Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue. – Le Olimpiadi. – La nascita dei bagnini. -Agosto! – Abbiate un sogno. – simboli delle Olimpiadi moderne. – Con quale coraggio. – I gemelli… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue. Vieni a donare il sangue, vieni

a donare a Favria Venerdì 2 agosto, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare e portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Per info, Cell. 3331714827. Ricordo i requisiti minimi per donare: età compresa tra i 18 e i 60 per la prima volta, poi dai 65 a 70 anni, l’idoneità a donare va valutata dal medico. Grazie se fate passa parola e divulgate il messaggio. Vieni a donare il sangue venerdì 2 Agosto a Favria e sii un eroe nella vita di qualcuno. Orario dalle ore 8 alle ore 11,00, devi prenotare al cell 3331714827 oppure tramite mail favria@fidasadsp.it Grazie ai donatori che si sono presentati mercoledì 17 luglio  abbiamo raccolto 70 sacche di sangue,  10 esami di controllo e 4 non idonei. Grazie a tutti i donatori, Centro Incontri Pensionati per disponibilità locali, agli operatori sanitari Udr, per disponibilità,  i dipendenti comunali. Ricordate che donare il sangue rappresenta il più grande atto di vita che chiunque può compiere. Ogni giorno, in Italia, migliaia di persone sopravvivono grazie a un gesto così semplice ma così importante. Non indugiamo, perché “certe cose” non accadono solo agli altri. Gli “altri” siamo anche noi.
Vieni a donare il sangue venerdì 2 Agosto a Favria

Le Olimpiadi.

All’inizio vi era un’unica gara, la corsa. Poi i Giochi divennero sempre più importanti e per  disputarli si fermavano anche le guerre. Erano  i messaggeri ad avvisare le genti greche ogni quattro anni: il primo plenilunio dopo il 22 giugno era il momento di riunirsi a Olimpia per assistere alle competizioni in cui i singoli atleti gareggiavano non solo per se stessi ma per la loro polis di nascita. Era il VI secolo a.C. e le Olimpiadi non erano più una piccola gara riservata agli abitanti del Peloponneso, come in origine. A fronteggiarsi erano i più forti atleti di Grecia e delle colonie: per farli arrivare nel recinto sacro di Olimpia si era disposti persino a fermare le guerre. Secoli dopo, in epoca romana, i Giochi divennero una manifestazione sportiva svuotata dei valori sacri che l’avevano contraddistinta. Finché, nel 393 d.C., l’imperatore cristiano Teodosio, dopo 294 edizioni, li abolì considerandoli troppo vicini al mondo pagano. Il primo vincitore dei Giochi olimpici antichi, nel nel 776 a.C. fu un semplice fornaio dell’Elide, Corebo che primeggiò nell’unica gara in programma, una corsa di 192,27 metri. Lo premiarono con ramoscelli d’ulivo da cingere in testa e gli dedicarono una statua che secondo lo scrittore Pausania era la più antica di tutta la Grecia. Milone di Crotone, VI secolo a.C. è tra i più antichi atleti di cui ci sia giunto il nome e il suo fu un palmares da record: solo a Olimpia ottenne sette vittorie, ma primeggiò in tutti i Giochi panellenici. La sua specialità era la lotta e partecipò alla sua prima Olimpiade appena quindicenne. Nella lotta, la meno violenta tra le gare di combattimento, per vincere si doveva atterrare il proprio avversario per tre volte. Nelle altre bisognava invece costringerlo alla resa. Le mani dei pugili erano cinte da fasce di cuoio con le borchie, che non servivano a proteggere, ma a fare più male. Dal  632 a.C. si disputarono anche gare junior: si sfidavano infatti atleti tra i 12 e i 18 anni. L’imperatore  romano Nerone aveva una grande passione per lo sport. Pretese persino lo spostamento delle Olimpiadi dal 65 al 67 d.C. visto che nel 65 si svolsero a Roma le “sue” Neroniadi. Introdusse la corsa delle quadrighe con 10 cavalli e unì gli agoni tragici, antiche sfide fra tragediografi, alle gare sportive. Le gare di carri che si svolgevano nell’antica Roma erano ben poco intrise dello spirito olimpico, che non prevedeva premi in denaro: l’auriga Gaio Apuleio Diocle, vissuto nel II secolo d.C., si dice che si fosse aggiudicato almeno 1.462 gare, guadagnando in 24 anni la cifra favolosa di 35 milioni di sesterzi. Vittorino de Feltre nel 1423 fondò a Mantova una scuola per i rampolli di casa Gonzaga, alla  Ca’ Zoiosa,  dal nome dell’edificio che la ospitava, ci si formava anche con giochi e gare di scherma, corsa, marce, equitazione, nuoto e gioco del pallone. Tradizionalmente si ritiene il francese Pierre de Coubertin il fondatore delle Olimpiadi moderne, nel 1896 ad Atene. Ma circa mezzo secolo prima il botanico britannico William Penny Brookes organizzò annualmente a Much Wenlock, nella contea dello Shropshire, una rassegna sportiva che dal 1859 si chiamò Olimpiade.

