Dalla trombatura al trionfo! – Il sale sulla coda! – La meraviglia del trenino elettrico! – Ottima carne e tomini alla pietra – Dal dentista – I due alberi del parco. – L’evoluzione della specie, il dente del giudizio. – Gli scritti proscritti… LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Dalla trombatura al trionfo!
Di questa parola tralascio il significato volgare, ma voglio riflettere sul suo significato di bocciatura a livello politico. Innanzitutto il lemma trombare deriva trombo a sua volta dall’alto tedesco trumpa, strumento a tubo o forse dall’incrocio tra il latino tuba e triumphare. Purtroppo questa parola viene usata per indicare, volgarmente, il possedere sessualmente qualcuno oppure per indicare una bocciatura. Ma come mai questa parola si ricollega alla tromba, strumento a fiato famiglia degli ottoni. L’ipotesi più accreditata vuole che dal lemma antico tedesco trumpa, trombare, era anticamente usato come significato di vendere all’asta perché le aste pubbliche erano annunciate da squilli di tromba. E poteva capitare che a queste aste venissero comprate e vendute persone, schiavi, che quindi venivano letteralmente posseduti dal padrone che se li aggiudicava. A Favria si ha notizia che all’apertura delle aste per dare l’incarico di chi avrebbe gestito la tassa del sale od altre, questi avvenimenti venivano preceduti da uno squillo di tromba. In quei momenti era anche un tempo trionfante per la Comunità. Trionfare, anticamente triunfare che deriva dal latino triumphus, trionfo con il signicato che nell’asta di chi aveva il sopravvento o la meglio sugli altri contendenti. Come si è detto prima del l’uso non volgare quando vuole indicare la bocciatura elettorale o politica di una legge o di una proposta. Ma resta la parola che è, e quando prende il significato di “bocciare” lo fa in maniera figurata! Ma alle persone che che sono state bocciate dico di non disperarsi, perché nella vita non conta cadere ma avere sempre la forza di rialzarsi per arrivare al meritato trionfo, e perché no, con squilli di tromba per avere la meritata giustizia.
Favria, 11.02.2017 Giorgio Cortese

Buona giornata. Personalmente detesto gli arroganti che fanno mostra di sé. Preferisco l’umiltà degli invisibili. Quelli che sono qui non per spaccare il mondo ma per riattaccarne i pezzi.

