Da guliard ai goliardi! – Leucotea la dea bianca – A l’è rubia! – Sterna, pavè, selciato forse terso – La stobia e la stoppia. – Vintage e retrò…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Da guliard ai goliardi!
In piemontese quando una persona è molto ghiotta si dice che è un guliard o

goliard, parola che deriva dal francese goliard e parrebbe riconnettersi al modo di cantare, ber e mangiare degli studenti medievali dal latino gula, con il suffisso –hard, nel senso di goloso, incontinente. Con goliardi venne sostituito il precedente di clerici vagantes, termine più antico e una volta assai diffuso, ma diventato ormai generico e insufficiente per definire nella seconda metà del sec. XII e per il XIII soprattutto, quei preti e frati, uomini cioè di chiesa e di scuola, che per falsa vocazione abbandonavano il loro stato religioso per correre il mondo, spinti da ambizioni mondane, per sete di libertà e di conoscenza, ma specialmente indotti da esigenze sociali e da urgenti necessità pratiche. La bellezza di una lingua che è viva e si trasforma nel territorio ecco che allora la persona ghiotta in canavesano viene definita galup, che deriva dal latino medievale galuppum, cantiniere, costruito sul germanico walaklaupan, galoppatore, uomo di fatica addetto alle salmerie negli eserciti medievali. In piemontese la cantina è diventato il luogo di conservazione dei cibi, quindi luogo di ghiottonerie con i salami prelibati, il lardo e del buon vino, luogo adatto per il galupaire, l’avido ghiottone e per poter mangiare avidamente, galupè. Come si vede l’origine della parola è sempre la gola iniziale, pensate che in Guascogna, Francia, esiste il termine galapia, mangiare senza masticare. Una curiosità con galup veniva anche definito il soldato inetto, mah, forse perché era solo buono a mangiare, divorare con avidità, insomma un galufrass, un mangione. Per opposto abbiamo la parola splofe da dove deriva la pel corteccia delle piante o buccia della frutta e da li plucè, piluccare poi divenuto in canavesano spofè, insomma un difissios, incontentabile, schizzinoso, sofisticato, difficile da accontentare La famosa puzza sotto al naso, è un modus vivendi di chi sa esprimersi con smorfie proverbiali! Allo stesso modo, la quantità di parole, sinonimi e modi di dire non stanno affatto sulle dita di due mani, talmente ne abbiamo a disposizione per esprimere lo stesso concetto. L’etimo di difissios va ad attingere dall’aggettivo latino difficilem, cioè difficile, probabilmente incrociato con schifios, sentire schifo, ma questa è un’altra storia.
Favria, 28.09.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. È così bello vivere, e la vita è così dolce che non può essere cattiva! Felice  martedì.

Leucotea la dea bianca

Nella mitologia greca, Ino era una fanciulla, figlia di Cadmo e di Arianna. Era inoltre sorella di Agave, Semele ed Autonoe  ed il mito di Ino e Atamante si svolge nelle Metamorfosi fra il III e il IV libro. Atamante, Figlio di Eolo, sposò in seconde nozze Ino e dalla loro unione nacquero Learco e Melicerte. Ino odiava profondamente i figliastri, che Atamante aveva avuto con Nefele, e che erano Frisso ed Elle. Ino dunque fece arrivare una terribile carestia in Beozia, non facendo più crescere il grano. Atamante si rivolse all’oracolo di Delfi, ed ancora una volta Ino intervenne corrompendo i messaggeri di Atamante, in modo che riferissero che l’unico modo per fermare la carestia era sacrificare Frisso ed Elle sul monte Lafistio a Zeus. Atamante, controvoglia acconsentì, ma Nefele salvò i due figli inviando loro un vello d’oro, donatole da Ermes, che li portò lontano. Secondo una differente versione del mito, il messaggero di Atamante aveva avuto pietà dei figli di Nefele ed aveva rivelato ad Atamante il complotto di Ino. Atamante, infuriato, mandò al sacrificio la moglie invece dei figli, insieme a Melicerte. Dioniso tuttavia, di cui Ino era stata nutrice, salvò lei e Melicerte avvolgendoli in una nube invisibile e portandoli via. Secondo un altro mito, dopo la morte della madre di Dioniso Semele, sorella di Io, Ino infatti volle allevare Dioniso con Atamante. Era volle vendicarsi del tradimento di Zeus, che era padre di Dioniso, e fece impazzire Atamante. Egli durante una caccia, scambiò i figli per cervi e scagliò Melicerte in mare, e uccise Learco colpendolo con una freccia per poi farlo a pezzi, secondo altri lo scagliò contro uno scoglio. Ino si gettò in mare per salvare Melicerte, il figlio più giovane, e Dioniso accecò Atamante che stava cercando di colpirli con delle frecce. A questo punto, secondo una versione del mito Afrodite, nonna materna di Ino, trasformò Ino e Melicerte in due divinità marine: Leucotea, la dea bianca, e Palemone. Secondo una versione più tragica, fuggendo dal marito impazzito Ino si gettò in mare dalla roccia Moluride ed annegò, e solo in seguito, Zeus, grato a Ino per aver allevato Dioniso, la divinizzò in Leucotea. Secondo un’ulteriore versione, Dioniso e Afrodite trasformarono Ino in una Nereide, che soccorse Odisseo presso l’isola dei Feaci Scheria. Il corpo di Melicerte, rinvenuto presso l’istmo di Corinto dal re Sisifo, fu sepolto ed il re istituì in suo onore i giochi istmici, celebrati ogni quattro anni. Il culto di Leucotea era molto diffuso, la dea aveva un tempio a Megara, Corinto ed Epidauro.Si tramandò anche presso i Romani, che la veneravano come Mater Matuta, assimilandola con una divinità italica; Palemone invece fu identificato col dio Portunus, dio dei porti e protettore dei marinai. Nell’Odissea offre a Ulisse, sbattuto dalla tempesta, il suo cinto, grazie al quale l’eroe può approdare alla terra dei Feaci

