Il mito di Leucalione. – FIDASAUGURI!- La bellezza della musica. – Vino! – Flambamiche. – La piuma neira e le feuje! – Baleniera Essex! – Basilica, duomo e cattedrale!…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Il mito di Leucalione. Venerdì  19 novembre ci sarà luna piena. Il plenilunio assume valenze

diverse, positive o negative che siano a seconda delle culture; che sia, talora, paladina delle nascite, padrona dei raccolti e del vino buono, oppure pazza e capricciosa, capace di far riaffiorare gli istinti più bui, resta il fatto che la luna piena ha da sempre il suo fascino, che le deriva da simbolismi e credenze del mondo pagano.Tra le leggende più diffuse vi è quella della licantropia. Da dove ha origine il termine ‘licantropo’? Si tratta della fusione di due vocaboli greci, lykos, lupo e ánthropos, uomo, ovvero l’uomolupo, ma da dove nasce questa leggenda. Le radici della leggenda affondano nel mito di Licaone e Zeus, narrato da Ovidio nelle Metamorfosia. In Arcadia, regione dell’Antica Grecia esisteva il culto di Apollo Liceo, ossia Zeus-Lupo. L’ Arcadia è una delle regioni più impervie e isolate della Grecia nella penisola del Peloponneso. Il protagonista di questo mito si chiama Licaone che in alcune versioni del mito di Callisto gli attribuiscono il ruolo di padre, in altri era Netteo, l’uomo della notte, Ceteo, l’uomo-mostro marino. Licaone, l’uomo lupo era una persona empia e scellerata, al punto che le sue nefandezze attirarono l’ira di Zeus, che decise di punirlo scendendo personalmente sulla terra. Così il padre degli dèi si travestì da mortale e si recò presso la reggia del re d’Arcadia; qui Licaone, sentite le voci inerenti al fatto che lo straniero fosse il divino Zeus in persona, decise di sfidare il dio, o meglio di saggiarne la natura divina mettendolo alla prova. Il perfido offre a Zeus delle carni umane appartenenti a un giovane fanciullo. Questa storia è considerata il primo esempio di Licantropia, il cui nome deriva appunto da Licaone. Alcuni studi fanno ritenere che il mito di questa creatura abbia voluto rappresentare il rito del cannibalismo. Riprendendo il racconto, Zeus, adirato, bruciò e fece crollare la dimora, Licaone riuscì a fuggire ma, mentre si dava alla macchia, sentì che qualcosa stava cambiando, ululava quando tentava di parlare. Sente l’istinto assetato di sangue e si rivolge contro le greggi godendo del loro sangue. La pelle si trasformano in folto pelo, le braccia in zampe, si trasforma in famelico lupo conservando della forma umana ancora delle antiche tracce. Ovidio così lo descrive nelle Metamorfosi: “Mantiene il grigiore dei peli, uguale la furia del volto, uguale il lampo degli occhi e l’espressione feroce!” questo antico mito serve anche a spiegare un’altra tenebrosa leggenda, secondo la quale in Arcadia i sacerdoti di Apollo Liceo immolavano vittime umane al dio, cosa che li faceva trasformare in lupi e se dopo otto anni non avevano toccato carne umana potevano tornare uomini. Nella mitologia greca “Licio” era un epiteto attribuito ad Apollo o perché riferito al termine lupo, o al fatto che il dio appena nato era stato portato in Licia, oppure infine perché si voleva indicare la sua caratteristica di divinità solare dalla radice greca leucos, candore, luce. Questo mito di Licaone ha influenzato tutto il Medioevo e oltre, determinando il sorgere della credenza del “lupo-mannaro”, un altro autore antico, Galeno, artefice di un trattato sulla medicina, spiegava così, nel II sec. d.C., il fenomeno della licantropia, quale vera e propria malattia da curare, affermando che colore colti dal morbo chiamato lupino o canino, escono di casa di notte nel mese di febbraio e imitano in tutto i lupi o i cani, sono pallidi e malaticci, hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non secernono saliva per nulla. Sono assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani. La cura prescritta allora era quella del salasso incidendo una vena nel periodo della malattia per fare evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi. Nella tradizione scandinava l’orso fungeva una simile funzione al lupo e i guerrieri bearsak si coprivano solo di pelle d’orso per sentirsi invulnerabili e dar così sfogo a una libertà sfrenata senza inibizioni culturale e religiosa. In Europa il terrore dei lupi mannari è forte soprattutto tra il cinquecento e il seicento, gli inquisitori hanno condannato a morte tantissime persone innocenti che sotto tortura si sono proclamate licantropi.