Il sale sulla coda!
Da bambini per nostra fortuna la fantasia ci fa compagnia e ci fa pensare che non vi siano cose impossibili. Per esempio chi come me era totalmente affascinato dagli animali selvatici, aveva in mente prima o poi di catturarne uno o di riuscire ad avvicinarsi tanto da poterlo toccare. Ci fu un periodo in cui mi ero fissato di prendere un merlo tutto per me e giravo per la vigna, mi ingegnavo a pensare a possibili metodi per catturarne uno. Un giorno mia nonna, capito cosa volevo fare mi disse sorridendomi bonaria che avrei dovuto tentare di metterle il sale sulla coda e quindi, catturarlo. Mettere il sale sulla coda, quando una persona o un animale è inafferrabile, è un modo di dire che si usava per prendere in giro i bambini che volevano catturare gli uccellini, ovviamente se fossero stati in grado di mettere del sale sulla coda di un uccellino, avrebbe significato l’avvenuta cattura. Negli uccelli la coda serve a dare stabilità in volo, che altrimenti comincerebbero a volare seguendo delle complicate traiettorie senza mai arrivare aul ramo dove voleva posarsi. Ma se la coda serve a dare equilibrio nel volo, come si può fare per sbilanciare il volatile senza che si tolga il sale da dosso? Bisognerebbe scagliarglielo addosso a velocità pazzesca, magari sparandoglielo. Mi viene in mente al riguardo l’archibugio a sale di zio Paperone, chissà magari nasce da questo il detto popolare di mettere il sale sulla coda: sarà semplicemente un eufemismo per dire impallinare il volatile. E quindi diventa scherzoso quando il sale glielo si mette a mano sulla coda anziché spararglielo. Alla fine il sale non è la causa del non decollo del volatile in quanto tale, bensì il mezzo tramite il quale l’archibugio opera. Insomma con l’espressione mettere il sale sulla coda a qualcuno si intende “bloccare, catturare qualcuno”. Certo il sale ha caratterizzato molto la nostra civiltà fin dalle primissime origini e adesso forse si è perduto nella memoria recente di fronte alla necessità di controllare i regimi alimentari: ipertensione arteriosa e cellulite e gli è stata dichiarata guerra. Ma il sale è all’origine della vita e fondamentale al suo sostentamento. Solo l’invenzione della refrigerazione e delle tecniche di inscatolamento ne hanno minato il primato di principale conservante per alimenti e derrate, la salagione, di carne, pesce, formaggi, verdure, consentiva la disponibilità per lunghi periodi e vaste tratte di cibo pronto all’uso. Da un punto di vista storico poi, la ricerca e approvvigionamento del sale ha portato l’uomo in terre lontane e inesplorate, lo ha spinto a produrlo con ogni mezzo e ogni luogo fino a controllarne i preziosi flussi commerciali con gabelle, tasse e imposizioni. Il valore universalmente noto del sale si è presto spostato nel campo metaforico e simbolico da cui sono generate tutta una serie di espressioni del tipo sale in zucca, e al contrario quello di cavare sale da una zucca o da una rapa, oppure sale in dogana, cum grano salis, parlare col sale, sguazzare a sale , essere in forma di sale. Come si vede tutti modi di dire per indicare arguzia e acutezza d’ingegno, talora sapienza. Si usa anche dare il sale a qualcuno per “canzonare, dileggiare qualcuno”. Anche sul piano magico-sacrale il sale gode di un particolare status: alla festa di San Rocco per esempio, in parecchie zone d’Italia, era usanza far benedire il sale da somministrare poi al bestiame per garantirne salute e prosperità. Ma allora, a quali dei due significati si può ricondurre la locuzione mettere il sale sulla coda a qualcuno? A quello proprio o a quello figurato? Forse perché dunque mettendo il sale sulla coda di qualcuno lo si blocca, lo si cattura? Potrei forse pensare all’immagine biblica della moglie di Lot che, durante la distruzione di Sodoma e Gomorra, fu trasformata in statua di sale per essersi voltata indietro a guardare. Ma cose si vede il significato arriva dal consiglio, scherzoso e inutile, datomi da bambino, se allora rincorrendo un merlo per mettere del sale sulla coda, se ci fossi riuscito avrei serrato nelle mie mani il malcapitato pennuto e significherebbe che gli avrei messo il sale sulla coda!
Favria, 12.02.2017 Giorgio Cortese

La voglia di fare del bene si appoggia su due cose fondamentali: l’amore per le persone che mi circondano e il rispetto che ho per me stesso.

