Acero riccio. – Celidonia. – I concerti di San Giorgio. – Boote. – Orsanmichele . – Giunone…LE PAGINE DI GIORGIO CORTESE

Acero riccio L’Acero riccio o platanoide è una specie arborea che

appartiene alla famiglia delle Sapindaceae. Il termine Acer deriva dal nome latino dell’Acero, citato in Plinio e Ovidio. Questo nome dovrebbe derivare da acer acris a punta, pungente, sia per la forma appuntita delle foglie che per l’uso dell’acero per fabbricare lance. L’epiteto specifico platanoides proviene dal greco eidos, sembianza, cioè che assomiglia al platano per la forma delle foglie. Viene detto comunemente acero riccio per la terminazione delle foglie che si presenta ricurva. L’Acer platanoides è una specie spontanea in molti boschi di latifoglie umidi e riparati, originaria dell’Europa centro-orientale molto diffusa in Italia. A Favria nel parco ne esistono diversi esemplari che fanno da bordura nella siepe del Parco Martinotti e siamo fortunati. Secondo uno studio di Coldiretti del 2020, vi sono dieci specie di alberi che vanno assolutamente piantate, se si vuole contenere il proliferare di polveri sottili e filtrare l’aria, rendendola più sana e respirabili. Al primo posto nella loro classifica, troviamo appunto l’acero riccio che è in grado di “divorare” fino a 3800 kg di CO2 nell’arco di vent’anni. Conosciuto principalmente come pianta ornamentale, soprattutto la varietà rossa “crimson king”, l’acero riccio può rivelarsi un prezioso alleato alla lotta contro l’inquinamento. Anche se in tempi antichi non ci doveva preoccupare dell’inquinamento e dei gas serra, l’acero era comunque una pianta tenuta in grande considerazione. In particolar modo, l’acero riccio rosso ha sempre incuriosito gli osservatori più attenti e i poeti, per via della mutazione delle sue foglie da verdi, a gialle fino a divenire color rubino. Nella mitologia greca, l’acero platanoide era associato a Fobos, il Dio della paura figlio di Ares, Marte, dio della guerra, il rosso, infatti, era considerato un colore funesto e iroso. Il folklore europeo, invece, considerò l’acero un albero dalle mille proprietà, tra cui quella di tenere lontani i pipistrelli. Questa pianta rappresenta una parte integrante e imprescindibile della cultura contadina, ha segnalato per millenni il cambio di stagione con il suo colore giallo-ambrato accompagnando il rosso delle viti. In Germania si crede che le cicogne depongano ramoscelli d’Acero per tenere lontani. L’Acero giapponese rappresenta la precarietà delle cose perché in autunno perde le sue foglie. La foglia d’Acero simboleggia, infatti, la stagione autunnale. Sembra che tra gli aristocratici giapponesi si attendesse l’autunno per ritrovarsi sotto i momiji, gli Aceri giapponesi, per suonare, cantare o recitare poesie d’amore, cercando ispirazione nelle foglie screziate di rosso. Più tardi questa usanza signorile divenne popolare ed è rimasta inalterata fino ad oggi. Jacques Viger, primo sindaco di Montreal, descrisse l’Acero come “il re dei nostri boschi; il simbolo del popolo canadese…”. La foglia d’Acero fu introdotta nella bandiera canadese nel 1965, sotto la forma altamente stilizzata di una foglia a undici punte.
Favria, 28.05.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Quando la vita ci mette alle corde, facciamo un nodo e teniamo duro. Felice martedì.

