Loris de Lazinet: Il Gran Cimone e la contessa pioniera

“Un picco abbastanza elevato e pittoresco, il Gran Cimone”, così lo descriveva

nel 1868 il geologo alpinista Baretti. Ma a quale cima si riferiva in realtà? In quei tempi vi era una gran confusione sui nomi delle montagne.
La prima ascesa del Gran Cimone fu descritta come la prima salita al “Moncimor”, è probabile quindi che il nome venne prima storpiato in “mon cimun o cimon”, poi “Moncimor”, come viene chiamato dai primi salitori, e infine riscrivendolo in patois “Moncimour”. Però in realtà il Gran Cimone non è l’attuale Moncimour.
Nella prima metà del 1800, le due Uje di Ciardoney, venivano anche chiamate cima orientale e occidentale di Gialino, di fatti il Baretti quando descrive e ammira la Grande Uja, la chiama il monte Gialino. Solo in seguito queste cime saranno poi rinominate con gli attuali nomi di Grande e Piccola Uja di Ciardoney, mentre il nominativo “Gialin”, sarà proprio attribuito al Gran Cimone.
Montagna assolutamente sconosciuta ma di una smisurata bellezza, lontano dagli itinerari classici della valle Soana, caratterizzata da una salita quasi interamente senza nessun tipo di traccia, sia dal versante di Forzo che dal versante d’ Eugio, comportante un notevole dislivello e spostamento su terreni disagevoli.
In un tempo remoto, agli albori dell’alpinismo, vi erano diversi pionieri alla ricerca di cime “vergini”, e su punta Gialin, la prima che vi mise piede fu una donna: la contessa Carolina Palazzi Lavaggi, insieme a F.Virgilio, E.Novarese e le guide G.Rastoldo e B.Costa il 12 settembre 1879, che di questa ascensione ne riportò una dettagliata descrizione.
Provenienti dal Col delle Oche, scesero a Piamprato e poi a Ronco su una discreta mulattiera “che vi dirò di questo tratto di strada”, descrive la contessa “ciò che vi può essere di più bello e pittoresco è là. La Soana che mugge tra i sassi enormi, da una parte boschi di larici e abeti, monti con rocce enormi, dall’altra noci e castagni, orti, praterie, casupole, capanne e verzura in quantità “. Incontrate le guide, decisero insieme di salire per la prima volta alla Gialin (che loro chiamano Moncimor), del quale ne è assicurata la verginità. “Partenza stabilita alle 3.30 del mattino, verso le 11 ci ritirammo nelle nostre camere per dormire, ma aimè i miei compagni furono più fortunati di me. Io non potei chiudere occhio, forse ansiosa, come donna, di non poter arrivare alla vetta, e per certi “esseri” (roditori o parassiti, non viene specificato) che non mi lasciarono tranquilla.
Causa la colazione, il pagamento dell “albergo delle Alpi”, e gli approvvigionamenti, la partenza slitto’ alle 4.30 con malcontento delle guide. Arrivati a Forzo alle 6.12 volgiamo a sinistra e da li scorgiamo la nostra montagna, sulla destra del Colombino. Alle 9.30 raggiungiamo l’alpe Sorina’, il termometro segna 11 gradi. La salita è pittoresca e variata, dopo un lungo tratto di cammino ci troviamo in una bellissima comba, dove un soffice tappeto verde ci invita al riposo. “
La contessa accenna al fatto che sia cosa tipica degli alpinisti avere spesso appetito e che diverse volte si fermarono per approvvigionarsi e per contemplare il paesaggio, gli animali, i minerali e le montagne. Carolina si immerge nelle sue rifllessioni: “Amo correre i monti poiché sento che un tale esercizio mi renda forte, ammiro con entusiasmo tutte le bellezze della natura, nulla mi arresta, tutto affronto con coraggio, non crediate di vedere in me un colosso, sono di mediocre statura, piuttosto mingherlina. Paragono la vita molle che si conduce in città, con quella attiva dei monti. Questa vita alpina rende migliori nell’animo”
Decisero in seguito di ritornare a Surina’ per dormire e tentare l’indomani l’ascensione . Partirono il mattino del 12 settembre alle 5.30 con tempo nuvoloso. “alle 7.27 siamo sulla cresta che divide il vallone d’Imbrias da quello di Ciardoney” . Dopo la descrizione di diversi passaggi su rocce e massi instabili (percorsero l’itinerario est che passa dalla costa del braias), raggiunsero i piedi della piramide. “Il procedere è faticoso perché abbiamo da cercare rocce ferme per poggiare il piede, ci arrampichiamo con l’ansieta’ di constatare che la punta sia realmente vergine.” Virgilio d’un tratto esclama rivolgendosi a Rastoldo “badi alla contessa, la tenga per mano perché la cresta cade a picco dalla parte opposta” .