La meraviglia del trenino elettrico!
Il trenino elettrico è la riproduzione in scala più o meno approssimata di un reale treno che utilizza, per muoversi nel campo del modellismo ferroviario una locomotiva in miniatura mossa da un motore elettrico. Da bambino il gioco preferito dopo le costruzioni della Lego ed i soldatini è stato il trenino elettrico, ore passate a montare e smontare i binari con un unico trenino ed una sola carrozza, ma che divertimento. La dimensione del modello e lo spazio in casa non mi permettevano di creare nessun tipo di plastico, almeno per la casa in cui abitavo. Ripensando alla mia infanzia e guardando gli scaffali dei giocattoli mi accorgo che i tempi sono proprio cambiati, i miei vecchi giocattoli di sicuro sono stati cento volte più istruttivi e creativi dei giochi belli e virtuali che obbligano i bambini a passare ore davanti ad un freddo e grigio video che non stimola la creatività. Se volete vedere un grande plastico e rivivere le emozioni che provavate da bambini e farle rivivere ai vostri nipoti a Cuorgnè in via Arduino nel fortinissimo negozio di di caccia – pesca – modellismo ferroviario di Mezzanatto Piermarco a Cuorgnè in via Arduino 37 lo trovate e lo potete vedere anche dalla vetrina. Il vedere i vari trenini che con le loro carrozze corrono su e gìù per il plastico senza incontrasi mai mi ricorda che la mia vita è come un viaggio in treno con le sue stazioni, i suoi cambi, i binari, e anche con degli incidenti. Quando nasco salo sul treno e trovo i miei genitori, e da bambino sono convinto che sempre viaggeranno con me, ma poi arriva anche per loro la stazione dove scendono e continuo il viaggio da solo. Ma nel mio treno che chiamo vita, nello stesso modo salgono altre persone, sorella, amici, moglie e figli. Il viaggio e lungo molti scendono per prendere altri treni e le rincontro in altre fermate altri mi lasciano definitivamente. Di queste persone alcune quando scendono lasciano un vuoto enorme, altri non mi accorgo quasi della loro presenza. Il viaggio è bello ed a ogni fermata ci sono gioie e delusioni che tutte arricchiscono il mio animo e la mia umana esperienza. Ma come la bellezza del platico è che nessun treno intralcia il percorso dell’altro, nella vita la riuscita del quotidiano viaggio consta nel dare sempre il meglio di me stesso in ogni occasione piccola e grande che sia e di trattare tutti con umana comprensione e quando arriverà il momento che anche io scenderò alla stazione spero di riuscire di salutare tutti con un sorriso ed un arrivederci, sperando di aver lasciato dei graditi ricordi agli altri passeggeri. Ma presto adesso i trenini del platico stanno per partire e passa sotto i ponti e le vie. E allora come dicevo da bambino: “Signore, se vuole salire si paga 100 lire ed io il bigliettaio sono pronto a partire…”
Favria, 13.02.2017 Giorgio Cortese

Quando riesco ad apprezzare le piccole cose l’orizzonte della mia vita diventa molto più vasto

Ottima carne e tomini alla pietra
Secondo Aristotele, l’uomo è per natura un animale politico. Perciò gli uomini desiderano vivere insieme agli altri, anche quando non hanno bisogno di aiuto reciproco. Le compagnie più piacevoli sono quelle nelle quali regna, tra i componenti, un sereno rispetto reciproco come mio è successo venerdi 30 dicembre a pranzare in piacevole compagnia a Noasca, To, all’Osteria dei Viaggiatori, frazione Frera Superiore TO- Tel: 0124.90.10.31. Già il nome viaggiatori evoca in questo bel luogo montano nell’Alto Canavese, la voglia di andare lontano e si va lontano come viaggiatore se si è in compagnia, come recita un antico proverbio africano, perché come esseri umani ancora più del pane desideriamo la compagnia dei nostri simili. Tornando all’Osteria dei Viaggiatori la cuvina è tipicamente Piemontese, anzi no Canavesana, ma con un occhio di riguardo per la montagna. Negli antipasti spiccano i tomini fritti, la trota salmonata in salsa piemontese e l’albese in salsa di mandorle tartufata una vera libidine per le papille gustative e per l’esofago dove scende questa leccornia per adagiarsi in pancia. Consiglio tra i primi piatti gli gnocchi ai petali di rosa e gli agnolotti agli spinaci selvatici. Ma la specialità per la quale i cinque sensi hanno mandato in corto circuito il cervello per la bomtà di quanto mangiato sono la “carne alla losa”, portata in tavola su di una pietra a circa 300 gradi e cotta a proprio piacimento. A chi piace la carne ed i tomini è assolutamente da provare. Consiglio di non riempirsi con antipasti e del primo altrimenti non si gusta la vera prelibatezza della casa. La carne viene cotta direttamente sulla pietra al tavolo. Eccellente. Il personale è gentile e disponibile ed il padrone di casa Sergio vi porta un pietrone caldissimo, la losa, tazzine con sale e salse, e le fette di carne da cucinare come volete. La cottura su pietra rappresenta un’ottima scelta dal punto di vista dietetico: tale tipo di cottura infatti non richiede l’impiego di sostanze grasse ad alto contenuto calorico quali l’olio o il burro, e inoltre non fa correre il rischio di bruciare la carne durante la cottura. La pietra utilizzata durante la cottura, trattenendo il calore consente di tenere la pietanza in caldo senza alterarne il gusto e la bontà. Preciso che il lemma piemontese losa deriverebbe dal celtico lausa. Pare che questo termine sia pervenuto nella lingua piemontese tramite l’antico provenzale lauza, con il significato di lastra, pietra piatta, in occitano lausa sta a indicare le pietra piatta usata come copertura per i tetti oppure per lastricare; il diminutivo è lauseta, l’accrescitivo lausàs, mentre lausar indica l’operazione di lastricare o coprire un tetto di lose e il lausaire è colui che compie tali operazioni. Tornando alla carne alla losa trovo che all’Osteria dei Viaggiatori è ottimo il fatto di potersela cuocere come uno vuole la rende un’esperienza notevole. Il vino con cui abbiamo accompagnato il tutto era davvero buono. Il prezzo finale era più che ragionevole. Il posto ideale per gli amanti del buon cibo genuino e semplice e, in particolare, delle carni alla pietra è un locale che scelga per le proprie pietanza solo prodotti e ingredienti di prima scelta. Facilmente raggiungibile, lungo la strada che porta a Noasca e poi a Ceresole Reale nella bella valle dell’Orco.
Favria, 14.02.2017 Giorgio Cortese