Favria,  30.07.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Con un po’ di esercizio se ci impegniamo penso che sia possibile prendere lezioni di ottimismo anche da Giacomo Leopardi. Felice martedì.

La nascita dei bagnini.

Il primo bagno di mare passato alla storia, quello di re Giorgio III d’Inghilterra, detto “il pazzo”, non ha avuto luogo nelle acque e sotto il sole caldo di un’estate mediterranea, ma in quelle di Weymouth,, sulla costa della Manica, nel luglio del 1789. La regale immersione, nel novembre 1789, con una  bathing machine, una cabina a ruote trainata in mare da cavalli, accompagnata dall’inno “God save great George our King”, con ninfe in abiti di flanella a righe, non aveva niente a che fare con la follia del sovrano, dovuta, pare, ad una patologia attribuita alla porfiria o all’abuso di arsenico. L’evento segnava un passaggio che avrebbe portato nei decenni successivi alla nascita della civiltà balneare. Questo evento per prima cosa inaugurò la moda aristocratica dei bagni invernali che duravano 1-2 minuti, Weymouth divenne immediatamente una capitale mondana come le tante, Brighton , Deauville, Granville, Cannes, Nizza, Biarritz, che  dovranno la loro fama a testimonial di rango, grandi nobili e dame famose per la loro bellezza. Il nome di Dieppe è associato a Ortensia Beauharnais, figliastra di Napoleone e regina d’Olanda, che si immergeva  dal 1812 nell’acqua in un raffinato completo di lana color cioccolato, imitata nel 1824 da Maria Carolina di Borbone, principessa delle Due Sicilie, sorvegliata da ispettori in alta uniforme. La moda dei bagni di mare era destinata ad affermarsi rapidamente grazie ad una piccola avanguardia formata dall’aristocrazia e dall’alta borghesia europea che nel Settecento aveva riscoperto le Thermae. II famoso centro termale di Bath, nel Somerset era il luogo in cui trascorrevano la villeggiatura le élites col pretesto di curarsi con le rinomate Aquae Sulis. In realtà, commentava, sarcastico, il filosofo ed enciclopedista Denis Diderot:” Gli uomini vanno per distrarsi dalla monotonia delle mogli e le mogli da quella dei mariti. » tra abluzioni, seduzioni e pettegolezzi. L’avvcinamento al mare era spinto dalle teorie mediche sulle virtù terapeutiche dell’acqua e dell’aria di mare, impregnata di sali minerali. L’elioterapia e la talassoterapia erano consigliate per numerose patologie: dermatiti, ulcere, ferite, rachitismo. Fanciulli ossuti e ragazze esangui traevano beneficio dalla balneoterapia e i medici consigliavano la talassoterapia anche come sussidio terapeutico nella cura di alcune forme tubercolari.  Questa moda, segnò il debutto dei bagnini, in inglese lifeguards, angeli custodi dei bagnanti.  A cavallo tra ’700 e ’800 queste mansioni furono affidate a membri della servitù chiamati “bagnatori e bagnatrici”, come alle terme. Il galateo vittoriano era ferreo e l’ora del bagno era quella dell’alta marea. Al suono di un campana le donne raggiungevano le cabine e robuste bagnine spingevano le novelle nereidi a subire la doccia delle onde. La bagnina più famosa dell’epoca fu la rubiconda Martha Gunn, detta allora la regina delle bagnatrici di Brighton, nata da una famiglia di pescatori ed esperta in bizze del meteo britannico – che in abito blu, scialle rosso, cuffia in testa, spingeva in mare le cabine e aiutava