Celidonia

La celidonia è una pianta appartenente alla famiglia delle papaveracee, originaria del continente europeo, diffusa in modo particolare nel bacino mediterraneo, dove cresce spontanea lungo i fossati e nei pressi di ruderi abbandonati, ed è conosciuta anche con il nome di erba porraia. La  celidonia è usata  nel secolo XVIII come pianta decorativa, per aiuole, forse per il colore delle foglie, evitata dalle bestie da pascolo, per il sapore acre e disgustoso, in compenso molto  visitata dalle api.  La pianta di celidonia è facilmente riconoscibile perché spezzandone un rametto, staccando una foglia o recidendone un fiore, fuoriesce un lattice di colore giallo rossastro. Ha delle foglie simili, per forma, a quelle della quercia ed i fiori, composti da quattro petali di forma ovale, di colore giallo. Produce anche dei frutti di forma sferica che si formano in basso e risalgono verso l’alto man mano che si maturano. Il genere della celidonia comprende un’unica specie la chelidonium majus,nome che deriva dal termine greco chelidonche significa rondine, l’origine del nome è probabilmente dovuta al fatto che il periodo di fioritura della pianta è la primavera che coincide con la comparsa delle rondini. All’origine del nome sono legate diverse leggende, secondo una di queste si narra che le rondini abbiano l’abitudine di strofinarne sugli occhi, ancora chiusi, dei loro piccoli, alcuni rametti di celidonia per favorirne l’apertura. Tale leggenda era nota anche ai tempi di Plinio il quale precisava che oltre a far aprire gli occhi ai nuovi nati, la celidonia era usata dalle rondini anche per curare gli occhi e render la vista, nel caso in cui gli occhi dei piccoli fossero stati accecati. La precisazione di Plinio trovava fondamento in un’altra credenza popolare quella secondo la quale le rondini adulte prima di allontanarsi dal nido, per cercare del cibo, cavassero gli occhi ai piccoli per non farli muovere e cadere. Quando i piccoli, infine, crescevano le rondini adulte portavano al nido i rametti de celidonia per curarli e fargli recuperare la vista. La curiosità delle sopracitate credenze popolari sta nel fatto che anche nel nord della Russia si pensava che le rondini usassero la celidonia, anche se in questo caso si supponeva che le rondini portassero la celidonia al nido, non per curare gli occhi dei piccoli ma, per dar loro il nutrimento necessario fino all’inizio delle migrazioni autunnali. Traendo spunto dalle leggende sulle rondini, in passato gli antichi usavano la celidonia per curare le infiammazioni degli occhi.  Il nome celidonia secondo altri studiosi deriverebbe, invece, dal termine latino caeli donum che letteralmente significa dono del cielo, questa teoria sarebbe avvalorata del fatto che durante il medioevo la celidonia era considerata dagli alchimisti una delle piante essenziali per la fabbricazione della pietra filosofale, dotata quindi di poteri soprannaturali. Inoltre, sempre in epoca medioevale era considerata come una delle erbe magiche di San Giovanni, una pianta con la quale potevano essere preparati oli, sali e talismani da utilizzare durante i rituali. Si narra che la pianta avesse la proprietà di “far vedere la luce” ovvero, spiritualizzando il concetto, potesse far vedere la luce interiore. In Friuli secondo la tradizione popolare è nota come “erba di Santa Apollonia”, la Santa che protegge i denti, tra le varie leggende, infatti, c’è anche quella secondo la quale una goccia di latice di celidonia posta sopra un dente cariato è in grado di placarne il dolore. Essendo, infine, una pianta primaverile dai fiori di colore giallo era ritenuta indice della benevolenza degli dei. Per sapere se durante l’estate i raccolti avessero dato i frutti sperati, si attendeva che sbocciassero i fiori di celidonia come segno di buon auspicio.

Favria, 29.05.2025   Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno è un nuovo giorno per sperare. Felice mercoledì.

I concerti di San Giorgio

A Valperga si trova la  Chiesa di San Giorgio è un gioiello  di architettura medioevale, le sue parti più antiche e il campanile, con le sue eleganti bifore marmoree romaniche, risalgono all’ XI secolo. Qui l’Associazione Amici di San Giorgio in Valperga, dal 1996 si è prefissata lo scopo  di divulgare la conoscenza di questo pregevole gioiello e organizza sia visite guidate che attività culturali come i concerti giunti alla XXIII edizione. L’Associazione Onlus “Amici di San Giorgio in Valperga”, attiva dal 1996 per il restauro e la valorizzazione dell’antica Chiesa, fiore all’occhiello del territorio, dà il via alla 24esima stagione della storica rassegna musicale, in programma per il mese di giugno, con il Patrocinio del Comune, ingresso gratuito, si ringraziano i sostenitori della stagione dei concerti 2024.