Nella vita quotidiana ritengo che la più piccola delle azioni è sempre meglio della più nobile delle intenzioni

Dal dentista
Arrivo dal dentista preoccupato per l’estrazione del dente del giudizio. Mentre mi siedo nella poltroncina penso al dente costituito da una corona che sporge dalla gengiva, da una radice impiantata nell’alveolo dell’osso mascellare, e da un colletto che unisce le due parti. Cerco di immaginare l’interno del dente costituito dalla polpa dentaria, ricca di vasi sanguigni e di nervi, purtroppo visivamente allo specchio vedo solo la parte più esterna del dente è costituita dallo smalto, bianco, che ha il compito di proteggere il dente dalle aggressioni esterne. Come esseri umani , durante l’infanzia, abbiamo una prima dentizione costituita da 20 denti di latte. I denti successivi sono permanenti, e sono ben 32 denti. I denti sono utili per lacerare o strappare e poi con i molari tritare il cibo. A volte, i denti hanno anche funzioni protettive ed offensive, il tricheco usa, i suoi denti, o zanne, per trascinarsi lungo le coste rocciose. I castori fanno uso dei loro formidabili denti per abbattere gl alberi, tagliare i rami e costruirsi col legno le loro complicate dighe. Parecchi animali sono però privi di denti come gli uccelli, le tartarughe e alcuni pesci. Ma quando ho male ai denti penso sempre alla frasce che avevo letto diverso tempo addietro in un libro: “La vita è come l’anticamera di un dentista. C’è sempre uno che sta peggio di te.” Quando mi siedo nella poltrona del dentista nui sento vulnerabile, impotente ed incapace di inghiottire la salivazione. Con la bocca aperta sembra di essere una porta spalancata tra mondo interno ed esterno e la paura di soffocare. Tutte le volte ho la sensazione amplificata dal rumore, anche se silenziato del fastidioso trapano dentistico. La luce bianca sparata in faccia sembra quella del tunnel verso l’aldilà ,i miei battiti aumentano, la concentrazione si econcentra,una timida goccia di sudore esce dalla fronte e scende verso il basso in segno di arresa. Forse l’impotenza di quei lunghi ed infiniti attimi deriva dalla sensazione che i denti sono il più evidente strumento di potere che noi esseri umani evoluti portiamo con noi. Ma poi penso che la vita è e allora vale la pensa sorridere adesso che ho ancora i miei denti. Ritengo il sorriso come uno spazzolino che devo usare spesso per mantenere i denti puliti e l’animo sereno. Mi viene da pensare che certe volte verrebbe voglia della bestiale necessità di adoperare i denti contro certi miei simili, ma poi sorrido e così lascio vedere che li ho! La cosa che mi consola è che nella vita di ogni giorno le persone di animo cattivo tengono sempre i denti nascosti e non li mettono mai in mostra. Il dentista con garbo mi dice che tutto è finito, ho superato l’ansia facendomi trasportare da questi pensieri e al garbo dello studio medico Charisma a Cuorgnè, via Ivrea 12 tel 0124 650511 che con garbo e calma provvedono alla salute del nostro sorriso e anche alla mia nutrizione che mi allunga la vita del poter gustare cibi teneri e sugosi. La vita se ci penso è breve e allora sorrido finché ho ancora i denti facendo rilassare il mio animo, grazie dott. Beira per l’ottimo lavoro.
Favria, 15.02.2017 Giorgio Cortese

