Volenterosi e valorosi. – Scripta manent 12 gennaio 1848 La rivolta di Palermo – Scripta manent 13 gennaio 1915 -Libertà di stampa, una risata Vi seppellirà! – Cioccolata o cioccolato! di Giorgio Cortese

La libertà di parola e di stampa sono essenziali per limitare le persone che detengono il potere, insomma non un privilegio ma una grande necessità!

Volenterosi e valorosi.
Leggo sui giornali con sgomento ed guardo alla televisione il video delle due connazionali catturate in Siria da dei miserabile delinquenti della peggior risma che si nascondono dietro alla religione per portare avanti i loro turpi maneggi. Ecco che nell’osservare il video in televisione non posso che provare grande sgomento e sincera solidarietà ai loro famigliari. Ma poi penso anche ai due marò, ancora prigionieri in India, costretti all’esilio forzato, da due anni in seguito all’omicidio di due pescatori che pare fossero stati scambiati per pirati al largo delle coste indiane del Kerala. Sicuramente i due marò posso essere considerati, essendo dei militari dei valorosi, che dimostrano grande valore e coraggio, non in una azione bellica ma nella cattività indiana. Mi viene da pensare che le due cooperanti italiane sono delle magnifiche volenterose ma forse più che volonterose volontarie sono delle libènte, aggettivo che deriva dal latino, libens -entis, participio presente di libere, piacere, aggradare, antica forma letteraria per indicare il volenteroso, che agisce di buon grado. Certo il commento di qualcuno alla notizia sarà stato sicuramente che bisogna impedire agli italiani di partire per Paesi difficili, questi atti di solidarietà ci costano soldi, fatiche e figuracce internazionali! La nostra umana bontà sembra derisa da terroristi e delinquenti, che si travestono da morti di fame, ma ingrassano coi milioni di euro che gli versiamo ad ogni rapimento. Questi ottusi proseguirebbero, domandosi che cosa ci andiamo a fare noi buonisti, in giro per il mondo. Che partiamo a fare a salvare vite che, una volta in piedi, si armano e ci sparano addosso? Che serve rinunciare alla propria famiglia, ai propri affetti, al proprio futuro, in nome di una solidarietà che non viene mai premiata? Questi due episodi distanti come linea di tempo di quasi due anni, mi fanno riflettere sul valore che viene dato all’essere umano oggi in una società dove il maggior pericolo non è tanto la tendenza della massa a comprimere la persona, ma la tendenza della persona a precipitarsi ad annegare nella massa. In queste fredde giornate invernali, durante le feste del S. Natale avrei voluto essere simile ad un pennuto per poter contemplare dall’alto le piazze e le strade delle grandi città, che per gli acquisti dei regali di Natale erano simili ad una sorta di vortice che dilagava in ondate di corpi che si muovevano compatti, spinti dalla deriva che lasciava ai bordi solo le schegge dei venditori ambulanti o dei mendicanti. Questo mi fa pensare che in questa società sempre più liquida e dinamica non si cura di chi è in difficoltà, a questo il supporto viene dato dalla associazioni di volontariato che sono fiorite nei diversi settori dalla donazione del sangue, alla protezione civile, a chi fa volontariato nelle case di riposo ed ospedali e chi si impegna nelle biblioteche o nelle mense per i poveri. Come si vede il panorama è vasto e lo spirito del volontariato è variopinto nei vari settori. Ma tutti i volontari hanno nel dna un elemento comune che li rende simili, il loro dono. Il dono dei volontari è la terza alternativa fra altruismo ed egoismo. L’egoismo è un essere per sé, l’altruismo è un essere per l’altro. Il dono appartiene alla dimensione intermedia dell’essere con l’altro. Il dono a prima vista può sembrare un atteggiamento di bontà, ma è anche una forte apertura verso l’altro, dal desiderio di collegarsi all’altro. È passione sincera per il prossimo e non sicuramente uno scambio in senso economico. Non è simmetrico e né presuppone una reciprocità asimmetrica. Quando un donatore si alza presto alla mattina e viene a donare il sangue, viene per donare si ma anche perché sente il bisogno di legarsi a quel gruppo di comuni amici che vanno anche loro a donare quel giorno, indipendentemente dal gruppo sanguigno. Chi fa volontariato o nel mio caso che va a donare il sangue sente dentro di se il bisogno di legarsi agli altri, in questo caso i donatori, per avere tutti insieme il fine di costruire una società ricca in termini di rapporti umani, perché io mi considero solo in relazione con l’altro. Purtroppo la dura crisi economica e lo spauracchio della spending review, porta la società attuale a rapportarsi con i volontari anche in maniera strumentale, per interesse per fare fronte a tagli della spesa in tutti i settori, peccato che non tagliano dove non servono ma solo dove servono. Nella crisi attuale trova terreno fecondo un virus presente nella nostra società a tutti i livelli e che affonda le sue origini all’epoca dei lumi. Il virus di coltivare nel nostro animo l’individualismo e l’autosufficienza. Questo atteggiamento mentale molte volte mi fa pensare che siamo signori assoluti di noi stessi in nome dello squallido utile e del dio profitto. Insomma andando avanti cosi si sacrificano i legami con gli altri e cosi arriviamo al paradosso che molte volte si intende il gesto altruistico come bisogno di avere vincoli di reciprocità. E così in questa società individualista sempre più chiusa in se stessa il “noi”, cioè “l’essere con l’altro” assume spesso valenze negative fatte di comunità fondate sull’esclusione, sulla contrapposizione, sul razzismo sul non accettare gli altri con la scusa di esigenze superiori. Ma rediamoci conto che siamo nati come esseri sociali e la nostra priorità deve sempre essere l’essere Umano e le relazioni sociali che intrecciamo altrimenti non andiamo da nessuna parte. Abbiamo sacrificato i legami con gli altri e la società sta subendo le conseguenze di questo errore, e l’unico rimedio è fare del bene, perché fare del bene è contagioso per essere tutti dei volenterosi e valorosi.
Favria, 11.01.2015 Giorgio Cortese