Programmi concerti San Giorgio XXIV

Domenica 2 giugno, ore 17,30 coro Artemusica con Carlo Beltramo pianoforte, Debora Bria direttore, Musiche di O. Gjeilo, E. Esenvalds, N. Alcala, M. Grancini, G. Aichinger, J. G. Rheinberger, F.Mendelssohn, A. Part , B. Britten

Domenica 9 giugno, ore 17,30 Trio Armonikos, Michele Mauro violino, Serena Costenaro violoncello, Erica Pompignan pianoforte, musiche  di Mozart, Rachmaninov, Mendelssohn.

Domenica 23 giugno, ore 17,30 omaggio a Eugenio Fernandi: Arie e Duetti, Annalisa Garetto mezzosoprano, Dario Prola tenore, Eriberto Saulat pianoforte, Musiche di Mozart, Decrescenzo, Tosti, Pergolesi, Caldara, Puccini, Valente, Tagliaferri, Massenet, Saint Saёns, Leoncavallo, Cardillo, Gastaldon

Domenica 22 settembre, ore 17,00 concerto per la Festa di Maria Liberatrice con la cantoria di Canischio, Jesus Christ Superstar, adattamento per coro

Possibilità di visita della chiesa dalle 15,15 alle 16,00.

Senza musica, la vita è come un viaggio attraverso un deserto, la musica classica crea uno spiraglio nel cielo. La musica è una rivelazione, più alta di qualsiasi saggezza e di qualsiasi filosofia. Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime come i concerti in programma nella Chiesa di San Giorgio è un gioiello di architettura medioevale

Boote.