le graziose clienti a uscire dall’acqua e le nobildonne facevano la fila per lei. Poi a metà dell’Ottocento questi compiti iniziarono ad essere passati  ai maschi, quando i bagni terapeutici si diffusero al di fuori delle cerchie aristocratiche. Poi, grazie allo sviluppo delle linee ferroviarie i ricchi borghesi scoprirono le coste dell’Europa Meridionale: Cascais ed Estoril in Portogallo; Biarritz, Cannes, Nizza, Montecarlo in Francia; Sanremo e la Riviera Ligure. E al posto delle bathing machines nacquero prima strutture galleggianti, come il Soglio di Nettuno a Trieste, nel 1823, poi su palafitte: Il Grandioso Stabilimento di Rimini fu inaugurato il 18 luglio 1873, dotato di Kursaal, la “sala per cure”, e camerini divisi per signori e signore. Se nell’Europa del Nord bisognava ripararsi dal vento, al Sud il problema era difendersi dal sole. Negli “stabilimenti”, termine derivato dalla terminologia termale, si “prendevano i bagni”: l’acqua di mare veniva trasportata da robusti marinai, talvolta utilizzata per irrigazioni. Oppure i timidi bagnanti venivano calati da botole in mare. Si prendeva l’onda”, si respirava iodio, ma non si nuotava. La situazione andò evolvendosi rapidamente. Il passo successivo fu il passaggio dal bagno al nuoto, cioè da una pratica passiva a un esercizio attivo, fino ad allora riservato alla formazione militare. E portò a vincere un terrore secolare ispirato dalle immense distese d’acqua marine. Questo per merito dei medici come il patologo Paolo Mantegazza, autore di testi dove prometteva maliziosamente agli uomini “l’innalzamento di cose che tendono troppo al centro”, e alle donne strizzate in corsetti, pantaloni lunghi e calze nere, il “miglioramento di diametri troppo generosi”. Se al principio i timidi neofiti bagnanti si limitavano a rapide immersioni a due passi dalla riva, tenendosi stretti alle corde di sicurezza che recintavano lo specchio d’acqua concesso alle prodezze natatorie, in seguito ci presero sempre più gusto. Le tiepide acque invitavano persone di ogni età a gettarsi nelle onde per semplice sollazzo, oltre che per riacquistare la sanità perduta. Baffuti bagnini, ex pescatori del posto, passavano l’estate a palleggiarsi i bambini affidati loro. La confidenza portò i bagnati ad avventurarsi sempre più a largo, finché un numero crescente di persone iniziò a restare avviluppate dai flutti e a morire trascinate dalla corrente.  Allora alcuni cittadini emeriti, tra cui Edoardo Maragliano, inventore del vaccino antitubercolare, fondarono a Genova, il 17 luglio 1871, la prima Società nazionale di Salvamento al mondo. Riconosciuta ente morale con Regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II, aveva tra i suoi scopi statutari “incoraggiare il salvamento costiero, prevenire le asfissie per sommersione e premiare in denaro gli eroi del mare”. Sui lidi italiani spuntarono casupole dette “asili di soccorso” di cui 40 lungo la costa ligure, nel 1891, pattugliate da volontari in divisa bianca d’estate e in panno blu d’inverno, deputati a esporre bandiere di segnalazione, bianca o rossa per divieto di bagno, e addestrati a soccorrere gli spossati e praticare loro la respirazione artificiale. Ogni asilo disponeva della barella Respira, del dottor Muggia, dove i quasi annegati venivano sdraiati dai soccorritori a pancia in giù per fare uscire l’acqua dai polmoni, ritenuta causa di morte, oppure rianimati con il metodo del pistoiese Filippo Pacini, per trazione esercitata sulle membra toraciche. Un’alternativa preferibile alle tecniche fino ad allora impiegate sui fradici moribondi, cioè le frizioni sul corpo, i clisteri di fumo di tabacco o, peggio, l’insufflazione di aria nei polmoni che, a detta di Pacini, non faceva altro che finire di ammazzarli”.  