però, tendono ad accantonare il semplice pensiero della donazione perché si sentono estranei a questo argomento. Ritengo che sarebbe infatti opportuno sensibilizzare di più l’opinione pubblica; molti non sanno della possibilità che hanno di donare e perciò i donatori sono un numero esiguo in confronto al bisogno che vi è di sangue nel mondo. Se vuoi viene a Favria mercoledi 13 dalle ore 8 alle ore 11,25. Ti aspettiamo!

Una hirundo non facit ver
Una hirundo non facit ver, questa è una frase latina che deriva dal greco e tradotta letteralmente significa, “Un’unica rondine non fa primavera”. Questo antico e popolare proverbio è usato come avvertimento per significare che un segnale isolato non è sufficiente per trarre delle conclusioni, così come non basta vedere una rondine per poter dire che è arrivata la primavera. Il proverbio viene attribuito al filosofo Aristotele. Le rondini, giungendo in grandi stormi, segnano l’inizio della primavera. Se, invece, una sola rondine vola alta nel cielo, significa che c’è qualcosa che non quadra; che probabilmente si è smarrita; che ha perso la cognizione del tempo o dello spazio, per esempio. La presenza di un solo uccello, perciò, non rappresenterà l’imminente passaggio da una stagione all’altra. In questo modo Aristotele spiega, nella sua celeberrima opera Etica Nicomachea, che così come una rondine non fa primavera, anche una buona azione, fatta di tanto in tanto, non fa un uomo buono. Quell’atto di benevolenza è un caso isolato, così come quell’unica rondine sperduta: non viene susseguito costantemente da altre azioni simili. Solamente attraverso il retto esercizio della phronesis, cioè della prudenza, che diventerà col tempo habitus ‘disposizione morale’, un uomo potrà essere considerato davvero virtuoso. Pertanto continuo a diffido di quei lupi che cercano di vestirsi da agnelli, dalla falsa benevolenza di certi personaggi che per conto mio sono amorali nel comportamento sociale
Favria 8.04.2016