Nella costellazione di Boote la stella principale è Arturo, la stella maggiormente grande tanto che viene definita come la gigante rossa, ma quarta per luminosità. Essa viene definita anche come la stella che protegge l’orsa, in riferimento ad una particolare mitologia che vede protagonista proprio questo animale. Boote, chiamato anche Bootes, Bovaro o Bifolco, è una costellazione molto estesa che dall’equatore si lancia verso le regioni settentrionali, arrivando a toccare l’Orsa Maggiore. Confina a nord con il Dragone e con l’Orsa Maggiore, ad est ancora con l’Orsa Maggiore, i Cani da Caccia, la Chioma di Berenice e la Vergine; a sud sempre con la Vergine e ad est con la Testa del Serpente, la Corona Boreale ed Ercole. Seguendo la curva descritta dalle tre stelle del timone del Grande Carro si arriva ad Arturo, la stella più luminosa dell’emisfero settentrionale del cielo che si distingue per il suo colore arancione molto vivo. Guardando a nord di questa stella troviamo il resto della costellazione. Alle nostre latitudini Boote è visibile per buona parte dell’anno; il periodo migliore è comunque la primavera in particolare maggio. L’origine del nome Boote deriva probabilmente da una parola greca che significa “rumoroso”, con riferimento alle grida che il pastore rivolge ai suoi animali. Un’altra ipotesi collega il nome al greco antico dove significava “colui che spinge avanti il bue”, per il fatto che l’Orsa Maggiore era rappresentata come un carretto tirato da buoi. Boote viene accompagnata da due leggende mitologiche che vedono protagonisti gli Dei greci ed alcune delle loro debolezze e storie. Secondo una delle due mitologie, Boote rappresenta Arcas e Callisto, rispettivamente figlio e amante di Zeus. Il padre degli Dei, che nutriva un grande amore per Callisto, decise di recarsi a pranzo a casa sua dove si trovava anche il padre della donna, ovvero Licaone. Questo, poco convinto del fatto che la figlia fosse stata scelta dal padre degli Dei come sua compagna ed amante, decise di effettuare una sorta di verifica che gli avrebbe permesso di capire se, effettivamente, quello era per davvero Zeus. Licaone uccise quindi Arcas e lo fece a pezzi, per poi mischiarlo assieme alla carne che venne servita al banchetto in onore dello stesso Zeus. Nella mente di Licaone vi era una sola teoria che poteva confermare che quello fosse effettivamente il padre di tutti gli Dei: se Zeus avesse riconosciuto la carne del figlio, egli avrebbe fatto il possibile per poterlo far tornare in vita. Ma il piano di Licaone non fece altro che far infuriare il padre degli Dei: questo in quanto Zeus, una volta che si accorse che suo figlio fu ucciso, decise di vendicarsi con uno scatto d’ira che sole in poche occasioni contraddistinse l’operato della stessa divinità. Zeus rovesciò il tavolo dove si trovata la carne del figlio e trasformò Licaone in un lupo non prima di aver ucciso tutta la sua famiglia, tranne Callisto, di fronte agli occhi dell’uomo. Il padre degli Dei decise poi di trasformare la donna in un orso, per proteggerla dalla furia di Era, e di ricreare suo figlio Arcas, che venne dato in custodia a Maia. Arcas, una volta cresciuto, si scontro con Callisto orsa che, volendo abbracciare suo figlio, si avvicinò a lui. Il giovane, temendo che l’orso ruggendo potesse attaccarlo, decise di dargli la caccia. Per evitare che il figlio potesse uccidere la madre, Zeus decise di intervenire e di fare in modo che entrambi potessero vivere in cielo, formando appunto la costellazione di Boote. La seconda storia che riguarda la costellazione vede invece protagonista la divinità Dionisio e Icario. Il figlio di Zeus insegnò all’uomo come fare il vino e quest’ultimo, felice di tanta riconoscenza da parte degli dei, decise di creare diverse varietà di vino. Durante un periodo di festa, Icario offrì il vino nuovo ad alcuni pastori ma si scordò di avvisarli di berlo solo dopo che fossero trascorsi alcuni giorni dal confezionamento dello stesso vino. Questi, senza attendere, decisero di bere subito la bevanda ma si sentirono male: famigliari e amici dei pastori temettero quindi che Icario si fosse vendicato di loro avvelenandoli e decisero di ucciderlo. Sua figlia Erigone, avvisata dal vecchio e fedele cane del padre, trovò la salma del genitore nel terreno dove veniva coltivata l’uva e prodotto il vino ed in preda alla disperazione si tolse la vita. Anche il cane, devastato per la perdita del suo padrone, decise di uccidersi, soffocandosi. Commosso per tanto amore mostrato nei confronti del padre, Zeus decise di far salire in cielo Icario, sua figlia ed anche il cane, trasformandoli quindi nella costellazione di Boote. Sono diverse le curiosità che riguardano questa particolare costellazione, accanto alla quale ruota un ammasso gassoso la cui dimensione risulta essere di sei volte rispetto al pianeta Giove. Ancora ad oggi gli astrologi non hanno dato un nome a questa particolare conformazione ed hanno inoltre scoperto che, attorno ad essa, non vi sono altri corpi celesti, se non una sola stella nana che ricorda, seppur vagamente, il Sole. Inoltre questa costellazione è una delle poche ad avere un grandissimo numero di stelle doppie, accadimento raro che riesce appunto a contraddistinguere Boote. Solo recentemente, riscoperto il mito della costellazione, a Boote viene affiancata la costellazione del Cane maggiore, aggiunta come segno di protezione della stessa a seconda del mito che si prende in considerazione. Il Cane protegge sia Callisto che Erigone.

Favria, 30.05.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Ogni giorno cerco di non perdere mai l’unica cosa che mi mantiene vivo: la speranza. Felice  giovedì.

Orsanmichele .

