La fucina di Castellaro ieri
Destinate principalmente ad uso agricolo, le acque delle vallate alpine hanno rappresentato anche un forte richiamo per l’installazione di strutture produttive grazie alla ricchezza di salti e cadute utilizzati per la produzione della forza motrice. A partire dal Medioevo mossero le ruote dei mulini, alimentarono fucine e segherie; per tutto il corso dell’ottocento furono un fattore di localizzazione indispensabile per la nascente industria, in primo luogo quella tessile. Nacquero così oltre alla fucina di Castellaro, la manifattura di Pont Canavese, alimentata dalle acque del Soana e la manifattura di Cuorgnè con l’acqua derivata dal fiume Orco.
Che cos’è una fucina del rame? | Qu’est-ce qu’une forge du cuivre?
Nella frazione Castellaro di Ronco troviamo un esempio di opificio azionato dalla forza dell’acqua che risale al 1675 come attesta una scritta su pietra all’interno del fabbricato principale: “IHS Glaudo Calvi 1675“.
Il complesso era costituito da una fucina grande, adibita alla lavorazione del rame, una fucina piccola per la lavorazione del ferro e del carbonile, per la produzione del carbone di legna, impiegata nel ciclo di lavoro.
La produzione della fucina, che rimane in attivita’ fino al 1950, riguardava oggetti in rame di uso domestico; non e`escluso pero’ che in alcuni periodi (per esempio quello Napoleonico), la fabbrica sia stata adibita a produzioni belliche come si verifico’ anche per le fucine di Locana, Sparone, Pont e Cuorgne’.
La parte archittettonicamente piu’ pregevole del complesso e`costituita dalla fucina grande: la sua tipologia e i materiali costruttivi non sono diversi dalle case e cascine caratteristiche della val Soana; sono le dimensioni inusuali, per esempio la notevole altezza interna dei locali, che ne suggeriscono la funzione produttiva.
Strutture come questa costituiscono a tutti gli effetti testimonianza storica di un pezzo di cultura artigiana e di un modo di lavorare sfruttando le possibilita’ del luogo.
Un canale,detto della Fucina, derivato dal Soana a monte dell’opificio mediante una diga instabile in petrame e fascine ( in modo che non oponesse resistenza all’impeto dell’acqua nei periodi di piena) inviava l’acqua sulle ruote in ferro, che davano il moto ai magli, e su due trombe idrauliche in legno, per la ventilazione delle forgie.
Le trombe idrauliche erano un dispositivo ingegnoso e semplice, basato sullo stesso principio applicato oggi per generare il vuoto mediante iniettori: erano costituite da uno o piu’ tronchi in legno cavi disposti verticalmente in cui veniva fatta precipitare da un canale l’acqua che, nella caduta , inglobava aria.
Acqua e aria confluivano in una botola interrata, generalmente in legno, e , mentre l’acqua fuoriusciva per perdita sotterranea, l’aria era sospinta nella fucina attraverso una rete di condotti che giungevano alle forgie, ventilandole costantemente.
La lavorazione del rame: dal metallo fuso fino al paiolo
La prima fase della lavorazione del rame consisteva nella predisposizione in forno di fusione del metallo, a cui si aggiungeva carbone di legna,piombo e stagno opportunamente dosati per migliorarne la qualita’.
Il liquido ottenuto era scodellato con grandi mescoli di ferro in contenitoridi refrattario per formare i masselli; questi, una volta induriti ma ancora incandescenti, venivano lavorati al maglio.
Il liquido ottenuto era scodellato con grandi mescoli di ferro in contenitoridi refrattario per formare i masselli; questi, una volta induriti ma ancora incandescenti, venivano lavorati al maglio.
Il meccanismo piu rappresentativo della fucina, il maglio, era una specie di enorme martello in cui il manico, attraverso perni ortogonali di bronzo, oscillava entro incastellature in pietra, mentre le teste battevano su piani in lastre di pietra.
Perpendicolare al maglio, l’albero di trasmissione, in legno,ruotando ne faceva sollevare l’estremita’.
magliaro Valsoanese al lavoro
Alternativamente riscaldato e rilavorato piu’ volte,con ripetute battiture il masello si assottigliava e prendeva una forma a scodella: l’abilita’ del magliaro consisteva nell’ottenere contenitori il cui fondo era piu’ spesso al centro e man mano si assottigliava verso le pareti. Al maglio lavoravano due persone: una maneggiava il pezzo di rame caldo mentre l’altra con una leva in legno regolava il flusso dell’acqua e quindi la frequenza dei colpi del maglio. Dalla fucina usciva il prodotto grezzo, detto cavato destinato poi a passare nelle mani dei calderai (di Alpette, Ribordone, Sparone e Locana) che lo battevano e lo sagomavano a mano col martello fino ad ottenere il paiolo voluto. E questo avrebbe resistito al fuoco cinquanta, forse … cent’anni.
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