Buona giornata. Ogni giorno ricordiamoci sempre che la vita è una sfida, e sta a noi decidere se accettare la sfida, oppure restare fermi. Felice martedì.

La bellezza della musica.

In questa pandemia è importante reinventarsi, investire questo tempo libero che è passato ne abbiamo avuto tanto leggendo e scrivendo dei semplici pensierini come faccio io oppure suonando musica come ho pensato questa sera parlando al telefono con un bravissimo musico. Dopo la telefonata pensavo che per la sua categoria la pandemia vuole dire rimanere fermi, senza potersi incontrare con gli altri amici musici per le prove, riprese solo negli ultimi mesi. Ritengo la musica uno sterminato oceano, dove i musici si perdono e nuotano dentro e con la fine della pandemia ritengo hanno acquisito una maggiore esperienza. Certo pur non suonando ma solo leggendo e scrivendo dei semplici pensierini ritengo che la meditazione ci aiuta tanto oltre che a migliorare noi stessi a vedere l’oggi sotto un altro punto di vista. C’è tanto da cambiare, sia nello stato in cui viviamo sia nelle persone. È stupido perdere del tempo prezioso, perché la vita è un dono, dobbiamo ricordarlo e per questo dobbiamo vivere intensamente. Fregandocene delle persone che ci dicono di no e andando avanti con pensieri positivi per la nostra strada. Solo così possiamo essere positivi oggi e domani ne usciremo vincenti ed i musici con più musica perché hanno investito nell’oggi per creare nuove melodie e armonie che possano aiutare il mondo semplicemente rallegrandolo. Possiamo migliorarci come persone e anche questo può servire al mondo perché possiamo fare una mano concreta e aiutarlo a riprendersi migliorandosi a sua volta. Possiamo stare con le persone che amiamo e anche se non necessariamente al loro fianco possiamo dimostrare loro che abbiamo utilizzato questa situazione per il meglio che è e non il peggio. Sorridiamo alla vita perché siamo fortunati ed i musici sono fortunatissimi perchè suonare è una delle cose più belle al mondo! Ben ritornato allora il concerto di S. Cecilia a Favria, sabato 27 novembre ore 21 della Società Filarmonica Favriese. Domenica 28 novembre ritrovo alle ore 10,15 in piazza della Repubblica, davanti al palazzo  Municipale e poi alle ore 10,30 omaggio ai musici defunti al cimitero comunale, piazza donatori di sangue. Poi ore 11 S. Messa presso la Chiesa Parrocchiale SS. Michele, Pietro e Paolo. Pranzo sociale ore 12,30 presso agriturismo La Desiderata ad Agliè. Per adesione telefonare al cell. 3351318535.

Grazie maestro Alberto per aver serrato le fila con il presidente Adriano e tutto il direttivo perché il patrimonio di esperienze musicali non è andato perduto, ma anzi ha fruttificato con i corsi per gli allievi portando nuova linfa al grande comune patrimonio favriese che siete tutti Voi.

Grazie musici della Filarmonica Favriese

Favria, 17.11.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ovunque ci sarà la musica ci sarà sempre un motivo per sognare. Felice mercoledì.

Vino!

