Texas Rangers – Bandiere d’Europa: Irlanda, Austria e Belgio. – Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue. – Cantico di un anziano. – I kudurru dei Cassiti. – FESTA SOCIALE FIDAS FAVRIA. – Cancelliere. – L’erba che brucia, l’ortica. – La Vergine – Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Texas Rangers La serie televisiva Walker Texas Ranger, con

il divo Chuck Norris, ha reso famosi i Ranger del Texas in Italia e nel mondo. L’immagine proposta sul piccolo schermo è un ibrido di poliziotti duri ma anche impegnati nel sociale, rudi nei confronti dei criminali eppure sensibili ai problemi dei poveri e delle minoranze.  Certo come spettatori possiamo immaginarci un abbellimento della realtà, e invece la storia e la cronaca dicono che questo strano mix è sostanzialmente Vero. I Ranger dal grilletto facile sono anche sensibili all’assistenza sociale e hanno svolto un ruolo fondamentale nel promuovere i diritti dei neri quando l’America era orientata in tutt’altra direzione e nel tutelare i nativi americani in quelle lande dove non c’era alcuna speranza che le autorità locali provvedessero. E più in generale nel sostenere le persone socialmente deboli con la forza e le risorse dello Stato del Texas, là dove le loro ragioni avevano pochissime probabilità di essere prese in considerazione. I Ranger sono nati nel 1823 con il compito di combattere quelli che all’epoca venivano chiamati pellerossa e, dall’indipendenza del Texas nel 1835, anche i messicani. Nel 1861-65 parteggiarono per la Secessione schiavista contro l’Unione, ma già verso la fine del XIX secolo si erano “riconvertiti” in rudi paladini dei diritti civili e dei più deboli.  Il Texas in cui cavalcarono e spararono i primi Rangers faceva parte del Messico. Vicente Filisola, generale messicano nato in Italia, descrisse così il Paese nel 1836: Le distanze sono enormi… Indiani ostili rubano il bestiame, attaccano le carovane e si abbandonano a orrendi atti di crudeltà…”. Nonostante le scarse attrattive, nel 1821 il governo messicano invitò alcune migliaia di coloni anglosassoni a popolare la regione e a svilupparne l’economia. I nuovi arrivati si insediarono in condizioni di insicurezza estrema, costruendo fattorie e villaggi sparpagliati su un territorio vasto il doppio dell’Italia ed esposto agli attacchi delle tribù Comanche, Tonkawa e Krankawa. Nel 1823 per  migliorare un po’ la situazione, il capo di una di queste comunità, Stephen F. Austin, la capitale dello stato del Texas porta il suo nome, infatti è considerato il padre dalla patria,  arruolò il primo nucleo di 20 Rangers, corpo allora non ancora ufficialmente  riconosciuto, pare pagati di tasca sua dallo stesso Austin. Austin guidò personalmente i primi Rangers ad attaccare degli indiani che avevano rubato  una mandria di cavalli. Questa prima scaramuccia e vittoria sancisce la loro nascita, una storia fatta di guerriglia con i pellerossa, tra vittorie e massacri, destinata a durare decenni. Pensate che nel marzo del 1836 i Texas Rangers, colsero un successo di rilievo nazionale quando liberarono una donna bianca, una certa signora Hibbons, e un ragazzino che erano stati catturati dai Comanche. In verità ci furono molti altri eventi del genere, i Comanche rapivano spesso donne e bambini, ma questo, chissà perché, diventò il caso più famoso di tutti. Tre anni dopo un altro gruppo di Rangers cadde in un’imboscata in cui sette di loro furono uccisi, incluso il capitano John Bird. Nel 1840, per vendicare un massacro di 35 Comanche, tutti i guerrieri di quella tribù attaccarono e saccheggiarono la città texana di Galveston, sulla costa del Golfo del Messico. Ma nella marcia di ritorno verso la loro lontana sede sugli altopiani, i guerrieri, appesantiti e rallentati dal bottino, vennero implacabilmente tormentati dai Texas Rangers, che capovolsero la situazione e applicarono contro i nativi la tattica del mordi e fuggi, uccidendone parecchi.  Nel frattempo fra il 1835 e il 1836 i coloni anglosassoni si erano ribellati al governo del Messico e avevano ottenuto l’indipendenza del Texas. Il nuovo Stato si diede una bandiera che assomigliava, e assomiglia tuttora, a quella degli Usa, ma con la famosa “stella solitaria” Lone Star. A quel punto i messicani diventarono i loro nemici numero uno. Il Texas non si accontentò di respingere i loro tentativi di rivalsa, ma con forze esigue tentò addirittura, per ben due volte, nel 1841 e nel 1842,  di invadere il territorio del Messico, e a sua volta subì invasioni. Viene da pensare che l’animosità tra coloni anglosassoni e messicani potrebbe far pensare  che ci fosse una visione della vita e di valori completamenti diversi. Questa impressione è stata rinforzata dai film western con John Wayne, dove gli americani wasp, white Anglo-Saxon protestant, ovvero bianchi anglosassoni Protestanti,  indossano i tipici cappelli da cowboy Stetson,  che in realtà all’epoca quasi non esistevano, giacche e cravattini di cuoio, mentre i messicani sfoggiano sombrero e abiti di foggia spagnolesca. Si tratta di una visione storica  sbagliata, perché dai disegni dell’epoca ci mostrano i texani, compresi i Rangers, vestiti e bardati esattamente come i messicani, indistinguibili, su piccoli cavalli di razza spagnola. Inoltre già allora, come ora, parlavano un inglese farcito di parole ispaniche, e gustavano la cucina che oggi è famosa come “tex-mex”. Ma spesso è proprio tra popoli affini che sorgono le maggiori animosità. Benché il Texas ormai si autogovernasse, il Messico non lo riconosceva, e la guerriglia fra le due sponde del Rio Grande durò per un decennio. Poi nel 1845, stremati e in bancarotta, i texani chiesero di entrare a fare parte degli Stati Uniti per riceverne protezione. Oggi un piccolo movimento di indipendentisti del Texas sostiene che l’atto formale di cessione di sovranità non fu mai ratificato dal Parlamento di Austin, e su questa base giudicano illegale l’annessione all’Unione. Tra  il 1846 e il 1848 la contesa per il Texas fece esplodere la guerra fra Stati Uniti e Messico, a cui i Texas Rangers parteciparono come scorridori a fianco delle truppe regolari. In questo ruolo si mostrarono estremamente efficaci, guadagnandosi la nomea de los Diablos Tejanos. Ma spesso la loro indisciplina esasperò i generali americani, come scrisse lo storico militare Philip Katcher, quando durante l’assedio di Città del Messico i Rangers, trasgredendo gli ordini, provarono a lanciarsi all’attacco per conto loro, e per fermarli il comandante in capo statunitense, Winfield Scott, minacciò di sterminarli con l’artiglieria. Del resto la boria dei texani è proverbiale negli Usa, pensate che alla fine della Seconda guerra mondiale, alla luce del fatto che il capo di stato maggiore Eisenhower veniva proprio dal Texas, il più importante giornale locale arrivò a scrivere, senza voler scherzare, che “La Germania nazista si è arresa al Texas, coadiuvato dagli alleati”. Quando poi nel 1861 scoppiò la Guerra di secessione, il Texas, pur fra mille esitazioni e spaccature interne, si adeguò alla scelta degli altri Stati del Sud. I Rangers in quanto tali non parteciparono ai combattimenti, ma quasi tutti i loro uomini vennero trasferiti all’esercito regolare sudista in lotta contro gli yankee. I Comanche ne approfittarono per rinnovare i loro attacchi e nel 1865, a guerra finita, i ranghi dei Rangers dovettero essere reintegrati in fretta, per respingerli. Esplose anche il problema dei banditi quando immense mandrie cominciarono a essere convogliate verso la città di Abilene e da lì, in ferrovia, fino a Chicago e ai mercati dell’Est, diventando bersaglio dei ladri di bestiame. Treni e banche venivano assaltati da bande organizzate e c’era il problema delle tante famiglie texane che continuavano a vivere in fattorie in mezzo al nulla, esposte alle violenze di chiunque, con la pelle rossa, bianca o bruna, sentisse il richiamo del saccheggio. I Texas Rangers furono l’unico baluardo a loro difesa, anche se usavano metodi spicci, come quelli del Rangers di Leander H. McNelly, noto per portare raramente vivi i ricercati davanti al giudice.  A mano a mano che i nativi americani sparivano e si incancreniva il problema dei fuorilegge, anche i Rangers mutarono funzione. Nati come corpo militare, si trasformarono in agenti di polizia, un po’ come è successo in Italia ai nostri carabinieri. Verso la fine dell’Ottocento per i Texas Rangers cambiarono anche altre priorità: i messicani e i nativi erano diventati minoranze da difendere. E gli afroamericani, in teoria resi pari ai bianchi dalla Costituzione federale, in uno Stato del Sud come il Texas non potevano trovare tutela se non da parte dei Rangers. Certo non dagli sceriffi e dai giudici locali, che non necessariamente erano razzisti, ma di certo non si preoccupavano di tutelare le ragioni dei nativi, degli ispanici e degli afroamericani. Al pari del governo federale, i Rangers divennero, a livello statale, un baluardo dei diritti civili. Non che la trasformazione sia avvenuta dall’oggi al domani, né senza sbavature. Ancora negli anni Sessanta del secolo scorso, nel pieno delle lotte contro il razzismo e la guerra nel Vietnam, un giurista biasimava i Rangers dicendo che pattugliano il Texas in auto e in elicottero anziché a cavallo, ma la loro mentalità è ancora da XIX secolo. Credono sempre che far paura e puntare le pistole siano buone pratiche di polizia. Questo ritratto si presta a fraintendimenti, essere duri verso i criminali non contraddice necessariamente il ruolo e il senso di missione dei Rangers. Del resto si diventa Rangers soltanto dopo anni di esperienza in altri corpi di polizia e solo a condizione di aver seguito corsi universitari di legge, criminologia, sociologia o diritti umani, da rinfrescare annualmente con decine di ore di aggiornamento. Magari la serie mitica Walker Texas Rangeresagera nell’idealizzarli, eppure quell’immagine corrisponde a quanto sperimentano ogni giorno gli abitanti del Texas.