Nel frattempo, l’insegnamento del nuoto, a rana o crawl, diffuso dal nuotatore australiano Richmond “Dick” Cavill, veniva caldeggiata a scopi preventivi. Il giornalista Nino Salvaneschi riferì l’entusiasmo suscitato tra il pubblico del Bagno di Diana a Milano, uno stabilimento balneare cittadino, l’8 settembre 1901, dai nuotatori britannici della Royal Life Saving Society nel condurre a riva un corpo una persona sul punto di annegare, e si dibatte nell’acqua.  Nei ruggenti Anni Venti si era imposta l’elioterapia, la cura del sole, dalle spiagge scomparvero ombrellini parasole e gonne a balze e apparvero costumi corti e scollati.  Con l’Italia fascista nacque ufficialmente il mestiere di bagnino, quella dei bagni di mare era per Mussolini una passione antica che rientrava nel progetto di perfezionamento fisico del popolo. Nel 1926 la Società Salvamento vigilava su 60 stabilimenti balneari e 55 asili di soccorso. Sei anni dopo, nel 1932, la legge obbligò tutti gli stabilimenti del Regno a dotarsi di bagnini tenuti a sostenere prove di idoneità di nuoto e di voga. Quell’anno ne vennero abilitati 3.255, incaricati tra l’altro del salvataggio e della sorveglianza nelle 300 colonie marine, non più tristi sanatori, ma gioiose palestre allietate dal canto di giovinezza come recitava la propaganda,  per piccoli italiani tra i 6 e i 12 anni, provenienti dalle campagne o dalle periferie. Il bagnino più famoso d’Italia allora fu Pasquale Corazza, bagnino ufficiale della famiglia Mussolini a Riccione. Nell’Italia del Dopoguerra le spiagge ripresero a riempirsi e l’obbligo del tutore dei bagnanti fu ribadito dalla circolare del ministero dell’Interno del 2 settembre 1959. Nell’Italia della Dolce Vita, delle Lambrette e delle prime code domenicali avvenne la metamorfosi definitiva del bagnino nell’immaginario. Né bruschi marinai né pescatori dalla faccia rugosa e con i pantaloni arrotolati alla caviglia, bensì seduttori di bellezze nordiche e mogli in vacanza: uno stereotipo cui hanno contribuito film  del 1957  Poveri ma belli, di Dino Risi, dove Renato Salvatori passava il tempo a corteggiare straniere e signore in bikini. Un mito che si è evoluto nel “pappagallo” abbronzato, capelli lunghi, catena d’oro al collo, sopravvissuto alle battaglie per l’emancipazione femminile. Rivisto e corretto decenni dopo dalla serie cult Baywatch del 1989, che impose il mito dei lifeguards californiani, tra cui l’ex reginetta di Playboy Pamela Anderson, impegnati a scrutare da torrette di sorveglianza, sperimentate nella Guerra di Corea, o a correre sulla spiaggia di Malibu, trasmettendo l’immagine degli Stati Uniti come “bagnino del mondo”, utile anche in politica. Finzione a parte, il mito dei bagnini resta intatto. Homines enim ad deos nulla re propius accedunt quam salutem hominibus, diceva Cicerone: “Niente avvicina gli uomini agli dèi quanto salvare altri uomini”.