L’11 novembre si Celebra San Martino di Tours ricorrenza che coincide con l’assaggio del vino nuovo. Esiste un legame tra vino e Santi, Sant’Ingenuino il 5 febbraio per scongiurare la siccità,

 il 2 aprile una volta si invocava Sant’Urbano di Langres per ottenere la pioggia ed evitare malattie alle viti, San Barnaba l’11 giugno, Santa Elisabetta il 4 luglio per il favore degli enologi e San Grato il 7 settembre contro i danni della grandine. San Venceslao il 28 settembre per corroborare i pigiatori d’uva, visto che questo santo faceva il vino in vita. San Teodulo di Sion il 27 ottobre per eludere i temporali, e San  Baudacario  il 21 dicembre per proteggere i vigneti. Infine San Crispino il 25 ottobre il giorno in cui si faceva la svinatura, operazione vinicola mediante la quale si toglie il vino dalla feccia e dalle vinacce al termine della fermentazione.  Il vino appena svinato è detto “vino nuovo”. Le vinacce subiscono una pressatura da cui si ricava il vino da pressa che a volte veniva unito  al vino nuovo. Da una seconda pressatura, più spinta della precedente, si ottiene il vino torchiato di bassa  qualità che normalmente viene utilizzato per produrre vini di bassa qualità. San Crispino per questo oltre a essere citato da  Shakespeare con il monologo di Enrico V prima dell’ epica avvenuta in terra di Francia in un tempo lontanissimo da noi, nel 1415, la battaglia di Angincourt è anche questo Santo il protettore degli ubriachi. Per gli ubriachi si chiede aiuto anche a Sant’Alfio il 10 maggio. Ricordiamoci sempre se  il vino non fosse una cosa importante, Gesù Cristo non gli avrebbe dedicato il suo primo miracolo!

Favria, 18.11.2021  Giorgio Cortese

Buona serata. Nelle sere di metà novembre le assenze ti passeggiano dentro. Felice giovedì.

Flambamiche.

In dialetto i flambamiche sono dei grandi mangione ma anche dei buoni a nulla. Era un modo di dire che una volta veniva usato in bottega ai giovani garzoni. La parola è composta dal lemma flambè, bruciacchiare ma anche sperperare. La parola deriva dall francese flambè, fiamma dal lemma latino  flammulam, piccola fiamma. Se diciamo flambè pensiamo subito al cibo cosparso di liquore cui viene dato fuoco al momento del servizio in tavola. Poi abbiamo il flambò, cero, piccola torcia o bugia.  Ed arriviamo al lemma flambeusa, la superbia o vanagloria. Che deriva sempre dalla voce francese flamber, con il significato di infiammare con fiamma alta, come la vanagloria di certe persone. Passiamo allora alla seconda parola mica che significa bricciola. Si vuole che il termine derivi dal lemma latino micam. Bricciola simile al latino medievale miccam, pagnotta da li è arrivato dal francese michè ma anche nell’olandese micke, pane di frumento. Una volta si diceva sotto la neve pane ed il pane era la mica, una pagnota veniva chiamata semplicemente na mica ‘d pan, oggi invece abbiamo la biova, ciabatta, tartaruga, bocconcino, filone. Per non parlare dell’impasto: integrale, senza strutto, all’acqua, all’olio, ai cereali, al farro, alla curcuma, azzimo, e via dicendo. La mica era a seconda delle dimensioni detta micon se grossa e se piccola michetta. Come si vede la mica era presente nei discorsi dei nostri avi non solo per dire al giovane flambamiche, epiteto usato a volte da mio padre quando ero maldestro in qualche lavoro ma  anche nei modi di dire, se adesso vi tedio con questo discorso potete dirmi “dejne për na mica e ‘n pruss, dargliene una pagnotta e una pera,per dirmi che vi sto stancando e abuso della vostra pazienza. D’altra parte, personalmente provo dispiacere quando le persone sciocche vengano etichettate come  fòl pà na mica, stupido come una pagnotta. Il pane, semplice e umile, è tutt’altro che stupido nella sua alta funzione cibo base per noi esseri umani e si lascia pur sempre mangiare. Infine la parola mica in italiano scivola continuamente nei nostri discorsi a rafforzare le nostre negazioni: non è mica male, non mi scoccia mica, non è mica uno scherzo. Quello che sfugge è che quel mica è sempre la briciola se non di pane ma qualcosa di minutissimo, praticamente un nulla, che col suo significato deprime il verbo a cui è giustapposto compiendo un paragone con qualcosa che per eccellenza è privo di valore come la briciola.

Favria, 19.11.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Il senso della vita ritengo che sia di trovare il nostro dono, lo scopo è poi di regalarlo agli altri. Felice venerdì.