Favria, 10.09.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata, la  speranza è la molla, la spinta, lo stimolo forte che mi incita a non mollare mai il mio fine, il  mio scopo. A non perdere mai di vista il traguardo, qualsiasi esso sia, anche se sembra poco probabile e lontano nel tempo. La speranza è vita. Senza speranza la mia esistenza è già finita. Felice martedì.

Bandiere d’Europa: Irlanda, Austria e Belgio

La bandiera della verde Irlanda deriva della bandiera francese, i suoi tre colori simbolizzano le componenti religiose del Paese, con il verde che indica i cattolici, l’arancione i protestanti e il bianco che rappresenta l’unione fra le due parti. La bandiera adottata dal duca d’Austria Federico II di Babenberg, XIII secolo, sarebbe stata ispirata dalla veste indossata da un suo predecessore durante le crociate, la quale si macchiò tutta di rosso sangue tranne che nella linea della cintura, rimasta bianca. La bandiera del  Belgio con le sue tre strisce verticali riportano i colori del ducato di Brabante, storica entità statale locale,  XII-XV secolo, nel cui stemma, su sfondo nero, spiccava un leone dorato, con artigli e denti rossi.

Favria, 11.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri figli la speranza. È l’unico modo per preservare il loro diritto di sognare. Felice  mercoledì.

Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue.

Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue. Vieni a donare il sangue, vieni a donare a Favria * MERCOLEDI’ 16 OTTOBRE *, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare e portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Per info, Cell. 3331714827. Ricordo i requisiti minimi per donare: età compresa tra i 18 e i 60 per la prima volta, poi dai 65 a 70 anni, l’idoneità a donare va valutata dal medico. Grazie se fate passa parola e divulgate il messaggio. Vieni a donare il sangue *MERCOLEDI’ 16 OTTOBRE a Favria* e sii un eroe nella vita di qualcuno. Orario dalle ore 8 alle ore 11,00, devi prenotare al cell 3331714827 oppure tramite mail favria@fidasadsp.it

Ricordate che donare il sangue rappresenta il più grande atto di vita che chiunque può compiere. Ogni giorno, in Italia, migliaia di persone sopravvivono grazie a un gesto così semplice ma così importante. Non indugiamo, perché “certe cose” non accadono solo agli altri. Gli “altri” siamo anche noi.

Vieni a donare il sangue  MERCOLEDI’ 16 OTTOBRE a Favria

Cantico di un anziano

Il caro amico Fervido mi ha inviato questo beve racconto intitolato “Cantico di un anziano”: Benedetti quelli che  mi guardano con simpatia, comprendono il mio camminare stanco, parlano a voce alta per minimizzare la mia sordità. Benedetti quelli che, stringono con calore le mie mani tremanti, si interessano della mia lontana giovinezza e non si stancano di ascoltare i miei discorsi tante volte ripetuti. Benedetti quelli che comprendono il mio bisogno di affetto, mi regalano frammenti del loro tempo e si  ricordano della mia solitudine. Benedetti quelli che  mi sono vicini nella sofferenza, rallegrano gli ultimi giorni della mia vit e mi i sono vicini nel momento del passaggio. Grazie per ogni sorriso. Quando entrerò nella vita senza fine mi ricorderò di loro presso il Signore Gesù.

Favria,12.09.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Con la speranza e la pazienza niente è impossibile. Felice giovedì.

I kudurru dei Cassiti

Il kudurru era una stele utilizzata come pietra di confine e come registro delle concessioni di terra ai vassalli dei Cassiti nell’antica Babilonia tra il  XVI e XII secolo a.C. La parola in lingua accadica significa “frontiera” o “confine”, in ebraico gader, recinto, limite; in arabo jadr, jidar, judur, muro.. I kudurru sono le sole opere d’arte rimaste del periodo di dominazione dei Cassiti in Babilonia, con esempi esposti al Louvre e al Museo nazionale iracheno. I Cassiti erano popolazione di rozzi montanari che abitavano anticamente sull’orlo dell’altipiano iranico,  nelle montagne dello Zagros. Già citati dal greco  Strabone r poi dal romano  Curzio Rufo  che li chiamava Cossaei, mentre i Babilonesi e Assiri scrivono il loro nome Kashshu.  Risulta inoltre, dal fatto che ricorrono nomi di persona cassiti in tavolette della prima dinastia,  stava avvenendo un’immigrazione pacifica e lenta dei montanari dell’orlo dell’altipiano nella pianura ricca e fertile. Approfittando della debolezza del potere statale in Babilonia, i Cassiti riuscirono, dopo varie incursioni felici a mano armata nella Babilonia, a sottomettere quasi tutto il paese e a mantenervi il proprio dominio per ben 576 anni,  dal 1746-1171 a. C .  Ancora dopo che il paese si era liberato dal dominio straniero i Cassiti diedero parecchie noie ai re di Babilonia e di Assiria. Nabucadrezar I, 1146-1123 a.C., intraprese contro di essi una scorreria e Assurnazirpal II di Assiria nel 883-859 a.C. se li trovò davanti quali truppe ausiliarie di Shadudu di Sukhi. Sennacheribbo di Assiria nel 705-681 a.C. intraprese nel 702 una campagna militare contro i Kashshu e i Yasubigalla. Essi non abbandonarono la loro vita di briganti neppure al tempo dei re persiani, i quali anzi pagavano loro un tributo per poter passare con le loro truppe attraverso il paese. Alessandro il Macedone conquistò il loro territorio: allora essi abitavano nella regione a S. della Media e a N. della Susiana. Non siamo affatto informati sul tipo antropologico dei Cassiti. La loro lingua non sembra essere affine a quella elamitica, parlata dagli Elamiti a SE. del loro territorio, e non era, probabilmente, neppure una lingua aria, quantunque abbia avuto certamente elementi ari, come dimostrano varî nomi di loro divinità. La lingua cassita ci è nota molto superficialmente attraverso una lista di nomi di re e persone cassiti con versione semitica e un vocabolario cassito-babilonese. Da questo apprendiamo, a titolo di esempio, che iasha significava, il paese, i che il nome per “terra”era miriash e che ianzi significava “il re”. Durante il periodo cassitico in Babilonia i rozzi montanari dell’altipiano iranico assorbirono completamente la civiltà babilonese e adottarono anche la scrittura cuneiforme e la lingua del paese. Nella religione essi introdussero qualche divinità nazionale, come Shuqamuna, Shumalia e Tishpak di Der, ma mantennero qualcuno dei loro dei, i quali portano nomi di suono ariano, come  Shuriash, dio del sole. I Cassiti introdussero in Babilonia un nuovo sistema di datazione e diffusero maggiormente di prima l’uso del cavallo. I re cassiti conferivano ai loro fedeli servitori grandi tenute mediante l’erezione di documenti giuridici su pietre di confine dette kudurru. I sigilli-cilindri di questo periodo ci mostrano gli abitanti del paese barbuti, con veste lunga, le cui maniche arrivano fino al gomito, e con una cintura attorno alla vita.  I kudurru registravano le concessioni di terra dal re ai vassalli come memoria della sua decisione. L’originale veniva conservato in un tempio mentre la persona a cui era concessa la terra riceveva una copia di argilla da usare come pietra di confine per confermarne la proprietà legale.  I kudurru potevano contenere immagini simboliche di divinità che proteggevano il contraente e il contratto, maledicendo la persona che avesse rotto il contratto. Alcune di queste opere avevano anche un’immagine del re che concedeva la terra. Quando contenevano molte immagini, i kudurru venivano incisi su grandi lastre di pietra.  Questi cippi di confine che i Babilonesi  collocavano ai limiti dei campi aveva una funzione  analoga al terminus dei Romani.