“Ancora due, tre sforzi di arrampicamento, e per prima metto il piede su quella che sembrava essere la vetta estrema del Gialin, tutti esclamarono un forte Urrà, ma rivolgendo lo sguardo a sinistra, vediamo una punta che ci sovrasta. Sono le 10.20, in 5 minuti raggiungiamo un secondo dente e ne scorgiamo un terzo, più basso dei primi. Constatiamo che il Gialin è vergine di piede umano, e le guide si accingono a costruire un uomo di pietra sulla vetta più alta. Il Gialin consta 3 denti, il più alto il centrale ed il più basso l’orientale. Il termometro segna 7 gradi alle 10.48, Virgilio e Novarese distendono il relativo verbale che pongono alla base dell’uomo di pietra. La nebbia ci impedisce di godere del panorama, tale dispiacere mi produsse un senso inesplicabile di sconforto, ma fu istantaneo. La gioia di essere riuscita ad una prova di alpinismo mi ridono’ il coraggio e la penosa inquietudine scomparve. Sentivo una indefinibile soddisfazione, nonostante il misterioso terrore che mi invadeva l’animo, per trovarmi in vicinanza di quel terribile appicco. La penna si rifiuta di descrivere tutto ciò che invade l’animo dell’alpinista che poggia il piede sulla vinta e agognata punta. Nel primo istante il pensiero vaga nell’infinito, nell’immenso, poscia subentra la calma, e la mente comincia ad avere coscienza dell’attualità. Lassù vi sentite più leggeri, il sangue vi circola più rapido, ogni sintomo di stanchezza scompare, vi sentite più forti ed i pericoli sfuggono ai vostri occhi nonostante la strana ed imponente scena che vi sta innanzi, non un albero, non un filo d’erba ma solo formidabili rocce e grandi pendii di neve.” Bollettino XIV C.A.I .
È incredibile come queste riflessioni personali della contessa possano rispecchiare lo stato d’animo della maggior parte delle persone che salgono sulle montagne con passione e amore. A distanza di quasi 150 anni, queste parole descrivono esattamente i miei pensieri ogni volta che scalo. Per quanto riguarda il personaggio della contessa Carolina ho trovato poche informazioni, non una foto, non un ritratto. La cosa triste resta nel fatto che se avesse scalato una qualunque altra montagna più famosa, oggi il suo nome sarebbe sulla bocca di chiunque appassionato di alpinismo. Sono dell’idea che, soprattutto ai giorni nostri, l’ascensione di punta Gialin valga molto di più di una qualunque altra ascensione su montagne più conosciute o di qualche 4000 dissacrato e addomesticato dall’opera dell’uomo più attento al profitto che allo spirito, quindi penso che la contessa, meriti di essere ricordata da voi che state leggendo queste righe, e da me che quasi per caso mi sono imbattuto in questa testimonianza.
Oggi sappiamo che la massima elevazione di Punta Gialin a 3270mt di altezza, sia il terzo dente occidentale, e non più il centrale, probabilmente crollato, non vi sono più omini di vetta o diari con le sigle dei primi grandi pionieri, ma prometto che tornerò sulla cima di questo colosso di Forzo, lasciando in memoria le belle parole della contessa Carolina, alpinista e pioniera delle nostre più belle montagne.