E così anche questo 2018 volge al termine, nei miei pensieri riemergono ricordi di molte ascese, ognuna delle quali mi ha trasmesso moltissime emozioni.
In particolare, mi vien da pensare a quella del 11 settembre, quando decisi di tentare la scalata della “gran becca”.
Era una giornata come tante, arrivai a Cervinia la sera del 10, il meteo era perfetto, vedevo le luci delle pile degli alpinisti su tutta la cresta del Cervino, immaginando che domani sarei potuto essere uno di loro.
Tornai nel parcheggio per dormire qualche ora in macchina e alle 2.30 dell’ 11 partii, quasi incredulo, stavo partendo da solo per scalare il sogno di ogni alpinista, anzi, il simbolo dell’alpinismo stesso.
Alla croce Carrell ricordo di aver pregato, invocando quasi la protezione dei grandi alpinisti della storia e da qui si iniziò a far sul serio.
Si susseguirono uno dietro l’altro nomi che avevo imparato a temere, colle del leone, placche Seiller, la famigerata cheminee, corda della sveglia, la grande torre, placche cretier, mauvais pas, rocher des ecritures, linceul, la grande corde, pic Tyndal, quando mi trovai faccia a faccia con la testa del Cervino, una sottile e impressionante cresta aerea e poi l’enjambee da passare con una sgambata nel vuoto, col felicite’, la scala Jordan, durissima dopo 2500 di dislivello a 4400 metri.
Infine, quasi incredulo, vidi la croce e mi vennero in mente le parole del grande Bonatti “la abbracciai come se fosse stata una persona”.
Essere un alpinista ed essere per la prima volta sulla vetta del Cervino, non credo sia paragonabile a nulla di terreno e di concreto nella nostra realtà, non è la realizzazione di un sogno, ma è la realizzazione in sé. Nulla mi importava in quel momento, neanche la lunga e delicata discesa.
Io ero lassù, sul Matterhorn, e laggiù erano Zermatt e Cervinia.
Non stavo sognando, ero in vetta alla montagna per eccellenza, e ho visto nei suoi ghiacci e nelle sue rocce la consistenza stessa dei sogni. Loris de Lasinet