Nella vita di ogni giorno non si guidano le persone picchiandole sulla testa, o prevaricando con supponenza ed arroganza, ma il miglior esempio di guida è la guida condotta tramite l’esempio.

I due alberi del parco
Nel parco vicino a casa ci sono due due querce vicinissime, nate da uno stesso tronco, questo mi fa ricordare ogni volta che passo li vicino il mito di Filemone e Bauci. Ecco la meraviglia del parco che è analoga alla alla simbiosi tra molti animali mi riporta a questo mito scritto da Ovidio nelle Metamorfosi, una antica storia dove si associano delle virtù umane forse ormai in via d’estinzione: la pazienza, l’essenzialità, ed il rispetto. “Si racconta che un tempo, quando sull’Olimpo vivevano gli dei dell’antica Grecia, Giove volle discendere sulla terra per rendersi conto di come gli uomini si comportassero. Per questo, preso l’aspetto di un uomo qualunque, egli e il figlio Mercurio, il quale per l’occasione si era tolto dai piedi le ali, si diedero a percorrere le vie della Grecia. I due pellegrini, così travestiti, giunsero in Frigia senza farsi riconoscere da nessuno. Qui, desiderosi di trovare un rifugio dove riposarsi, si misero a picchiare di porta in porta chiedendo ospitalità. Bussarono così a innumerevoli palazzi, ma dovunque furono scacciati e trovarono le porte serrate a catenaccio. Giunsero finalmente ad un povera capanna ricoperta di canne e di erbe palustri, dove abitavano due vecchietti della medesima età, la pia Bauci e il buon Filemone. In quella capanna Filemone e Bauci avevano vissuto insieme fin dalla giovinezza; in quella erano invecchiati senza vergognarsi della loro povertà e sopportandola tranquillamente, tanto da non sentirne neppure il peso. Nell’umile dimora era inutile chiedere quale fosse il servo e quale il padrone, vi erano due sole persone, e tutte e due comandavano e ubbidivano a vicenda. Qui Giove e Mercurio trovarono pronta cordiale accoglienza. Non appena furono entrati, chinando la testa per non batterla allo stipite della porta troppo bassa, il vecchio li invitò a riposarsi porgendo loro una panca sulla quale l’accorta Bauci aveva steso un rustico tappeto. Quindi la buona vecchierella allargò con le mani le ceneri tiepide del focolare e, per riattizzare il fuoco del giorno prima, lo alimentò con foglie e scorze secche, e ne fece sprizzare la fiamma soffiandovi sopra con quel poco fiato che ancora le rimaneva. Prese poi legna e rami di pino ben secchi e li spezzò per metterli sotto al piccolo paiolo. Poi si diede a mondare gli erbaggi raccolti dal marito nell’orto coltivato con molto amore. L’altro con un’asta forcuta tirò giù un coscio di maiale affumicato rimasto appeso per lungo tempo alla nera trave, ne tagliò una fetta sottile e la mise a cuocere nell’acqua bollente. Frattanto ingannavano il tempo discorrendo. Infine il buon vecchio, spiccato da un chiodo un bacile, lo riempì d’acqua tiepida e l’offerse agli ospiti perché potessero lavarsi i piedi. Quindi gli dei si adagiarono su un povero lettuccio di legno di salice, ma con un materasso di soffice alga, sul quale era stata distesa la coperta dei giorni festivi; anche questa però era una coperta vecchia e misera adatta a un letto di salice. La vecchietta, serratasi la veste alla vita, cominciò a preparare la tavola. Era una tavola a tre gambe, e dovette rincalzarla perché una gamba era più corta. Quando l’ebbe ben pareggiata, ne strofinò il piano con la menta fresca e vi servì in piatti di coccio le olive sacre alla casta Minerva, le corniole dell’autunno conservate in salamoia, invidia e rafano, formaggio fresco, uova assodate nella cenere calda. Dopo fu portato in tavola un rozzo cratere, anch’esso di coccio, e coppe di faggio spalmate, nel cavo, di bionda cera. Così tolte via dalla mensa le vivande, viene mesciuto nella coppa il vinello asprigno di quell’anno