Favria, 13.09.2024 Giorgio Cortese

Buona giornata. Personalmente conosco un solo modo di affrontare la giornata, si chiama speranza. Felice venerdì.

FESTA SOCIALE BIENNIO 2022- 2023 – Gruppo donatori di Sangue FidasADSP  Favria   TO

Il giorno 22 settembre, domenica mattina verranno consegnate le benemerenze, con diplomi e medaglie a riconoscimento dell’impegno e della generosità di 100 donatori Fidas Favria. Il Gruppo Comunale  Fidas fondato nel lontano 1988 ogni hanno genera un fiume di solidarietà tramite i suoi donatori,  grazie, donatori di sangue!

Cari donatori di sangue grazie del Vostro impegno, le  benemerenze  che vi vengono consegnate corredate di attestato e  medaglia esprimono la gratitudine verso di Voi, Grazie.

Nel 2023 come gruppo abbiamo raccolto il risultato storico di 653 sacche  con 398 donatori, 35 nuovi, che ha frantumato  le ottime imprese dei precedenti anni, che erano già dei record. Grazie di cuore per il bene che fate

Cari donatori con il Vostro impegno  nel donare e di prendervi cura degli altri. Grazie.

Come sapete già, questo anno si rinnovano le cariche associative:

i consiglieri,

i revisori dei conti e

i responsabili del gruppo Giovani Fidas.

Tutti i soci Fidas Favria Donatori Sangue possono presentare la candidatura per una delle componenti sopra elencate, inviando alla nostra segreteria all’indirizzo favria@fidasadsp.it la propria adesione con una breve presentazione e candidatura.

Oppure scrivi su WhatsApp al 3331714827

Ricordiamo che il compito principale di un’associazione di donatori di sangue come la nostra, è quello di diffondere il principio della volontarietà dell’offerta gratuita ed anonima del Sangue, come dovere civico e di promuovere la donazione del sangue tra la popolazione e soprattutto tra i giovani.

Chi fa parte del direttivo dedica quel poco tempo per l’allestimento delle sale prelievi, pulizie della sede con cadenza mensile oppure presenziare alla donazione ed accogliere i volontari.

Ognuno di noi ha un compito che porta via pochissimo tempo durante il mese.

Ciò avviene con successo solo grazie ad un gran lavoro di gruppo, che diventa entusiasmante con la stretta collaborazione dei partecipanti secondo le personali esperienze lavorative acquisite e/o secondo le proprie attitudini.

Se anche tu, donatore attivo di Fidas Favria, vuoi dare il tuo contributo, invia la tua candidatura.

METTITI IN GIOCO!!! ENTRA ANCHE TU NELLA SQUADRA della FIDAS FAVRIA DONATORI DI SANGUE. ENTRA NELLA NOSTRA SQUADRA DI FIDAS FAVRIA

Gruppo donatori di Sangue FidasADSP  Favria   TO

FESTA SOCIALE BIENNIO 2022- 2023

Cara/o  donatrice/donatore

Con la presente Ti avvisiamo della festa sociale che avverrà

domenica 22 settembre 2024

con il seguente programma:

ore 9,30 ritrovo in sede cortile interno del Comune.

Ore 10 avvio corteo e sfilata.

Ore 11 S.Messa , ore 12 premiazione donatori benemeriti.

Ore 12,30 pranzo sociale  presso Agriturismo La PRATERIA DI Rosanna e Giovanni. Via Conti  S. Martino fraz. San Giovanni- Castellamonte.

L’accompagnatore e l’alfiere dei gruppi invitati saranno graditi ospiti.

Hanno diritto al pranzo gratuito

tutte le medaglie oro,  Re Rebaudengo e tutti i premiati.

Costo pranzo euro per tutti gli altri euro 30,00, per  i bambini  0 -2 anni non pagano; 3/6 anni  euro 7,00. Per i bambini 7/12 anni Euro 12,00. Per tutti i donatori che hanno effettuato almeno una  donazione nel  Biennio 2022/2023,  e i nuovi donatori del 2022– 2023 il costo del pranzo è di Euro 15,00

 Prenotate con urgenza ai seguenti recapiti:

Macri Nicodemo cell 3498889303 –

Varrese Vincenzo cell 3469651812 –

Cortese Giorgio 3331714827

Entro il  15 settembre sino ad esaurimento posti disponibili

DIPLOMI.

Annetta Lucia – Borgaro Giulia – Brunasso Diego Elena   – Bruno Aniello – Camerlingo Paolo – Cardamone Daniel – Carvelli Carmine Antonio -Costa Alberto – Cresto Giuliana – De Luca Giuseppe – De Rosa Francesco – Fila Robattino Martina – Frijia  Alessia – Gardetto Giacomino – Goitre Alberto – Hrihor Gheorghe – Iannizzi Stesj – Miletta Massimo Angelo – Mortara Valerio -Mosso Giacomo – Musto Stefano – Nobile Calogero – Peccolo Simone – Pretari Alessandro – Probo Nadia – Quaglio Giovanni Francesco – Rizza Tonio – Sbodio Noemi.