Favria, 31.07.2024   Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita quotidiana per calcolare il perimetro della felicità c’è sempre bisogno del lato positivo della vita. Felice mercoledì

 Agosto!

Quando le more pendono rigonfie nel bosco, nei rovi che sono di nessuno, io cammino tra i rami alti che passo in rivista lungo la roggia. Allungo le braccia graffiate, pensando a niente, pigiandomi il miele nero dell’estate nella bocca; tutto il giorno il corpo accetta quello che è. Nella  gagliarda roggia che scorre vicino sfrecciala mia vita tra fiori di campo e vita di campagna, questa le è vita  felice.

Favria, 1.08.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Agosto è il periodo dell’anno in cui tutto rallenta. I pensieri che si guardano intorno e scoprono la bellezza di non fare niente. Accelerano solo le pagine dei libri letti, gli sguardi di gratitudine per la vita  quando guardano il cielo di notte. Felice giovedì.

Abbiate un sogno

Un regnante dell’Asia, ormai al passo supremo della vita, così si rivolse ai suoi figli:
“Figli cari, abbiate un sogno! Abbiate un bel sogno, il sogno di tutta la vita. La vita umana che ha un sogno è lieta. Una vita che segue un sogno si rinnova di giorno in giorno. Figli miei cari, abbiate un sogno, passate la vita cercando di realizzare quest’unico sogno, senza distogliervi lo sguardo, senza sostare, avanzando sempre sulla stessa strada. Ma ricordate: se questo sogno sarà piccolo, anche il frutto della vostra vita sarà piccolo; se questo sogno sarà basso, anche la vostra vita sarà meschina. Ma se il vostro sogno sarà bello, sarà grande, sarà originale, anche la vostra vita sarà bella, grande, originale. Un sogno così non può avere di mira l’interesse egoistico; il vostro dev’essere un sogno che mira a rendere liete non soltanto le persone tutte, ma l’intera umanità, anche quelli che verranno dopo di voi. Se il vostro sogno sarà in grado di far gioire tutta l’umanità, farà gioire anche il Signore!” Qual è il Vostro sogno?

Favria, 2.08.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. La speranza ci permette ogni giorno  di guardare al futuro con una luce diversa. Felice venerdì.