medesimo, che poi, messo un poco in disparte, lascia posto alle frutta. Ecco la noce, ecco i fichi secchi insieme ai datteri rugosi, e prugne, e mele odorose negli ampi canestri, ed uva colta dalle viti rosseggianti di grappoli. In mezzo sta un candido favo ricolmo di miele. E tutto è condito con un piatto di buon viso. Senonchè durante il pasto, ogni volta che il cratere rimaneva vuoto, lo vedevano spontaneamente riempirsi, come se il vino sorgesse su dal fondo. Meravigliati per una cosa tanto straordinaria, Filemone e Bauci furon presi da timore, e levando le mani al cielo invocarono perdono per i rustici cibi e per la mancanza d’ogni apparato. Possedevano una sola oca, che faceva da guardia alla povera capanna, e i due vecchi si preparavano ad ucciderla in onore degli dei loro ospiti. L’oca, svelta, svolazzando qua e là, riesce a lungo a sfuggire ai due lenti inseguitori, e finalmente trova rifugio in grembo agli dei, che la proteggono e la salvano. “Noi siamo proprio dei” dissero “e i vostri empi vicini subiranno la punizione che hanno meritato; voi invece rimarrete immuni dal flagello. Abbandonate dunque la vostra casa e seguiteci sulla cima del monte”. I vecchietti ubbidirono, e, preceduti dagli dei, appoggiandosi ai loro bastoncelli, si sforzarono quanto lo permetteva la tarda età, di salir su lentamente per l’erto pendio. Erano lontani dalla cima quanto un tiro di freccia, allorchè, volgendo gli occhi al basso, scorsero tutte le cose dintorno sommerse da una palude; soltanto la loro capanna era salva. Mentre essi stupiti compiangevano la sorte dei vicini, la vecchia capanna, piccola perfino per due soli padroni, ecco si converte in un tempio: i pali a forcella di sostegno al tetto si trasformano in colonne, le stoppie diventano d’oro, il pavimento si copre di marmo, le porte appaiono magnificamente scolpite. Allora il figlio di Saturno parlò con benigna voce: “Ditemi ora, o buoni vecchi sposi, degni l’uno dell’altro, che cosa desiderate”. Scambiate poche parole con Bauci, Filemone rispose: “Chiediamo di essere sacerdoti e di poter custodire il vostro tempio; e siccome abbiamo trascorso insieme d’amore e d’accordo tutta la vita, desideriamo di morire nel medesimo tempo, cosicchè io non debba vedere il sepolcro della mia sposa, nè essere da lei sepolto.” I loro voti vennero accolti, e i due vecchi diventarono custodi del tempio. Giunti al termine della vita, si trovarono per caso sui gradini del tempio a narrarne la storia ai visitatori. A un tratto Bauci vide Filemone mettere fronde, mentre il vecchio Filemone, dal canto suo, vedeva le membra di Bauci irrigidirsi e metter fronde anch’esse. Intanto che la cima degli alberi cresceva, i due sposi si scambiavano parole di saluto, fino a quando fu loro possibile. “Addio, sposo mio” si dissero a un tempo. I quello stesso momento le loro labbra scomparvero sotto la corteccia. Furono mutati in tiglio e quercia, ancora una volta dal profondo significato emblematico. Bauci fu trasformata in tiglio, allegoria della felicità anche in senso lato e Filemone in quercia, simbolo della potenza e della fermezza maschile, nel romanticismo la quercia fu l’impersonificazione della forza imperturbabile: “Fedele ed impassibile come le querce”. Il mito di Filemone e Bauci, contenuta nelle Metamorfosi di Ovidio, attraversa come un fiume sotterraneo carsico la storia psichica dell’Occidente e ancora oggi viene a porci fondamentali domande. Ritengo che il significato più nascosto di questa leggenda, i cui protagonisti sono la metafora del corretto vivere nel Tempo. Cerchiamo di dare per quello che possiamo la precedenza assoluta alla nostra Anima, all’onestà e alla dignità della nostra origine affinché la vita si riempia di significato e possa essere veramente generatrice di frutti straordinari.
Favria, 16.02.2017 Giorgio Cortese