MEDAGLIA DI BRONZO

Amato Daniela – Baudino Sabrina – Bernardi Ghisla Elisa – Bollero Alessio – Caresio Denis Simone – Cat Berro GianLuca – Cesselli Maria Elena – Conta Silvio – Cresto Lucia – Defilippi Dario – D’Eredità Marco – Dorma Emanuele – Faletti Enrico Giuseppe – Ferrari Francesca – Ferrari Federico – Formento Livia – Giannone Mery – Mancuso Graziella – Miletta Maurizio Rosario – Nabili El Moustafa – Naretto Nicoletta – Polito Roberto – Salato Giacomo – Salfa Massimo – Trachi Bouzekri

 MEDAGLIA D’ARGENTO

Bacolla Dina Maria – Bellone Cappuccio Giuseppe – Ciullo Antonello – Curcio Ilaria

Eggert Hans Erich – Farinella Massimo – Feira Loris – Ferro Marco – Foresta Antonio

Mancuso Laura – Manzi Giovanni – Milano Andrea Giovanni – Quondamatteo Marco – Sisto Riccardo – Tocci Marco – Vigliaturo Maurizio Michele – Zaccaro Morena

PRIMA MEDAGLIA D’ORO (50 donazioni)

Appino Fulvio – Baima Besquet Roberto – Briscese Giuseppina – Campiglia Palmo Luca – Ciaglia Mario – Di Gloria Luca – Franceschin Sabrina – Iania Maurizio – Larosa Domenico Antonio -Mancuso Carmine – Piccoli Moreno – Sciarillo Simone – Spatafora Salvatore – Spezzati Domenica Lorenza

SECONDA MEDAGLIA D’ORO (75 donazioni)

Castagna Dario – Schillaci Michele – Sesto Mario – Varrese Serafina

TERZA MEDAGLIA D’ORO (100 donazioni)

Curto Francesco – Fratto Salvatore – Mazzaschi Massimiliano Mario

QUARTA MEDAGLIA D’ORO (125 donazioni)

D’Angelo Giovanni – Varrese Vincenzo

QUINTA MEDAGLIA D’ORO (150 donazioni)

Cortese Giorgio Domenico

Cancelliere.

Il primo ministro tedesco oggi si chiama cancelliere e la parola ha radice nel Medioevo, quando il cancelliere era un funzionario addetto all’ufficio, cancelleria, in cui si conservavano i documenti ufficiali, sui quali veniva apposto il sigillo del sovrano. Nel Sacro romano impero del X secolo d.C., il cancelliere era un alto funzionario con compiti politici e amministrativi. Ma nel corso dei secoli divenne un ruolo chiave nel governo dei vari Stati tedeschi tanto che, con la nascita della Confederazione Germanica del Nord nel 1867, “cancelliere” fu adottato ufficialmente come titolo del primo ministro. Ruolo centrale. Otto von Bismarck fu il primo cancelliere della Confederazione, e poi del Reich tedesco,  e colui che contribuì a rafforzare il prestigio della carica. Durante il nazismo, 1933-1945, il ruolo di cancelliere fu assunto con poteri assoluti da Adolf Hitler. La Costituzione federale del 1949 confermò il titolo per il capo del governo della Repubblica Federale. La scelta sottolinea l’importanza della figura politica, ancora oggi centrale a livello nazionale e internazionale.

Favria, 14.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Nella vita ci vuole sempre la speranza, per continuare a credere che qualcosa di bello possa ancora accadere. Felice sabato.

L’erba che brucia, l’ortica.