I simboli delle Olimpiadi moderne

Simbolo per eccellenza dei Giochi sono i cinque cerchi intrecciati, raffiguranti concettualmente l’intreccio dei cinque continenti. I colori azzurro, giallo, nero, verde, rosso , più il bianco dello sfondo, sono stati scelti perché presenti in tutte le bandiere, mentre non è vero, come a volte si dice, che a ogni colore corrisponda un continente. Dei cerchi si parlò per la prima volta nel 1913, in una lettera di Pierre de Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne. L’anno successivo vennero adottati ufficialmente ma, diversamente da oggi, erano posti in fila come una catena, a significare l’unione fra i popoli, all’epoca molto fragile. Poco dopo infatti scoppiò la Prima guerra mondiale e i previsti Giochi del 1916 non si disputarono. Si dovette aspettare il 1920 per rivedere i cinque cerchi. Tutti sappiamo oche cosa è la torcia  olimpica. Nel lungo tragitto attraverso i Paesi percorso dai tedofori, dal greco teda, “fiaccola” e fori, “portatori”, con la torcia accesa, dalla città greca di Olimpia alla sede dei Giochi, c’è tutto lo spirito olimpico di amicizia fra i popoli. Eppure la sua origine ha un’ombra sinistra. Fu infatti introdotta alle Olimpiadi di Berlino del 1936, quelle di Hitler per intenderci. È dunque un’idea nazista, concepita come una staffetta tra migliaia di atleti, a essere arrivata fino a noi. Nell’antica Grecia invece non era previsto il tedoforo. Esistevano gare di corsa a squadre con fiaccole dette “lampadedromie”, disputate nei giorni delle Panatenee di Atene. Ma nessuno aveva mai pensato di portare il fuoco sacro lontano da Olimpia. Oggi invece quel fuoco, acceso in Grecia, gira per il mondo e, anche se qualche volta si spegne, per riaccenderlo viene utilizzato un fuoco di riserva conservato in lampade apposite, riesce sempre a giungere, grazie ai suoi portatori, a destinazione. Ad Atene, nelle Olimpiadi del 1896, i vincitori nelle varie specialità erano solo due. Il primo riceveva una medaglia d’argento e un ramo di ulivo, il secondo una di rame e un ramo di alloro. Talvolta furono aggiunti premi speciali, come a Parigi, nel 1900, quando ai vincitori vennero consegnate opere d’arte e oggetti, tra cui libri e ombrelli. Mancava però ancora il terzo classificato. Solo nel 1904 a Saint Louis, infatti, si cominciò a premiare i primi tre classificati di ogni gara con medaglie d’oro, interamente d’oro fino al 1912, oggi d’argento rivestite d’oro, al primo, di argento al secondo e di bronzo al terzo, assegnate retroattivamente anche ai vincitori delle precedenti Olimpiadi Il fuoco olimpico  è una delle poche tradizioni davvero antiche. Già in Grecia il fuoco veniva tenuto acceso per tutta la durata dei Giochi. La fiamma olimpica è stata reintrodotta nelle Olimpiadi del 1928, quando fu riaccesa per la prima volta, non in Grecia ma ad Amsterdam. Soltanto nel 1960 la fiamma riprese la sua tradizionale sede. Da allora a Olimpia alcune attrici nelle vesti di sacerdotesse accendono il fuoco con il metodo dello specchio concavo che convoglia i raggi solari verso l’esca. Poi, trasferita sulla torcia dei tedofori, la fiamma di Olimpia raggiunge la sede delle gare dove brucia in un apposito braciere per essere spenta solo alla fine dei Giochi olimpici. Il podio per i vincitori è apparso per la prima volta a Los Angeles durante le Olimpiadi del 1932. In quell’occasione si decise che chi vinceva doveva stare su un piedistallo. Ma nelle intenzioni di chi lo inventò, soltanto il primo classificato, il vincitore della medaglia d’oro, meritava il “rialzo”. Il secondo, argento, e il terzo, bronzo,  si sarebbero trovati tra loro a pari altezza. I podi infatti non erano in scala. A Mosca nel 1980, invece, si preferì mettere su due livelli differenti la pedana per il bronzo e quella per l’argento. In seguito, nelle edizioni più recenti, si è tornato a mettere sul podio soltanto la medaglia d’oro. Nel canottaggio, per via dei tanti membri degli equipaggi, tutti sono messi invece sullo stesso piano. I blocchi di partenza anche se non sono un simbolo dei Giochi, sono sicuramente una delle immagini caratteristiche delle Olimpiadi. Grazie a questi appoggi inclinati, su cui l’atleta spinge con i piedi, si può guadagnare fino a un decimo di secondo in velocità. Per questo gli atleti, soprattutto i velocisti, ne hanno sempre sentito l’esigenza. Fino al 5 febbraio 1929, quando George Breshnan li brevettò, gli atleti scavavano fossette per i piedi, per darsi la spinta iniziale. Alle Olimpiadi però i blocchi fecero la loro apparizione soltanto in occasione dei Giochi di Londra del 1948, a 20 anni dalla loro invenzione.