Felice e sereno ogni giorno senza con passione e con gli umani affanni intesso la trama quotidiana del mio cammino

L’evoluzione della specie, il dente del giudizio.
Ho avuto dei problemi con un dente del giudizio, o terzi molare. Questo dente, ne uno solo è comparso quando avevo ventidueanni, pare che prenda il nome dall’origine appunto dall’età nella quale i denti del giudizio, detti anche ottavi, iniziano a spuntare. Nella storia popolare, sarebbe l’età in cui una persona mette giudizio. La comparsa di questi denti, stabilisce il completamento della dentizione permanente; ogni dente del giudizio occupa l’ultima, nonché la più interna posizione di ogni semiarcata dentale. Tuttavia, non sempre i terzi molari fanno il loro esordio. Spesso uno o più denti del giudizio, rimangono inglobati nell’osso e nella gengiva, non riuscendo dunque a spuntare. La mancata eruzione può avere due cause. In primo luogo, a seconda della conformazione della mandibola, è possibile che al dente manchi il posto necessario per spuntare. Nel secondo caso, può accadere che la crescita del dente non sia orientato correttamente, e nei casi più complicati, può darsi che il dente cresca in direzione orizzontale, eventualmente facendo pressione sul secondo morale. Un dente del giudizio che non cresce in maniera corretta, può portare a diverse patologie, tra cui la cisti, la pericoronite, le carie e l’ascesso. Oggi grazie all’esperienza di professionisti, è possibile monitorare, prevenire e diminuire eventuali danni e dolori dei denti del giudizio. ll fatto che la crescita dei denti del giudizio sia soggetta a variazioni ed a imperfezioni è dovuto anche al corso evolutivo della specie umana. È oramai assodato che i denti del giudizio sono pressoché inutili ai fini della masticazione e dell’estetica del sorriso. Dunque, perché questi denti crescono? Facciamo un passo indietro, a circa qualche milioni di anni fa. I denti del giudizio, sono un patrimonio ereditario che ci perviene dagli antichi ominidi. Per far fronte ad una dieta primitiva, composta da carni crude, alimenti duri e tenaci, i nostri antenati avevano bisogno di denti molto robusti e di mascelle forti e resistenti. L’evoluzione e la lotta per la sopravvivenza hanno così dotato gli uomini del passato dei denti del giudizio, facilitando loro la masticazione di questi alimenti. Nell’epoca moderna, invece, l’alimentazione è più facile, composta dunque da cibi più morbidi che non richiedono una masticazione così vigorosa ed energica. Per questa ragione, le mandibole dell’uomo contemporaneo sono andate incontro ad una vera e propria evoluzione; essendo meno sviluppate rispetto al passato, le mascelle di dimensioni ridotte impediscono od ostacolano il corretto sviluppo dei denti del giudizio. Oggi come essere moderni ed evoluti oltre alla perdita della funzione dei denti del giudizio perdiamo anche il tempo che ci è donato ogni giorno, con un semplice dito muoviamo i nostri sentimenti immaginari, ammazzando ogni nostro reale momento. Qualcuno ci vuole distratti e ci riesce perfettamente bene.
Favria 17.02.2017 Giorgio Cortese