Se alzo muri sulle esperienze del passato, rendo il presente invisibile agli occhi del mio animo.

Scripta manent 12 gennaio 1848 La rivolta di Palermo
a Palermo scoppiò la rivolta, che in poco tempo si propagò in tutta l’isola. Il re delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, non avendo la possibilità di sedarla, chiese aiuto all’Austria. Questa inviò le proprie truppe; ma, quando esse giunsero in corrispondenza dello Stato Pontificio, papa Pio IX, che pareva di idee liberali, si oppose al loro transito. Di fronte alla decisione papale, la cattolicissima Austria rinunciò alla spedizione. Re Ferdinando II fu costretto, per primo in Italia, a concedere la Costituzione, cosicché il potere legislativo passò da lui al parlamento eletto dal popolo.
Favria, 12.01.2015 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno le indecisioni, i tentennamenti e le aspettative sono voraci e sterili mangiatrici del mio poco tempo.

Scripta manent 13 gennaio 1915
In quel giorno un violentissimo terremoto, stimato intorno all’XI grado della scala Mercalli, colpì la Marsica, la zona anticamente abitata dai Marsi e situata tra le montagne dell’Abruzzo occidentale, Il confine con Lazio e Molise. Le vittime totali furono almeno 30.000, concentrate soprattutto nei comuni di Avezzano, Pescina e Gioia dei Marsi, tutti e tre in provincia di L’Aquila, e nel comune di Sora, in provincia di Frosinone
Favria, 13.01.2015 Giorgio Cortese

La vera capacità per vivere felice è saper ascoltare le risposte, quando la vita mi parla in silenzio.

Libertà di stampa, una risata Vi seppellirà!
Appresa l’abominevole sparatoria avvenuta a Parigi esprimo come tutte le persone che si considerano civili la mia solidarietà su questo atto intollerabile, una barbarie che mi interroga in quanto essere umano. Il giornale Charlie Hebdo è un quotidiano di tradizione libertaria e repubblicana. E in rispetto a questa tradizione consolidata i giornalisti e i vignettisti non si sono mai sottratti al dovere di mettere in ridicolo anche l’’ inciviltà ottusa del fondamentalismo islamico che, come ogni radicalismo, non può accettare il riso e l’ironia. Il riso è critica che serve a distruggere la paura e mettere in ridicolo i rozzi personaggi. La paura non ride, al riguardo mi viene in mente una battuta del libro Il Nome della Rosa, di Umberto Eco: “Il riso cancella la paura, ed è sulla paura che si basa il timore di Dio e perciò la fede“. In questo caso il Dio è quello dell’Islam, religione che molti in Europa temono e osteggiano con le armi del populismo, seminando odio e paura, e che anche al centro di retoriche xenofobe nazional-fasciste. Ma al rispetto per l’Islam non si può sacrificare la libertà di ridere e deridere del potere politico o religioso, una libertà che in Europa abbiamo guadagnato con sangue dei caduti del secondo conflitto mondiale e anche prima a caro prezzo in secoli di lotta intellettuale. La bandiera della democrazia non deve ammainarsi a lutto ma sventolare alta, per il direttore di “Charlie Hebdo” e per i suoi vignettisti scomodi e irriverenti. La libertà, è una bella parola ma il suo valore e la sua conoscenza non deve farci credere che una volta acquisita dura in eterno, se non la difendiamo adesso che l’abbiamo avuta in eredità dai nostri genitori che hanno combattuto per averla e farmela conoscere nulla mi assicura che sia anche riconosciuta inseguito dai miei nipoti. Smuoviamoci allora da questo letargo e alziamo tutti la testa per proclamare la nostra libertà e che non è possibile al becero terrorismo di vincere la sfida per toglierci la libertà! Oggi Je suis Charlie, anche io sono Charlie e oggi più che mai siamo tutti francese.
Favria, 14.01.2015 Giorgio Cortese