La piuma neira e le feuje!

E’ autunno, arrivo da un funerale di un fratello Alpino, passo nel parco e vedo che cadono le foglie d’autunno, si staccano e volano via…se ne vanno, anche le più grandi e le più belle: giallo oro, rosso fulgido, marrone castagna…Purtroppo cadono molte persone che conosciamo come foglie nell’autunno della vita, tante troppe esistenze. Sta volando via, in questa inattesa violenta burrasca che si potrae negli ultimi anni, la generazione di coloro che hanno costruito e ricostruito l’Italia, i nostri paesi, le nostre famiglie, le nostre comunità, le nostre associazioni. Mi tolgo un attimo il cappello alpino e sono candide le mie tempie, la dolce giovinezza ormai è svanita e della  vita gioiosa ormai mi resta solo il ricordo del suo tempo breve come l’estate ormai passata. Ognuno di noi ha una stagione che ama, ed io preferisco l’autunno, coi suoi colori tenui e variopinti, delicati e pacati come il clima che lo avvolge. Devo, però, riconoscere che spesso all’autunno è comparata una stagione della vita che ai nostri tempi è molto meno amata e rispettata che in passato, quella della vecchiaia.  Eppure, l’autunno ha un suo fascino ed una sua bellezza anche in questa fase dell’esistenza e soprattutto c’è una lezione di vita da offrire alle nueve generazioni. Ritengo che oggi sia ridicolo tentare di vestirci come la primavera, ossia imitando i giovani, oppure ritenendo di essere in piena estate, come se si fosse gli adulti maturi ed efficienti di ieri. Bisogna, invece, essere sempre se stessi, capaci di riflessione e di quiete, pronti ad accogliere e a vivere questa stagione tenue e delicata. Tra le foglie che cadono nel parco sopra al mio cappello con la piuma nera penso che noi Alpini con piccole attività, con  gesti semplici, insomma buone abitudini che rendiamo questo nostro Paese un posto migliore per noi e  per i nostri figli. A differenza delle foglie che adesso cadono noi abbiamo seminato nella società i nostri valori, la cultura alpina, il rispetto per le tradizioni e la memoria di chi ci ha preceduto e in molti casi si è sacrificato per noi per la nostra amata Patria che dobbiamo continuare a proteggere e a tenere unita e oggi lascio che le feuje crov sul capel d’la piuma neira perché ogni giorno dobbiamo imparare da ieri, vivere il presente e sperare con ottimismo al domani.

Favria, 20.11.2021   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana la violenza è l’ultimo e il becere insulto è l’ultimo rifugio degli incapaci. Felice sabato.

Baleniera Essex!