Favria,  3.08.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita di ognuno di noi esiste un punto intoccabile in ogni speranza, un’ombra silenziosa che cresce ad ogni alba, una parola persa che aspetta una nuova chiamata e tuttavia non siamo soli. Felice sabato

Con quale coraggio

Pare che abbiamo sempre coraggio a sufficienza per le sofferenze altrui ma poco per le nostre. Siamo pieni di coraggio quando il dolore è di un altro e a noi tocca l’atto pur nobile ma sempre visibile della consolazione. È facile immaginare, a un livello certamente più modesto, le nostre visite ai malati e le parole di conforto sincere ma necessariamente distanti rispetto alla tempesta che travolge la persona sofferente. Infondere fiducia e coraggio è un gesto nobile, ma un po’ scontato. Ben diverso è il suono di quelle parole tra chi le pronuncia e chi le ascolta. Per questo, forse, in molti casi è più importante l’ascolto silenzioso del lamento del malato, lo è la mano stretta alla sua, la testimonianza di una presenza. Essa è pur sempre segnata dalla diversa situazione vitale, ma cerca di evitare la retorica consolatoria le cui corde dissonanti sono subito avvertite da chi soffre.

Favria, 4.08.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. La s’impara soprattutto se non si perdono mai la curiosità intellettuale e la passione civile. Felice domenica.

I gemelli.