Chi conosce Firenze e l’ha visitata non limitandosi ad ammirare i suoi gioielli più celebri sa bene che non lontano dal duomo di Santa Maria del Fiore e da Palazzo Vecchio, tra le vie de’ Calzaiuoli, dell’Arte della Lana e dei Lamberti, c’è una chiesa con un nome bizzarro: Orsanmichele. Anche l’edificio in sé, per la verità, è un po’ diverso dalle classiche basiliche: di forma quadrangolare, sembra un grosso parallelepipedo ornato da vezzose bifore gotiche. La sua titolazione si spiega tenendo presente che in origine sul posto esisteva un monastero femminile con annessi orti il cui oratorio, intorno alla metà dell’VIII secolo, fu sostituito da una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, santo protettore dei Longobardi. L’edificio sacro, chiamato San Michele in Orto, fu demolito nel 1240 per costruire una loggia destinata a ospitare il mercato delle granaglie. Danneggiata da un incendio, nel 1337 la loggia venne ricostruita e mentre il primo piano fu approntato a deposito per le granaglie, il piano terra divenne la chiesa “ufficiale” delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri che operavano in città. Nel tempo questa si arricchì di capolavori commissionati agli importanti artisti attivi a Firenze: tra questi in particolare i 14 bellissimi tabernacoli, realizzati dal 1408 e impreziositi dalle statue dei santi patroni delle diverse Arti. E la vecchia intitolazione di San Michele all’Orto fu “trasformata” nel parlato fiorentino in Orsanmichele.

Favria, 31.05.2024

Buona giornata. L’ottimismo è un magnete della felicità. Felice venerdì

Giunone.

Il mese di Giugno, denominato anche mese del sole o mese della Libertà, era il mese in onore della dea Giunone sposa di Giove e protettrice del matrimonio. Sesto mese dell’anno apre la stagione estiva.  Il suo appellativo, mese del sole, deriva dal fatto che il 21º giorno del mese, ovvero quando è in atto il solstizio d’estate, l’asse terrestre presenta un’inclinazione tale da garantire, solo in questo giorno dell’anno, la massima durata di luce nell’arco delle 24 ore correnti, in contrapposizione, quindi, con il solstizio di inverno che cade il 22 dicembre e si configura come il mese più corto dei 365 giorni. Il nome Giugno deriva dal mese romano Junius e secondo Ovidio tale denominazione, trarrebbe origine da juniores, ovvero, i giovani.  Gli antichi romani, infatti, dedicavano questo mese ai ragazzi in quanto Romolo, precedentemente, aveva diviso la popolazione romana in due scissioni.  Da un lato i maggiori, gli adulti anziani; dall’altro i minori: giovani abili alle armi in modo tale che gli adulti fossero utili e governassero attraverso la saggezza dovuta alle esperienze, all’assennatezza, e all’età. I giovani, invece, davano il loro contributo attraverso la vigoria propria della gioventù: con la forza esercitata attraverso le armi e in difesa del proprio territorio. Sull’origine del nome del mese di Giugnoesiste anche un’ulteriore ipotesi: quella legata al culto della dea Giunone,  sposa di Giove era la divinità a cui erano sacre le Calende di ogni mese, il primo giorno di ciascun mese nel calendario romano. Giunone Lucina era anche la dea protettrice delle nascite: a questo proposito, in via del tutto allegorica, era anche la divinità che presiedeva la nascita di ogni mese del calendario romano. Successivamente, alle Calende di  Giugno le fu dedicato un rituale specifico, in ricordo di un tempio a lei dedicato edificato, in precedenza, sul Campidoglio. Per l’occasione, la dea Giunone, si nominava con l’appellativo Moneta: colei che avverte, l’ammonitrice. La leggenda narra che nel 390 a.C. durante l’assedio dei Galli, le oche sacre alla dea iniziarono a starnazzare svegliando Marco Manlio, quest’ultimo, organizzò un attacco che respinse gli invasori. In onore di  Giunone fu edificato un tempio sul colle del Campidoglio. Alla dea si diede l’appellativo di Moneta per aver avvertito i romani del pericolo, grazie alle oche a lei sacre. Nel  269 a.C., adiacente al tempio, fu costruita la Zecca, dove venivano coniate le monete. Dall’appellativo Moneta, riferito alla stessa divinità, derivò in seguito il nome dell’officina di coniazione chiamato appunto Moneta, che in età repubblicana era attigua proprio nelle vicinanze del tempio di  Giunone.

Favria, 1.02.2024  Giorgio Cortese

Buona giornata. Giugno è l’estate che prende forza,  e poiché tutto questa bellezza non può essere il Paradiso, so che nel mio cuore è giugno. Felice  sabato.