L’ortica è un’erba spontanea infestante, che nelle passeggiate, evito accuratamente se porto i pantaloncini corti. Appartiene alla famiglia delle Urticacee, come un altra selvatica, la Parietaria, che vive tra le crepe dei muri. L’ortica conosciuta  in vari dialetti come Ortiga, Erba brucia, Vendetta delle suocere, Garganella, Ardica. In tedesco,  Nessel; in inglese, Nettle, Cool faugh, Devil’s claw, Devil’s plaything ed in Gaelico, Neanntóg. Il nome italiano ortica deriva dal latino “urere”, bruciare, irritare,  ardere, incendiare, per motivi che tutti conosciamo. La nota causa di ciò è la riposta della pelle al contatto con l’erba, ovvero quando, toccandola, spezziamo inavvertitamente le sottili spine cave che ricoprono quasi interamente la pianta. Queste contengono l’acido formico, irritante della pelle. In realtà  da ragazzo delle persone anziane mi avevano spiegato che potevo tranquillamente cogliere le ortiche prendendole da sotto una coppia di foglie, dal basso verso l’alto, senza provare bruciore, beh io da maldestro nei miei tentativi ho sempre avuto, come si dice nel gergo comune delle “punture di ortica”, ma, in realtà, la reazione era dovuta dopo il contatto con le foglie dovuto all’effetto dell’acido formico contenuto nei tricomi, una sorta di aghiformi. Tralasciando le mie avventure con le ortiche da bambino, le ortiche hanno sempre attirato la mia attenzione. Quello che ricordo che ogni anno, ad ogni passeggiata e quindi ad ogni incontro con quest’erba, è il suo verde così forte e splendente, la sua forza e tenacia nel crescere lungo i sentieri della campagna, tra le crepe dei muri, la sua duplice forza  nel pungere e nel guarire, nel bruciare e nel curare, nel ferire e nel proteggere. L’ortica, Urtica dioica, deve il suo nome scientifico al verbo latino urere, bruciare, infiammare, in riferimento al bruciore causato dal contatto con i peli urticanti e al greco dis, due volte e oikía, abitazione. In botanica si dice dioico quelle piante che presentano fiori maschili e femminili su individui separati. Questo significa che ogni pianta ha solo fiori maschili o solo fiori femminili. L’ortica o meglio alla famiglia delle Urticacee, ci sono nel mondo  circa 500 specie diffuse soprattutto in America, nell’Asia sud-orientale e, in minor misura, anche in Europa e Africa, qui in nel Belpaese ne abbiamo ben 13 specie di piante erbacee perenni e annuali, tra le quali anche la Parietaria frequente vicino ai muri. A parte l’effetto urticante, però, possiede molte benefiche proprietà che un tempo venivano utilizzate per curare diversi malanni. In Danimarca sono stati scoperti sudari funebri risalenti all’Età del Bronzo realizzati con le sue fibre, più forti di quelle del cotone e più sottili rispetto alla canapa ed è stata ritrovata una ciotola, sempre risalente a quell’età, il cui contenuto, dopo le dovute analisi, è risultato essere una zuppa di ortiche, annoverando quest’ultima tra uno degli alimenti principali dell’Età del Bronzo. Secondo gli studiosi britannici, il più antico piatto inglese sarebbe il pudding di ortiche, ricetta risalente a seimila anni fa e che vede, nella preparazione originale, ortica, tarassaco e acetosa unite a farina d’orzo, acqua e sale. Gli antichi Greci che se cibavano, e ne mangiavano anche i semi per incrementare la prestanza sessuale, il suo messaggio di rinascita e fertilità fu ampiamente intuito anche dalle popolazioni Celtiche, dove l’ortica venne considerata ingrediente fondamentale della zuppa di primavera, come simbolo della mascolinità naturale.  Altri popoli coniarono nuovi utilizzi per quest’erba: fu bevanda alcolica per i Francesi, fu medicamento per l’artrosi nelle valli Orobie, In Francia veniva utilizzata per ricavarne un alcool simile a quello etilico. Nelle epoche successive venne impiegata a livello topico, per provocare le cosiddette “orticazioni”, estese irritazioni della pelle che, secondo le credenze del tempo, si riteneva fossero un rimedio per il coma e gli stati di paralisi, e tramite fustigazioni si credeva stimolassero la circolazione, per curare reumatismi e artriti, e ancora nel bergamasco si usava mettere le mani nelle ortiche per combattere l’artrosi, e per eliminare le scorie del sangue e combattere le patologie renali e artritiche. Presso gli antichi Sassoni l’ortica fu associata a Thor, il dio del Tuono, dove Thor, dio del tuono, è spesso rappresentato dalle ortiche, che vengono bruciate nel camino per proteggersi dai fulmini del dio durante i temporali. Per questo era nata la credenza in Germania  di posare le ortiche sul tetto della casa prima del temporale, in modo che i fulmini verso la terra e non sulla propria abitazione. Oppure si credeva che, durante i forti temporali, gettare ortica sul fuoco tenesse lontani i fulmini. Bisogna dire che nel  passato l’ortica per il Cristianesimo è stata anche un simbolo sinistro visto che, nel Medioevo, streghe e alchimisti se ne servivano in abbondanza, credendola rifugio di anime e demoni per la sua abitudine di crescere tra i ruderi, e in alcuni passi della Bibbia viene menzionata con connotazioni negative.  Anche se Oddone di Meung o Odo Magdunensis,  autore medievale, vissuto nella prima metà del sec. XI, a cui è attribuito un poema latino in 2269 esametri: De viribus herbarum, ediz. di L. Choulant, Lipsia 1832, indicato anche come opera di Macer Floridius, probabilmente pseudonimo di Oddone stesso. raccomandava l’ortica come afrodisiaco, perché si vociferava che aumentasse la virilità maschile.  