Oggi i gemelli destano tutt’al più benevola curiosità, ma in passato suscitavano sentimenti complessi e altalenanti fra due visioni contrapposte: prodigi divini con poteri benefici o aberrazione della natura. L’ambivalenza dei gemelli ricorre in diverse culture, dagli egizi Iside e Osiride alle coppie di divinità mesopotamiche, persiane, celtiche e indiane, le civiltà indoeuropee considerano in genere i gemelli entità salvifiche, due facce della stessa medaglia essenziali per la vita. Questa visione “doppia” che ritroviamo sin dai miti greci, con la coppia divina di opposti, Apollo e Artemide: divinità del Sole e dell’ordine lui, dea della caccia e della Luna la gemella, entrambi indispensabili allo scorrere del tempo, nell’alternarsi della luce e del buio, del giorno e della notte. Accanto a questi due gemelli dell’Olimpo, la mitologia classica ha raccontato le storie di tante coppie identiche, alleate o nemiche. La leggenda di Castore e Polluce, i Dioscuri, è un esempio dello strettissimo legame e dell’amore fra fratelli “speciali”: quando infatti Castore muore, Polluce, l’unico immortale dei due, chiede a Zeus di seguire lo stesso destino. E il dio concede a entrambi di vivere un giorno nell’Olimpo e uno nel regno dei morti, diventando immortali per metà. Queste due divinità benefiche erano però la parte luminosa di un quartetto di gemelli con un lato oscuro. Leda, trasformata in cigno e posseduta da Zeus, in alcune versioni del mito genera un primo uovo da cui nascono i Dioscuri e un secondo con Elena e Clitennestra, due donne dal destino tragico: Elena responsabile della guerra di Troia, Clitennestra assassina del marito Agamennone. Insomma, fin dai tempi di Omero le storie di gemelli raramente avevano un lieto fine: non a caso sono state spesso raccontate dalle tragedie greche. Come Eteocle e Polinice, figli di Edipo e Giocasta che si combattono fino a uccidersi, nei “Sette contro Tebe”di Eschilo. O come Egitto e Danao, rivali nelle “Supplici”, dello stesso Eschilo. Già nell’antichità si era diffusa l’idea che due persone con lo stesso aspetto fossero inquietanti, al punto che ne doveva restare solo una per ristabilire l’ordine. O magari per fondare una città che avrebbe cambiato il mondo, come nel caso di Romolo e Remo. I due furono prima alleati e poi rivali: Romolo in una lite uccise il fratello e fu lui a dare il suo nome all’Urbe. Solo nella Bibbia accade il contrario, due gemelli in conflitto sin dal grembo materno, Giacobbe ed Esaù, dopo una vita di scontri e controversie si riconciliano. Per lungo tempo in Occidente i gemelli non sono stati troppo malvisti, forse anche grazie alla vicenda edificante dei Dioscuri. Il loro culto era così  radicato nel mondo greco-romano da continuare anche dopo l’avvento del cristianesimo. Tanto da portare la Chiesa dei primi secoli a “sostituire” la loro figura con quella di una coppia di santi, Pietro e Paolo, e poi con santi che erano stati realmente fratelli gemelli. È il caso di Cosma o Cosimo e Damiano, che vissero nel III secolo e furono entrambi medici. O di San Benedetto e Santa Scolastica, gemelli nati a Norcia nel 480, fondatori dell’ordine benedettino, morirono a poca distanza l’uno dall’altra e sono sepolti insieme, nell’Abbazia di Montecassino. Se nei primi secoli del cristianesimo i gemelli non venivano guardati male, nel Medioevo prevalse a poco a poco l’inconfessato timore di fronte a quello che nella cultura popolare veniva considerato un segno del Maligno: un parto multiplo, in un’economia di sussistenza come quella medievale, era una sciagura e questo non ha certo aiutato le fortune dei gemelli. Così, si iniziò a considerarli “sacrificabili”, non soltanto perché capitava effettivamente che uno dei due venisse tolto di mezzo, molte nel caso dei dizigoti di sesso diverso, spesso toccava alla femmina, ma anche perché cominciarono a diventare oggetto di studio che dall’800 in poi sono state usate per giustificare idee discutibili come la superiorità di alcune etnie. Presso altre culture si pensa invece che siano dotati di poteri malefici: in Alaska, gli indigeni Tlingit in passato obbligavano i genitori dei gemelli a ucciderli; alcune tribù del Pacifico cacciavano le famiglie con gemelli finché non ne moriva uno; i Chagga in Africa li ritenevano portatori di morte. Ancora oggi i parti gemellari suscitano reazioni forti: i Dogon del Mali li accolgono come buon auspicio, mentre gli Yanomami in Amazzonia sopprimono uno dei due perché la mamma non potrebbe allattarli entrambi.  Gemelli  famosi ricordiamo Rita e Paola Levi, nate nel 1909, hanno attraversato tutto il Novecento, Rita, neurologa e vincitrice del Nobel per la Medicina nel 1986, si è spenta nel 2012; la sorella Paola, mancata nel 2000, è stata una pittrice.  I Britannici Norris e Ross Mcwhirter, nati nel 1925, nel 1955 curarono per la prima volta il libro del Guinness dei Primati, che scrissero e aggiornarono insieme ogni anno fino al 1975, anno in cui Ross venne ucciso dall’Ira. Da allora e fino al 1985 se ne occupò Norris, deceduto nel 2004.  Le famose gemelle tedesche della televisione, Alice ed Ellen Kessler, classe 1936, negli Anni ’60 e ’70 divennero famose in Italia come ballerine e cantanti grazie alle loro apparizioni in televisione. Maurice e Robin Gibb, nati nel 1949 e assieme a un terzo fratello, Barry, formarono i Bee Gees, trio musicale famosissimo negli Anni ’70. Alla morte di Maurice, nel 2003, la band si sciolse. Robin morì poi nel 2012. Le figlie dell’attrice svedese Ingrid Bergman e del regista Roberto Rossellini, Isabella e Isotta Rossellini,  nate nel 1952. Isabella è attrice e modella, Isotta è una critica letteraria specializzata in italianistica. Giorgio e Maurizio Damilano, gemelli monozigoti nati nel 1957, sono stati entrambi marciatori, allenati nello stesso modo, e sempre assieme, da un terzo fratello, Sandro. Giorgio è stato campione italiano della 20 km, Maurizio è stato due volte campione mondiale e campione olimpico nel 1980, della stessa disciplina.  Nella vita siamo tutti fratelli, ma non siamo tutti gemelli anche se tutti noi nasciamo gemelli in colui che è colui che crede di essere.

Favria, 5.08.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Non pensiamo a ieri con rimpianto, pensiamo a domani, con speranza. Felice lunedì.