Favria,  29.09.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno se non posso volare, corro, se non posso correre, cammino, ma se non riesco a camminare, allora striscio, ma qualunque cosa faccio, devo sempre andare avanti.

Stupirsi ogni giorno vuol dire apprezzare le meraviglie che la vita ci dona. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

A l’è rubia!

Nel Medioevo la foresta della Favriasca era percorsa  dalla soldataglia che razziava le campagne e anche dagli abitanti che scappavano cercando rifugio nel folto del bosco. Nel 1361 ecco l’ennesimo  saccheggio di Favria  effettuato dalle truppe di Bonifacio di Cocconato al soldo dei Monferrato. Una famiglia scappava dalla razzia e arrivata vicino alla radura della Chiarabaglia, radura luminosa nascose i pochi averi ed una piccola coppa di vetro di colore rosso ottenuto aggiungendo, alla pasta di vetro, sali doro o oro colloidale. Questo vetro oggi viene detto Cranberry  glass perché nel periodo vittoriano in  Inghilterra si è riscoperta questa produzione, ma già nell’antichità veniva prodotto. Purtroppo la famiglia che aveva nascosto questo oggetto ed i suoi averi non sopravvisse  alla razzia e passarono gli anni e anche questa piccola coppa di vetro e oro cadde nell’oblio fino a quando una curiosa gazza noto tra gli alberi del fitto bosco un luccichio. La gazza curiosa prese l’oggetto e lo porto su di una altra quercia dove aveva posto il suo nido. I viandanti passando nel fitto bosco della favriasca vedevano prima della  Chiarabaglia un luccichio rosso nel folto della vegetazione, dando nome al luogo di  Rubina, dai bagliori rossastri della piccola coppa di vetro tra la folta vegetazione, esclamando  al’è rubia. Molto probabilmente il toponimo rubina deriva dal vino prodotto una volta con uve del vitigno barbera associato a piccole quantità di grignolino e freisa, dal colore rosso rubino chiaro con riflessi granata.  A Favria nell’Ottocento quando è stata costruito l’ayrale, cascina in piemontese, esisteva una grande produzione di vino come attesta l’inventario dei beni del castellano ante rivoluzione francese.

Favria,  30.09.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Poi l’estate svanisce e passa, e arriva ottobre, l’aria odora di umidità, sento una chiarezza insospettabile, un brivido nervoso, una veloce esaltazione, un senso di tristezza e di partenza. Felice giovedì.

Stupirsi ogni giorno vuol dire apprezzare le meraviglie che la vita ci dona. Ti aspettiamo a Favria MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE  2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione. Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell.  3331714827- grazie se fate passa parole e divulgate il messaggio

Sterna, pavè, selciato forse terso

Inizio oggi a parlare della parola sterna che in piemontese indica una pietra, un ciottolo, da li il verbo sternì selciare, lastricare. Poi ci sono le parole sternia, strada selciata e di seguito lo stradino, sternidor e lo sternighin, il selciatore, infine con il lavoro finito abbiamo la sterniura. Forse nelle parlate locali ci sono lemmi differenti, io ho preso come metro il REP con renderli omogenei. A volte si usa in piemontese ed in italiano la parola pavè che deriva invece dal francese, meglio participo passato del verbo paver, a sua volta dal latino pavire, pavimentare, che è simile a delle sterne, ma qui sono piccoli cubi di pietra o di porfido, come, per esempio., il selciato di sampietrini di molte strade romane, invece le sterne sono per la maggior parte piccoli sassi tondi di fiume. Il termine pavè è usato in Italia soprattutto nel linguaggio sportivo, con riferimento ad alcune strade della Francia nord-orientale e del Belgio pavimentate in tal modo e incluse nei percorsi di note gare ciclistiche per aumentarne la difficoltà, ma è anche usato nell’arte orafa, per indicare una particolare disposizione delle pietre preziose che vengono collocate una accanto all’altra in modo da apparire come uno strato compatto, quasi una pavimentazione. In italiano usiamo la parola selciato per indicare una strada, piazza o cortile costituito da selci. La selce, silice o selice dal latino silex silicis vuole dire pietra dura  costituita in prevalenza da silice colloidale, molto dura, a frattura concoide già usata in epoca preistorica per fabbricare armi e utensili, nell’antichità anche come pietra focaia, e oggi specialmente. per pavimentazioni stradali, per ricavarne mole o come materiale da costruzione. Concludo con la parola terso che significa limpido e privo di impurità usata molte volte per indicare un cielo senza nubi. Parola brillante che ormai viene identificata solo così. Sicuramente è difficile parlare di un selciato  con un asfalto terso ma sicuramente sono terse le sterne dopo un temporale estivo che luccicano al sole, libere dalla polvere che le opprimeva e le rendeva smorte. Poi che dire quando leggo un libro ne apprezzo lo stile terso, cristallino, privo di sbavature o di un film che mi permette di godere di una fotografia tersa, equilibrata, limpida. Ma nella vita anche certi quotidiani affanni mi lasciano dopo lo sbigottimento iniziale un ragionamento terso e perspicace. Vi chiedo scusa per questa sternaj bazzecola e Vi saluto