Il poema è interessante per la storia della botanica durante il Medioevo; esso riprende la tradizione classica, Plinio soprattutto, e fa tesoro dell’opera De cultura hortorum di Valafrido di Reichenau. Divenne tramite di questa cultura per le scuole di medicina, specie per quella salernitana. All’ortica sono associate anche tante credenze e tradizioni folkloriche. Si pensa ad esempio che tenere delle ortiche in una stanza protegga coloro che ci abitano, che conservarle in una tasca difenda dai fulmini e che le ortiche giovino alla fertilità maschile. Nel nord dell’India, ma anche in Nepal, l’ortica nota come “shishnu”, “sishnu” o “sisnu”, viene utilizzata in cucina come verdura, per preparare zuppe e vellutate. Si narra che Milarepa, asceta tibetano, fosse riuscito a sopravvivere a decenni di meditazione solitaria nutrendosi di sole ortiche. In passato i fusti legnosi delle piante adulte venivano macerati, disidratati e battuti, per ottenere fibre per tessere stoffe simili alla canapa. Ancora ai nostri giorni alcune popolazioni della Siberia, lasciano crescere l’ortica intorno alle loro abitazioni per ricavarne fibre tessili che forniscono una speciale tela verde, solida e dura, praticamente indistruttibile. Le foglie verdi, che contengono grandi quantità di clorofilla, erano invece utilizzate per la colorazione dei tessuti. Anticamente in Piemonte era segno di protezione; portata in un piccolo mazzetto nelle tasche proteggeva dal male oppure se gettata sulle braci ardenti in Sud Tirolo preservava la casa dal temporale. La simbologia dell’ortica trova terreno fertile anche in Scozia, dove un tempo si pensava che essa crescesse sul sangue dei morti, e sempre in Inghilterra veniva considerata il simbolo della presenza di creature soprannaturali, che venivano protette dagli aculei della pianta. Secondo antiche credenze, nell’Europa centrale si crede che protegga dai fulmini: basta bruciarla in un braciere o nel focolare domestico. Se portata addosso, in un sacchettino di tela, la radice di questa pianta protegge dall’occulto e dalle negatività; bruciata insieme a dell’incenso serve invece a ripulire la casa da influenze nocive, in particolare dopo una lite, oltre che respingere al mittente eventuali malefici lanciati durante accese discussioni. L’uso medicinale dell’ortica risale all’antico Egitto, dove l’infuso era impiegato come rimedio per l’artrite e i dolori lombari. Nell’antica Grecia, Ippocrate e i suoi seguaci raccomandavano numerosi utilizzi medicinali dell’ortica, tra cui l’applicazione topica, in particolare dell’estratto di radice, per l’epistassi, perdita di sangue dalla cavità nasale, oppure mescolata con sale per morsi di cane, ulcere cutanee e distorsioni. I semi di ortica nel vino dolce per alleviare il dolore e come “purgativo dell’utero”, i semi con sale per espellere i vermi intestinali e il linimento dei semi di ortica per contrastare la perdita dei capelli. Nel II secolo d.C., Galeno, medico greco che visse anche a Roma, raccomandava le foglie di ortica come diuretico e lassativo, le ferite in cancrena, sanguinamento dal naso, polmonite, asma, e piaghe della bocca.  Si dice che i soldati romani flagellassero con l’ortica le loro gambe per riscaldarsi  dal clima rigido e curare i reumatismi. Nella medicina popolare i principali utilizzi dell’ortica sono legati al trattamento di reumatismi, artriti, anemia, eczemi, disfunzioni renali e gastriche; per uso topico in caso di emorragie ed emorroidi. Entra anche nella formulazione di shampoo e lozioni per rinforzare il cuoio capelluto.  Gli utilizzi dell’ortica sono moltissimi. Cito soltanto quelli che conosco, ma sono  molti di più di questa piante  utile agli esseri umani , alle piante stesse e agli animali. L’ortica viene utiulizzata come alimento  utilizzando le cimette giovani, vanno sempre cotte, il procedimento è simile a quello degli spinaci, per preparare ravioli, risotti, gnocchi, frittate. Dicono che sia molto buono il risotto, che si fa semplicemente aggiungendo al soffritto l’ortica, proseguendo come un normale risotto per il resto della cottura. Con le cimette giovani alcuni le cucinano  come frittelle con altre  verdure selvatiche, una frittata tipica della zona della Brianza. Pare che sia un ottimo ricostituente e rimineralizzante, ricco di sali minerali come potessio e calcio, vitamine e proteine. Mi hanno detto che una volta i contadini sminuzzavano le ortiche in piccole parti per nutrire gli animali da cortile troppo piccoli per mangiare le granaglie, ma spesso aggiungevano la stessa erba anche al foraggio di tutti gli animali in stalla, incrementando così il valore nutritivo del fieno, aggiungendo una buona dose di proteine, vitamine, enzimi e sali minerali. Secondo antichi rimedi l’ortica  veniva inserita nella varie zuppe primaverili, necessaria per stimolare la ripresa del corpo dopo i rigori invernali.  E veniva  preparata come tintura impiegata per punture d’insetti, emorragie, distorsioni, lesioni della cute e persino per l’acne. L’ortica è noto antiforfora naturale, utilizzata per risciacqui ai capelli ed anche per renderli lucidi; ma soprattutto per l’acne, come decotto o pomata, e per le pelli grasse. Ho già detto nella storia e nel mito norreno di Loki  l’utilizzo nella storia delle fibre di ortica per confezionare vestiti, manca ora di citarne le doti. Le fibre sono di due tipi: quelle grossolane, usate per produrre sacchi e tele, e quelle più lunghe e preziose, usate per confezionare stoffe e lenzuola, tovaglie e abiti. Entrambe hanno estrema resistenza all’usura e aspetto meraviglioso, sono morbide e ricercate, lucenti e pregiate. E’ da sottolineare che la struttura delle fibre, cave all’interno, garantisce l’isolamento termico in inverno, riempiendosi d’aria. La stessa proprietà muta in estate, quando le fibre si assottigliano riducendo proprio l’isolamento termico e garantendo la traspirazione. Ed infine la  tintura che avviene con la pianta intera, fresca o essiccata, per colorare lana, cotone e seta con un colore finale  che va dal salvia al verde pisello e tonalità verde chiaro. Infine dalle ortiche si  ricava un ottimo fertilizzante, ottenuto facendo macerare le piante fresche in acqua piovana per qualche settimana. Questo va diluito molto, poiché estremamente ricco di azoto. Si stratta di un  fertilizzante molto potente  e usato  male, può danneggiare la coltivazione. Le foglie fresche funzionano da barriera antimosche. Il macerato può essere utilizzato anche come integratore per i composti di foglie, accelerando così i processi di decomposizione. Concludo con un modo di dire tedesco: “sich in die nesseln setzen” ovvero “sedersi sulle ortiche” significa “mettersi nei guai”, attenzione primi di utilizzare le ortiche chiedete a chi ne sa più di me.