Ma mia libertà non sta nello scegliere tra quali colori di pelle o religione ha l’essere umano che incontro ma di sottrarmi da queste scelte prescritte.

Scripta manent Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 un forte terremoto, X grado della scala Mercalli, colpì la Sicilia occidentale, e in particolare la valle del fiume Belìce. Le vittime furono circa 370.

Che cosa è poi la vita se non un insieme di attimi, fuggenti e sfuggenti, una continua fuga verso il traguardo finale.

Cioccolata o cioccolato!
Entrando nei giorni prima del S. Natale nella pasticceria Perotti di Pont dove produco dei buonissimi dolci al cioccolato, mi è venuto da pensare alla differenza tra il lemma cioccolata e cioccolato e la loro origine fino al significato odierno. Premetto che per gli amerindi Maya il cioccolato era la “bevanda degli dei”, gli aztechi usavano il cacao in chicchi per comprare le schiave e oggi per gli scienziati pare che il cioccolato allunghi la vita grazie ai polifenoli del cacao che agiscono come antiossidanti.I due lemmi derivano dal termine di origine amerindia, la lingua nahuatl, cocholatl, che giunse in Europa tramite lo spagnolo chocolate. Nel 1600 si denominava come: “cioccolatte, cioccolata e cioccolato. Come i vede la differenza di genere tra “cioccolato” o “cioccolata” affonderebbe le sue radici nelle varianti di preparazione intervenute nel corso del tempo. Al momento della scoperta del cacao e della sua successiva importazione in Europa, con “cioccolato” si indicava quasi esclusivamente la bevanda piccante e amarognola preparata alla maniera sudamericana, che donava forza e vigore a chi riusciva a sorbirla tutta di un fiato con un gesto maschio. Ancora all’inizio del ‘600 la ritualità della sua preparazione era immutata poi, per la perdita della componente amarognola piccante in favore d’ingredienti più gentili, il cerimoniale di degustazione cambiò. La bevanda iniziò ad essere elaborata con movimenti morbidi, ed il “rude cioccolato” bevuto in un solo fiato, diventò la “dolce cioccolata” da degustare lentamente. Dalla metà dell’800 con il successo dell’industria del cacao, netta fu la distinzione fra i termini, cioccolato, alimento nella versione solida, cioccolata, bevanda calda. Oggi un buon cioccolato acquistato o preparato in casa dicono che deve avere le seguenti caratteristiche, liscio, brillante, privo di cavità, di facile rottura e dal profumo gradevole. Inoltre deve sciogliersi completamente in acqua, senza lasciare residui, non contenere più del 50% di zuccheri, e per nessun motivo farina o fecola. Nel corso del Novecento ci si avvia verso una semplificazione che, a livello dialettale, si risolve rapidamente nella riduzione a un unico termine. Nel Piemonte, Veneto, Emilia, Toscana, Roma, Napoli, la Sicilia hanno optato per il tipo cioccolata. Invece la Lombardia ha preferito il tipo cioccolato; la Sardegna, infine, il tipo cioccolate. Ma i due termini sono ormai distinti fra la cioccolata in tazza e il cioccolato in tavolette o in polvere e non e non è certo un caso infine che il noto film Charlie and the chocolate factory di Tim Burton sia stato tradotto in italiano con La fabbrica di cioccolato. E poi nella vita i fiori appassiscono, i gioielli si appannano e le candele bruciano … ma il cioccolato non invecchia mai. Personalmente l’estasi è trovare un secondo strato di cioccolatini sotto il primo.
Favria, 16.01.2015 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno mi guardo bene del fare della verità un idolo, ho preferito lasciarle il nome più umile di giustizia. Diffido di molte parole e forse così morirò un po’ meno superficiale di come sono nato.