Favria, 1.10.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Ottobre è un mese perfetto per fare progetti con la temperatura che matura ogni cosa, le vigne, i colori e i pensieri. Felice venerdì.

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La stobia e la stoppia.

In piemontese il barbel è la stoppa dal latino stuppa è il cascame fornito dalla pettinatura della canapa, una volta coltivata nel Canavese o anche del lino, della iuta, che si usa grezza come imbottitura e per assicurare la tenuta nei collegamenti di tubazioni idrauliche ed oggi l modo di dire essere di stoppa significa persona debole ed impacciata nei movimenti, il sentirsi le gambe di stoppa, sentirsele deboli. Una persona di  stoppa, vuole dire  di scarso valore, privo di nerbo come il cascame grezzo ma anche di mentalità o di idee molto arretrate, o  nello stesso senso anche essere rudi, incivili o violenti. Anche vivere in condizioni di grande arretratezza tecnologica e cultura. La stoppia in piemontese si dice strobia, sono i residui di una coltura erbacea rimasti dopo il taglio o la mietitura. La parola in piemontese arriva dall’occitano estobla, cespuglio. L’origine del lemma deriva dal latino volgare stupula con varinate stipula o stipola. La stipula è il nome adottato da Linneo per indicare dei cespugli erbacei, meglio foglie o involucri intorno a cui gira uno stelo. Da questa parola nasce la parola frequente nell’uso notarile stipula, che deriva da stipulare, definire un accordo. Da notare che in piemontese una specie di allodola frequentatrice delle  stoppie o cespugli d’erba viene detta strobion, specie di allodola. Per il mais la stoppia viene detta in piemontese baraval. Una cosa curiosa che il baraval è anche il panico, un cereale  alto più di 1 m, con pannocchia compatta. Questo cereale rustico, resistente alla siccità, e ha un ciclo vegetativo assai breve, di coltura antichissima, ora estesamente coltivato in Cina, Giappone, India, poco in  Europa, dove in passato era impiegato anche nella panificazione. Oggi la  granella è usata come becchime per gli uccelli domestici e la pianta si coltiva anche per foraggio negli erbai.  Una curiosità il  Baraval era anche un cappello di paglia di moda verso la fine del XVII a Torino. Da allora questo tipo di cappello ha avuto un uso sempre più crescente, tanto che venivano chiamati cappelli di paglia tutti i tipi di cappelli, fatti non solo con gli steli delle graminacee più conosciute, ma anche quelli confezionati con materiale diverso.

Favria, 2.10.2021 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nell campagna i pioppi in ottobre sono simili a fiaccole che illuminano la via per l’inverno. Felice sabato

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Vintage e retrò

Vintage e rétro possono sembrare sinonimi ma in realtà hanno un significato diverso e ben definito. Vintage deriva dal francese antico vendenge vendemmia passata poi all’inglese dove il lemma vintage significava in origine vino millesimato,  prodotto con  uve di un’unica annata,  che a sua volta indica i vini d’annata di pregio. E infatti con l’attributo vintage si indicano oggetti vecchi almeno di 20 anni e diventati nel tempo di culto perché prodotti con materiali di alta qualità (come appunto i vini pregiati) o perché hanno segnato a tal punto il costume e la cultura da essere ancora considerati, dopo decenni, preziosi e inimitabili. Possono essere vintage abiti, accessori, bijoux, mobili, dischi, chitarre, computer, videogiochi; ma anche biciclette, automobili (Fiat 500, Renault 4), motociclette (Vespa, Lambretta) generalmente prodotti tra il 1920 e il 1980. Con il termine rétro, invece, si rende l’omaggio a una certa epoca con elementi di recente fattura: una sedia, un abito, un accessorio prodotto oggi che rimanda a un certo periodo cult della storia. Ecco perché un oggetto nuovo, anche se ricorda il passato, non verrà mai definito vintage ma rétro.

Favria, 3.10.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ottobre che è un vetro appannato, l’odore della nebbia, i viali che diventano red carpets in una pagina d’appunti.

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