Favria, 15.09.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Il tempo e la pazienza possono più della forza o della rabbia. Felice domenica

La Vergine 

Tra le  grandi del cielo, la Vergine è legata ad alcune delle divinità femminili più importanti della mitologia. Dagli antichi babilonesi in  Mesopotamia la costellazione era conosciuta come  “Il Solco”. Il legame con l’agricoltura, già evidente nel nome, era anche dovuto alla sua associazione con la dea Shala, divinità della compassione ma anche dei cereali, infatti tra le mani aveva come simbolo una spiga di orzo. La tradizione che lega la costellazione all’agricoltura è rimasta intatta nel tempo, infatti, la stella principale della Vergine è la stella Spica, dal latino spiga di grano.  L’altro pezzo della costellazione, come riportato da Ipparco di Nicea, era chiamato la Foglia e si tratta di un’altra costellazione babilonese corrispondente alla parte occidentale della Vergine, mentre Il Solco ne rappresenta la zona orientale. La Foglia era anch’essa associata ad una divinità che regge una foglia di palma da dattero. Ritroviamo, infatti, anche per la Vergine alcune rappresentazioni che la ritraggono con una spiga in una mano e una foglia di palma nell’altra.  Per gli antichi greci in continuità con i babilonesi  l’associavano alla dea Demetra e si passa dalla spiga d’orzo alla spiga di grano. A questa costellazione vengono associati diversi miti, secondo altra versione non è Demetra a rappresentare la Vergine, bensì Persefone, sua figlia, rapita da Ade, il dio degli Inferi. Ma c’è ancora un’altra versione che, invece, collega la costellazione con Astrea, una dea vergine simbolo di purezza, innocenza e giustizia. Secondo il mito riportato da Ovidio, Astrea era l’ultima immortale tra gli esseri umani, scesa sulla terra durante l’Età dell’Oro per diffondere le sue virtù. Tuttavia, la sempre maggiore malvagità degli umani costrinse Astrea a prendere la decisione di abbandonare l’umanità. Così, giunta l’Età del Ferro, Astrea lasciò disgustata la Terra e i suoi abitanti per ristabilirsi nel cielo dove divenne la costellazione della Vergine. Se Shala era accostata soltanto a Spica o alla regione nei dintorni di questa stella, c’era un’altra divinità babilonese associata a questa costellazione, la dea Ishtar, dea dell’amore e della fertilità, teniamo presente che Ishtar ha un suo precedente nella dea sumera Inanna, dea dell’amore, della fertilità, dell’agricoltura e della giustizia. Entrambe le dee affrontano un viaggio nel mondo degli inferi.  In particolare, Inanna intraprende questa discesa nel mondo dei morti per portare il suo conforto alla sorella Ereshkigal, dea degli Inferi, per la morte di suo marito Nergal. Per mostrarsi al cospetto della sorella, la dea deve attraversare sette porte e spogliarsi di tutti i suoi averi, ma una volta giunta Ereshkigal la condanna a morte. Dopo alcuni giorni la sua fida ancella, Ninshubur, chiede aiuto alle divinità e così il dio Enki forgia due creature immortali incaricate di adulare la dea infernale e convincerla a consegnare il cadavere di Inanna. Ottenuto il corpo, le due creature riportano in vita la dea, ma perché possa lasciare gli Inferi qualcun altro deve prendere il suo posto. A tale scopo Inanna viene sollecitata dai demoni del destino, i quali le propongono diverse persone, tra cui la sua ancella, ma la dea si rifiuta: è ingiusto far morire chi le era rimasto fedele anche dopo la morte. Viene infine condotta dal suo sposo Dumuzi, il quale è seduto sul trono di Inanna, compiaciuto e ornato di splendide e ricche vesti. Inanna si sente tradita dal marito che non ha osservato il lutto e, allora, incollerita, lo condanna a morte cedendolo ai demoni del destino. Tuttavia, Inanna si rimetterà alla ricerca di Dumuzi impietosita dalle lacrime della sorella di lui, Geshtinanna. Trovato Dumuzi, resta una sola soluzione per non contravvenire alla legge dell’Oltretomba: Dumuzi e Geshtinanna si scambieranno ruolo per metà dell’anno cosicché entrambi trascorreranno parte dell’anno negli Inferi e l’altra parte con Inanna. Questo mito sumero, spiega  l’alternanza delle stagioni e del ciclo vegetativo, che  presso i greci è riconoscibile nella leggenda di Persefone, Proserpina per i romani, costretta a passare metà dell’anno con sua madre Demetra, primavera ed estate, e l’altra metà con Ade giù negli Inferi, autunno ed inverno. La dea Inanna/Ishtar  era spesso rappresentata da due leoni e con simboli vegetali. Se pensiamo che il triangolo primaverile è formato dalle stelle  Spica, Arturo (Boote) e Denebola  (Leone,), il quadro assume sempre più senso. La stella Spica  viene chiamata  dagli arabi  come “la tibia del Leone, poiché rispetto alla sua rappresentazione modera la costellazione del Leone. Ritornando ad Inanna/ Ishtar un’altra delle loro caratteristiche, così come, pare anche della dea Shala, erano le loro virtù guerresche, che ben si sposano con un animale come il leone. Da considerare, inoltre, che la Vergine si trova anche nelle vicinanze della costellazione della Bilancia, simbolo di equità,  sempre ricollegabile  ad Inanna come ad Astrea.  Curiosamente, inoltre, la costellazione è visibile fino a luglio, mese che secondo il calendario lunare in uso presso ebrei e i mussulmani  è il mese chiamato  tammuz, in realtà cade tra giugno e luglio), che sarebbe il nome del dio Dumuzi per i babilonesi. Nella versione babilonese del mito, infatti, la dea Ishtar, e con essa tutte le donne, deve portare il lutto per Tammuz per un mese intero, da qui l’origine del nome del mese, lutto che prevedeva, fra le altre cose, il digiuno mensile.

Favria,16.09.2024  Giorgio Cortese  

Buona giornata. Ogni volta che noi esseri umani ridiamo aggiungiamo giorni alla nostra vita. Felice lunedì

Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue.

Il potere di salvare la vita l’abbiamo nel sangue. Vieni a donare il sangue, vieni a donare a Favria * MERCOLEDI’ 16 OTTOBRE *, cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno anche di Te. Attenzione, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare e portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Per info, Cell. 3331714827. Ricordo i requisiti minimi per donare: età compresa tra i 18 e i 60 per la prima volta, poi dai 65 a 70 anni, l’idoneità a donare va valutata dal medico. Grazie se fate passa parola e divulgate il messaggio. Vieni a donare il sangue *MERCOLEDI’ 16 OTTOBRE a Favria* e sii un eroe nella vita di qualcuno. Orario dalle ore 8 alle ore 11,00, devi prenotare al cell 3331714827 oppure tramite mail favria@fidasadsp.it

Ricordate che donare il sangue rappresenta il più grande atto di vita che chiunque può compiere. Ogni giorno, in Italia, migliaia di persone sopravvivono grazie a un gesto così semplice ma così importante. Non indugiamo, perché “certe cose” non accadono solo agli altri. Gli “altri” siamo anche noi.

Vieni a donare il sangue  MERCOLEDI’ 16 OTTOBRE a Favria