Il 20 novembre 1820 un grosso cetaceo attacca la baleniera americana Essex. Questa vicenda ispirerà nel 1851 il celebre romanzo Moby Dick di Herman Melville. Quell’anno la baleniera dopo aver faticosamente doppiato Capo Horn con quella che si considerava allora una pesca quasi insignificante, George Pollard, il comandante della baleniera Essex di Nantucket, decise di spingersi al largo dell’Oceano Pacificoverso rotte inesplorate. L’inverno era alle porte e gli 800 barili di grasso di balena nella stiva della baleniera erano considerati troppo pochi. La vedetta, finalmente, annunciò la vista di alcuni capodogli. Il comandante non aspettava altro, fece calare tre lance che si gettarono subito all’inseguimento del branco di balene entrate, in quel periodo, nella loro stagione degli amori. Un maschio enorme, preso subito di mira dagli uomini della Essex, capovolse una delle lance. Due uomini si salvarono, presi a bordo dalle altre imbarcazioni. Il capodoglio colpito da un arpione si scagliò contro la stessa Essex. La nave, duramente colpita, non affondò subito e gli uomini sulle lance e sul ponte ebbero un momento d’indecisione che si rivelò fatale. L’enorme balena riemerse, colpendo di nuovo la nave già danneggiata dal precedente impatto. Quando la baleniera iniziò ad affondare, gli uomini rimasti sul ponte armarono le pompe, ma invano. La Essexnon colò a picco e ciò permise agli uomini dell’equipaggio di recuperare le gallette necessarie a 30 giorni di navigazione e alcune tartarughe che erano a bordo. Rimasero così in venti su tre lance baleniere. I naufraghi approdarono su un atollo, l’isola di Henderson, abitata da uccelli marini e con una vena di acqua. Decisero di ripartire, lasciando sul piccolo atollo tre naufraghi, i cui noi erano Thomas Chappel, Seth Weeks e William Wright,  in attesa di soccorsi. I tre saranno soccorsi più di un anno dopo, il 9 aprile 1821. L’Oceano Pacifico, era considerato  calmo ma letale nelle vaste aree dove è di fatto impossibile ottenere cibo dal mare, le lance andarono alla deriva e gli uomini cominciarono a morire di sete e fame. Una delle lance con a bordo il secondo e 5 marinai scomparve in una notte di tempesta. Senza viveri, i marinai sulle altre lance si spinsero al cannibalismo dei compagni morti, ma presto anche questa fonte di cibo si esaurì. Della terraferma non vi era nessuna traccia, ed erano passati già 78 giorni dal naufragio. A questo punto i marinai si persuasero che fosse rimasta loro un’unica risorsa: uccidere un compagno, estratto a sorte, e mangiarne il corpo. Tale pratica venne messa in atto pur con grandi rimorsi da parte di tutti, finché finalmente , a 350 miglia dalle coste del Cile,  una nave salvò due sopravvissuti, il primo ufficiale Owen Chase ed un marinaio e, dopo una settimana, un’altra nave avvistò la seconda scialuppa con a bordo il capitano Pollard ed un marinaio, i quali erano ridotti allo stremo. Il rimorso per il cannibalismo e il tragico sorteggio avrebbe segnato il resto della vita degli uomini sopravvissuti. Il capitano, alla ripresa di un comando, affondò nuovamente su un banco di scogli e si ritirò a Nantucket senza più navigare. Il primo ufficiale Owen dopo alcuni anni prese il comando di altre navi e navigò per parecchie campagne di caccia alle balene, ma in vecchiaia fu dichiarato insano di mente. I marinai superstiti non navigarono più.  La storia  storia pare abbia ispirato, almeno nella prima parte. Herman Melville per il suo Moby Dick.

Favria, 21.11.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana le persone intelligenti sono sempre il miglior manuale di conversazione. Felice domenica

Basilica, duomo e cattedrale!

A prima vista da una lettura superficiale potrebbero sembrare dei sinonimi ma non è così! Il termine basilica vuole dire letteralmente, la casa del re e cioè del Signore. Viene infatti dal greco basileus, che significa re, e da oikos, che vuol dire casa. Ogni chiesa, quindi, può essere considerata una basilica, ma la Chiesa attribuisce solo ad alcune di esse tale definizione e ciò avviene in funzione della loro importanza e valore artistico. Oltre a questo, la basilica deve possedere i mezzi necessari a mantenere il decoro richiesto dal titolo. Invece il termine duomo deriva dal latino domus, che,  letteralmente, significa casa. In linea di massima, quindi, il significato etimologico è pressoché identico a quanto vale per la basilica, però, presenta una differenza rilevante, il duomo è la chiesa più importante di una città, per lo più in stile gotico con pilastri e volte che ne esaltano lo slancio in verticale, all’interno della quale alloggiava l’arciprete che presiedeva al presbiterio della città in questione. Se il duomo si trova presso una città che è sede vescovile, prende il nome di cattedrale, ossia la chiesa principale della diocesi, detta così perché il vescovo ha lì il suo trono o “cattedra”. Insomma, la principale differenza che c’è tra duomo, cattedrale e basilica consiste prettamente in una questione di importanza. Non solo, comunque, gli edifici fra loro differiscono pure per l’architettura con la quale sono stati edificati, che, in alcuni casi, è molto dissimile anche fra edifici risalenti al medesimo periodo. Quello che è importante sono gli animi dei fedeli che le frequentano e con le loro preghiere ne danno vero arricchimento spirituale!

Favria,  22.11.2021  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nel mondo esistono tanti tipi di intelligenza, ma un solo tipo di stupidità. Felice  lunedì.