Nella vita sono sempre responsabile di quello che non abbiamo saputo evitare

Gli scritti proscritti
La proscrizione, nel mondo romano, era un avviso pubblico con cui si notificava la messa in vendita dei beni di un debitore. Ma successivamente nell’’ultima fase della Roma repubblicana, I secolo a.C., la proscrizione assurse a strumento di lotta politica. Divenne infatti un metodo di eliminazione di massa, con l’esilio, o la soppressione fisica, dei rivali politici o dei nemici personali, i cui beni venivano poi incamerati dall’erario pubblico o utilizzati per pagare i soldati delle legioni. In questa fase della storia di Roma ci furono due grandi proscrizioni: quella scatenata contro l’ordine equestre dal dittatore Lucio Cornelio Silla, proscrizione sillana, 82 a.C., e quella compiuta dai triumviri Ottaviano, Marco Antonio e Marco Emilio Lepido ai danni dei loro avversari nel 43 a.C.. Vittima illustre di quest’ultima iniziativa fu il celebre oratore Marco Tullio Cicerone. Oggi il termine è rimasto in uso per indicare, anche in epoche successive, l’allontanamento forzoso dalle cariche pubbliche dei singoli, o di intere classi dirigenti, imposto da un regime alla caduta del regime. Molto simile era l’ostracismo dell’antica Grecia, istituto giuridico volto a infliggere a un cittadino la pena di un esilio decennale, introdotto nel V secolo a.C. Il nome dell’arconte che istituì l’ostracismo ad Atene nel 510 a.C., poco dopo lo smantellamento della tirannide precedentemente instaurata da Ippia, figlio di Pisistrato e fratello di Ipparco, è Clistene. Oggi con questa parola si indica l’esclusione, l’emarginazione. Il lemma deriva dal greco: ostrakon conchiglia, e per estensione cocci di terracotta. Una volta l’anno, ad Atene, durante l’assemblea dell’Ecclesia, i cittadini potevano esprimere la volontà di tenere una votazione per comminare un ostracismo. Nel caso in cui i cittadini avessero espresso la suddetta volontà, si apriva la votazione, che consisteva nello scrivere il nome della persona che si voleva ostracizzare su un coccio di terracotta, inserendolo poi nelle urne di voto. Raggiunto un certo numero di voti, si parla di maggioranza semplice su un quorum di seimila, lo sventurato se ne doveva andare subito dall’Attica, la regione di Atene. Non perdeva proprietà né altri diritti, se ne doveva semplicemente andare per dieci anni. Poteva anche nominare un curatore dei propri beni rimasti in città, e l’ostracismo non toccava la sua famiglia, che poteva restare a casa. La cosa curiosa è che questa votazione non veniva aperta solo nei casi di reale pericolo per lo Stato, e non comportava alcuna accusa penale: si trattava di un voto politico arbitrario. “Tu, fuori”. Da notare l’uso dei cocci di terracotta, allora le pergamene non esistevano, e tantomeno la carta e l’unico supporto simile su cui poter scrivere era il papiro, ma doveva essere importato dall’Egitto ed era costosissimo. Invece, colpo di genio: cocci rotti: grande quantità, costo zero. La parola proscritto riferita dai pentastellati ai giornalisti mi fa riflettere che la libertà di stampa è anche la serenità di lavorare, di raccontare senza ritorsioni, senza che il nostro personale privato sia utilizzato come un’arma per farci tacere. Non si può scrivere un articolo, nella speranza che non rovini la cena di nessuno 
 Ritengo che sia un sacro dovere per i giornalisti, vestali della democrazia, scrivere le notizie e scatenare l’inferno e sicuramente rovinano la cena di qualcuno. Quando la stampa è libera e ogni essere umano in grado di leggere, e tutto è sicuro. La censura è il bastone bianco dei ciechi del pensiero. Purtroppo oggogiorno sui social forum la gente esige la libertà di parola per compensare la libertà di pensiero, che invece rifiuta. E allora diventa importante avere oltre alla libertà di stampa avere la mente libera da pregiudizi, altrimenti mancano uomini liberi
Favria 18.02.2017 Giorgio Cortese

La fiducia tradita è simile ad uno specchio rotto, posso rincollare pure i pezzi ma non vedrò mai più nulla come prima